Il fenomeno della
riverberazione che si sperimenta normalmente
ascoltando i suoni in una grande sala è ben noto alla maggior
parte delle persone, tuttavia pochi sanno come è perché
questo fenomeno si verifichi in natura. Molti ignorano, inoltre, che
la riverberazione non è un semplice effetto da usare in sala
per rendere un suono più carino o realistico, ma un fenomeno
strettamente legato alla natura del suono e al contesto ambientale al
punto da essere un'importante sorgente di informazioni per il nostro
sistema percettivo.
In musica, il riverbero contribuisce notevolmente a formare la
sensazione di realtà acustica del suono. Se pensiamo che, in
genere, le sorgenti sonore naturali non sono direttive, ma irradiano
energia in un largo angolo, possiamo renderci conto che solo una
piccola parte di essa ci arriva come suono diretto, mentre la maggior
parte finisce nel riverbero che viene a costituire, così, una
caratteristica percettiva molto importante nel determinare l'atmosfera
emozionale collegata ai vari suoni. Una riverberazione accurata,
quindi, è essenziale soprattutto quando si usano fonti sonore
sintetiche che, per loro natura ed anche a causa del tipo di diffusione
mediante casse acustiche, sono spesso molto fredde e direzionali.
Dobbiamo, quindi, fabbricare, attorno al suono, il riverbero in modo
non solo realistico, ma anche corretto e dotato di senso.
Se, per esempio,
ascoltiamo un suono all'interno di una sala, anche se siamo ad occhi
bendati o comunque non in grado di vedere direttamente la sorgente
sonora, riusciamo a valutare con buona precisione la localizzazione e
la distanza di quest'ultima e otteniamo indicazioni sulle dimensioni
della sala in cui ci troviamo.
Come è possibile questo? Tutti
questi dati vengono dedotti dal nostro sistema orecchio cervello
basandosi essenzialmente sul complesso dei segnali acustici ricevuti
e sul fatto che noi abbiamo due orecchie e non a caso: così
come sono necessari due occhi per avere una visione del mondo
tridimensionale e non semplicemente piatta, è indispensabile
possedere due orecchie per localizzare correttamente la sorgente di
un suono, capire la direzione da cui proviene e valutare le
dimensioni della sala.
Queste considerazioni, comunque, ci guidano
direttamente alla spazializzazione, argomento di cui ci occuperemo in
dettaglio in una delle prossime puntate. Prima di poterlo affrontare,
infatti, occorre avere una certa conoscenza di fenomeni come l'eco e il
riverbero che ne è
una diretta conseguenza. In questa puntata vi invitiamo ad un viaggio
all'interno del riverbero mediante una sorta di microscopio acustico
in grado di evidenziarne le caratteristiche principali.
Supponiamo, quindi, di
entrare in una grande sala portandoci portandoci una macchina capace
di emettere suoni impulsivi di durata molto breve, tipo battimani, e
di piazzarla a una certa distanza da noi. Tale macchina, detta
sparkle machine (macchina
che genera scoppi) viene utilizzata
spesso in acustica ambientale per lo studio del riverbero in quanto,
emettendo suoni molto brevi, permette di generare una riverberazione
pura, non sovrapposta al suono originale.
Nell'immediatezza
percettiva, la riverberazione ci apparirà come un tutto unico:
una sorta di alone che circonda il suono e gli sopravvive
estinguendosi lentamente. Attiviamo ora il nostro microscopio
acustico e andiamo a vedere in dettaglio l'evoluzione di questo suono
nel tempo dal punto di vista dell'ampiezza.
Questa figura mostra la variazione in ampiezza della
riverberazione in una grande sala così come arriva alle orecchie
di un ascoltatore, con un singolo suono impulsivo come eccitazione di
partenza: il grafico visualizza, in pratica, la risposta all'impulso
della sala mostrandoci come la sala stessa reagisce alla produzione di
un impulso acustico (un singolo 'toc' di circa 1/100 di secondo, in
rosso nel grafico). L'intero grafico rappresenta, sull'asse
orizzontale, un tempo totale di circa 1 secondo e mezzo.
Come si può ben
vedere, il riverbero non è uniforme, ma composto da una serie
di impulsi che all'inizio sono ben separati fra loro diventando, via
via, sempre più fitti fino a generare una linea pressoché
uniforme. Questo dato è molto importante per il nostro sistema
percettivo in quanto apporta una notevole quantità di
informazioni che ora vedremo, tanto da spingerci a descrivere il
fenomeno più in dettaglio.
