Winter Leaves

Winter Leaves è una investigazione sui rapporti che intercorrono fra armonia e timbro.

La tecnica base è quella di costruire dei suoni i cui spettri abbiano una valenza armonica. Uno dei sistemi per ottenerlo è quello di creare suoni le cui componenti spettrali abbiano dei rapporti accordali.
Winter Leaves, infatti, si basa su 3 suoni, ognuno formato da 5 sinusoidi le cui frequenze hanno fra loro un intervallo fisso. Tutti suoni sono costruiti sulla stessa fondamentale (47.5 Hz, circa SOL). Le altre 4 componenti hanno rapporti di 2 (8va) nel primo suono, di 2.24 (9a magg.) nel secondo e 2.8856 (intervallo non temperato corrispondente a una 11ma crescente) nel terzo.
I 3 suoni base, quindi, hanno le seguenti componenti sinusoidali:
  • Rapporto 2 -> 47.5, 95, 190, 380, 760 (8ve sovrapposte)
  • Rapporto 2.24 -> 47.5, 106.4, 238.3, 533.9, 1195.9 (9ne sovrapposte)
  • Rapporto 2.8856 -> 47.5, 137.1, 395.5, 1141.3, 3293.4 (11me cresc. sovrapposte).

A questo punto è chiaro che spettri di questo tipo possiedono sia una valenza timbrica che armonica. Nel primo caso il suono è associato alla consonanza perfetta, nel secondo, a una dissonanza interpretabile nell’ambito del sistema temperato e nel terzo a una dissonanza non temperata.

Ognuno di questi spettri, sintetizzato con una semplice additiva a 5 oscillatori, viene poi arricchito dal punto di vista acustico grazie a un processo di ring modulation fra le 5 componenti base prese 2 a 2. Con questo metodo si generano altre componenti le cui frequenze sono pari alla somma e alla differenza fra quelle di base, come è tipico del modulatore ad anello. Si ottengono, così, altre frequenze che vengono utilizzate sia come componenti spettrali che come ‘note’ su cui articolare il discorso melodico/armonico.
Ne consegue che il rapporto 2 genera, per somma e differenza, solo componenti armoniche; il 2.24 genera un mix di componenti armoniche e inarmoniche e il 2.8856 genera solo componenti inarmoniche.
Nella seguente tabella sono riportati i 3 insiemi di frequenze che possono essere visti sia come organizzazione melodico/armonica che timbrica. In effetti, Winter Leaves è totalmente costruito su di essi in quanto:

  • la tessitura melodico/armonica è basata sui 3 insiemi considerati come scale, usate nella maggior parte dei casi da sole e sovrapposte solo nelle fasi di passaggio fra un insieme e l’altro (passaggi, che, comunque, sono molto frequenti nel corso del brano)
  • la tessitura timbrica utilizza solo queste frequenze come componenti sinusoidali dei suoni, anche qui un insieme alla volta (non esiste un suono che sia un mix di frequenze provenienti da più insiemi) con sovrapposizioni nei punti di passaggio. Per ottenere queste sonorità sono state programmate in Music360 (l’antenato di CSound) 3 tipologie di strumenti:
    • sintesi additiva sulle 5 componenti base (genera solo le componenti blu, sfondo giallo)
    • sintesi ring modulation fra una o più coppie di frequenze base (genera le componenti rosse con o senza le coppie generatrici)
    • varie combinazioni dei 2 suddetti, fino a uno strumento che genera un suono contenente tutte le frequenze di un insieme

Esistono, quindi, sia spettri con una organizzazione di tipo normale in cui le componenti più basse sono anche le più forti e l’ampiezza cala andando verso gli acuti, che spettri a bande laterali in cui le componenti centrali hanno maggiore ampiezza.

Ratio
2
Ratio
2.24
Ratio
2.8856
Freq.
Base
Freq. ± Freq.
Base
Freq. ± Freq.
Base
Freq. ±
1140.0 1729.7 4434.7
950.0 1434.2 3688.9
855.0 1302.3 3430.4
807.5 1243.4 3340.9
760.0 1195.9 3293.4
712.5 1148.4 3245.9
665.0 1089.5 3156.3
570.0 957.5 2897.8
570.0 772.2 2152.0
475.0 662.0 1536.8
427.5 640.3 1278.4
380.0 581.4 1188.8
380.0 533.9 1141.3
332.5 486.4 1093.8
285.0 427.5 1004.2
285.0 344.7 745.8
237.5 295.5 532.6
190.0 285.8 443.0
190.0 238.3 395.5
142.5 190.8 348.0
142.5 153.9 258.5
95.0 131.9 184.6
95.0 106.4 137.1
47.5 58.9 89.6
47.5 47.5 47.5

Analizzando i 3 insiemi si nota che le proprietà delle frequenze base si riflettono nelle frequenze generate per somma e differenza. In particolare:

  • il rapporto 2 genera solo componenti armoniche
  • il rapporto 2.24 genera sia componenti armoniche che inarmoniche
  • il rapporto 2.8856 genera quasi esclusivamente componenti inarmoniche

In tal modo è possibile passare gradualmente da campi di suoni armonici a campi di suoni parzialmente o totalmente inarmonici accostando e/o sovrapponendo aree in cui le figurazioni musicali si articolano su insiemi diversi. La seguente immagine evidenzia le aree comuni utilizzabili come ponte.

Winter Leaves ha ottenuto una menzione al 9° International Electroacoustic Music Awards di Bourges (1981) ed è stato analizzato in dettaglio in una tesi di Dottorato in Musique et musicologie du XXème siècle presso l’Université de Paris IV – Sorbonne e Scienze della Musica presso l’Università degli Studi di Trento (XVI ciclo) [Laura Zattra, Science et technologie comme sources d’inspiration au CSC de Padoue et à l’IRCAM de Paris, 2003]. Qui potete leggere un riassunto in italiano dell’analisi tratto dalla suddetta tesi.


Potete ascoltare il brano in streaming cliccando qui. Durata circa 8’30”.
NB: MP3 compresso a bitrate 128. Originale su vinile [ConTempo Musical Editions INSOUND 2 – Record LP Edipan PRC S2016].

Libri dal Guggenheim Museum

libriDa questa pagina potete scaricare circa 200 libri d’arte dedicati principalmente all’arte del ‘900, in formato PDF o ePub.

I testi sono stati messi a disposizione dal Guggenheim Museum.

Istruzioni:

  1. cliccate il testo che vi interessa
  2. si apre una pagina in cui potete vedere la copertina e i dati del libro (sotto)
  3. a destra della copertina ci sono due icone: un con 4 frecce (apertura) e una lente (ricerca nel libro)
  4. cliccate l’icona con 4 frecce per avere il libro a finestra intera; qui potete sfogliarlo
  5. subito sopra c’è il bottone PDF/ePub: clicatelo, scegliete il formato e parte il download.
  6. enjoy

Miri Kat

Miri Kat’s debut EP brings ephemeral collages, in turns frenetic and and lyrical, in a unique brand of glitchy grindcore for a post-Internet age. Miri’s hyperactive textures are rooted in original engineering, live-coded from found sounds with open source tools, derived from open ecosystems in both sounds and software. For Establishment, she is producing an original audiovisual edition, pairing her live visual talents with the compositional ones.

The London-based artist self-described as “oriental” in origin has fast become a mainstay of the underground livecoding scene. Her day job is as an engineer of electronic musical instruments, with expertise in music tech, web technologies, hacking, creative coding, algorithmic music, immersive multimedia, and generative visuals.

Album site

Cloud Sequencer

A new work by Ronald van der Meijs.

Notes from the author:

This project is a first start for a new sound research project into the diversity of clouds, sun and wind in order to create a sort of ‘natural sequencer’ for an outside sound installation. This site specific instrument consists out of seven solar powered bass organ pipe units interacting on the brightness of the sun to control the loudness of the sound. In this way passing clouds form a natural sequencer for this installation. Each organ pipe unit is catching the wind with one of the 5 smal sails, controlled by a system of pulley wheels and counter weights for pitching the sound of each organ pipe by a moving valve.

The weather conditions of the island determine how the sounds and its composition evolves as a constant changing requiem for the West Vlieland village which disappeared into the North Sea in 1736. As for this village the installation is completely handed over to the unpredictability of the weather. This plays a major part in the concept of this sound installation; one has to accept the weather conditions in al its appearances. This means that it needs sun, clouds and wind to produce a variety of sounds. So if there is no sun at all there is no sound to produce. What is left in this situation is the sound of nature itself.

The work has been installed on the Dutch island of Vlieland (53°18’02.3″N – 5°05’12.0”E) from July 22th to aug 30th 2017

Author’s blog

George Crumb: Zeitgeist, tableaux vivants for two amplified pianos

Crumb - Zitgeist

George Crumb è uno dei compositori che ho sempre amato. È uno dei pochi contemporanei che trovo emozionanti. Uno dei pochi che non scrivono solo ‘esercizi’ o ‘studi’.

Di questo brano ho già parlato, proprio qui, più o meno 9 anni fa. Ma allora non c’era la diffusione offerta dal libro di facce e non c’erano i video del tubo (non come adesso, almeno). Così ne approfitto per rimettere qualcosa, questa volta con il video dell’esecuzione e note dell’autore.

George Crumb, Zeitgeist, Six Tableaux for Two Amplified Pianos (Book I) (1987, rev. 1989)

I. Portent – Molto moderato, il ritmo ben marcato
II. Two Harlequins – Vivace, molto capriccioso
III. Monochord – Lentamente, misterioso
IV. Day of the Comet – Prestissimo
V. The Realm of Morpheus (“. . . the inner eye of dreams”)
Piano I: Lentamente quasi lontano, sognante
Piano II: Adagio sospeso, misterioso
VI. Reverberations – Molto moderato, il ritmo ben marcato

Alexander Ghindin & Boris Berezovsky Amplified pianos

Notes from the author:

Zeitgeist (Six Tableaux for Two Amplified Pianos, Book I) was composed in 1987. The work was commissioned by the European piano-duo team of Peter Degenhardt and Fuat Kent, who subsequently gave the premiere performance at the Charles Ives Festival in Duisburg, Germany on January 17, 1988. Zeitgeist was extensively revised after this initial performance.

For a German-speaking person, the expression “Zeitgeist” has a certain portentous and almost mystical significance, which is somewhat diluted in our English equivalent: “spirit of the time.”

The title seemed to me especially appropriate since the work does, I feel, touch on various concerns which permeate our late-twentieth century musical sensibility. Among these, I would cite: the quest for a new kind of musical primitivism: (a “morning of the world” vision of the elemental forms and forces of nature once again finding resonance in our music); an obsession with more minimalistic (or at least, more simple and direct) modes of expression; the desire to reconcile and synthesize the rich heritage of our classical Western music with the wonderfully vibrant ethnic and classical musics of the non-Western world; and, finally, our intense involvement with acoustical phenomena and the bewitching appeal of timbre as a potentially structural element.

In many of its aspects—compositional technique, exploitation of “extended-piano” resources, and emphasis on poetic content—Zeitgeist draws heavily from my earlier piano compositions, especially the larger works of my Makrokosmos cycle (Music for a Summer Evening [1974] for two amplified pianos and percussion, and Celestial Mechanics [1979J for amplified piano, four-hands).

The opening movement of Zeitgeist, entitled Portent, is based primarily on six-tone chordal structures and a rhythmically incisive thematic element. The music offers extreme contrasts in register and dynamics. A very characteristic sound in the piece is a mysterious glissando effect achieved by sliding a glass tumbler along the strings of the piano while the keys are being struck.

The second movement—Two Harlequins—is extremely vivacious and whimsical. The music is full of mercurial changes of mood and comical non sequiturs. Although this piece is played entirely on the keyboard, an echoing ambiance resonates throughout.

Monochord (which in the score is notated in a symbolic circular manner) is based entirely on the first 15 overtones of a low B-flat. A continuous droning sound (produced alternately by the two pianists) underlies the whole piece. This uncanny effect, produced by a rapid oscillating movement of the fingertip in direct contact with the string, results in a veritable rainbow of partial tones. In addition, paper strips placed over the lower ten strings of each piano produce an almost sizzling effect.

The title of the fourth movement —Day of the Comet— was suggested by the recent advent of Halley’s comet (the previous visitation was commemorated by H. G. Wells in his science fiction novel of the same title). The piece, played at prestissimo tempo and consisting of polyrhythmic bands of chromatic clusters, is volatile, yet strangely immaterial.
Perhaps Debussy’s Feux d’artifice (Preludes, Book II) is the spiritual progenitor of this genre of composition.

The fifth movement —The Realm of Morpheus— is like Monochord symbolically notated. The bent staves take on the perceptible configuration of the human eye (“…the inner eye of dreams”). Each of the two pianists plays independently, and the combined musics express something shadowy and ill-defined—like the mysterious subliminal images which appear in dreams.
Disembodied fragments of an Appalachian folk-song (“The Riddle”) emerge and recede.

The concluding movement of the work —Reverberations— recalls the principal thematic and harmonic elements of the first movement. This piece is constructed in its entirety on the “echoing phenomenon”—that most ancient of musical devices.

[George Crumb]

Avatar

Avatar is video for a dance performance that conveys the formation of the human body into the avatar on the computer screen while it is inprocess of questionning it . Avatar exposes some occasions such as “loading” and “Disconnected” through its own way, while using the internet .

Avatar, 10 min. ,2009

Visuals: Candas Sisman – csismn.com
Sound design: Mert Kizilay – myspace.com/mertkizilay
Choreography: Yigit Daldikler
Concept: Neylan Ogutveren
Performance: Yigit Daldikler

Cronologia della Tecnologia Audio e della Musica Elettroacustica

Ho finalmente aggiornato la pagina dedicata alla Cronologia della Tecnologia Audio e della Musica Elettroacustica.

Mancano ancora un po’ di cose, comunque è quasi completa e consultabile, con molte immagini, link di approfondimento e link per ascoltare via You Tube le composizioni citate.

 

Tonic

 

Tonic

Tonic è un mazzo di carte che offrono consigli istantanei nello stile delle ormai famose Strategie Oblique di Brian Eno e Peter Schmidt degli anni ’70. La differenza è che queste sono specifiche per musicisti.

Citando l’autore, tale Scott Hughes:

Alcune carte ti dicono quali altezze usare. Altri hanno vincoli di tempo. Alcune sono per strumenti specifici. Alcune sono visuali. Alcune ti chiedono di usare il tuo computer o il telefono. Alcune sono meditative e altre sono caotiche. Alcune sono semplici e altre sono … un po ‘astratte [trad mia]

Sono simpatiche, ma quello che mi lascia un po’ perplesso è che sono… troppo specifiche.

Per esempio:

use just one interval. You are free to move it around using as many pitches as you like.

oppure

play this graph [si vede un grafico] The vertical axis is intensity. The horizontal is time. It should take about 3 minutes to play.

3 minuti? perché 3 minuti? e perché proprio quel grafico?

Capisco che si può dire che le idee espresse nelle carte possono sempre essere reinterpretate in una chiave diversa, ma per me sono troppo… assertive, almeno rispetto alle strategie oblique, che, ogni tanto, uso.

