Orchidée

Questo interessante sistema chiamato Orchidée, realizzato all’IRCAM da Grégoire Carpentier and Damien Tardieu con la supervisione del compositore Yan Maresz, è in grado di fornire una o più orchestrazioni di un suono dato.

In pratica, significa che un compositore può arrivare con un suono e farlo analizzare al sistema che poi fornisce varie combinazioni di suoni orchestrali che approssimano la sonorità data.

Un esempio, tratto da quelli forniti dall’IRCAM, dice più di molte parole. Qui potete ascoltare:

Si tratta di Computer Aided Orchestration (orchestrazione assistita) ed è un ulteriore esempio di come il computer possa ormai affiancare il compositore in molte fasi del suo lavoro.

Il sistema si basa su un largo database di suoni orchestrali che sono stati analizzati e catalogati in base a una serie di descrittori sia percettivi (es. brillantezza, ruvidità, presenza, colore, …) che notazionali (strumento, altezza, dinamica, etc).

Un algoritmo genetico individua, poi, varie soluzioni, ognuna ottimizzata rispetto a uno o più descrittori, il che significa che non esiste una soluzione ideale, ma più di una, ciascuna delle quali si avvicina molto ad un aspetto del suono in esame, risuldando, invece, più debole sotto altri aspetti. Per esempio, si potrebbe ottenere un insieme che approssima molto bene il colore del suono, ma non la sua evoluzione. Sta poi al compositore scegliere quella che gli appare più funzionale al proprio contesto compositivo.

La descrizione completa del sistema Orchidée si trova qui. Vari altri esempi si possono ascoltare qui.

Bach Panther

Una rapida lezione sulla fuga e sul contrappunto. Tra l’altro, è un modo inedito di filmare il piano.

 

Fugue n°XXIV extract from 60 “Préludes & Fugues dans les Trente Tonalités” of Stéphane Delplace.
Based on the Henri Mancini’s Pink Panther Theme.
Interpreted by Stéphane Delplace.
Filmed and directed by Stéphan Aubé.
More : http://www.stephanedelplace.com

Piano Etudes

Piano Ètudes by Jason Freeman è un altro esempio di opera aperta via web in cui l’utente crea un brano seguendo un percorso fatto di frammenti. Andate qui.

Notate:

  • dopo aver scelto uno studio, cliccando “settings” potete vedere le note o il piano roll
  • cliccando “sharing” potete salvare la vostra creazione
  • potete apporre il vostro nome come autore accanto a quello di Jason Freeman cliccando “Anonymous”

Note dell’autore:

Inspired by the tradition of open-form musical scores, I composed each of these four piano etudes as a collection of short musical fragments with links to connect them. In performance, the pianist must use those links to jump from fragment to fragment, creating her own unique version of the composition.

The pianist, though, should not have all the fun. So I also developed this web site, where you can create your own version of each etude, download it as an audio file or a printable score, and share it with others. In concert, pianists may make up their own version of each etude, or they may select a version created by a web visitor.

I wrote Piano Etudes for Jenny Lin; our collaboration was supported, in part, with a Special Award from the Yvar Mikhashoff Pianist/Composer Commissioning Project. Special thanks to Turbulence for hosting this web site and including it in their spotlight series and to the American Composers Forum’s Encore Program for supporting several live performances of this work. I developed the web site in collaboration with Akito Van Troyer.

ST/10-1,080262

Ecco un altro lavoro stocastico di Iannis Xenakis. Il titolo è codificato: ST sta per stochos, 10-1 significa che è la prima composizione di questa serie per 10 strumenti, 080262 è la data.

L’elemento di interesse di questo brano risiede nel fatto che è uno dei primi ad essere stato composto da un software. All’epoca, infatti, il lavoro di Xenakis aveva richiamato l’attenzione dell’IBM che aveva messo a disposizione alcuni programmatori per formalizzare il suo processo compositivo.

Come in altri brani di questi anni, la statistica e la teoria delle distribuzioni sono alla base dell’intera composizione (vedi Musica e Matematica 03).

