Mauro Graziani

Eco
Parte 1a

Iniziamo, con questo articolo, una serie dedicata agli effetti, intesi non tanto come dispositivi per crearli, quanto come fenomeni acustici veri e propri.
Questo non significa che ci occuperemo semplicemente di acustica. Quello che vogliamo darvi, invece, è qualche nozione sui vari tipi di effetti, sul loro uso e sul modo di ottenerli e gestirli.
Per fare questo, dovremo parlare un po' anche di acustica e di percezione dell'ambiente acustico. Da tempo, tutti i sintetizzatori e i software di sintesi e/o elaborazione del suono offrono la possibilità di generare echi, riverberi, chorus, phaser e altre diavolerie di questo tipo. Inoltre, sia nelle sale di registrazione che dal vivo, i processori per effetti sono largamente usati. Generalmente tutti questi effetti vengono utilizzati per arricchire il suono e migliorare il suo impatto sonoro, ma, nella pratica, vi sono molti casi in cui gli effetti contribuiscono a creare determinate situazioni sonore e a caratterizzare un brano.
Alcuni esempi tipici tratti da una comune attività professionale: in fase di missaggio è necessario portare in primo piano un determinato strumento rispetto alla massa sonora sottostante, oppure si desidera creare un effetto di suono che sfuma in distanza come accade spesso nelle colonne sonore filmiche o teatrali. Uno sprovveduto può risolvere entrambi i problemi utilizzando semplicemente il volume ottenendo nel primo caso l'effetto di uno strumento che suona più forte degli altri e nel secondo una semplice sfumatura che non dà, però, la sensazione di allontanamento. In realtà è con un accorto uso degli effetti che si risolvono questi problemi.
In questa serie prenderemo in esame molti tipi di effetti alcuni dei quali sono simulazioni di fenomeni acustici che si manifestano anche in natura (eco, riverbero, chorus), altri, invece, sono puramente sintetici. Certamente, fra i primi, l'eco è, insieme al riverbero, uno dei più utilizzati a tutti i livelli ed è di lui che ci occuperemo in questa prima puntata nella quale vi spiegheremo come e perché questo fenomeno si genera in natura. Per arrivarci in modo comprensibile, però, dobbiamo partire da alcune fondamentali nozioni di acustica che vi esporremo in modo sufficientemente rigoroso, pur senza entrare in dettagli matematici. Tenete conto, inoltre, che quanto vi diciamo qui risulterà essenziale per la comprensione di altri effetti, come il riverbero, che dell'eco sono una diretta conseguenza e dei quali parleremo più avanti.

L'eco

Tutti sanno che cos'è un'eco. E non scandalizzatevi per l'apostrofo: la parola, in origine, è femminile essendo il nome di una ninfa dei boschi e delle sorgenti, invano innamorata del bel Narciso a tal punto da struggersi per lui fino a scomparire e diventare una voce che ripete le ultime sillabe delle parole che vengono pronunciate (anche se molti dizionari non disdegnano l'indicazione di 'femminile o maschile' perché ormai di uso comune).
La spiegazione scientifica dell'eco, invece, è assai meno poetica. Il suo verificarsi, infatti, dipende essenzialmente dal fatto che la velocità del suono nell'aria è molto bassa: solo 344 metri al secondo (a 20°, perché la velocità dipende anche dalla temperatura e dalla densità). Ora, il suono si sposta nell'aria sotto forma di onda che, se trova un ostacolo viene
Il suono che ritorna, quindi, è una versione del suono originale indebolito in ampiezza e filtrato sulle frequenze alte.
Perché filtrato sulle frequenze alte? Per due ragioni:
  1. quasi tutti i materiali assorbono di più le frequenze alte rispetto a quelle basse;
  2. l'aria assorbe un po' di frequenze alte.
Ovviamente, non tutti i materiali sono ugualmente riflettenti. Come molti di voi sapranno, infatti, esistono anche materiali che assorbono quasi tutte le onde sonore che intercettano e sono utilizzati per l'insonorizzazione ambientale. A titolo di curiosità, vi diamo i coefficienti di assorbimento di alcuni materiali a diverse frequenze: quasi tutti i materiali, infatti, assorbono più le frequenze alte rispetto a quelle basse, il che spiega perché, nell'insonorizzare un ambiente, sia tanto facile attutire gli acuti, ma più difficile eliminare i bassi.