Honour thy error as a hidden intention

ha un’altra profondità.

Comunque, ripeto, sono simpatiche. E costano solo $25 sul sito dell’autore che vi offre anche la possibilità di scaricarle gratuitamente in pdf (ovviamente, poi dovete ritagliarle e incollarle su cartoncino).

E ci sono anche dei dadi a 12 facce con le note sopra.

Tarots Upgrade

L’illustratore italiano Jacopo Rosati ha creato una serie di immagini dei tarocchi ispirate all’esperienza dei social network. Così potrebbe uscire la carta delle Fake News, quella della Cospirazione (tutto è connesso), dell’Hacker Russo (ti becchi un ransomware) o Cinese (ti hanno fregato la password).

tarots upgraded

Bbbeetthhoovveeenn

Nel 2002 il compositore scandinavo Leif Inge ha realizzato digitalmente una espansione temporale della Nona Sinfonia di Beethoven portandola alla durata di 24 ore, senza distorsioni o variazioni di altezza. Considerando che la durata normale della Nona si aggira intorno ai 67 minuti (ma dipende dal direttore: può anche superare i 70′ e arrivare fino a 77’16” nella versione di Kubelik del ’74), si tratta di una espansione di circa 21.5 volte.

Il titolo del brano così ottenuto è 9 Beet Stretch e suona come un continuum sonoro in lenta evoluzione, ma non così lenta da non permettere di percepire cambiamenti in tempi ragionevoli (qualche minuto al massimo, ma generalmente in tempi più brevi). Ovviamente, con questi tempi, la melodia si perde completamente e il tutto si trasforma in una sequenza di accordi, ma è interessante notare come il senso drammatico dell’armonia in gran parte rimanga.

Gli attacchi delle note sono tutti molto graduali perché non si tratta di una esecuzione rallentata, ma di uno stretching del segnale audio, quindi un attacco che in originale dura 1/10 di secondo, nella versione espansa dura 2.15 secondi. La versione utilizzata è una registrazione Naxos diretta da Béla Drahos con la Nicolaus Esterházy Sinfonia e Coro (Naxos 8.553478).

Lo stream si può ascoltare via internet dal sito di riferimento avviando il player. La trasmissione inizia all’ora in cui il sole tramonta a Vienna il 26 Marzo (le 18:16 CET), giorno e ora della morte di Beethoven, e continua 24/7. Di conseguenza, nelle giornate di ora solare, i quattro movimenti hanno i seguenti tempi di inizio (CET = central europe time, cioè il nostro fuso orario)

  • CET 18:16 movement 1 – duration 5½ hours
  • CET 23:43 movement 2 – duration 5 hours
  • CET 04:48 movement 3 – duration 5 hours
  • CET 09:24 movement 4 – duration 8½ hours

Nel periodo di ora legale, dovete aggiungere un’ora.

Reverberation as music

Un cantante all’interno del Battistero di S. Giovanni a Pisa, in Piazza dei Miracoli (quella della famose torre) utilizza le qualità acustiche del luogo per trasformare una melodia monofonica in armonia.

Il Battistero ha un riverbero di circa 15 secondi che fa risuonare ogni nota per un tempo sufficiente ad sovrapporne altre. In tal modo il riverbero assume un significato strutturale nella composizione. Ovviamente questo è solo una dimostrazione dell’acustica del Battistero, ma, come potrete sentire seguendo i link ai post collegati sotto a “potrebbero interessarti anche…), a volte vengono scritti dei brani per sfruttare le qualità di certe architetture.

Un brano scritto proprio per il Battistero di Pisa è Voci della Terra e del Cielo di Ian Costabile che si può ascoltare su You Tube. Esiste anche un brano elettroacustico progettato per il Battistero: SiderisVox di Leonardo Tarabella, eseguito nel 2006. Ne trovate testimonianza qui. Purtroppo non sono riuscito a trovare un estratto audio.

Alcune precisazioni sulle note al video: il turista pensa che quel cantante sia entrato per caso, ma non sa che queste dimostrazioni sono frequenti. In certi periodi dell’anno se ne fa una ogni mezz’ora (nelle pagina di questo video, su You Tube ne trovate parecchie). Inoltre chiama l’effetto “eco”, quando ovviamente si tratta di riverbero.

Suguru Goto in Tokyo 2016

Una testimonianza dal tour giapponese di Suguru Goto del 2016. Il video, ripreso a Tokyo, è un collage di tre brani con musica di Suguru Goto, mentre la parte grafica è stata curata da tre diversi artisti, Patrick Defasten, Lucio Arese e Antoine Schmitt.

I brani sono:

  • Body Jack, Suguru Goto music, Patrick Defasten graphics
  • CsO, Suguru Goto music, Antoine Schmitt graphics
  • Continuum, Suguru Goto music, Lucio Arese graphics

Come al solito mancano info dettagliate, ma si vede che tutti i brani potrebbero essere generati con uno dei classici software che accoppiano audio e video, come Max/Jitter o PD/GEM. O, almeno, volendo fare una cosa di questo tipo, userei uno di questi oppure metterei in comunicazione Max/PD e Processing. Tuttavia qui, trattandosi di collaborazioni live (a tratti si vede che ci sono due esecutori), è anche possibile che uno generi il suono e l’altro la grafica in modo indipendente (cioè senza comunicazione fra i due software), interagendo esattamente come due normali esecutori.

Nei primi due brani la parte grafica è totalmente generata dal computer. Quella del secondo si basa sulle particles e sa molto di Jitter. Tecnicamente, fra i primi due, sembra il più semplice da realizzare (NB: non voglio dire che sia un difetto, anzi. Il risultato è molto accattivante).

Il primo, invece, esibisce una notevole quantità di oggetti riuniti in una configurazione toroidale, che poi esplodono in altre forme. Le rotazioni non sono un problema perché non sono gli oggetti a muoversi, ma la telecamera virtuale (il “punto di vista”). Però la quantità di oggetti e la loro disposizione suggerisce qualche tipo di software specializzato.

Nel terzo, invece, si vedono muoversi delle forme quasi organiche, che ricordano le meduse ed è più difficile capire se abbiamo a che fare con una grafica totalmente computerizzata o con l’elaborazione di una qualche ripresa.

Show on Vimeo

Suguru Goto on wikipedia

14&15 Mobile Photographers

14&15 Mobile Photographers is the first international showcase dedicated exclusively to mobile photographers and to their work. We are driven by a great curiosity to explore the new frontiers of digital photography, the mobile photography. For this reason, in 2015 we launched this platform, with the aim of promoting this sector of photography which is growing fast worldwide. We believe that the smartphone is only a tool to take pictures and does not represent anything more than an easy and fast camera. But this smart tool is always with us, ready to record our life in every moment.

1415_1 iPhone with Hipstamatic appPhoto by Scott Strazzante
1415_3 1415_4

 

Removed

Non stanno giocando a carte. Removed è un progetto del fotografo americano Eric Pickersgill in cui la pervasività del cellulare si evidenzia attraverso la sua assenza. Normalissime immagini di un quotidiano in cui l’oggetto centrale, quello su cui si fissa l’attenzione di tutti, è rimosso e in questo modo la scena appare in tutta la sua assurdità.

Lo stesso Pickersgill commenta

La famiglia che siede accanto a me nel caffé Illium a Troy, NY, è così scollegata. Non si parla molto. Il padre e le due figlie guardano i loro cellulari. La mamma non ne ha uno o sceglie di non usarlo. Fissa fuori dalla finestra, triste e sola, in compagnia della sua famiglia. Papà guarda gli altri ogni tanto per annunciare qualche oscuro pezzo di informazioni trovato on-line. Per due volte parla di un grosso pesce che è stato catturato. Nessuno risponde. Sono addolorato nel vedere una tecnologia creata per l’interazione usata per non interagire. Una cosa del genere non è mai accaduta prima e dubito che abbiamo scalfito la superficie dell’impatto sociale di questa nuova esperienza. Adesso anche la mamma ha tirato fuori il suo telefono…
[trad. mia]

Il sito del progetto Removed è qui, con molte altre immagini.

La tecnologia ha sempre inciso profondamente sulla vita delle persone e sui rapporti sociali. Basti pensare al frigorifero, all’automobile, alla televisione. Ma mai come oggi ci siamo trovati di fronte a qualcosa che incide così duramente sulla comunicazione. È interessante notare come, a causa del (o grazie al) cellulare, le persone non si trovino mentalmente nel luogo in cui sono fisicamente. Ora, è normale che questo accada in certe situazioni. Io passo circa 5/6 ore alla settimana in treno ed è ovvio che, in questo caso, la gente impieghi il tempo leggendo qualcosa, lavorando o, al limite, dormendo, ma con il cellulare, questo accade sempre. Vedo gente che sale in autobus digitando o parlando; continua per tutto il tragitto e prosegue anche quando scende. Si parla o si digita anche mentre si cammina per strada e mentre si guida.

Quello che accade è che questo oggetto e in ultima analisi, internet, ci inseriscono in un flusso continuo di comunicazione che ci astrae dal “qui e ora” inserendoci in una chat room virtuale permanente. E la tecnologia va in questa direzione sviluppando oggetti che tendono a incorporare il flusso direttamente nel nostro corpo, come i google glass, ovvero la realtà aumentata che, se da un lato è molto comoda quando sto cercando un certo negozio in una zona poco conosciuta della città, alla fine ci costringerà ad avere sempre un cellulare acceso davanti agli occhi. E, come alcuni di voi avranno sperimentato, è inutile dire che basta lasciarlo spento o non averlo. Presto sarà praticamente obbligatorio, così come è diventata letteralmente obbligatoria una connessione internet.

L’effetto mi sembra quello di annullare qualsiasi possibilità di restare soli con sé stessi, che invece è una condizione che mi piace. E mi sconvolge il fatto che sembra far paura alla maggior parte della gente…

Hello

Hello, by Alexander Schubert
(2014) For {any number of} instruments, live-electronics and video

Excerpts from composer’s notes:

The piece is audio-visual. It’s basically a video that is accompanied by the instruments. The video consists of video recordings of the composer performing certain actions / gestures. These gestures are notated in the score as well and need to be interpreted by the musicians (as musical events – not as theatrical actions / physical movement – the idea is to find corresponding or contrasting music events for the given gestures).

The piece is really based on the video and the electronics in the tape, meaning that in the rehearsal progress, rather use the video as an orientation and not the only the score. The score is a tool to make it easier to play along with the video, but eventually the video is the real score.

The piece can be played more or less by any combination of instruments. It is advised to have at least four players, one of which is a piano/guitar/accordion or similar to play chords. Also a percussionist should be included. For combinations that do not fall into this description please contact the composer to check.

You are invited to use other small instruments or props other than those found in your ensemble. For example toy instruments, everyday household tools or found objects. Chose these instruments in order to fit a given video gesture you want to accompany.

More info here and here.

 

Venus & Jupiter

Either/Or: Elliott Sharp – Venus & Jupiter (premiere)

(perché in questo periodo mi alzo all’alba e vedo sempre Venere e Giove vicini nel cielo)

Richard Carrick – piano, Stephanie Griffin – viola, Margaret Lancaster – alto flute, Chris McIntyre – trombone, Josh Rubin – bass clarinet, David Shively – percussion, Alex Waterman – cello with Elliott Sharp – electro-acoustic guitar

Incipit: A Tale of Two Cities

A Tale of Two CitiesIt was the best of times, it was the worst of times, it was the age of wisdom, it was the age of foolishness, it was the epoch of belief, it was the epoch of incredulity, it was the season of Light, it was the season of Darkness, it was the spring of hope, it was the winter of despair, we had everything before us, we had nothing before us, we were all going direct to Heaven, we were all going direct the other way—in short, the period was so far like the present period, that some of its noisiest authorities insisted on its being received, for good or for evil, in the superlative degree of comparison only.

[Charles Dickens, A Tale of Two Cities, 1859]

 

Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l’epoca della fede e l’epoca dell’incredulità; il periodo della luce, e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo, eravamo tutti diretti a quell’altra parte – a farla breve, gli anni erano così simili ai nostri, che alcuni che li conoscevano profondamente sostenevano che, in bene o in male, se ne potesse parlare soltanto al superlativo.

[Trad. di Silvio Spaventa Filippi]

Dispacci dal fronte interno

Dispacci dal fronte interno [Dispatches from the homefront] is a work by Andrea Valle for feedback system including ad libitum strings, printer and live electronics.

Audio from strings, printers and environment is not only manipulated live, but some features are extracted and used to control not only the same sound processing but also the real-time generation and print on the fly of musical notation to be performed by the player.

In short, the performer receives “dispatches” which content depends on what s/he is playing.

From SONIC SCREENS, an event by U.S.O. Project (Matteo Milani, Federico Placidi) in collaboration with O’ and Die Schachtel
Milan, 01/12/2012

An excerpt from the premiere by:
Èdua Amarilla Zádory – Violin
Ana Topalovic – Violoncello

Video courtesy Gianmarco Del Re

Dispacci dal fronte interno from Andrea Valle on Vimeo.

Petites esquisses d’oiseaux

messiaen01

Visto che ho appena aggiornato alcuni post sui canti degli uccelli e sull’interpretazione che ne dà Messiaen, ho pensato di postare i suoi Piccoli Abbozzi di Uccelli nella versione del 1985 per un pianoforte (esiste anche quella a due).

In realtà Messiaen aveva già trovato la convergenza fra le sue due passioni, ornitologia e musica. Già nel 1951 aveva composto un brano virtuosistico per flauto e pianoforte utilizzato come test di ammissione a flauto presso il conservatorio di Parigi (ricordiamo che il conservatorio di Parigi è a livello superiore ed equivale a una nostra accademia di perfezionamento). Il brano si intitolava Le merle noir  ed è il suo primo lavoro interamente ispirato al canto di un uccello (alcuni frammenti erano inclusi in opere precedenti).

Nel 1953 compose Réveil des oiseaux (Il risveglio degli uccelli) per orchestra, composto quasi esclusivamente di trascrizioni dei canti degli uccelli che l’autore poteva ascoltare tra mezzanotte e mezzogiorno tra le montagne del Massiccio del Giura.

A partire da questo periodo prese l’abitudine di incorporare queste trascrizioni in tutte le sue opere, oltre a scrivere raccolte interamente dedicate a questo soggetto (Oiseaux exotiques (Uccelli esotici) per pianoforte e orchestra da camera, 1955-1956, La Chouette hulotte (L’allocco) per pianoforte, 1956, il monumentale Catalogue d’oiseaux (Catalogo di uccelli) per pianoforte, 1956-1958, La Fauvette des Jardins (Il beccafico) per pianoforte, 1970-1972, Un Vitrail et des oiseaux (Una vetrata e degli uccelli) per pianoforte e orchestra, 1986, fino a questi Petites esquisses d’oiseaux (Piccoli abbozzi d’uccelli) per uno e due pianoforti, 1985-1987). Come opere non si tratta di semplici raccolte di trascrizioni, ma veri e propri poemi sinfonici. Paul Griffiths osservò che Messiaen fu un ornitologo più coscienzioso di tutti i compositori che lo avevano preceduto, e un più attento osservatore musicale del canto degli uccelli di tutti gli ornitologi precedenti.