Iannis Xenakis – ST/10-1,080262
Paris Instrumental Ensemble for Contemporary Music, Cond. Konstantin Simonovitch
Download in flac format from AGP99

La canzone più orrenda

Una coppia di artisti concettuali russi (Vitaly Komar e Alex Melamid) ha cercato di determinare, mediante una serie di interviste, quali siano le caratteristiche musicali più odiate in una canzone al fine di comporre il brano più nefando di tutti i tempi. Fra le le cose più citate troviamo le seguenti

The most unwanted music is

  • over 25 minutes long,
  • veers wildly between loud and quiet sections,
  • between fast and slow tempos,
  • and features timbres of extremely high and low pitch,
  • with each dichotomy presented in abrupt transition.
  • The most unwanted orchestra was determined to be large, and features the accordion and bagpipe (which tie at 13% as the most unwanted instrument), banjo, flute, tuba, harp, organ, synthesizer (the only instrument that appears in both the most wanted and most unwanted ensembles).
  • An operatic soprano raps and sings atonal music, advertising jingles, political slogans, and “elevator” music, and a children’s choir sings jingles and holiday songs.
  • The most unwanted subjects for lyrics are cowboys and holidays, and the most unwanted listening circumstances are involuntary exposure to commercials and elevator music.

Poi, naturalmente, l’hanno composta. Eccovi quindi, di Vitaly Komar e Alex Melamid,  The Most Unwanted Song

Secondo gli autori, fatti i debiti calcoli statistici, questo brano dovrebbe essere gradito al massimo a 200 persone al mondo. Per quanto mi riguarda, nel complesso è piuttosto orrendo, però alcuni punti mi piacciono…

Via ArtsJournal

Schoenberg è morto

L’opera d’arte è principalmente genesi

scriveva Paul Klee, per il quale l’arte era una metafora della creazione. Egli concepiva l’opera come ‘formazione della forma’, non come risultato. Analogamente, Boulez parlerà dell’opera che “genera ogni volta la sua propria gerarchia”.

Proprio a liberare le possibilità di una generazione funzionale tende Boulez quando individua la serie come il suo nucleo: “Predecessore principalmente prescelto: Webern; oggetto essenziale delle investigazioni nei suoi riguardi: l’organizzazione del materiale sonoro”.

Non sembra dimenticare, ma nemmeno lo ricorda esplicitamente, che fu proprio Webern a parlare di una musica tale per cui “si ha la sensazione di non essere più di fronte a un lavoro dell’uomo, ma della natura”.

Nota bene: Webern, non Schoenberg. Soltanto un anno dopo la morte, infatti, Boulez seppellirà definitivamente Schoenberg denunciando ogni aspetto della sua estetica come retrivo, contraddittorio e contrario alla nuova organizzazione del mondo sonoro da lui stesso ideata:

Dalla penna di Schoenberg abbondano, in effetti, – non senza provocare l’irritazione – , i clichés di scrittura temibilmente stereotipi, rappresentativi, anche qui, del romanticismo più ostentato e più desueto.

Si tratta del famoso articolo, apparso sulla rivista “The Score” nel 1952, pieno del dogmatismo ingenuo che solo un 27nne può esibire, che termina con l’enunciato in lettere maiuscole: SCHOENBERG È MORTO. [da noi è pubblicato in Note di Apprendistato, Einaudi, 1968]. È l’atto finale di condanna dell’incapacità di Schoenberg di adeguare interamente il suo linguaggio compositivo alla novità del metodo dodecafonico e l’indicazione di Webern come l’esempio da seguire.

Pierre Boulez – Strutture per 2 pianoforti Libro I° (1952)

A dimostrare quanto sopra dichiarato a grandi lettere, Boulez scrive il primo libro delle Strutture per 2 pianoforti che costituisce, in pratica, un manifesto dell’estensione del principio seriale a tutti i parametri in uno strutturalismo tanto raffinato quanto totalitario.
Mostreremo, ora, alcune tracce analitiche della prima sezione (Structure I/a), basandoci sullo storico articolo che György Ligeti pubblicò sulla rivista «Die Reihe» (trad: La Serie) nel 1958.

