David Lee Myers

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Pubblicato il: 5 Novembre 2014

Questo post è la revisione di uno del 2006. Mi sembra che, essendo Myers non molto noto, sia il caso di parlarne ancora.

David Lee Myers è un compositore che si trova nella scomoda situazione di essere sconosciuto al grande pubblico perché non fa “pop” e sconosciuto agli accademici perché i suoi lavori non si inseriscono nella tradizione “colta”. Però è conosciuto dagli sperimentatori a oltranza, da quelli che non si accontentano di ri-elaborare delle idee maturate nell’ambito di una corrente, quelli un po’ scontenti e un po’ solitari che regolarmente disfano quello che hanno appena fatto per il gusto di ricominciare da capo.

Nel 1988 affermava che

True electronic music does not imitate the classical orchestra or lend well worn melodies the cloak of unexpected timbres – it exists to evoke the hitherto unknown. And it comes from circuits and wires, though I do not believe that electronic sound is “unnatural”, as some people might.

La vera musica elettronica non imita l’orchestra classica e non presta un mantello di timbri inattesi a melodie ben formate – essa esiste per evocare ciò che fino ad ora è sconosciuto. E nasce da circuiti e cavi, ciò nonostante io non credo che il suono elettronico sia così “innaturale” come qualcuno pensa.

DiaagProprio queste considerazioni hanno condotto D. L. Myers alla pratica di una musica estrema, quasi totalmente priva di input: niente partitura, nessuna tastiera, nessun suono da elaborare, nessun sistema di sintesi propriamente detto. Una musica in cui sia i suoni che le strutture non nascono dalla pressione di un tasto o dal fatto che qualcuno mette giù un accordo, ma dall’interazione spontanea di una serie di circuiti collegati fra loro in retroazione che l’essere umano si limita a controllare.
Al massimo l’input viene utilizzato solo come sorgente di eccitazione per il circuito di feedback.

Quello che Myers faceva, già nel 1987 con apparecchiature analogiche, era feedback music.

Il feedback positivo in una catena elettroacustica è stato sperimentato, con fastidio, da chiunque abbia usato un microfono e lo abbia inavvertitamente puntato verso gli altoparlanti. In breve si produce un fischio lancinante, mentre i tecnici si lanciano verso il mixer per abbassare il volume.

Questo problema, più conosciuto come Effetto Larsen, si verifica perché il microfono capta dei suoni che vengono amplificati e inviati all’altoparlante. Se gli stessi suoni, in uscita dall’altoparlante, vengono nuovamente captati dal microfono, amplificati e ri-inviati all’altoparlante, si crea una retroazione positiva tale per cui entrano in un circolo chiuso in cui vengono continuamente amplificati fino ad innescare un segnale continuo a forte volume.

Come si può immaginare, il feedback è un po’ il terrore di tutti i tecnici del suono, ma in determinate circostanze può essere controllato e se può essere controllato, può anche diventare uno stimolo per uno sperimentatore.

Bisogna puntualizzare che non si tratta di una idea di Myers. Ai tempi della musica elettronica analogica questo effetto è stato utilizzato in parecchi contesti. Anch’io ne ho fatto uso in una installazione del 1981 (si chiamava “Feedback Driver”, appunto), ma credo che negli anni ’80 l’abbiano provato un po’ tutti, con alterni risultati. I miei primi ricordi relativi a questa tecnica risalgono al lavoro di Tod Dockstader, un ricercatore e musicista americano relativamente poco noto, anche se alcune sue musiche sono finite nel Satyricon di Fellini.

Quello che distingue Myers dagli altri, però, è l’averne fatto una vera e propria poetica. Lui non sfrutta il feedback per elaborare qualcosa, non parte da algoritmi di sintesi, ma collega in retroazione una serie di dispositivi (principalmente mixer e multi-effetti) e variando i volumi sul mixer (che a questo punto diventa la sua “tastiera”) e cambiando tipo e profondità degli effetti ne trae una serie di sonorità suggestive, sempre in bilico fra il fascino di una musica che si muove in modo quasi biologico e il totale disastro delle macchine fuori controllo.

Senza dubbio, Myers è un virtuoso, ma, a differenza del virtuoso tradizionalmente inteso, lui non domina il proprio strumento. Piuttosto lo asseconda, cercando di spingerlo in una direzione. Qui la composizione consiste nel definire una rete di collegamenti fra i dispositivi e la tecnica si fa estetica.

Inoltre, come si vede in questo breve video, Myers si fa anche artista visuale elaborando una serie di tracce create dalla sua stessa musica.

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