In effetti il lavoro di trascrizione di Messiaen è accurato e tiene conto di problemi musicali che spesso sfuggono all’ornitologia scientifica. Lui stesso spiega:

L’uccello, essendo molto più piccolo di noi, con un cuore che batte più rapidamente e delle reazioni nervose assai più rapide, canta a tempi estremamente veloci che sono assolutamente impossibili per i nostri strumenti; dunque sono obbligato a trascriverlo ad un tempo più lento. Per di più, questa rapidità è associata ad una estrema acutezza, essendo un uccello in grado di cantare in registri così alti da essere inaccessibili ai nostri strumenti; perciò trascrivo il canto una, due o anche tre ottave sotto. E non è tutto: per la medesima ragione sono obbligato a sopprimerne quegli intervalli troppo piccoli che i nostri strumenti non potrebbero suonare. Allora rimpiazzo questi intervalli dell’ordine di uno o due commi con dei semitoni, ma rispettando la scala dei valori tra i diversi intervalli, ovvero, se qualche comma corrisponde ad un semitono, allora ad un vero semitono corrisponderà un tono intero o un intervallo di terza; tutto è ingrandito, ma i rapporti restano inalterati, ciò nonostante quello che restituisco è esatto.

Petites esquisses d’oiseaux (1985) – Håkan Austbø, piano

  1. Le Rouge-gorge (erithacus rubecula – pettirosso)
  2. Le Merle noir (turdus merula – merlo)
  3. Le Rouge-gorge
  4. La Grive musicienne (turdus ericetorum sinonimo di turdus philomelos – tordo bottaccio)
  5. Le Rouge-gorge
  6. L’Alouette des champs (alauda arvensis – allodola)

 

IRCAM Prepared Piano

UPDATE 2023

L’IRCAM Prepared Piano 2 è una produzione IRCAM in collaborazione con UVI. Trattasi di un VST che simula sia il pianoforte che il piano preparato, basato su più di 12000 campioni di alta qualità per una libreria di circa 18 Gb. Oltre a vari tipi di pianoforte, vengono emulate 45 tipologie di preparazione, tecniche estese ed effetti, tutti copiosamente descritti al link iniziale. Prezzo $ 209.

Anthèmes

Anthèmes refers to two related compositions for violin by French composer Pierre Boulez: Anthèmes I and Anthèmes II.

Anthèmes I is a short piece (c. 9 minutes) for solo violin, commissioned by the 1991 Yehudi Menuhin Violin Competition, and dedicated to Universal Edition’s director Alfred Schlee for his 90th birthday. In 1994, Boulez revised and expanded Anthèmes I into a version for violin and live electronics at IRCAM, resulting in Anthèmes II (c. 18 minutes duration), produced in 1997. (Expansion and revision of earlier works is common in Boulez’s compositional process; see also Structures.)

The title is a hybrid of the French “thèmes” (themes) and the English “anthem”. It is also a play on words with ‘anti-thematicism ‘: “Anthèmes” reunites the “anti” with the “thematic”, and demonstrates Boulez’s re-acceptance of (loose) thematicism following a long period of staunch opposition to it (Goldman 2001, 116–17).

Anthèmes I owes its structure to inspiration Boulez drew from childhood memories of Lent-time Catholic church services, in which the (acrostic) verses of the Jeremiah Lamentations were intoned: Hebrew letters enumerating the verses, and the verses themselves in Latin. Boulez creates two similarly distinct sonic worlds in the work: the Hebrew enumerations become long static or gliding harmonic tones, and the Latin verses become sections that are contrastingly action-packed and articulated (though Boulez says that the piece bears no reference to the content of the verses, and takes as its basis solely the idea of two contrasting sonic language-worlds) (Goldman 2001, 119). The piece begins with a seven-tone motive, and trill on the note D: these are the fundamental motives used in its composition. It is also in seven sections: a short introduction, followed by six “verses”, each “verse” preceded by a harmonic-tone “enumeration”. The last section is the longest, culminating in a dialogue between four distinct “characters”, and the piece closes with the two “languages” gradually melding into one as the intervals finally center around the note D and close into a trill, and then a single harmonic. A final “col legno battuto” ends the piece in Boulez’s characteristic witty humour, a gesture of “That’s enough for now! See you later!” (Goldman 2001, 83, 118). [from wikipedia]

See also: Goldman, Jonathan. “Analyzing Pierre Boulez’s Anthèmes: ‘Creating a Labyrinth out of Another Labyrinth’“. Unpublished essay. [Montréal]: Université de Montréal, 2001. OCLC: 48831192.

Andrew Gerzso has for many years been the composer’s chief collaborator on works involving live electronics and the two men regularly discuss their work together. He describes the way in which all the nuances in this nucleus of works were examined in the studio in order to find out which elements could be electronically processed and differentiated. As a result, the process of expanding these works is based not only on abstract structural considerations (such as the questions as to how it may be possible to use electronic procedures to spatialize and to merge or separate specific complexes of sound),but also on concrete considerations bound up with performing practice: in a word, on the way in which the instrument’s technical possibilities may be developed along figurative lines.

IMHO, it is quite clear that the electroacoustic is limited to “dress” the instrumental part, albeit with effects well made. Anthème II is not a real electroacoustic composition and even a revision of the original. But it’s really helpful to students. See also this good page  from IRCAM: Anthème & Anthème II and this one with Max patches.

From You Tube, Anthèmes before and after

Organ2/ASLSP (2015 check)

Ogni tanto controllo se il sito tedesco in cui è in corso l’esecuzione di Organ2/ASLSP di John Cage, dilatata all’incredibile durata di 639 (seicentotrentanove) anni, esiste ancora e la risposta finora è sì.

Per saperne di più su questa epica esecuzione iniziata nel 2001 e destinata a terminare nel 2640, vi rimando

Infine, qui potete ascoltare l’epico cambio di nota del 2006 a 8:36 in questa clip audio. L’ultimo è stato nel 2013 e il prossimo è atteso per il 5 settembre 2020.

Questo è l’organo utilizzato per l’esecuzione.

 

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Typedrummer

Un’altra drum machine online basata sui caratteri alfanumerici.
Questa è più carina del solito. Viene bene perfino “devi morire“.

Le maiuscole e le minuscole sono uguali; lo spazio introduce una pausa. Non si può cambiare il metronomo né scaricare un file (dovete registrare il loop).

Badate ad utilizzare un numero di caratteri multiplo di 4 se volete il vostro fanatico 4/4.

Enter Pyongyang

Questo timelapse ambientato a Pyongyang (capitale della Corea del Nord) fa quasi venire voglia di andarci.

In effetti, spesso e soprattutto quando entro in un supermarket, penso che, togliendo le stupide proibizioni di regime e le paranoie, i regimi cosiddetti comunisti, di cui, ormai, la Corea del Nord è l’unico esempio rimasto, avevano ragione.

Perché devono esistere 4 aziende che producono carta igienica? Perché ci sono 10 marche di pelati diverse, quando poi i pomodori arrivano tutti dagli stessi 2/3 posti e basterebbe una fabbrica che, con un minimo di onestà, ne produce di diversa qualità con prezzi diversi? Perché dobbiamo avere 2 o anche 3 auto per famiglia al posto di un efficiente servizio di trasporti pubblici e car sharing? Magari con auto elettriche che fanno al massimo 80 Kmh?

Outings Project

Outings is a global participative project, initiated by Julien de Casabianca, a French visual artist and filmmaker.

Anyone in their own town can go to their museums, take pictures of portraits with their phones and set them free.

It’s also museums, schools and cities organizing themselves with the inhabitants of their towns.

Eventually it’s exhibitions in museums and galleries of the photographs Julien de Casabianca took of his own Outings and shot all around the world.

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Suoni misteriosi dalla stratosfera

Una serie di suoni non ancora spiegati sono stati registrati da un veicolo NASA HASP. High Altitude Student Platform: è un veicolo di supporto che viene attaccato a un pallone sonda che lo solleva fino a 36 km per 20 ore. Il veicolo è destinato a ospitare esperimenti progettati dagli studenti.

È stato un microfono a bassa frequenza a registrare questi strani e per niente affascinanti (checché ne dicano i giornali) suoni nella banda fra 0.01 e 25 Hz. Frequenze bassine 🙂 Per renderli udibili si è reso necessario accelerarli di 1000 volte. Un bel salto di circa 10 ottave per cui, ascoltandoli, non cercate di immaginare che cosa potrebbero essere perché l’originale è molto, ma molto diverso.

In pratica sono semplici vibrazioni che potrebbero anche essere state provocate dal cavo che collega l’HASP al pallone aerostatico, per cui niente panico; non è il caso di parlare di alieni. L’unica cosa che ha una qualche connessione con gli alieni è il fatto che lo studente dell’Università del North Carolina che ha progettato l’esperimento si chiama Bowman (ricordare 2001 Odissea nello Spazio).

Le spiegazioni finora ipotizzate sono legate ai venti e alle variazioni della pressione atmosferica (nella stratosfera c’è aria: è solo il secondo strato dell’atmosfera).

Nel frattempo la notizia è stata raccolta da tutti i principali giornali che l’hanno condita con la potente parola magica “X-Files” e Repubblica è riuscita, come sempre, a infilarci lo strafalcione traducendo “infrasound microphone” con “microfono a infrarossi”; un peccato veniale rispetto a quelli che fa di solito.

Eccovi la registrazione.

Fonte/Source: Live Science

Petite symphonie intuitive pour une paysage de printemps

Luc Ferrari – Petite symphonie intuitive pour une paysage de printemps (1973-74)

A review by Blue Gene Tyranny

A lovely work of electro-acoustic music by one of the French pioneers of musique concrète, “Petite Symphonie Intuitive Pour un Paysage de Printemps” (“Little Intuitive Symphony for a Spring Landscape”) recreates the composer’s experiences during a climb toward sunset on the Causse Méjean, a high plateau in the Massif Central, including his recollection of a shepherd’s flute and its reverberations across the landscape. The flute sounds and multiple echoes continue in changing musical modes throughout the piece (the tonic redefined by electronic drones), blending together with sounds of the countryside and conversational fragments from the human presence to create a beautiful sonic landscape of 25 minutes duration.

(((.foundsoundscape.)))

(((.foundsoundscape.))) is “a live radio collage of foundsound places to underscore your personal spaces”. It’s curated by Janek Schaefer and features 1000 different locations, by 100 different artists.

Foundsoundscape was inspired by the very first Digital Radio station in the UK, that simply played a recording of a rural location. Radio you could just leave running to add a peaceful ambience to your environment indoors. It heralded a new media paradigm, as digital broadcasting offered more capacity than requred for the first time, and that space needed filling. At the same time on TV, Channel 4 was broadcasting Big Brother live 24hours, and at night I loved to tune-in my analogue TV sets all over the house, and the shed, so I could hear the housemates gently sleeping as I worked through the night. Since then infomercials, and gambling TV have taken over, and I greatly miss that sense of real-time space, that does not demand your attention. Foundsoundscape quietly underscores your environment, by creating new ones from others.

foundsoundscape

Bach nella cattedrale

Da YouTube salta fuori anche questa registrazione della Cantata “Gott ist mein König” (BWV 71) esguita in St. Mary’s Church a Mühlhausen.

Si tratta di una cattedrale gotica del 14mo secolo il cui riverbero illumina la cantata fin dall’attacco del primo movimento. Bach lavorò a Mühlhausen nel 1707/8 ed è probabile che la cantata BWV 71 sia stata eseguita per la prima volta proprio in questa chiesa.

Alan Lomax’s Archive Online

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Alan Lomax (1915 – 2002), etnomusicologo, antropologo e produttore discografico, ha raccolto materiali sonori in quasi tutto il mondo, dalla Spagna alla Gran Bretagna, al Sud America, all’Africa.

Ora tutto questo materiale è online qui.

Descrizione tratta dal sito:

The Sound Recordings catalog comprises over 17,400 digital audio files, beginning with Lomax’s first recordings onto (newly invented) tape in 1946 and tracing his career into the 1990s. In addition to a wide spectrum of musical performances from around the world, it includes stories, jokes, sermons, personal narratives, interviews conducted by Lomax and his associates, and unique ambient artifacts captured in transit from radio broadcasts, sometimes inadvertently, when Alan left the tape machine running. Not a single piece of recorded sound in Lomax’s audio archive has been omitted: meaning that microphone checks, partial performances, and false starts are also included.

This material from Alan Lomax’s independent archive, begun in 1946, which has been digitized and preserved by the Association for Cultural Equity, is distinct from the thousands of earlier recordings on acetate and aluminum discs he made from 1933 to 1942 under the auspices of the Library of Congress. This earlier collection — which includes the famous Jelly Roll Morton, Woody Guthrie, Lead Belly, and Muddy Waters sessions, as well as Lomax’s prodigious collections made in Haiti and Eastern Kentucky (1937) — is the provenance of the American Folklife Center at the Library. Attempts are being made, however, to digitize some of this rarer material, such as the Haitian recordings, and to make it available in the Sound Recordings catalog. Please check in periodically for updates.

Hakanaï

Costruire spazi virtuali intorno ai danzatori è particolarmente di moda ultimamente (oltre che di sicuro effetto). Ecco un altro esempio da parte della compagnia Adrien M / Claire B (gli stessi di Pixel: Adrien Mondot, artista multidisciplinare, programmatore; Claire Bardainne, artista, scenografa e designer).

Hakanaï è una performance coreografica per una ballerina in un volume di immagini in movimento. Nella lingua giapponese, Hakanaï definisce ciò che è non permanente, fragile, effimero, transitorio, tra sogno e realtà. Una parola antica che evoca un materiale sfuggente associato con la condizione umana e la sua incertezza, ma anche associata con la natura. Si scrive combinando due ideogrammi, quello che significa l’uomo e quello che designa il sogno. Un legame simbolico che è il punto di partenza di questa partitura per una ballerina che incontra delle immagini, dando vita a uno spazio ai margini dell’immaginario e del reale. Le immagini sono animate in diretta, secondo schemi fisici di movimento, al ritmo di una creazione sonora anch’essa eseguita dal vivo. Dopo l’esecuzione, rimane una installazione aperta agli spettatori.

In Japanese, the word ‘hakanaï’ is used to define the ephemeral, the fragile. The French group, Company Adrien M/Claire B invites the public to join them in the illusory world of dreams. The audience is invited to peer into a cloth cube where a visual haiku of a dancer and thousands of dancing images is unfolding. Hakanaï is an impressive convergence of dance and visual art, of bodies and moving graphics, of reality and dreams.

Since 2004, Company Adrien M/Claire B has been connecting digital culture with the performing arts. The collective develops performances and exhibitions that combine the real with the virtual. By focussing on man and body within a technological framework, they create timeless, poetic works.

Il volo silenzioso

owl

Il gufo riesce a volare in perfetto silenzio.