Tutto, in quest’opera, è predeterminato. L’intera composizione è totalmente dedotta da un’unica formula originaria: una serie che, in omaggio a Messiaen, è tratta dalla prima linea del Mode de valeurs.

NB: per ingrandire le immagini, cliccarle.

Alla serie vengono applicate le trasformazioni di rito (inversione, retrogrado e inversione del retrogrado) e a ognuna di esse, le 11 trasposizioni, ottenendo, così, le classiche 48 serie.
A partire dalle trasposizioni della serie originale (O) e della sua inversione (I), Boulez genera poi due tabelle numeriche ottenute sostituendo alle note i numeri che le note stesse hanno nella serie originaria (questo è ciò che Boulez chiama “cifratura” della serie).

Queste due matrici, lette sia in moto retto che retrogrado, sono poi impiegate per determinare le durate, le dinamiche, i modi di attacco e l’ordine in cui sono introdotte le 48 serie di altezze e di durate nell’intera composizione, come segue:

Altezze
Tutte le 48 serie canoniche appaiono nel pezzo ma, si badi bene, una e una sola volta ciascuna, equamente suddivise fra i 2 pianoforti (24 ciascuno).

Durate
Vengono costruite 4 tabelle di durate formate di 12 serie ciascuna (totale 48 serie, come le altezze), con il seguente metodo: nelle matrici di cui sopra, ogni numero rappresenta una durata ottenuta moltiplicandolo per una unità base pari a una biscroma. Così
1 = 1 biscroma,
2 = 2 biscrome = 1 semicroma,

12 = 12 biscrome = semiminima puntata.
Le 12 durate (da 1 biscroma a 12 biscrome), quindi, sono

Di conseguenza la durata più breve nella sezione 1/a è la biscroma e la più lunga è la semiminima puntata.

Dinamiche
Boulez costruisce una corrispondenza fra numeri e dinamiche secondo questo schema

A differenza delle durate, però, qui non si creano 48 serie, ma solo 2 utilizzando le diagonali delle 2 tabelle già viste

La tabella ‘O’ è utilizzata dal Piano I e la ‘I’ dal Piano II. Per esempio, la serie del Piano I è la seguente:

12 7 7 11 11 5 5 11 11 7 7 12
ffff mf mf fff fff quasi p quasi p fff fff mf mf ffff
2 3 1 6 9 7 7 9 6 1 3 2
ppp pp pppp mp f mf mf f mp pppp pp ppp

Si tratta di 24 dinamiche cioè lo stesso numero delle serie usate da ogni pianoforte. Di conseguenza, ognuna delle 24 serie sarà eseguita con una di queste dinamiche nella sua interezza.
Notare che in questa serie alcune le dinamiche si ripetono. Notare anche che non tutte sono presenti (es. 4, 8 e 10 non appaiono nella serie O). E’ un effetto delle scelte organizzative che darà adito a varie critiche.

Modi di attacco

Esistono 10 modi di attacco (i numeri vanno da 1 a 12, ma ci sono dei buchi)

In modo analogo alle durate, la serie dei modi di attacco è determinata dalle altre diagonali delle tabelle

Anche qui la ‘O’ è assegnata al Piano I e la ‘I’ al Piano II e anche qui si ha una serie di 24 per cui ogni modo di attacco è utilizzato per una serie intera. Sono solo 10 grazie al fatto che, come per le dinamiche, le serie derivate dalle diagonali non contengono tutti i 12 valori.

Ordine delle serie di altezze

Le due matrici sono utilizzate anche per determinare l’ordine con cui vengono usate le serie. La Structure 1/a è divisa in 2 sezioni principali in ognuna delle quali ogni pianoforte usa 12 serie, come segue

Pianoforte Serie nella Sezione A Serie nella Sezione B
1 Tutte le serie di O nell’ordine I1 Tutte le serie di RI nell’ordine RI1
2 Tutte le serie di I nell’ordine O1 Tutte le serie di R nell’ordine R1


Ordine delle serie di durate

Come per le altezze, come segue

Pianoforte Serie nella Sezione A Serie nella Sezione B
1 Tutte le serie di RI nell’ordine RI1 Tutte le serie di I nell’ordine R1
2 Tutte le serie di R nell’ordine R1 Tutte le serie di O nell’ordine RI1