Guardiamo la figura qui sopra:
essa rappresenta una sala vista dall'alto nella quale si trovano una
sorgente sonora (in alto a sinistra) e un ascoltatore (al centro) e
schematizza la formazione del riverbero dividendola in tre distinte
fasi, da sinistra a destra. Quando la sorgente sonora emette un
suono, il primo "pacchetto" di onde sonore che colpisce le
orecchie dell'ascoltatore è il suono diretto che viaggia
nell'aria alla solita velocità di circa 344 metri al secondo
(velocità che dipende anche dalla temperatura e dalla
densità
dell'aria) andando in linea retta verso l'ascoltatore. È il
suono più fedele dato che è soggetto soltanto
all'assorbimento dell'aria alle alte frequenze (ne abbiamo già
parlato
nel caso dell'eco)
e ci permette di localizzare la sorgente
sonora rispetto alla nostra posizione e nel caso di suoni conosciuti,
una prima indicazione della distanza (come avvenga in dettaglio la
localizzazione lo vedremo quando parleremo di olofonia, per ora
occupiamoci solo del riverbero).
Un breve inciso.
Generalmente non ci pensiamo, ma in realtà non sentiamo mai un
suono nel momento stesso in cui viene emesso, ma alcuni istanti dopo.
La stessa cosa avviene anche per la luce, ma la velocità di
quest'ultima è incommensurabilmente superiore a quella del
suono e tale da annullare, di fatto, la distanza di qualsiasi
fenomeno che si trovi a portata di vista: l'effetto è
sensibile solo sulle grandi distanze. La luce del sole, per esempio,
ci arriva circa 8 minuti dopo essere stata emessa e quando l'ultimo
pezzettino di sole scompare dietro le montagne, in realtà
è
se ne è già andato da 8 minuti.
Nel caso del suono,
però,
l'effetto è tale che due musicisti che si trovino a soli 30
metri di distanza non riusciranno mai a suonare a tempo perché
tale distanza corrisponde a circa 1/10 di secondo di ritardo che
è
tantissimo in termini musicali (se riprendete la
tabella pubblicata
nell'articolo sull'utilizzo musicale dell'eco, noterete che
corrisponde a una semicroma a metronomo 150: in ogni caso, anche a
metronomo più lento, è sufficiente per sentire uno
sfasamento, come ben sanno i registi che, nella messa in scena di
lavori teatrali con musica dal vivo, a volte cercano di porre alcuni
strumenti lontano dagli altri per creare particolari effetti e poi si
chiedono come mai non siano perfettamente sincronizzati; in questi
casi sono assolutamente necessari un direttore e la capacità
di ignorare gli altri strumenti oppure si ricorre alle cuffie). Fine
inciso: torniamo alla riverberazione.
Subito dopo il suono
diretto, all'ascoltatore arrivano i primi echi dovuti alle
riflessioni del suono sulle pareti della stanza. Ogni riflessione
comporta una perdita di energia da parte del suono perché
- come abbiamo già visto, le pareti non restituiscono il
100%
del segnale, ma ne assorbono una parte e
- il fatto di seguire un
percorso più lungo comporta anche una perdita dovuta alla
maggiore distanza, per cui l'intensità sonora dei riflessi
è
minore rispetto a quella del suono diretto.
Da questa differenza di
intensità, il nostro sistema percettivo ricava delle
indicazioni sulla capacità di assorbimento della sala.
Ben
più
importante, però, è il tempo che separa il suono
diretto dai primi echi che fornisce precise informazioni sulla
grandezza della sala: esso, ovviamente, è funzione della
lunghezza del percorso che le onde sonore devono coprire per arrivare
alle pareti e rimbalzare fino all'ascoltatore, quindi, in definitiva,
dipende strettamente dalle dimensioni della sala.
A titolo di
esempio, possiamo quantizzare, in linea di massima, questo ritardo
per la stanza della nostra figura misurando le linee dei primi echi e
mettendole in rapporto con la distanza fra sorgente e ascoltatore. Il
rimbalzo sulla parete sinistra, per esempio, è circa 2.5 volte
la distanza diretta: supponendo che quest'ultima sia di 10 metri (con
il lato più lungo della stanza pari a circa 40 metri), la
distanza percorsa dal suono nel primo rimbalzo sarà di 25
metri. A 344 m/sec., il suono diretto impiegherà circa 0.029
secondi per arrivare all'ascoltatore, mentre l'eco ne impiegherà
circa 0.072: una differenza di 0.043 sec. (quasi mezzo decimo di
secondo) non è poco in assoluto, tanto più se si
considera che questo è solo il primo eco ad arrivare. Il
rimbalzo più lungo, per esempio, è circa 5 volte la
distanza diretta il che equivale, nel nostro esempio, a 50 metri con
un tempo di 0.145 e un ritardo di 0.116 (più di 1/10 di
secondo).