Inaudibile anche in cuffia, nonostante debba passare a pochi centimetri da un nutrito set di microfoni (e che microfoni) in un ambiente di test già silenzioso di suo. Le sue ali muovono l’aria senza generare alcun picco.

NB: NON “alcun picco a frequenze udibili”, ma proprio nessun picco. La registrazione è una linea praticamente dritta (vedi il secondo video).

Tratto dal programma di BBC Two Natural World. Segnalato da Lucia.

In questo breve video c’è l’essenza dell’esperimento.

 

Qui abbiamo un video un po’ più completo con qualche commento.

Nabaz’mob

In questo post, la storia di Nabaztag è tratta da Wikipedia, con qualche nota del sottoscritto.

La parola Nabaztag (“նապաստակ” che in lingua armena significa coniglio), indica il coniglio wifi ideato da Rafi Haladjian e Olivier Mével e prodotto, nel 2005 dalla compagnia francese Violet.

Alto 23 centimetri, per un peso di 418 grammi, dispone di svariate abilità, tra le quali dare le previsioni del tempo, declamare le ore, segnalare eventuali messaggi di posta elettronica e illuminarsi per mezzo di LED colorati, muovendo le orecchie e pronunciando imprevedibili battute. Può inoltre riprodurre messaggi testuali ed MP3. Con il passare del tempo altri svariati servizi sono stati implementati. È inoltre scomparsa la distinzione tra servizi base e servizi su abbonamento, anch’essi divenuti gratuiti. Esistono anche dei servizi sviluppati dagli stessi utenti (musica, notizie, curiosità) denominati “Nabcast”.

L’oggetto, venduto a partire da giugno 2005, alla fine di ottobre 2006 aveva raggiunto i 35.000 esemplari nella sola Francia. A fine 2006 viene introdotto un modello più avanzato, il Nabaztag:tag che supporta lo streaming mp3 via internet, ha un microfono per ricevere comandi vocali e un lettore di RFID con tag personalizzati per ricevere comandi. Questo modello, inoltre, è dotato di tecnologia PULL, ossia può interrogare il server di propria iniziativa. A settembre 2007 sono presenti più di 180.000 Nabaztag in tutto il mondo.

Il 20 ottobre 2009 Violet, in difficoltà per una gestione dissennata, è acquistata dal noto software publisher Mindscape che immette sul mercato un modello ancora più avanzato chiamato Karotz con webcam e maggiori capacità di memoria. Ben presto, però, anche quest’ultimo entra in crisi. Il 29 luglio 2011 Mindscape comunica lo spegnimento dei server di gestione di Nabaztag creando in un solo colpo 180.000 orfani, ma rende pubblico il codice per la gestione dei “coniglietti” multimediali, rendendo possibile a diverse comunità utenti di creare dei nuovi server. Comunque, le varie comunità utente hanno privilegiato soluzioni alternative, basate sui progetti Opensource OpenJabNab, Nabizdead e OpenNag, più semplici da implementare dell’originale server (denominato “burrow”, con riferimento alle tane dei conigli selvatici) Violet/Mindscape ma privi del supporto per le vecchie unità Nabaztag di prima generazione. Le comunità utente sorte nell’immediata chiusura del server “ufficiale” supportano infatti i soli Nabaztag:tag.

In seguito Mindscape è acquisita da Aldebaran Robotics, azienda specializzata in robot giocattolo ed amatoriali, che vende ad esaurimento le scorte di Karotz senza sviluppare il prodotto, malgrado esso avesse incorporati e ben visibili evidenti agganci per accessori ed estensioni. Infine, con un annuncio scioccante del suo CEO comunica lo spegnimento dei server dei Karotz per il 18 febbraio 2015 segnando, così, la fine del progetto la cui esistenza resta affidata ai server amatoriali.

Dalla creazione di Nabaztag, Antoine Schmitt ne è il designer comportamentale e Jean-Jacques Birgé il designer sonoro. Insieme, hanno anche composto l’Opera Nabaz’mob per 100 conigli tra loro comunicanti, che ha vinto il Prix Ars Electronica Award of Distinction Digital Musics 2009 e di cui si può vedere un estratto in questo video.

 

Il video in questa pagina è un estratto più breve, ma l’audio è migliore.

EURion

Il post € Banknotes Bombing ha sollevato qualche interrogativo. Alcune persone mi hanno scritto segnalando che Photoshop si rifiutava di scannerizzare le banconote (non solo Euro), mentre altre mi dicevano che erano riusciti a fare lo scan senza problemi, ma poi la stampante si rifiutava di stamparle.

Effettivamente esiste un sistema sviluppato dal Central Bank Counterfeit Deterrence Group (CBCDG) che permette di identificare le immagini delle banconote al fine di rendere la vita difficile ai falsari. Il nome ufficiale del sistema è Counterfeit Deterrence System (CDS) ed è stato messo a punto su commissione del CBCDG dalla Digimark Corporation, una azienda che si occupa di watermarking.

Il CDS esiste dalla fine degli anni ’90 (circa 1996) e il suo funzionamento non è mai stato reso noto ufficialmente. È stato incorporato da alcuni produttori di software. Quelli attualmente noti sono Adobe, a partire da Photoshop CS (nei precedenti non c’è) e da Jasc (Paint Shop Pro). Entrambi affermano di aver ricevuto le routine sotto forma di codice precompilato e quindi di non essere a conoscenza del suo funzionamento.

Molti di più sono i produttori di hardware che lo hanno inserito nel firmware delle loro macchine. Si trova, infatti, in molte fotocopiatrici a colori Xerox e in alcune stampanti HP.

L’esistenza del CDS è stata scoperta nel 2002 da Markus Kuhn. Investigando il funzionamento di una fotocopiatrice Xerox che si rifiutava di stampare una immagine contenente banconote, Kuhn ha identificato un simbolo costituito da uno schema di cinque cerchietti gialli, verdi o arancio, schema ripetuto in aree delle banconote con diversi orientamenti. Andrew Steer più tardi notò un semplice rapporto intero tra il quadrato delle distanze dei cerchietti vicini, che dà ulteriori informazioni su come lo schema dovrebbe essere individuato efficientemente dal software di elaborazione delle immagini.

EURionLa forma dello schema è visibile nella figura a fianco, ma può essere presente anche con varie rotazioni. Data la sua vaga somiglianza con la costellazione di Orione e il fatto che il suo utilizzo ha ricevuto un forte impulso con la creazione dell’Euro, allo schema è stato attribuito il nome di EURion.

Le nazioni che hanno adottato l’EURion sono molte. Oltre a essere presente in tutte le banconote in Euro è stampato anche su lev bulgaro, dollaro canadese, corona danese, norvegese e svedese, fiorino ungherese, yen giapponese e altri (qui tabella completa alla data attuale)

In alcune fotocopiatrici a colori, la sola presenza di cinque di questi cerchietti in un’immagine è sufficiente per rifiutarsi di stampare, mentre altre stampano ma sovrappongono all’immagine la scritta “specimen” o “fac-simile” anche se l’immagine prodotta ha dimensioni o colori sensibilmente diversi dall’originale. Per esempio, io ho un notes le cui pagine sono biglietti da 100.000 Lire su cui è stampato “Fac-Simile” ma la dimensione è nettamente diversa dal biglietto reale e la stampa è su una sola faccia. Inoltre, l’EURion, a volte, è fonte di problemi anche per gli utenti onesti. I grafici pubblicitari, per esempio, si sono spesso lamentati per l’impossibilità di scannerizzare le banconote in Photoshop, tanto che alcune banche centrali permettono di scaricare immagini di banconote ad alta risoluzione con qualche particolare modificato.

È interessante, poi, vedere come l’EURion è stato incorporato nella banconote. Generalmente non è individuabile immediatamente. A volte lo diventa quando si sa cosa cercare.

Il caso più evidente è quello della banconota da € 10 (a sin, click to enlarge) in cui sono presenti molti cerchietti, alcuni dei quali formano l’EURion. In altre lo schema è meno visibile. In realtà, a volte, i cerchietti sono ben visibili, ma non vengono notati perché fanno parte di un disegno più esteso. Per esempio, nei $20, varie copie dello schema, con diversa rotazione, si creano usando gli zeri della scritta “20” continuamente ripetuta, mentre nelle vecchie £20, dedicate a Elgar, lo schema si ottiene unendo le note di un frammento di partitura.

Ultimamente, comunque, ricerche più accurate mostrano come l’EURion non sia l’unico schema di riconoscimento delle banconote. Mentre le fotocopiatrici continuano a basarsi sull’EURion, i software come Photoshop e Paint Shop Pro utilizzano anche altri sistemi, come dimostrato da questa ricerca.

€ Banknotes Bombing

L’artista greco stefanos ha elaborato un modo interessante per esprimere la propria insoddisfazione nei confronti delle istituzioni europee.

Il suo intervento consiste nel modificare le banconote, dipingendo in inchiostro nero figure angoscianti, emblematiche della situazione in cui versa il suo paese. Le banconote così modificate vengono poi scannerizzate per documentazione e rimesse in circolazione.

In una intervista ha dichiarato

Observing the euro banknote landscapes one notices a lack of any reality, whatsoever for the last five years the crumbling greek economy has hatched violence and social decay – so, I decided to fuse these two things. Through hacking the banknotes I’m using a european a document, that is in cross-border circulation, including greece – thus, the medium allows me to ‘bomb’ public property from the comfort of my home.

 

Altri esempi sono visibili qui.

The Ghost In The Mp3

Ryan Maguire, Ph.D. student in Composition and Computer Technologies al Center for Computer Music dell’Università della Virginia, ha fatto una analisi accurata su ciò che l’algoritmo di compressione dell’MP3 elimina. Il tutto nell’ambito di un progetto chiamato The Ghost In The Mp3 il cui fine è, in realtà, quello di ricavare materiale compositivo da quelli che si possono definire gli scarti dell’MP3 (quella linkata è la pagina principale, ma vedi qui per discussione dettagliata ed esempi).

Degli effetti della compressione MP3 abbiamo già parlato qui, facendo notare che, a livelli di compressione maggiori di 192 kbps (cioè da 128 in giù), la perdita di frequenze alte sia sensibile anche in brani rock, cioè non particolarmente raffinati. Sull’algoritmo di compressione MP3 vedi “La Compressione MP3“.

L’analisi di Maguire, però, è più profonda della mia e mette in luce perdite che potrebbero essere significative sull’intera estensione della banda. La sua analisi è concettualmente semplice. In pratica, ha confrontato gli spettrogrammi di un brano prima e dopo la compressione lavorando, ovviamente, non sulle immagini degli spettrogrammi, ma sui dati numerici ricavati dalle analisi FFT che si eseguono per realizzare le immagini.

Ecco, per esempio, tre spettrogrammi relativi al brano di Suzanne Vega “Tom’s Diner” che è per voce sola ed è spesso utilizzato come test degli algoritmi di compressione. Le prime due si riferisco a prima e dopo la compressione a 128 kbps e non mostrano differenze visibili. La terza è lo spettrogramma differenziale ottenuto confrontando i dati binari e mostra che delle differenze esistono (click immagini per ingrandire).

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A prima vista, questo risultato non mi colpisce: ho già mostrato in alcuni post che a 128 kbps c’è una differenza sensibile (vedi alla fine del post in “potrebbero interessarti anche”) e l’MP3 è una compressione con perdita, quindi qualcosa deve pur levare.

Quello che però risulta da questa comparazione è che la perdita non si limita alle alte frequenze, ma si estende su tutta la banda. Anzi, è più visibile nella parte medio-bassa della banda acustica e in alcuni punti è anche piuttosto forte. Ora bisogna capire che cosa effettivamente viene tolto, cioè quanto siano significativi quei blob che si vedono nella terza immagine.

Qui sotto potete ascoltare i tre esempi audio da soundcloud: originale, compresso e differenziale. Alzando un po’ il volume si nota come il differenziale contenga chiaramente anche una parte del cantato. Considerando che il bit rate è 128, non è una scoperta, però è un risultato interessante perché è il prodotto di una comparazione numerica precisa, non “spannometrica”.

Ora la discussione può essere impostata in modi molti diversi.

Da un punto di vista, per così dire, filosofico, è chiaro che qualsiasi riproduzione dovrebbe essere vietata e che la musica dovrebbe esistere solamente live. Considerando che le frequenze presenti negli spettri strumentali vanno ben oltre i 20.000 Hertz (vedi il post “C’è vita oltre i 20.000 Hertz!“) e che qualcuno sostiene che, anche se non le sentiamo, queste componenti hanno un qualche effetto su di noi (il che, imho, è tutto da provare), la musica registrata con gli attuali standard e riprodotta con gli attuali impianti è ben diversa dalla sua esecuzione live.

Partendo, invece, da posizioni più, diciamo, utilitaristiche, si tratta di capire quanto valore abbia la riduzione della dimensione dei file che l’MP3 assicura rispetti a ciò che va perso e qui la valutazione dipende molto dalle abitudini di ascolto di ciascuno di noi. Personalmente tengo in MP3 a 320, quindi con compressione limitata, la musica a cui tengo meno e in FLAC (compressione senza perdita) ciò che mi interessa di più, ma ho anche un bell’impianto e generalmente non ascolto con cuffiette o simili.

Invece, pur non comprando quasi più CD, ma solo da negozi online, ormai da tempo non compro musica che mi venga venduta in MP3. Come cliente, esigo sempre una registrazione non compressa o compressa senza perdita.

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Halber Mensch

Wow! Su You Tube c’è l’intero film (~ 1 ora) Halber Mensch (aka ½ Mensch, trad. half humans) di Sogo Ishii dedicato agli Einstürzende Neubauten.

Il film documenta la visita in Giappone della band tedesca e include estratti da alcuni concerti, scene girate mentre la band suona nelle rovine di una vecchia ferriera ed esecuzioni accompagnate da danzatori Butoh.

Venne girato nel 1985 e uscì nel 1986 su VHS per essere poi ristampato su DVD solo nel 2005. Pur essendo su DVD la qualità non è il massimo a causa del materiale di partenza in VHS e proprio per questo la band ne ha realizzato una versione rimasterizzata.

Il titolo è quello dell’album degli Einstürzende Neubauten pubblicato lo stesso anno della tournée giapponese. La formazione è:

  • Blixa Bargeld – voce, chitarra
  • N.U. Unruh – percussioni, voce
  • F.M. Einheit – percussioni, voce
  • Mark Chung – basso, voce
  • Alexander Hacke – chitarra

Avevo già parlato di questo film in un post del 2007, ma allora ne avevo trovato solo un breve estratto.

Virtual Acoustic Modelling

Con il termine “Virtual Acoustic Modelling” si intende la ricostruzione computerizzata dell’acustica di un ambiente. In pratica si realizza un modello acustico di un ambiente mediante il quale è possibile elaborare dei suoni e ascoltarli con la riverberazione e la risposta in frequenza di quell’ambiente.