Forma Globale

Come già visto, ogni pianoforte suona 12 delle 24 serie in ciascuna delle 2 sezioni. Dato che ogni serie di altezze è accompagnata anche da una serie di durate che comprende tutti e solo i 12 valori, ogni serie ha anche la stessa durata metrica, cioè 1+2+3+…+12 = 78 biscrome. Il brano, quindi, può essere visto come un insieme di sotto-sezioni, ognuna delle quali dura come una serie.
Questo, però, non significa che ognuna delle due sezioni dura 12 volte la serie perché, essendo il pianoforte polifonico, è anche possibile l’esecuzione di più serie contemporaneamente. Inoltre, in almeno in 2 punti, ogni piano esegue una serie come solista.
Le 2 sezioni, quindi, sono divise in sotto-sezioni in ognuna delle quali ogni piano esegue contemporaneamente da 0 (tacet) a 3 serie (voci), secondo la seguente tabella

Sezione A Sezione B
Sotto-sezione 1 2a 2b 2c 3 4a 4b 5 6 7 8 9 10 11
Serie Piano 1 1 2 2 0 3 1 2 1 3 1 2 2 1 3
Serie Piano 2 1 2 1 1 3 1 3 0 2 2 2 2 1 3
Totale
2
4
3
1
6
2
5
1
5
3
4
4
2
6
Totale 24
Totale 24

La densità del pezzo quindi, varia secondo quanto riportato nella linea ‘Totale’, in modo non seriale né simmetrico.

Metronomo

L’indicazione metronomica delle varie sezioni è ‘lento’, ‘molto moderato’ o ‘moderato, quasi vivo’. Se, per brevità, li indichiamo con L, M e V e scriviamo i tempi della Structure 1/a, notiamo la seguente simmetria (che comunque non ha a che fare con il principio seriale):

M:V:L:V:M

Ottave
La distribuzione delle note sulle ottave è generalmente arbitraria. Si possono desumere solo due principi:

  1. l’estensione e gli ampi intervalli tipici del serialismo;
  2. quando la stessa nota ricorre in due o più serie sovrapposte, è suonata all’unisono.

Pause

L’uso delle pause è ristretto ai casi in cui delle note sono suonate in staccato. In questi casi, a volte, la loro durata è abbreviata e la rimanenza è riempita con pause. In generale, comunque, le pause sono usate solo per chiarire la scrittura.
Sembra che Boulez abbia voluto deliberatamente evitare di interrompere l’esposizione delle serie inserendo pause non giustificate.

Tempi
I cambiamenti di metro sono frequenti, ma non sembrano conformarsi a un piano e sembrano avere la sola funzione di aiuto all’esecuzione. In ogni caso, una sensazione ritmica è generalmente assente in queste pagine. A volte sorge per qualche secondo, ma viene immediatamente annullata.

Così si presenta la prima pagina della partitura che si può ascoltare qui:

Messiaen 100 anni

Il 2008 è il centenario della nascita di Olivier Messiaen, una figura gigantesca nella scena musicale del ‘900, alla cui scuola si formarono anche compositori come Pierre Boulez, Yvonne Loriod (sua allieva che ne divenne la seconda moglie), Karlheinz Stockhausen, Iannis Xenakis e George Benjamin.

È quasi impossibile elencare in un post tutte le innovazioni apportate da questo compositore francese che riesce a fondere aspetti apparentemente lontani tra loro in un crogiolo in grado di provocare disappunto sia nei puristi tradizionalisti che negli avanguardisti incendiari: in realtà tale disappunto risiede nell’impossibilità di iscrivere l’autore nelle facili catalogazioni storico-critiche o ideologiche prevalenti nel Novecento musicale.

Ma, per coloro che hanno saputo vedere con chiarezza, Messiaen è sempre stato un punto di riferimento importante. Boulez, per esempio, gli ha praticamente dedicato il Primo Libro delle Strutture per due pianoforti utilizzando la serie tratta da Mode de valeurs et d’intensitées (1950) come materiale base per la sua composizione, che sarà quasi un manifesto del serialismo integrale.

