A Window in the Sky

Categorie: Strumentale
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Pubblicato il: 9 Ottobre 2007

Chinary Ung

Chinary Ung è nato nel 1942 in Cambogia e ha iniziato lo studio del clarinetto a Phnom Penh. È emigrato negli USA nel 1964 terminando gli studi di clarinetto e iscrivendosi a composizione alla Columbia University.
Diplomato nel 1974, si è rivolto nuovamente al suo paese d’origine, studiando le tradizioni musicali Khmer per il successivo decennio.
Dal 1995 insegna all’Uniersità di California, a San Diego.
Della sua musica dice:

I believe that imagination, expressivity, and emotion evoke a sense of Eastern romanticism in my music that parallels some of the music-making in numerous lands of Asia. Above all, in metaphor, if the Asian aesthetic is represented by the color yellow, and the Western aesthetic is represented by the color blue, then my music is a mixture — or the color green.

E in questo bel brano, Grand Alap: A Window in the Sky, del 1996, per violoncello e percussioni riesce effettivamente a creare un mix espressivo, godibile e non banale, con alcune idee originali, come quella di prescrivere il sesso degli esecutori (il percussionista deve essere un uomo e la violoncellista una donna). Questo perché il brano comprende anche delle parti cantate e non poche, spesso indipendenti dalla linea strumentale.

Nella musica classica indiana, l’alap è l’ouverture del raga, un momento in cui i materiali del brano vengono presentati in forma improvvisata, libera ed espressiva, con una funzione quasi rituale di offerta musicale alle divinità e di avvicinamento alla performance. Una pratica molto diffusa nella cultura orientale, Cambogia compresa.
In questo brano, la parte iniziale ha la stessa funzione, ma poi si sviluppa in una miriade di frammenti incastonati l’uno dopo l’altro come perline di una collana, fino a chiudere un cerchio.

Chinary Ung – Grand Alap: A Window in the Sky (1996), per violoncello e percussioni
Maya Beiser, cello, voice – Steven Schick, percussion, voice

Pagina originale su Art of the States


Note a margine.

C’è una interessante estetica che si va sviluppando in anni relativamente recenti: quella di coloro che hanno assorbito ed elaborato elementi culturali lontani e diversi. È qualcosa che va al di la di quello che il pop etichetta banalmente come world music. Non si tratta semplicemente di piazzare una melodia orientale su un ritmo occidentale o viceversa o ancora di suonare rock con lo shamisen.
Se ascoltate questo brano noterete come l’atmosfera oscilli continuamente fra est e ovest, con la sonorità tipicamente occidentale del violoncello, che a tratti si fa orientale con scale e pedali, le percussioni che stanno ora qui ora là e le voci che sono trattate con emissione molto orientale. È un bel mix, frutto di studio, di idee, non banale e non superficiale.
Personalmente, come atteggiamento (non come musica), mi ricorda un po’ Takemitsu quando faceva affiorare atmosfere tipicamente giapponesi da insiemi strumentali del tutto occidentali.

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