Se l’ambiente è esistente e accessibile, la cosa è relativamente semplice perché è possibile rilevare la risposta all’impulso di quel luogo. Poi si esegue una convoluzione fra un qualsiasi suono privo di riverberazione (tipicamente registrato in camera anecoica) e la risposta all’impulso per immergere il suono in quell’ambiente (per una spiegazione più dettagliata, vedi Graziani, Riverbero mediante Convoluzione).

St_Marys_Abbey_Church_YorkLa difficoltà nasce quando l’ambiente in esame non è più accessibile, per esempio è stato distrutto o è cambiato radicalmente nel corso degli anni, come nel caso dell’Abbazia di St. Mary a York, della quale rimangono solo rovine (immagine ingrandibile a lato). In questo caso è necessario stimare la risposta all’impulso dell’edificio originale, prendendo in considerazione la sua architettura in termini di volumi e materiali, servendosi di un software di simulazione per calcolare le riflessioni e l’assorbimento a varie frequenze.

Questo progetto viene portato avanti da un team dell’Università di York. In questa pagina  il progetto viene descritto in dettaglio, con alcuni esempi.

Melter 3-D

Created by digital artist Takeshi Murata, this rippling, reflective sculpture was unveiled at Ratio 3 gallery as part of the Frieze art fair. Titled Melter 3-D, the sculptural animation is technically a zoetrope, and only achieves the illusion of motion with the help of a strobe lights or perfectly synchronized still images captured with a camera.

DarkAngelØne

DarkAngelØne è un artista che lavora con le GIF animate. Anche se lui stesso, con una certa umiltà, afferma

Some people call me an artist, I say I’m just a guy who likes to play with photos

ottiene dei risultati sorprendenti. Cliccate l’immagine qui sotto per vedere l’animazione (datele il tempo di caricarsi: una GIF animata è composta da molte immagini e questa, in totale, è 2.5 Mb) e guardate.

Ne trovate altre qui.

nayral-ro

Un altro lavoro di ::vtol::

The orchestra consists of 12 robotic manipulators of various designs, each of which is equipped with a sound-transmitting speaker. The manipulators, combined together, form a single multi-channel electronic sound orchestra. Due to constant displacement speakers in space, changing direction of the sound and the algorithms for generating compositions, the orchestra creates a dynamic soundscape. In order to interact with the orchestra, controller Leap Motion is used, that allows to control robots and sound by simple hands gestures in the air – similarly to conducting an orchestra.

The project is based on the idea of a combination of modern music, computer, interactive and robotic concepts and approaches for the creation of works of art. In many ways, it is inspired by well-known works that were presented in the recent past, such as Pendulum Choir (2011) and Mendelssohn Effektorium (2013). However, Nayral Ro is different from these projects in many ways. Its algorithmic system, in which sound and musical composition are being produced, is real time, and the acoustic environment also changes simultaneously with the process of creating the musical piece. Also, the whole process is completely subordinated by the “conductor”, so this a role is similar to such of a composer, performer and operator at the same time.

Creation of more sophisticated versions, more subtly revealing the potential of Leap Motion for tuning to the movement and changes in sound, is being planned for the future development.

Metaphase Sound Machine

Questa splendida e inusuale macchina sonora è stata progettata e costruita dal media-artist russo Dmitry Morozov (aka ::vtol::).

The Metaphase Sound Machine is a kind of homage to the ideas of the American physicist Nick Herbert who in the 1970s has created both Metaphase Typewriter and Quantum Metaphone (a speech synthesizer). These were some of the first attempts to put the phenomenon of quantum entanglement in practice and one of the first steps towards the creation of a quantum computer. The experimental devices, however, had not confirmed theoretical research, and Herbert’s obsession with metaphysics resulted in the publication of several of his works on the metaphysical in quantum physics, that have led to a serious loss of interest to the ideas of quantum communication. One day, in a course of his experiments, Herbert has hacked into an university computer trying to establish a contact with the spirit of illusionist Harry Houdini at the day of the centenary of his birth.

In his device Herbert in order to achieve a quantum entangled state used as a source radioactive thallium, which was controlled by the Geiger radiation counter. The time interval between pulses was chosen as conversion code. Several psychics had participated in the experiments. They tried to influence the endless stream of random anagrams arising from a typewriter or cause “the ghost voice” to be heard out of metaphone. Scientists also have conducted sessions to bring about the “spirit” of a colleague who had recently died, and who knew about this typewriter. In 1985 Herbert wrote a book about metaphysical in physics. In general, his invention and articles quite severely compromised the ideas of quantum communication in the eyes of potential researchers and by the end of the XX century no any substantial progress in this direction was observed.

The Metaphase Sound Machine is an object with 6 rotating disks. Each of the discs is equipped with acoustic sound source (a speaker) and a microphone. Each of the microphones is connected via computer and the rotary axis to the speakers on the disks. Also in the center of installation a Geiger-Mueller counter is set, that detects ionizing radiation in the surrounding area. The intervals between these particles influence rotation velocity of each of the disks. Essentially the object is an audio- and kinetic installation in which a sound is synthesized based on feedbacks, produced by microphones and speakers on rotating discs. Feedback whistles are used as triggers for more complex sound synthesis. Additional harmonic signal processing, as well as the volatility of the dynamic system, lead to the endless variations of sound. The form of the object refers to the generally accepted symbolic notation of quantum entanglement as a biphoton – crossing discs of the orbits.

Dmitry Morozov

Un altro video sullo stesso soggetto.

::vtol::

Osmo

Osmo è un ambiente costituito da una grande sfera (9 metri) gonfiabile in materiale sintetico leggero. Al suo interno è illuminata da raggi laser che simulano le stelle allo scopo di creare un ambiente isolato dall’esterno, apparentemente enorme perché il materiale è una pellicola in parte riflettente.

Ideato da Loop.pH, un laboratorio sperimentale londinese che lavora nell’area del design, dell’architettura e delle scienze che peraltro ha fatto varie installazioni interessanti, come si può vedere qui.

 

Treatise da Tempo Reale Electroacoustic Ensemble

Tempo Reale Festival 2012
RUMORE ROSA Il paesaggio delle voci

MUSICA COMUNISTA
Salvatore Miele, coordinamento e live electronics
Francesco Casciaro, oggetti sensibili e live electronics
Daniela Cattivelli, campionatore e live electronics
Andrea Gozzi, chitarra elettrica e live electronics
Damiano Meaccii, regia del suono

Cornelius Cardew
Treatise, per ensemble elettroacustico
(prima esecuzione a Firenze)

Edgar Froese (1944-2015)

Edgar Froese è morto a Vienna il 20 Gennaio, ma l’annuncio è stato dato solo il 23.

Unico membro stabile dei Tangerine Dream e a tratti anche unico membro tout court, nel senso che numerose pubblicazioni uscite a nome Tangerine Dream sono in realtà lavori solisti di Froese stesso, è stato l’ispiratore delle sonorità più sperimentali del gruppo, quelle dei primi album legati alla cosiddetta Kosmische Musik degli anni ’70, ispirata da un lato alla psichedelia e dall’altro alla musica minimale e alle composizioni strumentali del Ligeti degli anni ’60 da cui i primi Tangerine Dream pescavano a piene mani.

Tangerine Dream Tangerine Dream 1974 Bordeaux

Pixel

Un altra performance in cui la grafica computerizzata crea un ambiente virtuale con cui i danzatori interagiscono. Come spesso accade in questi casi, imho la musica lascia un po’ a desiderare, ma la parte grafica e l’interazione sono ben studiate, con alcune belle idee.

“Pixel”
Dance show – created in 2014

Pixel is a dance show for 11 dancers in a virtual and living visual environement. A work on illusion combining energy and poetry, fiction and technical achievement, hip hop and circus. A show at the crossroads of arts and at the crossroads of Adrien M / Claire B’s and Mourad Merzouki’s universes.

Artistic Direction and Choreography: Mourad Merzouki
Composed by Mourad Merzouki & Adrien M / Claire B
Digital Design: Adrien Mondot & Claire Bardainne
Music: Armand Amar
Produced by CCN de Créteil et du Val-de-Marne / Compagnie Käfig

This video is a cut of extracts from the actual show shot during the last day of creation on November the 14th 2014. Shooting and editing : Adrien M / Claire B.
Premiered at Maison des Arts de Créteil on November the 15th 2014. Duration of the show : 1h10.

The Adrien M / Claire B Company has been acting in the fields of the digital arts and performing arts since 2004. They create many forms of art, from stage performances to exhibitions combining real and virtual worlds with IT tools that were developed and customised specifically for them. They place the human body at the heart of technological and artistic challenges and adapt today’s technological tools to create a timeless poetry through a visual language based on playing and enjoyment, which breeds imagination. The projects are carried out by Adrien Mondot and Claire Bardainne. The company operates as a research and creativity workshop based out of Presqu’île in Lyon.

Password 123456

Recentemente SplashData, una organizzazione che si occupa di sicurezza, ha pubblicato l’elenco delle password più utilizzate nel 2014. Questa classifica viene stilata analizzando i file pubblicati in seguito a massicci attacchi cracker che coinvolgono grandi organizzazioni con milioni di utenti.

Ecco le prime 25 password che, sempre secondo SplashData, costituiscono, da sole, il 2.2% delle pw, con a lato una cloud realizzata da Mark Burnett che esprime in forma grafica la frequenza delle prime 500 pw:

Rank Password Change from 2013
1 123456 No Change
2 password No Change
3 12345 Up 17
4 12345678 Down 1
5 qwerty Down 1
6 123456789 No Change
7 1234 Up 9
8 baseball New
9 dragon New
10 football New
11 1234567 Down 4
12 monkey Up 5
13 letmein Up 1
14 abc123 Down 9
15 111111 Down 8
16 mustang New
17 access New
18 shadow Unchanged
19 master New
20 michael New
21 superman New
22 696969 New
23 123123 Down 12
24 batman New
25 trustno1 Down 1
pwcloud 2014

Interessante notare come gli utenti insistano nel farsi del male: la maggior parte delle pw continuano ad essere quelle ormai abusate da anni con le famosissime “123456” e “password” ai primi due posti. Su 25, solo 11 sono nuove rispetto all’anno precedente e corrispondono a nomi di sport, star o supereroi (michael è Jordan).

Interessante anche l’ossimoro “trustno1” (non fidarti di nessuno) al 25° posto (oltretutto è la pw di Fox Mulder in X-Files).

Notare che, secondo uno studio del 2011 di Mark Burnett, la pw del 30% degli utenti è compresa fra le prime 10000 in termini di frequenza d’uso. Quindi, statisticamente, insistendo su un account fino a fare 10000 tentativi, una volta su 3.3 si entra. Diecimila tentativi sembrano molti, ma, ovviamente, non si fanno manualmente, ma via software, con programmi automatici che si collegano via proxy cambiando ogni volta l’IP.

Per darvi un’idea di come stanno le cose nella realtà, prendiamo questo blog (proprio questo che state leggendo), che non è nemmeno così famoso. Dal 1/11/2014 a oggi io mi sono loggato circa una volta al giorno, cioè più o meno 80 volte. Nello stesso periodo, i tentativi di accesso, fortunatamente falliti, sono stati 61777 (sessantunmilasettecentosettantasette) cioè circa 770 al giorno, 32 ogni ora, mediamente 1 ogni 2 minuti.

In questo modo si possono fare 10000 tentativi in circa 13 giorni. Ma il cracker intelligente non fa così. Generalmente, inizia facendo un migliaio di accessi molto rapidamente (circa 4/5 al secondo) tentando le 1000 pw più comuni in circa 4 minuti. Se così non entra, significa che l’amministratore non è totalmente idiota. Il sito scende di priorità e la frequenza dei tentativi si abbassa diventando più sporadica via via che si si è costretti a tentare pw sempre meno comuni, fino ad arrivare a qualche tentativo ogni ora (per esempio, c’è uno che ormai è alla frutta e fa solo 5 tentativi ogni 4 ore). Naturalmente il tutto è gestito da un software e il cracker deve solo preoccuparsi di rifornire il programma con gli URL di siti su cui tentare.

Buon divertimento 😛

RAM: Reactor for Awareness in Motion

Yamaguchi Center for Arts and Media (YCAM) has played an active role in cultivating creative and research environments to support the art & technology of the next generation. Since 2011, we have carried out “Reactor for Awareness in Motion (RAM)”, a research project for developing tool for dance creation and education, with Yoko Ando, a dancer from The Forsythe Company, a leading contemporary dance company and programmers from Japan and the US. Professionals in dance and technology shared an innovative concept in dance and developed it in the form of a physical tool and workshop. It is a revolutionary project in the sense that the technology is not only for theatrical effect, but also to embody one of the very natures of dance and communicate it with the world. What we witness is a technological inquiry into the nature of dance. Customized based on the perspectives of the dancer, the digital tool writes a new chapter in the history of experience in dance and technology.

RAM Dance Toolkit is a C++ creative coding toolkit to create environments for dancers. This toolkit contains a GUI and functions to access, recognize, and process motion data to support creation of various environmental conditions (called “scene”) and gives real time feedbacks to dancers using code in an easy way.
MOTIONER is the inertial motion capture system developed for RAM. The computer captures the dancer’s movements via 18 sensors attached to the dancer’s body. In general, motion capture systems are very expensive and very accurate, or very cheap and very inaccurate. To address this problem we designed one which is relatively low in cost and fairly accurate.

RAM and MOTIONER are licensed under Creative Common and can be downloaded from this page.

Resonant Architecture

ARCHITECTURE AS AN INSTRUMENT
VIDEO DOCUMENTARIES ABOUT ARCHITECTURAL SPACES SET INTO VIBRATION

Since 2006, the Art of Failure collective has been sending bass frequencies into remarkable architectural structures. These experiences establish a dialog between architecture, the structures’ spatial components, and their geographic context – revealing building’s specific acoustic and vibrating qualities.

A projet by: Art of Failure
Art direction: Nicolas Maigret
Conception: Nicolas Maigret, Jeremy Gravayat, Nicolas Montgermont
Video / editing: Jérémy Gravayat
Sound recordings / Mixing: Yann Leguay
Sound installations: Nicolas Maigret, Nicolas Montgermont
Supports: Arcadi, Cnc Dicream, Cnap, Futur En Seine, Ville De Clichy – Production: Ososphere, Seconde Nature, Sonic Protest, Ars Longa, Gaite Lyrique

More on resonantarchitecture.com

resonant architecture

Epitaph for Moonlight

schaferUn altro brano corale di Murray Schafer con una bella partitura grafica.

Epitaph for Moonlight (1968), for youth choir with optional bells.
Roanoke College Choir, Jeffrey Sandborg director.

It is a free composition in which the singers must improvise from given indications of pitch, intensity and duration. To accompany the voices there is a selection of instruments as desired: glockenspiels, metallophones, vibraphones, triangles, bells, cymbals. The vibrations from these instruments, when used carefully, produced luminous effects that are evocative of moonlight reflecting on water. The score is written graphically and so does not require a knowledge of conventional musical notation.

Snowforms

Murray ShaferR. Murray Schafer – Snowforms (1982) – for treble choir

The text consists of inuit words for various kinds of snow : apingaut , first snowfall; mauyk, soft snow; akelrorak , drifting snow ; pokaktok , snow like salt.