Fra i suoi contributi, non si possono non citare due espedienti compositivi legati ad una personale nozione di simmetria applicata sia a livello ritmico che melodico/armonico. Si tratta dei ritmi non retrogradabili e dei modi a trasposizione limitata.

I primi sono ritmi palindromi, cioè identici se letti da sinistra a destra o viceversa (come la parola ANNA).
Un esempio è nel secondo rigo dell’immagine, tratta da Prélude, Instants défunts, in cui si vede una figurazione ritmica che risulta identica se letta nelle due direzioni. Ritmi come questo, che restano inalterati in seguito ad una inversione temporale e in cui Messiaen vede “il fascino dell’impossibilità”, generano una sensazione di immobilità temporale che trova la sua controparte armonica nei modi a trasposizione limitata.

Questi ultimi sono modi su cui non si possono effettuare le 12 trasposizioni canoniche (12 considerando l’enarmonia; parliamo di modi, non di tonalità).
Per esempio, la scala maggiore non è a trasposizione limitata perché, enarmonicamente parlando, ogni trasposizione di mezzo tono genera una successione di note nuova, che non si sovrappone a nessun altra.
La scala a toni interi (Do, Re, Mi, Fa#, Sol#, La#), invece, trasposta di mezzo tono genera una nuova successione (Do#, Re#, Fa, Sol, La, Si), ma, alla successiva trasposizione (Re, Mi, Fa#, Sol#, La#, Do), si ripresenta il caso precedente. Quindi questa scala può essere trasposta una sola volta.

Un esempio un po’ più complesso è la scala alternata detta anche octofonica o diminuita, che procede per toni e semitoni alternati rigorosamente e si può trasporre due volte:

Do, Re, Re#, Fa, Fa#, Sol#, La, Si

Do#, Re#, Mi, Fa#, Sol, La, La#, Do

Re, Mi, Fa, Sol, Sol#, La#, Si, Do#

poi si ritorna al primo caso.

Il suo vocabolario espressivo, comunque, va ben oltre questi, sia pur famosi, artifici. Citiamo anche le sue evoluzioni ritmiche realizzate per aumentazione o diminuzione, aggiungendo o togliendo un piccolo valore temporale a ogni ciclo ritmico. E i suoi primi suggerimenti spettrali, costruiti al pianoforte con accordi in cui a una fondamentale f venivano sovrapposte note più o meno armoniche con dinamica inferiore, in un tentativo di fonderle con il suono di base (per es. in Prélude, La colombe o Le loriot, nel Catalogue d’oiseaux).

Inoltre, Messiaen affascina anche per alcuni tratti extra-musicali, che comunque hanno avuto un impatto notevole anche sulla sua musica.

Per prima cosa, era un sinesteta: associava cioè le percezioni uditive a quelle visive (colori) che con il tempo si sono fatte sempre più precise, fino a giungere a descrivere minuziosamente i colori da lui associati al suono di scale, accordi, timbri strumentali, nella prefazione alle Trois Liturgies.

Poi per la sua passione ornitologica che si integra nella sua musica sia in forma tematica che con opere apertamente dedicate al canto degli uccelli [es. Catalogue d’oiseaux, per piano (1956–58), Réveil des oiseaux, piano e orchestra (1953), Oiseaux exotiques, piano e orchestra (1955–56) e altre].
Delle sue modalità di trasposizione dei canti degli uccelli, Messiaen dice:

L’uccello… canta a tempi estremamente veloci che sono assolutamente impossibili per i nostri strumenti; dunque sono obbligato a trascriverlo ad un tempo più lento. Per di più, questa rapidità è associata ad una estrema acutezza, essendo un uccello in grado di cantare in registri così alti da essere inaccessibili ai nostri strumenti; perciò trascrivo il canto da una a quattro ottave sotto. E non è tutto: per la medesima ragione sono obbligato a sopprimerne i microintervalli che i nostri strumenti non riescono a suonare.