Coefficienti di assorbimento di vari materiali a diverse frequenze
Materiale
125 Hz
500 Hz
4000 Hz
Cemento a vista
0.01
0.02
0.04
Mattoni a vista
0.02
0.03
0.06
Marmo
0.01
0.01
0.01
Vetro
0.008
0.008
0.01
Legno a vista
0.01
0.04
0.04
Linoleum
0.02
0.03
0.05
Tappeto pesante
0.09
0.21
0.31
Tappezzeria in velluto
0.05
0.35
0.36
Truciolato assorbente
0.20
0.64
0.69
Pannello in fibra di vetro - max
0.60
0.90
0.90

Detto in breve, tutto questo significa che se un suono a 500 Hz. e volume 100 colpisce una parete di marmo, si origina un eco a volume 99 (lo 0.01, cioè 1, viene assorbito, il resto riflesso), mentre se la parete è in velluto, l'eco ha volume 65 (lo 0.35 è assorbito, il resto riflesso). Con un materiale come il truciolato forato, il suono restituito è solo lo 0.36 dell'originale, ma oggi esistono materiali sintetici ancora più assorbenti.
A tutto ciò bisogna aggiungere altri due fattori che contribuiscono a ridurre il volume dell'eco rispetto alla sorgente: il primo è l'assorbimento dell'aria che è sensibile soprattutto alle alte frequenze; il secondo è il fatto che l'intensità dell'onda sonora diminuisce notevolmente con la distanza percorsa nello spazio essendo, per la precisione, inversamente proporzionale al quadrato di quest'ultima (ovvero, se un suono ha una certa intensità a una certa distanza, al raddoppiarsi di quest'ultima l'intensità diventa un quarto, al triplicarsi, un nono e così via).