Notes from the composer:

In 1971 I flew the polar route from Europe to Vancouver over Greenland. Clear weather provided an excellent opportunity to study the forms of that spectacular and terrifying geography. Immediately, I had an idea for a symphonic work in which sustained bulks of sound would be fractured by occasional splinters of colour. That experience remains clear in memory. It suggested the orchestral textures of “North/White” and it returns now to shape “Snowforms”, yet very differently, for my memory of the vast foldings of Arctic snow has been modified by the experience of passing winters in Ontario. Often on a winter day I have broken off from other work to study the snow from my farmhouse window, and it is the memory of these forms which has suggested most of the continuous horizon of “Snowforms “.

Sometimes I have given children ‘sight-singing’ exercises in which they are asked to ‘sing’ drawings or the shapes of the distant horizon. Snowforms began as a series of sketches of snowdrifts, seen out the window of my Monteagle Valley farmhouse. I took these sketches and traced a pentagram over them. The notes of the pieced emerged wherever the lines of the sketch and the stave crossed. Of course I modified the drawings as necessary since the work is primarily a piece of music and only secondarily a set of sketches. I printed the work so that the shapes of the snow were in white over a pale blue background.

The entire piece is soft, and I wanted the voices to slide from note to note just like falling or drifting snow. Snowforms is related to Epitaph for Moonlight, Miniwanka and Sun ; they are all descriptions of nature. Later I was to add Fire, A Garden of Bells and Once on a Windy Night as further celebrations of natural phenomena. As the urban populations of the world grow, the forces and charms of nature are more distanced from increasing numbers of people. But I do not write such works out of nostalgia; they are a very real part of my life. Snowforms was actually preceded by a much more complex work of the same name which was performed once by the Vancouver Chamber Choir, but I am glad I withdrew it, substituting this simpler and purer expression of one of nature’s most beautiful elements.

Notes from co-conductors :

This 20 th century monument of treble choral literature was written in 1982 by the imaginative, highly respected, internationally praised composer, R. Murray Schafer. Watching from his farmhouse window in Ontario , Schafer was intrigued by the various shapes, forms, and ever-changing, soft foldings of snow. From these observations came the inspiration to write Snowforms. Using graphic notation, he asks singers to sing ‘shapes’ or ‘drawings’ which are representations of snow forms on the distant horizon. Schafer’s graphic notation is augmented by suggested pitches and the voices are asked to ‘glide’ from one pitch to another in a continuous portamento. A time log is written in the score to suggest durations but Schafer is quite specific that conductors should not feel ‘enslaved’ by the timed suggestions. Although it was written for two part treble chorus, there are a few times within the score when each of the two parts split into four independent lines. Except for the occasional interjection of words which mean various types of ‘snow’ in the Inuit language the entire piece is hummed thereby giving a sense of smoothness and peaceful quietness or hush. Challenges for the conductor are to find gestures that suggest and mirror the contours that are found within the score. Challenges for the singers are to believe the piece will ‘work’ and to trust the instincts and imagination of not only the composer and conductor but also of themselves. Snowforms is a remarkable work that fascinates listeners but more importantly encourages collaboration and exchange of ideas between conductors and singers. It encourages performers to create music beyond the bounds of a traditional score with very satisfying results. – DL

Snowforms Score

Arras

Barry Truax – Arras (1980) – for four computer-synthesized soundtrackstruax

Author’s notes:

Arras refers metaphorically to the heavy wall hanging or tapestry originally produced in the French town of the same name. The threads running through the material form both a background and, when coloured, a foreground pattern as well, even when they are the same thread. In the piece there is a constant ambiguity between whether a component sound is heard as part of the background texture, or whether it is heard as a foreground event because, in fact, the frequencies are the same. The listener can easily be drawn into the internal complexity of the constantly shifting pattern, but at the same time can sense the overall flow of the entire structure.

Arras is a continuously evolving texture based on a fusion of harmonic and inharmonic spectra. The large-scale structure of the piece follows a pattern of harmonic change going from closely spaced odd harmonics through to widely spaced harmonics towards the end. Each harmonic timbre is paired with an inharmonic one with which it shares specific harmonics, and with which it overlaps after each twenty-five second interval. This harmonic/inharmonic structure forms a background against which specific events are poised: shorter events, specific high pitches which otherwise would be imbedded in the overall timbre, and some percussive events. However, all frequencies found in the foreground events are the same as those in the background texture; hence the constant ambiguity between them.

Arras received an honourable mention in the computer music category of the 1980 International Competition of Electroacoustic Music sponsored by the G.M.E.B. in Bourges, France.

Arras is available on the Cambridge Street Records CD Pacific Rim, and the RCI Anthology of Canadian Electroacoustic Music.

More technical notes here.
Listen to Arras excerpt.

Androgyny

Barry Truax – Androgyny (1978) – a spatial environment with four computer-synthesized soundtracks

Author’s notes:

Androgyny explores the theme of its title in the abstract world of pure sound. The piece, however, is not programmatic; instead, the dramatic form of the piece has been derived from the nature of the sound material itself. In this case, the sound construction is based on ideas about an acoustic polarity, namely “harmonic” and “inharmonic,” or alternatively, “consonance” and “dissonance.” These concepts are not opposed, but instead, are related in ways that show that a continuum exists between them, such as in the middle of the piece when harmonic timbres slowly “pull apart” and become increasingly dissonant at the peak intensity of the work. At that point a deep harmonic 60 Hz drone enters, similar to the opening section, but now reinforced an octave lower, and leads the piece through to a peaceful conclusion. High above the drone are heard inharmonic bell-like timbres which are tuned to the same fundamental pitch as the harmonic drone, a technique used throughout the work with deeper bells.

The work is designed to sound different spatially when heard on headphones. Through the use of small binaural time delays, instead of intensity differences, the sounds are localized outside the head when heard through headphones. Various spatial movements can also be detected, such as the circular movement of the drones in the last section of the piece.

Although not intended to be programmatic, the work still has environmental images associated with it, namely those suggested by the I Ching hexagram number 62, Preponderance of the Small, with a changing line to number 31, Wooing. The reading describes a mountain, a masculine image, hollowed out at the top to enclose a lake, a feminine image. The two exist as a unity. Thunder is heard close by, clouds race past without giving rain, and a bird soars high but returns to earth.

Androgyny is available on the Melbourne album Androgyne and the Cambridge Street Records CD, SFU 40.

Production Note:

The work was realized with the composer’s POD6 and POD7 programs for computer sound synthesis and composition at Simon Fraser University. All the component sounds are examples of frequency modulation (FM) synthesis, generated in binaural stereo, with time differences between channels. However, considerable analog mixing in the Sonic Research Studio at Simon Fraser University produced the resulting complex work.

Listen to Androgyny

Stereopublic

Stereopublic è un progetto lanciato dal sound artist australiano Jason Sweeney. Il fine è quello di individuare e segnalare i punti più tranquilli di una città e condividerli. Sweeney, inoltre, compone un breve brano di ambient music per ogni luogo segnalato.

Si tratta di un progetto a libera partecipazione, nel senso che, dopo essersi registrato, chiunque può segnalare un luogo in qualsiasi città. Sulla mappa si vedono già parecchie città. Nell’immagine, alcuni luoghi di Londra.

È stata anche sviluppata una applicazione per cellulare, purtroppo solo per iPhone/iPad, il che limita notevolmente le potenzialità di un progetto di questo tipo, che invece conta molto sulla partecipazione pubblica.

stereopublic: crowdsourcing the quiet is a participatory art project that asks you to navigate your city for quiet spaces, share them with your social networks, take audio and visual snapshots, experience audio tours and request original compositions made using your recordings.

stereopublic

Untitled by John Wynne

john_wynne_untitledJohn Wynne – Untitled (2009)

300 speakers, Pianola, vacuum cleaner, audio amplifiers, hard disc recorder, speaker wire, suction hose, piano roll

Notes from author’s site

John Wynne’s untitled installation for 300 speakers, player piano and vacuum cleaner is at once monumental, minimal and immersive. It uses sound and sculptural assemblage to explore and define architectural space and to investigate the borders between sound and music.

The piece has three interwoven sonic elements: the ambient sound of the space in which it is installed, the notes played by the piano, and a computer-controlled soundtrack consisting of synthetic sounds and gently manipulated notes from the piano itself. Because none of these elements are synchronised with each other, the composition will never repeat.

The music punched into the paper roll is Franz Léhar’s 1909 operetta Gypsy Love, but the mechanism has been altered to play at a very slow tempo and the Pianola modified to play only the notes which most excite the resonant frequencies of the gallery space in which it is installed.

Sound moves through the space on trajectories programmed using a 32-channel sound controller, creating a kind of epic, abstract 3-D opera in slow motion. Originally developed at Beaconsfield Gallery, a former Victorian ‘ragged school’ in South London, this piece draws on notions of obsolescence and nostalgia, combining early 20th -century technology and culture with a vast collection of recently discarded hi-fi speakers.

These disparate components are brought together through contemporary digital technology which not only distributes the sound but also controls the (found) vacuum cleaner which in turn drives the Pianola. The piece is site-specific, but it also carries traces of its own history: some of the synthetic sounds were created in response to the light industrial ambience of the work’s original location, some in response to its new site in the Saatchi Gallery. The mountainous formation of speakers, inspired by the recycling plant from which they were rescued, functions both visually and as a platform for the projection of sound, creating, in the words of writer Brandon LaBelle, ‘a soft balance between order and chaos, organization and its rupture’.

Phantom Terrains

Streams of wireless data surge from internet exchanges and cellphone relays, flowing from routers to our devices and back again. This saturation of data has become a ubiquitous part of modern life, yet it is completely invisible to us. What would it mean to develop an additional sense which makes us continuously attuned to the invisible data topographies that pervade the city streets?

Phantom Terrains is an experimental platform which aims to answer this question by translating the characteristics of wireless networks into sound. By streaming this signal to a pair of hearing aids, the listener is able to hear the changing landscapes of data that surround them. Network identifiers, data rates and encryption modes are translated into sonic parameters, with familiar networks becoming recognizable by their auditory representations.

The project challenges the notion of assistive hearing technology as a prosthetic, re-imagining it as an enhancement that can surpass the ability of normal human hearing. By using an audio interface to communicate data feeds rather than a visual one, Phantom Terrains explores hearing as a platform for augmented reality that can immerse us in continuous, dynamic streams of data.

Below the map is an audio recording of part of the same walk, as heard through the Phantom Terrains sonification interface. The sound of each network is heard originating from the router’s geographical location, producing clicks whose frequency rises with the signal strength — akin to a layered series of Geiger counters. Routers with particularly strong signals “sing” their network name (SSID), with pitch corresponding to the broadcast channel, and a lower sound denoting the network’s security mode.

The Harmonics of Real Strings

john_lelyIn questa composizione di John Lely per violoncello solo, l’esecutore esegue un lunghissimo glissando su una sola corda, dal capotasto fino al ponte, esercitando una leggera pressione per ottenere gli armonici, da cui il titolo The Harmonics of Real Strings (2006/2013). Nel CD edito da Another Timbre si possono ascoltare quattro versioni del brano, una per ciascuna corda del violoncello. L’esecutore è Anton Lukoszevieze.

Nella stessa pagina trovate anche un’intervista con il compositore. Nella pagina di John Lely su Soundcloud potete ascoltare anche le versioni per violino e per contrabbasso.

Horror Movie

portal partyUn breve film sui film, anzi un film sui DVD in cui i DVD sono protagonisti e in effetti fa parte di una serie realizzata da Portal Party, un canale You Tube che si presenta così:

PORTAL PARTY consists of Aaron Maurer, Eric Clem, and Dylan Dawson. Together, they make fun, weird videos for the internet and for themselves.

Il titolo della serie è, appunto, Movies Starring Movies.

Questo è il quinto episodio, in perfetto stile weird. Gli altri li trovate qui su You Tube e qualcuno anche su Vimeo. Non snobbatelo. Sotto certi aspetti è geniale.

Intemporalité

intemporalitéè un film sperimentale su Parigi realizzato a partire da un gran numero di fotografie volutamente deformate e animate.

Come al solito lamento il fatto che la parte visuale è così sperimentale, mentre la musica è più o meno la solita: semplice tonalità arricchita da effetti. Non che non ci stia, anzi segue bene il ritmo delle immagini, solo che è evidente che la ricerca è visuale e la musica è intesa come commento (peraltro ben integrato).

Film by Didier Viode
Musica: Chris Komus – Cordyceps “Cannibal in Utero”

Autotune 4’33”

C’è anche questa versione di Matthew Reid che è abbastanza interessante. Reid ha eseguito il brano filtrando il microfono con un equalizzatore regolato in modo da rinforzare le frequenze di risonanza della stanza. Di conseguenza si è prodotto un feedback.

La registrazione è stata poi passata in Autotune che ha intonato tutti i feedback, sia il bordone del secondo movimento che i vari suoni del terzo. In un certo senso è una versione elettroacustica del brano.

Brutal death metal 4’33”

La popolarità di John Cage ormai ha raggiunto livelli impensabili. Ecco 4’33” eseguito da Infestation, una brutal death metal band. I commenti su You Tube sono pochi, ma favorevoli e anch’io trovo sia un’esecuzione ben fatta.

Abjad

Abjad: generare partiture complesse in Python.

Abjad helps composers build up complex pieces of music notation in an iterative and incremental way. Use Abjad to create a symbolic representation of all the notes, rests, staves, tuplets, beams and slurs in any score. Because Abjad extends the Python programming language, you can use Abjad to make systematic changes to your music as you work. And because Abjad wraps the powerful LilyPond music notation package, you can use Abjad to control the typographic details of the symbols on the page.

Questo frammento è tratto da Désordre di Ligeti. Notare la metrica diversa fra le due mani. In realtà, il software capace di scrivere queste figurazioni è LilyPond, perché Abjad genera istruzioni per quest’ultimo.

I tempi sono cambiati

Bologna. Il 23 giugno del 1643, su richiesta dei professori e studenti dell’Università fu avanzata al Comune una perentoria protesta affinché fosse fatto divieto al transito per i carri attorno all’Archiginnasio per consentire agli studenti di studiare nel dovuto silenzio. L’istanza fu accolta.
[Tratto da Sounday Times, Il rumore e la città – considerazioni sul convegno la città nel rumore il rumore nella città]

Questo non per fare un elogio dei bei tempi andati, ma solo per sorridere un po’ 🙂 . In fondo parliamo di quasi 400 anni fa.

Feedback Babies

Un’altra installazione di Darsha Hewitt.

I Fisher-Price Nursery Monitor sono gli antenati (ca. 1983) degli odierni baby monitor con cui si può ascoltare il pargolo a distanza, anche via cellulare. L’ingombrante modello degli anni ’80 era costituito da un trasmettitore e da un ricevitore operanti su frequenze radio. Darsha Hewitt ha trovato un modo di riutilizzare questo dispositivo ormai obsoleto.