Infine, la sua fede, che personalmente non capisco e non condivido, ma che è sempre stata per lui una forza.
Con grande scandalo degli ideologi a lui contemporanei Messiaen radicò la sua fonte d’ispirazione alla panca dell’organo della Sainte Trinité, su cui restò assiso finché visse. Nei suoi scritti egli proclama una candida sequela alla Santa Romana Chiesa, ma mentre ad Igor Stravinsky o a Franz Liszt la fede cattolica ispirò musica essenziale e castigata, Messiaen trae dalla sua esperienza di cristiano una fastosità e una sovrabbondanza espressiva tali da farlo erroneamente definire “panteista” o “sentimentale”. I testi delle Trois petites Liturgies rivelano una conoscenza profonda della filosofia tomistica e della spiritualità ceciliana e solesmense. La trascrizione musicale delle sue esperienze religiose si rivela così troppo concentrata e complessa per chi si aspetta da esse facili ascolti, ma inspiegabilmente mantiene di volta in volta freschezza, tenerezza o ferocia che possono provenire solo da chi non fa del misticismo intellettuale l’unica forma di ispirazione.

La pagina che segue, pubblicata in wikipedia (cliccate l’immagine per ingrandire), tratta da Oiseaux exotiques, mostra con chiarezza alcune delle caratteristiche molto personali di questo compositore:

  • l’uso di ritmi arcaici ed esotici. Nei righi in basso si vedono due figurazioni etichettate come “Asclépiade” e “Saphique” che sono antichi ritmi greci, mentre il Nibçankalîla che inizia in ultimo rigo, ultima battuta, è un decî-tâla dalla Śārṅgadeva, una lista di 120 unità ritmiche che appartiene alla tradizione indiana (Messiaen si è rifatto spesso al corpus ritmico dei tala indiani).
  • i canti degli uccelli notati minuziosamente, indicandone anche il nome. La garralaxe à huppe blanche e la troupiale des vergers sono, appunto, uccelli.

Ascolta Oiseaux exotiques da YouTube

Ascolta Oiseaux exotiques da YouTube

Per approfondire consiglio la voce a lui dedicata in wikipedia italiana e inglese.

[alcune parti e immagini di questo post sono tratte pari pari da Wikipedia]

Musica e Matematica (03)

Su YouTube si trovano anche altri video che permettono di seguire una partitura di ascolto insieme alla musica.

Eccone uno di Metastaseis (Metastasis), un brano per orchestra composto nel 1954 da Xenakis, in cui gli eventi sonori erano definiti quasi completamente su base statistica.

In effetti, il processo compositivo di Xenakis è strettamente collegato alla matematica. Per risolvere problemi quali la distribuzione dei suoni e delle figure, la densità, la durata, le note stesse, Xenakis utilizza molto spesso distribuzioni statistiche, il calcolo combinatorio, ma anche le leggi fisiche e la logica simbolica.
Il suo approccio è conseguente alla sua critica al serialismo integrale espressa nel suo scritto “La crise de la musique serielle”, che si può sintetizzare come segue:

  • L’applicazione della serie a tutti i parametri compositivi al fine di ottenere un controllo totale sulla composizione produce invece una incontrollabile complessità che “impedisce all’ascoltatore di seguire l’intreccio delle linee e ha come effetto macroscopico una dispersione non calcolata e imprevedibile dei suoni sull’intera estensione dello spettro sonoro”.
    Ne consegue una evidente contraddizione fra l’intento compositivo che vorrebbe essere totalmente deterministico e l’effetto sonoro.
  • Dato che il serialismo permette di trasporre la serie su ognuna delle 12 note e permette anche di utilizzare l’inversione, il retrogrado e l’inversione del retrogrado con relative trasposizioni, allora esso non è che un caso particolare del calcolo combinatorio [cioè la branca della matematica che studia i modi per raggruppare e/o ordinare secondo date regole gli elementi di un insieme finito di oggetti – da wikipedia].
    Di conseguenza, il calcolo combinatorio costituisce una generalizzazione del metodo seriale e quindi un suo superamento.