La simulazione

L'eco, quindi, è sempre di intensità minore del suono originale e di timbro più cupo. Per simularlo, i processori di segnale, ormai tutti digitali, usano un meccanismo software chiamato "delay line" (linea di ritardo) o più semplicemente "delay". Senza entrare in particolari di programmazione un delay può essere visto come una scatola nera che campiona il segnale in input, lo immagazzina in memoria e lo manda in uscita con un certo ritardo rispetto al suo arrivo. Tale ritardo è regolabile tramite il parametro "delay time" (tempo di ritardo, generalmente in millisecondi) che esiste su tutte le apparecchiature di questo tipo e corrisponde alla distanza dell'ostacolo riflettente che genera l'eco.
Schema linea di ritardo
La lunghezza del ritardo dipende dall'apparecchiatura: è intuibile che, per ottenere ritardi più lunghi serve una quantità di memoria maggiore. In effetti, la memoria necessaria dipende dal tempo di ritardo e dalla frequenza di campionamento: se, per esempio, tale frequenza è di 44100 campioni al secondo, per ottenere 1 secondo di ritardo sarà necessario memorizzare, appunto, 44100 numeri. Se ogni campione occupa 2 bytes (16 bit), la quantità di memoria necessaria per un ritardo di 1 secondo è 88100 bytes.
Un secondo parametro disponibile è quello di "feedback" (rigenerazione) che controlla la quantità di ripetizioni dell'eco. Una linea di ritardo singola, come quella che abbiamo visto visto finora genera una sola eco. Per ottenere il classico effetto d'eco a molte ripetizioni basta prendere l'uscita, cioè il segnale già ritardato e rimetterlo in input. A questo punto, tale segnale verrà a sua volta ritardato e, ri‑immesso in entrata produrrà un segnale a sua volta ritardato e così via.
Serve, naturalmente, un controllo di volume, che costituisce il cosiddetto guadagno del feedback, in modo da reintrodurre il suono a un volume leggermente inferiore a quello in uscita altrimenti la ripetizione si riprodurrebbe all'infinito.
Schema linea di ritardo con feedback
In tal modo, se il controllo del feedback è regolato opportunamente, si ottiene una serie di ripetizioni a volume via via calante fino alla scomparsa del segnale. Il limite rispetto al fenomeno naturale è, forse, la regolarità estrema tipica della macchina dell'intervallo fra le varie ripetizioni, cosa che non sempre accade in natura. Questo non è, però, un limite nel caso di un uso musicalmente strutturato dell'eco in cui, per esempio, le ripetizioni devono seguire il tempo musicale in modo regolare.
Risposta all'impulso di una linea di ritardo con feedback al 80 e 40%Un buon modo per studiare il comportamento di una unità di questo tipo e capire che eco genera è quello della risposta all'impulso: si manda in entrata un singolo, semplice 'toc' (l'impulso, in rosso), di durata minimale e si vede che tipo di eco ne viene fuori. Il primo grafico mostra la risposta all'impulso per questa unità, con fattore di feedback uguale a 80%, mentre, nel secondo, il guadagno è ridotto al 40%. Come si vede, otteniamo una serie di echi regolarmente spaziati nel tempo e con ampiezza decrescente.
La densità degli echi, poi, è facilmente controllabile agendo sul fattore di feedback: se esso è pari a uno, avremo una ripetizione infinita (opzione presente su molti processori in commercio e nota come "infinite repeat"), se, invece, è zero, avremo una sola ripetizione. Per valori intermedi, possiamo regolare accuratamente la lunghezza del repeat.
Un altro controllo che molte unità mettono a disposizione è quello sul filtro passa‑basso. Abbiamo già visto come, in natura, gli echi abbiano un timbro più cupo del segnale originale. Si spiega, così, perché, in molte linee di ritardo, i programmi per creare degli echi includano un filtro passa‑basso (LPF: low pass filter), regolabile dall'utente, che serve, appunto, a filtrare le componenti alte rendendo il segnale ritardato più cupo rispetto all'originale.
Notare la posizione del passa-basso. Esso è posto subito dopo il delay e non nel loop. In tal modo, anche il primo echo viene filtrato. Questa unità è generalmente un filtro del primo ordine la cui curva di risposta decresce con una certa regolarità su quasi tutto il campo frequenziale da 0 a SR/2, con pendenza maggiore sugli alti ma senza mai tagliare del tutto, se non a frequenze molto alte. In tal modo, ad ogni ripetizione, le alte frequenze risultano sempre più attenuate mentre le basse restano tali a simulare l'assorbimento dell'aria che è quasi nullo sui bassi, ma ben pronunciato sugli alti. Questo effetto dipende dalla temperatura e dall'umidità. A 2 kHz, l'assorbimento è tipicamente di 0.5 dB per ogni 100 metri percorsi dall'onda sonora con umidità relativa del 20% e temperatura do 20° C, ma, con le stesse condizioni, raggiunge i 2 dB/100m per frequenze di 4 kHz.
Per ottenere un'eco realistica, dunque, l'azione del filtro dovrebbe essere tanto più accentuata quanto più il ritardo è lungo. Il tempo di ritardo, infatti, dipende solo dalla distanza dell'ostacolo riflettente: indipendentemente dalla sua natura, più esso è lontano, più il suono deve viaggiare nell'aria che, di per sè, attenua le alte frequenze.
Schema linea di ritardo con feedback e filtro passa‑basso
Abbiamo fin qui delineato le caratteristiche e i controlli di un programma di eco molto semplice dotato dei soli tre controlli che possono essere considerati essenziali. Normalmente i programmi di eco che si trovano sui processori di effetti sono più complessi (tipo dual echo, ping‑pong echo e così via). A volte, però, la semplicità aiuta ad ottenere degli effetti più caratterizzati e incisivi (soprattutto in musica). Vedremo nella prossima parte vari esempi di utilizzo musicale di un eco di questo tipo.

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