The Fisher-Price Nursery Monitor (circa 1983) was a low watt household radio set originally intended to “let parents be in two places at once” by broadcasting the cries of a baby in distress to a mobile receiver accompanying a parent outside of earshot. However, when in very close proximity these devices produce audible feedback that sounds uncannily like whimpering electronic babies. Feedback Babies is an electromechanical sound apparatus that makes use of slow moving motors to automate these transmitters in order to create nuanced feedback patterns.

Cities & Memory

cities_memoryCities & Memory è l’ennesima mappa sonora dell’orbe terracqueo, ma è anche una delle più curate perché ha varie sezioni, ordinamenti e collezioni.

Cities and Memory is a global field recording & sound art work that presents both the present reality of a place, but also its imagined, alternative counterpart – remixing the world, one sound at at time.

Every faithful field recording document on the sound map is accompanied by a reworking, a processing or an interpretation that imagines that place and time as somewhere else, somewhere new. The listener can choose to explore locations through their actual sounds, or explore interpretations of what those places could be – or to flip between the two different sound worlds at leisure.

There are currently [dec 2014] more than 350 sounds featured on the sound map, spread over 23 countries.The sounds cover parts of the world as diverse as the hubbub of San Francisco’s main station, traditional fishing women’s songs in Lake Turkana, the sound of computer data centres in Birmingham, spiritual temple chanting in New Taipei City or the hum of the vaporetto engines in Venice.

The sonic reimaginings or reinterpretations can take any form, and include musical versions, slabs of ambient music, rhythm-driven electronica tracks, vocal cut-ups, abstract noise pieces, subtle EQing and effects, layering of different location sounds and much more.

The project is completely open to submissions from field recordists, sound artists, musicians or anyone with an interest in exploring sound worldwide – more than 60 contributors have got involved so far.

Cities and Memory takes its name and original inspiration from Italo Calvino’s book Invisible Cities, which explores how people can experience the same place in dramatically different ways.

Electrostatic Bell Choir

electrostatic bell choirAn installation by Darsha Hewitt.

The Electrostatic Bell Choir is an electromechanical sound installation that plays with the static electricity emitted from discarded CRT television monitors. This static (that can be felt when one places their hand on the screen when the TV is turned on) is gleaned for its potential to generate subtle movement and is used as the driving kinetic force in the artwork. Sets of static bells consisting of ultra lightweight pith balls and bells from old grandfather clocks and rotary telephones are mounted in front of an assembly of twenty reclaimed Cathode Ray Tube television sets. A control circuit cycles the TVs on and off in alternating sequences which causes static to build up on the monitors. This static charge agitates the hanging pith balls, causing them to waver and lightly strike the bells ‐ resulting in quasi‐melodic compositions. The TVs are muted, tuned to various channels of white noise and physically spatialized in order to devise a dynamically layered soundscape textured with the signature high-frequency hums, pops and buzzes of the cathode ray tubes warming up. Although compositions are programmed into the piece, it inevitably takes on a character of its own as the static fluctuates and dissipates in response to ethereal nuances (i.e.: changes in air quality such as humidity). The glow of the screens and the subtle resonance of the bells magically punctuate the dark surroundings of the installation.

Electrostatic bells were invented in 1742 by Andrew Gordon, Professor of Natural Philosophy at the University at Erfurt, Germany. This is the first device known to convert electrical energy into mechanical energy (the moving of a bell clapper back and forth between two oppositely charged bells). It was popularly used at the time to predict oncoming thunderstorms by sensing static electricity in the air. The Electrostatic Bell Choir aims to focus the sensibility of this invention to a more personal scale where it demonstrates the intriguing effects of the invisible environment that constitute our domestic spaces. The artwork is at once mysterious yet can be tangibly deconstructed as the relationship between the static charges and the bells is observed as the TVs illuminate and catalyse the effect.

See also: Franklin bells and Oxford Electric Bell.

L’Illuminazione

The Quiet Ensemble è un collettivo artistico formato da Fabio Di Salvo & Bernardo Vercelli.

the enlightenmentNella loro installazione The Enlightenment ogni lampada è dotata di un sensore che ne cattura il campo elettromagnetico. Il ronzio che si genera viene inviato al computer e poi all’impianto di amplificazione. Dalle note degli autori (di seguito), non è chiaro se il suono venga elaborato in qualche modo o semplicemente mixato e amplificato.

Un concerto in cui l’orchestra classica e gli strumenti vengono sostituiti da un set up elettrico. Al posto dei violini suonano i neon, a sostituire i tamburi sono le lampade stroboscopiche e al posto dell’arpa vediamo un faro teatrale che illumina il pubblico. Saranno quindi luci di ogni genere a sostituire gli strumenti musicali.

Ogni tipo di lampada ha un suono proprio, costituito dall’amplificazione della propria “ronza”, quel rumorìo di disturbo che solitamente viene eliminato durante concerti e spettacoli, generato dall’energia elettrica che alimenta ogni singolo faro.

Le frequenze che emettono le luci si sentono sotto pelle e variano in base alla dimensione ed al tipo d’illuminazione della lampada.

Per estrapolare il suono nascosto delle luci viene utilizzata una bobina di rame.

Ogni lampada ha un proprio sensore che ne percepisce il suono; quando la lampada irradia la luce, il sensore ne cattura il campo elettromagnetico presente intorno al flusso energetico e il rumore viene trasportato attraverso dei cavi microfonici al computer per poi uscire direttamente dall’impianto audio rivelando il “concerto invisibile”.

Il malfunzionamento dell’iperdrive del Millennium Falcon

star-wars-hyperdriveBen Burtt, sound designer, spiega come è stato creato il suono, in parte comico, del malfunzionamento dell’iperdrive del Millennium Falcon in Star Wars.

Il suono in questione è il missaggio di otto suoni diversi, quasi tutti prodotti da false partenze o spegnimento di motori o ingranaggi. Il che dimostra, ancora una volta, che, per fare il sound designer, non serva poi essere degli esperti in tecnologie, quanto essere creativi e soprattutto aver passato così tanto tempo ad ascoltare e sperimentare con il suono da riuscire a capire quale effetto può fare un certo suono, magari iper-amplificato o con la velocità cambiata.

In effetti, in questo esempio, la tecnologia arriva, al massimo, a un mixer e a un registratore a velocità variabile. E di questo è fatto il 98% degli effetti cinematografici più famosi (in Star Wars fa eccezione il suono di R2D2 creato con un sintetizzatore analogico ARP 2600).

Ben Burtt ha creato quasi tutti i suoni di Star Wars mediante missaggi. Per la voce di Chewbacca, per esempio, ha registrato centinaia di suoni di orsi, trichechi, leoni e altri animali. Poi ha cercato di catalogarli in base alle emozioni che trasmettevano e fondendoli insieme, ha creato il linguaggio di Chewbacca.

È interessante, poi, sentire come ha creato il famosissimo suono della spada laser:

Burtt said he could “hear the sound in his head.” At the time, he was still a graduate student at USC and was working as a projectionist. The old projector had an interlocked motor which, when idle, made a “wonderful humming sound.” Burtt recorded it, and it became the basis of the lightsaber sound. But it wasn’t enough — he needed a buzzing sound, and he actually found it by accident. Walking by television set with a live microphone, the microphone picked up the transmission from the unit and produced a buzz. Burtt loved it, recorded it, and combined it with the projector motor, creating a new sound that became the basic lightsaber tone. To achieve the aural effect of a lightsaber moving, he played the hum out of a speaker and waved a microphone by it; doing so created the fascimile of a moving sound, and in this case, the sound of a Jedi or Sith wielding a weapon in battle.

Il tutto fa pensare alla vecchia conferenza di Stockhausen su scoperta e invenzione, la cui essenza è che in campo musicale (e sonoro), alcune cose accadono perché sono state progettate, mentre altre si scoprono per puro caso, spesso lavorando a qualcos’altro.

Invisible Cities

Invisible Cities (2013) è un’opera di Christopher Cerrone, compositore e librettista, ispirata alle Città Invisibili di Calvino, pubblicato nel 1972.

INVISIBLE-CITIES-production-photo-by-Dana-RossLa fruizione è inusuale. Il palcoscenico è la storica Union Station di Los Angeles. Non c’è separazione fra gli strumentisti, i danzatori, i cantanti e il pubblico: tutti si aggirano per la stazione e il pubblico può ascoltare la musica dovunque, essendo dotato di cuffie wireless (il main sponsor è Sennheiser). E devo dire che ambientare quello che, sia pure solo in superficie, è un racconto di viaggi in un luogo deputato ai viaggi è una bella idea.

Perché l’opera narra, appunto, il racconto di Marco Polo a Kublai Khan. I suoi viaggi e le favolose città che ha visto: alcune reali, altre frutto dell’immaginazione. Città di desiderio, di segni, e di memoria.

La musica è semplice, quasi minimalista, di quella tipica tonalità americana che, grazie alla ripetizione, annulla il dramma tonale per diventare quasi drone music (ma si può anche sentirvi la netta influenza di Escalator Over The Hill di cui potete leggere fra i collegamenti, sotto). Nel player, qui sotto, potete ascoltarne una parte, ma il modo migliore per farsi un’idea è andare sull’apposita pagina dove si possono vedere dei video ad alta risoluzione, girati nella Union Station, con audio molto buono.

Note dal sito dell’autore:

The music of Invisible Cities is the result of my first collision with Calvino’s extraordinary novel. For years I had been unable to bridge categories of music, thinking that a work could be either lyrical or conceptually rigorous, but not both. Calvino’s novel, however, is both a tightly structured mathematical work, yet also opens with the gorgeous line:

“In the lives of emperors there is a moment which follows pride in the boundless extension of the territories we have conquered, and the melancholy and relief of knowing we shall soon give up any thought of knowing and understanding them.”

After reading that sentence—so pregnant with meaning, lyricism, mood—I immediately began composing. I imagined the sound of a unearthly resonant and gong-like prepared piano, the ringing of bells, and wind players gently blowing air through their instruments. All of this would support a lyrical and deep voiced Kublai Khan who is slow moving and sings with gravitas. I imagined there would be two women, two high sopranos, who always sing together in harmony: they would be the musical personification of the cities that pervade the novel. And of course, our Italian explorer would be a tenor, light and quick moving, melismatic, and deft.

As with Calvino, there are many formally derived components to my opera. The orchestra is split into two (left and right) halves which alternate melodies to create the whole. The left part is associated Marco Polo, the right is associated with Kublai Khan. And the opera is structured as formally as the novel, always alternating Polo and the Khan’s conversations with Polo’s stories of le città.

To borrow a term from of one of Calvino’s favorite writers, Jorge Luis Borges, Invisible Cities is a garden of forking paths. As the work progresses, you might find yourself wandering back to the same place in Union Station again and again only to find new things happening each time. In the same way, the same few musical ideas of Invisible Cities are revisited again and again, just from vastly different perspectives. As we grow and evolve, the same objects in our lives can acquire such different meanings. That above else governs what Invisible Cities is about: how our memories change as we get older, how our map of the world gets larger, and how our past is always being changed by our ever-shifting present.

Concerto a Riva d.G.

Venerdì 19 dicembre si parlerà a Riva del Garda del rapporto tra musica ed architettura nell’ultimo appuntamento del ciclo “Incontri di analisi e composizione”, organizzati ogni anno dalla sezione staccata del Conservatorio “Bonporti”.

Nel prima parte del pomeriggio, alle ore 16.00, si terrà una tavola rotonda dedicata all’istituzione di un Centro studi e documentazione musica/architettura presso la sede staccata di Riva del Garda del Conservatorio di musica “F.A.Bonporti” di Trento. All’incontro parteciperanno i docenti Franco Ballardini, Simonetta Bungaro, Massimo Priori, Marco Russo (Università di lettere di Trento), Corrado Ruzza (moderatore), Anna Vildera e Alberto Winterle (presidente dell’ordine degli architetti di Trento).

Il Centro si prefigge di svolgere attività di ricerca, divulgazione, formazione, documentazione e catalogazione sulle relazioni tra musica e architettura nelle diversificate manifestazioni che le due discipline hanno proposto e sviluppato, e ricercare possibili nuovi sviluppi. L’intenzione è quella di creare un punto di riferimento per gli studiosi, gli studenti, gli insegnanti, gli architetti, i compositori, e tutti coloro che intendono approfondire questo ambito d’indagine, ossia lo studio delle relazioni tra musica e architettura nei vari periodi storici, con riferimento alle teorie architettoniche, musicologiche e compositive, con il fine di mettere in luce le analogie, accostamenti, interrelazioni, e sinergie. Un’attenzione è posta anche alla tematica dell’acustica architettonica, alle relazioni tra spazio fisico e sonoro, e di come questa sinergia abbia condizionato la composizione musicale e l’architettura.

A seguire, alle ore 19.00, si terrà un concerto a tema con musiche strumentali ed elettroacustiche create tenendo presente il rapporto tra musica ed architettura. I compositori Emanuela Ballio, Cosimo Colazzo, Mauro Graziani, Luca Richelli, Massimo Priori, J. C. Risset e Francesco Schweizer presenteranno le loro opere grazie all’esecuzione di Daniel Roscia al clarinetto, lo stesso Schweizer al pianoforte e l’ensemble To B. E. 2 – To Blow Electricity.
Concerto_riva

Ascoltando wikipedia

listen to wikipediaListen to Wikipedia è una sonification dei cambiamenti fatti in wikipedia in tempo reale, con relativa visualizzazione. Quest’ultima esisteva già, ma adesso Hatnote ha aggiunto un gradevole audio.

Dei suoni tipo campana indicano aggiunte a un articolo, mentre le corde pizzicate suonano quando si cancella qualcosa. Le altezze sono pilotate dall’entità dell’editing (più grande = nota più bassa). Un dolce accordo di archi sottolinea l’entrata di un nuovo utente.

Questa è la pagina.

Solaris (not the film)

Un video ispirato a Solaris (suppongo l’ultima versione, visto che ne ha ereditato la musica di Cliff Martinez) realizzato da Odaibe durante lo studio di Touch Designer.

IMHO, la parte musicale è un po’ povera e soprattutto non ha alcun collegamento strutturale con l’immagine, ma quella video, composta da migliaia di particles che si organizzano secondo diversi campi di forza è affascinante.

Peraltro, video come questo segnano punti a favore del tempo differito rispetto al tempo reale.

Melody Generator

Not much remains of this Melody Generator. This is the article by the author, Dirk-Jan Povel, published in 2010. There is no more trace of this software on the internet.

melody generator
Melody Generator is a tool for the construction of (tonal) melodies. Melody Generator runs on Macintosh and Windows platforms and can be downloaded freely.

A melody is conceived as consisting of a number of Parts. At present Melody Generator comprises three models of Melody generation: Attraction, Chord-based, Scale-based.

Each Part is generated in a number of phases: Construction, Editing, Re-arranging, and Transforming:

Construction is performed in the Melody Construction pane, shown above. Each aspect of a Part can be generated repeatedly and the results inspected. A melody can also be based upon a ‘Form’. By pushing the ‘Done’ button the construction of a Part is terminated.

Editing Notes can be added by right-clicking on an empty slot, notes can be removed or modified by right-clicking on a note.