Da queste due considerazioni e dalla preparazione di carattere fisico e matematico, oltre che musicale, di Xenakis nasce un approccio compositivo totalmente nuovo. Se la contraddizione del serialismo è dovuta alla sua complessità che genera una dispersione non calcolata dei suoni, si tratta dunque di trovare nuovi criteri di controllo. La linea deduttiva di Xenakis si può riassumere nei seguenti passi:

  1. il serialismo integrale, adottando i meccanismi della trasposizione, inversione e retrogrado è approdato quasi spontaneamente al calcolo combinatorio
  2. le scienze statistiche, di cui il calcolo combinatorio fa parte, hanno messo a punto strumenti matematici e concettuali capaci di studiare e definire fenomeni complessi
  3. il calcolo delle probabilità, concettualmente e storicamente legato al calcolo combinatorio e sua potente generalizzazione, si presenta come lo strumento più idoneo per determinare l’effetto macroscopico generato da una polifonia lineare di alta complessità
  4. la serie viene quindi sostituita con il concetto di insieme sonoro organizzato mediante distribuzioni statistiche che permettono di controllare le varie caratteristiche sonore quali altezze, densità, durate, timbro, etc.
  5. il livello di controllo [quello su cui lavora il compositore] si innalza dal singolo suono all’insieme sonoro. L’aspetto microscopico della composizione può essere anche disordinato, ma a livello macroscopico si ha una chiara percezione di una figura sonora.

Chiariamo questi postulati (soprattutto il 5).
Se io faccio fare a 40 archi una lunga nota scelta a caso ma con distribuzione uniforme (tutte le note hanno la stessa probabilità) fra il DO3 e il DO4, la percezione sarà quella di un cluster cromatico di 8va.
Altro esempio: se n strumenti suonano note a caso con altezze distribuite in modo uniforme fra il DO3 e il FA3 e durate scelte nello stesso modo fra semicroma e croma, la percezione sarà quella di una fascia con movimento interno la cui velocità dipende dalla durata media e il cui timbro dipende dalla distribuzione strumentale.
Il compito del compositore non è più di scegliere le singole note, compito lasciato alla distribuzione statistica, ma quello di determinare la forma dell’insieme stabilendo quali distribuzioni statistiche governano i vari parametri sonori e i movimenti dell’insieme attraverso il controllo dei parametri delle suddette distribuzioni.

Notate che l’impostazione concettuale di Xenakis non è dissimile da quella di Stockhausen, quando crea il concetto di gruppo e sposta la sua attenzione dal singolo suono al gruppo ed è analoga a quella di Ligeti quando compone per fascie introducendo l’idea di micro-polifonia.

La posizione di Xenakis, determinata anche dalle sue conoscenze matematiche, è, però, estrema. Lui abbandona completamente il livello del singolo evento sonoro, per porsi a un livello più alto, quello degli insiemi di suoni. Se consideriamo che anche quello che il compositore strumentale definisce “suono singolo” è, in realtà, un agglomerato di suoni semplici (armonici e/o parziali sinusoidali), questa posizione è ampiamente giustificata. I possibili livelli di controllo dell’evento sonoro sono molti: dal “comporre il suono” dell’elettronica in sintesi additiva, fino all’organizzazione dell’evento privo di una precisa determinazione del risultato sonoro (Fluxus). Spetta al compositore decidere dove porsi.

Notate, infine, che questa musica di Xenakis è statistica, non casuale. La casualità c’è, ma si annulla nella molteplicità degli eventi.

Ecco il video. Volendo potete anche andare a vederlo su YouTube che vi permette anche di ingrandirlo a tutto schermo.

E per darvi modo di ascoltarli meglio, ecco un isolamento dei famosi glissandi le cui trame riproducono la struttura delle superfici del padiglione Philips progettato da Le Corbusier con l’assistenza di Xenakis nel 1958 per l’esecuzione del Poème Électronique di Edgar Varèse (immagini qui e qui).

Grand Alap: A Window in the Sky

The word alap refers to the opening passage of Raga music. In the music of India, the alap tends to display improvisational materials which relate to the music which will follow, yet it contains a deep expressivity. In the work Grand Alap, the opening passage serves as a kind of ritual offering to all surrounding spirits and is a request for permission to begin the performance. This practice has occurred in the music-making practices of cultures throughout parts of Asia for many centuries, including Cambodia. The subtitle ‘A Window in the Sky’ is a reference to the recent scientific discovery of hundreds of newly found galaxies (with the assistance of the Hubble telescope) and perhaps relates to the expository quality of the work, and its expansiveness.