In modo del tutto
automatico, la combinazione orecchio cervello trasforma le
differenze di intensità e i ritardi temporali in un senso
delle dimensioni e delle caratteristiche di assorbimento della sala.
Ma le onde sonore non
muoiono una volta raggiunto l'ascoltatore e continuano a viaggiare
rimbalzando sulle pareti e perdendo, via via, di intensità. In
tempi brevi la densità dei riflessi cresce al punto
che questi ultimi non sono più distinguibili singolarmente
nemmeno da un sistema percettivo raffinato come il nostro, arrivando da
tutte le direzioni e formando quello che viene percepito come un
riverbero diffuso che circonda la sorgente sonora con un caldo alone
ambientale. La soglia percettiva fra la fase dei primo echi e quella
del riverbero percepibile come un suono continuo è stata
stimata in una densità dei riflessi pari a circa 1000 echi al
secondo.
Anche il riverbero,
comunque, viene utilizzato dal nostro sistema percettivo per ottenere
altre indicazioni sulle dimensioni della sala e sulla distanza della
fonte sonora. Quest'ultimo dato è particolarmente
interessante: la sensazione di distanza in un ambiente chiuso,
infatti, dipende anche dal rapporto di volume fra il suono diretto e
quello riverberato e dalle loro differenze timbriche dovute al fatto
che le pareti e l'aria si comportano come un filtro passa basso,
attenuando maggiormente le alte frequenze rispetto alle basse (lo
abbiamo già visto nel caso dell'eco).
A tale proposito,
osservate questa figura. Abbiamo due sorgenti sonore A e B, che
supponiamo uguali, piazzate a diversa distanza dall'ascoltatore.
Supponiamo anche che le due sorgenti emettano, l'una dopo l'altra, lo
stesso suono alla stessa intensità di partenza; solo la
distanza, dunque, è diversa: che cosa cambia, per
l'ascoltatore, nei due casi?
Ebbene, una prima
considerazione è che il volume del suono diretto percepito da
chi ascolta sarà maggiore nel caso B rispetto al caso A: la
sorgente, infatti, è più vicina e il suono deve
viaggiare meno nell'aria, perdendo meno energia.
Anche la
configurazione dei primi echi sarà diversa nei due casi: il
ritardo fra il suono diretto e i primi echi sarà maggiore nel
caso B rispetto al caso A. Per verificarlo, osservate la figura
seguente e
comparate i rappoti di lunghezza fra le frecce che rappresentano il
percorso dei suoni diretti e quelle dei relativi echi.
Abbiamo, infine, il
riverbero diffuso. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare,
quest'ultimo sarà identico nei due casi: una volta che è
stata superata la soglia dei 1000 echi al secondo, infatti, non
esiste più alcun senso di direzione collegato al suono
riverberato che sembra provenire da ogni luogo. Anche la sua
intensità sarà più o meno la stessa: il
riverbero è la risposta dell'ambiente al suono e se
quest'ultimo rimane immutato, la risposta dell'ambiente sarà
la stessa, in qualsiasi posizione sia stato emesso. Quest'ultimo dato
è, però, molto importante per il sistema percettivo che
confronta le differenze di intensità fra il suono diretto e
quello riverberato per completare la sensazione di distanza.
Il dato di fatto
è
che, in un ambiente chiuso, il volume del suono diretto decresce
rapidamente con la distanza (è inversamente proporzionale al
quadrato della distanza) mentre quello del suono riverberato rimane
identico anche se la distanza dalla sorgente sonora cambia.
Facendo i debiti confronti, quindi, il sistema percettivo è in
grado di stimare la distanza della sorgente sonora e distinguere
anche casi ambigui, come, per esempio, quello di una sorgente vicina
che emette un suono a basso volume e la stessa lontana che suona
forte. Ne consegue che, per dare una sensazione di distanza in un
missaggio, è necessario regolare attentamente il rapporto fra
il suono vero e proprio e il riverbero; ne consegue anche che, per
dare la sensazione di un suono che si allontana in distanza, il
volume del suono diretto deve abbassarsi più rapidamente
rispetto al riverbero.
Abbiamo visto, quindi,
come una cosa che viene considerata dai più come un semplice
effetto abbia conseguenze notevoli sulla percezione e sulla
sensazione di realtà e di posizionamento di un suono rispetto
all'ascoltatore. Nella prossima parte vedremo come viene creato il
riverbero nei processori per effetti e nel software.