Grand Alap requires the percussionist to be male and the cellist to be female, as each of them has a vocal part which is both separate and related to their instrumental parts. Each of them is required to articulate certain phonemes as well as to sing. Some of the phonemes used are derivative of the sounds used to communicate percussion techniques in regions of South and Southeast Asia while others resemble words in a few ancient languages. A few words have meaning in the Khmer (Cambodian) language, which derives from Pali and Sanskrit: ‘Soriya’ is the sun, ‘Mekhala’ is the goddess of water, and the words ‘Mehta/Karona’ refer to the concept of greater compassion.

Grand Alap consists of countless fragments strung together like beads on a necklace in a complete circle. Some of these fragments bear distinct references to particular personae. The sections entitled ‘Entering into Trance’ and ‘In Trance’ require that the percussionist execute those fragments while in a kind of altered state, or as if thrown into an unearthly dimension. In the section entitled ‘An Angel Voice’ the cellist is to sing a musical phrase with a pure and balanced expression, as if coming from a heavenly place. ‘Rising On the Seventh Day’ symbolizes a ‘rebirth’ of the soul, which is a reference to traditional Khmer theatre, and ‘Departure of the Angel’ is the very last fragment of the work.

The vocal lines in Grand Alap have numerous functions. While at times they are an integral part of the texture and sonority, they also represent the locus of each musical personae or fragment, which are then strung together, as stated before, in a kind of necklace. Sometimes the vocalizations extend instrumental sounds or vice versa while at other times they are interlocked with instrumental sounds. The role of the voices is also often ‘broken’ and detached from the instrumental activity, allowing for instrumental sound to develop alone at certain moments. Instrumental display is continuous throughout the piece, while the voices can be said to contribute dots and dashes, or curves of expressive colors in a painting which emerge out of the canvas. Here, the surface of the canvas is represented by the ever-present instrumental sonority.

Grand Alap was commissioned by Maya Beiser and Steven Schick and made possible by the commissioning program of Meet the Composer/Reader’s Digest. This work grew out of a series of collaborative sessions between the composer and the commissioning performers.

Chinary Ung was born in 1942 in Cambodia and began studying the clarinet in Phnom Penh. He emigrated to the USA in 1964, finishing his clarinet studies and enrolling in composition at Columbia University.
Graduating in 1974, he turned back to his home country, studying Khmer musical traditions for the next decade.
Since 1995 he has taught at the University of California, San Diego.
About his music he says:

I believe that imagination, expressivity, and emotion evoke a sense of Eastern romanticism in my music that parallels some of the music-making in numerous lands of Asia. Above all, in metaphor, if the Asian aesthetic is represented by the color yellow, and the Western aesthetic is represented by the color blue, then my music is a mixture — or the color green.

Chinary Ung – Grand Alap: A Window in the Sky (1996), per violoncello e percussioni
Iva Casian-Lakos, cello, voice – John Ling, percussion, voice


My note:

C’è una interessante estetica che si va sviluppando in anni relativamente recenti: quella di coloro che hanno assorbito ed elaborato elementi culturali lontani e diversi. È qualcosa che va al di la di quello che il pop etichetta banalmente come world music. Non si tratta semplicemente di piazzare una melodia orientale su un ritmo occidentale o viceversa o ancora di suonare rock con lo shamisen.
Se ascoltate questo brano noterete come l’atmosfera oscilli continuamente fra est e ovest, con la sonorità tipicamente occidentale del violoncello, che a tratti si fa orientale con scale e pedali, le percussioni che stanno ora qui ora là e le voci che sono trattate con emissione molto orientale. È un bel mix, frutto di studio, di idee, non banale e non superficiale.
Personalmente, come atteggiamento (non come musica), mi ricorda un po’ Takemitsu quando faceva affiorare atmosfere tipicamente giapponesi da insiemi strumentali del tutto occidentali.