A melody can be elaborated and transposed. Elaboration may again be removed.

Arrange: After one or more Parts have been generated, Parts can be removed, moved and duplicated.

Transform After a Part has been finished you can apply one or more transformations. These are are most useful for making variations of a Part.

Each step in the construction of a melody is displayed in the Melody pane and can be played with the parameter settings in the Play parameters pane.

Melodies can be stored temporarily in the Melody Store pane. Melodies can be saved to disk in MIDI format and mg2 format.

Software by Dirk-Jan Povel.

Download from here.

BEASTmulch

super-collider

BEASTmulch is an AHRC (Arts & Humanities Research Council) funded research project exploring approaches to large-scale multichannel electroacoustic composition and presentation, lead by Scott Wilson along with Jonty Harrison and Sergio Luque at the University of Birmingham.

BEASTmulch System is a software tool for the presentation of electroacoustic music over multichannel systems. Designed primarily with a classic ‘live diffusion’ model in mind, it is nevertheless flexible enough to be adapted for a number of purposes, and can support input and output configurations of arbitrary complexity (i.e. live inputs, soundfiles with varying numbers of channels, etc.).

The software has numerous features (e.g. realtime reconfigurable routing, channel processing, automation, etc.), incorporates various standard and non-standard spatialisation techniques (VBAP, ambisonics, etc.), and adapts easily to both small and large (i.e. > 100 loudspeakers) systems.

BEASTmulch System is the software component of the BEAST concert system.

System Requirements: Mac OSX 10.4 – 10.5 (10.6 compatibility forthcoming).

BEASTmulchLib is a SuperCollider class library designed for use in the creation, processing and presentation of complex multichannel signal chains. Objects include sources, matrix routers and mixers, and sound processors and spatialisers. The latter are based on a simple user-extensible plugin architecture. Many classes have elegant GUI representations.

The library also includes classes which represent a variety of different controllers, including MIDI controllers, GUI Faders, EtherSense, etc., and provides support for controller automation (i.e automated mixing and diffusion).

It supports a number of common spatialisation techniques, such as Ambisonics, and includes SC ports of Ville Pullki’s Vector Base Amplitude Panning (VBAP), and the Loris analysis resynthesis method. It also supports some idiosyncratic techniques, such as Spatial Swarm Granulation, and provides utility classes for Speaker Array balancing and visualisation.

Currently the library is not fully cross-platform: GUI classes and UGens are OSX only.

Site is here.

Corde vibranti

Simpatica idea quella di mettere un cellulare dentro la cassa della chitarra per filmare le corde in vibrazione. Naturalmente i 25/30 fps del video non ci stanno dietro, però la forma che prende la corda vibrante si vede bene in parecchi casi.

Su You Tube trovate parecchi video di questo tipo. Ecco alcuni esempi.

Insecam

Nel 2006 ho pubblicato un post intitolato L’Universo non è user friendly, dedicato alle webcam non protette e in generale, a tutti quelli che non si rendono conto che internet ha delle regole di comportamento ed è bene seguirle per non trovarsi nei guai. Il post spiega come trovare e guardare le webcam non protette che operano su internet. Tecnicamente non si commette nessun reato perché non si forza nulla. Non essendo la pagina protetta, si accede semplicemente a un sito individuato da un indirizzo ip, come tutti gli altri.

Faccio un esempio: tutti sanno che il mio sito è www.maurograziani.org e che all’indirizzo www.maurograziani.org/wordpress c’è il mio blog. Pochi, però, sanno che all’indirizzo www.maurograziani.org/non-ve-lo-dico c’è il calendario delle mie lezioni in Conservatorio. Ovviamente non è una pagina così privata. L’orario delle mie lezioni è noto in Conservatorio e anche se qualcun altro lo vede, non mi dà fastidio. Non lo pubblicizzo semplicemente perché non è una cosa di interesse pubblico, ma se qualcuno ci arriva non mi preoccupo. Se volessi nasconderlo, metterei una password alla pagina.

Per le webcam e per molte altre cose su internet è lo stesso: se sono liberamente visibili significa che al proprietario non interessa tenerle segrete. E se succede perché uno non ci pensa o non lo sa, beh, l’ignoranza non è una scusante. Bastava leggere il manuale.

Ora qualcuno ha espanso questa idea e creato un sito in cui sono raccolti gli indirizzi di migliaia di webcam non protette. Si tratta del progetto insecam, dove insecam ovviamente sta per insecure webcam. Il tutto ha fini “didattici”. Serve a spingere i proprietari a proteggere le proprie webcam e in ogni caso, quelle giudicate troppo invasive della privacy altrui non sono state listate.

Però, se volete vedere qualche frammento di vita nel mondo, fateci un giro (e se avete una webcam, controllate che non ci sia). L’elenco è ordinato geograficamente.

E se vi interessa spiare il mondo, sempre legalmente, andate su questa mia pagina.

Acousmographe

L’Acousmographe dell’istituto di ricerca francese INA/GRM è un software per l’analisi e la rappresentazione della musica elettroacustica, e per estensione, di qualsiasi fenomeno sonoro registrato.

Il suo sviluppo è un progetto a lungo termine che nasce dalla necessità sentita da compositori e musicologi di disporre di strumenti per la trascrizione di musiche non scritte, mediante rappresentazioni grafiche e annotazioni testuali sincronizzate con l’ascolto e con le tecniche usuali di rappresentazione del segnale (ampiezza – analisi spettrale).

Disponibile sia per Mac che per Windows, è arrivato alla versione 3.7 ed è scaricabile qui.

Esiste anche un buon manuale in italiano (pdf) a questo link. Si può anche visualizzarlo in linea sul blog di Alex Di Nunzio.

acousmographe 1 acousmographe 2

 

Trans und so weiter

Questo film, è stato girato nel 1973 da Gérard Patris per la Zweite Deutsche Fernsehen (Seconda Televisione Tedesca) nel corso delle prove e delle esecuzioni di alcune opere di Stockhausen per i Recontres Internationales de Musique Contemporaine di Metz.

Si possono vedere estratti di Trans, Mikrophonie I, Zyklus, Refrain, Kontakte, Am Himmel Wandre Ich, Ceylon con la partecipazione e la direzione dall’autore.

Il film è in tedesco, comunque le parti musicali costituiscono la maggior parte del film e sono interessanti anche per chi non capisce la lingua.

Regali per musicisti 2014

2014 perché esiste un post con lo stesso titolo del 2007 ed esiste anche una volpe che, avendolo letto nel 2010, si è lamentata per la qualità dell’informazione (molti link erano scomparsi).

Quindi, questo è un upgrade improntato al consumismo più inutile e skifoso, per una volta con un po’ di kattiveria.

La prima cosa notevole è questa: do it yourself guitar, ovvero una chitarra elettrica in scatola di montaggio. Purtroppo non è difficile: è indicata per beginners (con i pick-up già inseriti sono capaci tutti). L’unica cosa imho un po’ complessa è fissare il manico dritto. Ne esistono di varie forme, tipo Fender o Les Paul. Prezzo da 70 a 100 sterline. Nella speranza che li impegni per un bel po’ di tempo.
Altra cosa interessante è il Guitar Pick Punch, ovvero una macchinetta tipo pinza che consente di ricavare un plettro da qualsiasi superficie plasticosa e abbastanza rigida. $ 20 o € 21.25 da uncommon goods. Ma poi non fateli entrare a casa vostra.
Per i rappers bambini (ma anche no; in fondo i rappers sono sempre un po’ bambini affetti da parafrenia sistematica) abbiamo il Gangsta Rap Coloring Book. 48 pagine di disegni da colorare in stile outlaw image. Solo $ 8.95 da Amazon. Magari così stanno zitti per un po’.
Per i batteristi è d’obbligo il Drum Set Alarm Clock, una sveglia con batteria che li farà alzare con un solo in 50’s style rock song. $ 45.90. Giusta vendetta per quello che ci hanno fatto subire.  
Per i chitarristi più fanatici c’è il Jammin Johns Electric Guitar Toilet Seat, in raffinatissima colorazione sunburst. Un po’ caro ($ 179), ma ne vale la pena. Per molti di loro, è il luogo dove dovrebbero stare (rende meglio la bella espressione inglese “where they belong”).
Per tutti gli elettrici e i tecnici audio, il 6-in-1 Cable Tester, una scatoletta in grado di testare la funzionalità di qualsiasi cavo jack, xlr, rca o cannon. $ 83.15. Molto utile. Forse il testare tutti i loro cavi li terrà lontani per un tot.
Infine, per i musicisti amanti del bere (quasi tutti quelli che conosco) posso consigliare i Major Scale Musical Wine Glasses, due bicchieri graduati sulla scala maggiore di LA, da riempire fino al segno corrispondente alla nota desiderata. Magari, una volta ubriachi, dormiranno. Per sempre.  

Se non siete soddisfatti arrangiatevi cliccando qui o qui.

The Only Good System…

Seebad Prora (Bagno di Prora) è una località balneare progettata e in parte edificata, sull’isola tedesca di Rügen (Mar Baltico) tra il 1935 e il 1939.

Scopo del progetto, concepito dall’organizzazione nazionalsocialista Kraft durch Freude (KdF) era la costruzione di una località balneare che potesse accogliere 20.000 villeggianti.

Dopo l’inizio della seconda guerra mondiale i lavori di costruzione vennero interrotti, oggi ne rimane la parte centrale del progetto complessivo, il cosiddetto colosso di Prora composto da otto edifici identici e affiancati che si estendono lungo la costa per un totale di 4,5 km e che attualmente, benché tutelati in quanto monumento storico, si stanno rapidamente degradando. [wikipedia]

Su uno degli edifici, una mano ignota ha tracciato questa significativa scritta (click to enlarge).

The Only Good System

NASA Sounds

nasaLa NASA ha aperto un proprio canale su SoundCloud e la cosa interessante è che i suoni ivi contenuti possono essere utilizzati senza vincoli a scopo educativo o informativo, ma anche a scopo commerciale, a patto che l’ente spaziale non sia coinvolto in nessun modo (ovvero, non puoi, per esempio, farti pubblicità dicendo che il tuo pezzo è fatto con suoni NASA; if the NASA material is to be used for commercial purposes, especially including advertisements, it must not explicitly or implicitly convey NASA’s endorsement of commercial goods or services; vedi qui).

Il contenuto è vario. Si va dagli annunci storici (“Houston, we’ve had a problem” o “The Eagle has landed“) fino a suoni di razzi, beep dei satelliti, emissioni radio registrate nei dintorni dei pianeti e convertite in audio.

Quello che segue è solo un estratto. Buon ascolto.

Post-human performance (was Aidoru)

Hatsune MikuQuando ho scritto questo post, nel 2010 con il titolo di Aidoru (Idol nella translitterazione inglese → giapponese), pensavo che Hatsune Miko sarebbe durata solo qualche anno, sostituita da qualche altro idolo in ologramma, invece è ancora lì, alive & kicking, e soprattutto per niente invecchiata 😛

Qui lo ripropongo e aggiungo qualche considerazione.


Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.

La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.

Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).

Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.

Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.

Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.

Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.

Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. L’idea nacque dalla constatazione che il contatto fra i fans e le star era sempre mediato da qualcosa (internet, TV, film, stampa). Non si incontra una star della musica o del cinema per caso in un centro commerciale o al ristorante. E in realtà lo star system non vende una persona, bensì una immagine totalmente idealizzata. La maggior parte dei fans non ha mai visto il proprio idolo in carne ed ossa, ma solo attraverso i media. Una parte riesce a vederlo, da lontano, in qualche concerto o mentre entra in un hotel ed è tutto. Una sparuta minoranza riesce a toccarlo facendosi fare un autografo dopo un lungo appostamento davanti alla sua casa, ma è una quantità trascurabile.

Quello che lo star system giapponese ha capito è che, se le cose stanno così, non è necessario che la star sia una persona vera. Può essere benissimo un personaggio virtuale. Per i fans non cambia proprio niente. E, si noti, alla base di questa idea non ci sono considerazioni economiche. Se è vero che le star virtuali non devono essere pagate, è anche vero che, al loro posto, bisogna pagare dei team di design e animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi. Non ha comportamenti censurabili, a meno che non lo si voglia. Non è mai di pessimo umore, non si monta la testa, può lavorare sempre ed essere in TV anche la mattina dopo un concerto, fresco come una rosa.

Considerate, infine, che le star virtuali che sono state create non sono certo attori di teatro avvezzi a confrontarsi con le tragedie shakespeariane e nemmeno musicisti classici, ma, tipicamente, si tratta di cantanti con target adolescenziale. Hanno, al massimo, la profondità concettuale di un Justin Bieber.

Qui vediamo Hatsune Miku insieme a Megurine Luka (ルカ 巡音). Il cognome di quest’ultima combina la parola “Meguri” (巡, “intorno”) e “Ne” (音, “suono”), mentre il nome Luka evoca le omofone parole giapponesi “nagare” (流, “flusso”) e “ka” (歌, “canzone”) o “ka” (香, “profumo”. Il risultato dell’unione di queste parole può quindi essere “flusso di canzoni che si diffondono come profumo”) [da wikipedia con correzioni mie].

Megurine Luka è un passo avanti rispetto a Hatsune Miku. Infatti altro non è che l’incarnazione del terzo applicativo di Vocaloid, lanciato nel 2009 insieme al personaggio che lo rappresenta.

Questa tendenza giapponese ad “incarnare” i software fin dal momento del lancio è unica nel panorama mondiale. In occidente, infatti, l’eventuale incarnazione arriva dopo, quando il software, tipicamente un gioco, ha già raggiunto un successo planetario e allora il personaggio diventa vero, impersonato da un attore/attrice, non virtuale (il caso più emblematico è proprio quello di Lara Croft).

Holly Herndon

herndon

Holly Herndon (born Tennessee, 1980s) is an American composer, musician, and sound artist based in San Francisco, California. She has released two albums on the record label RVNG Intl. She often uses the visual programming language Max/MSP to create custom instruments and vocal processes, and has collaborated with artists such as Reza Negarestani. Her 2014 single “Chorus” was named Best New Track by Pitchfork, who stated “few artists have managed to meld the dark thump of techno with the intricate constructions of post-minimalist new music quite like Holly Herndon”.
[wikipedia]

Tutto sommato, mi sembra partire da certe performance vocali di Laurie Anderson, quelle più legate alla canzone piuttosto che al teatro, tipo O’ Superman, per intendersi.

Qui ascoltiamo proprio Chorus del 2014.

Radio Aporee

Il progetto Radio Aporee ::: Mappe Sonore Collettive nasce nel 2006 con l’intento di sviluppare una cartografia sonora con geolocazione di suoni provenienti da vari ambienti, da quelli più o meno urbanizzati fino alla natura.

La mappa è qui. All’inizio si apre su un suono (cerchio rosso). Zoomate all’indietro fino a vedere altri cerchi rossi che indicano la locazione di altri suoni (vedi immagine sotto).

È possibile aggiungere altri suoni alla mappa cliccando sulla locazione dove si vuole piazzare il suono.

aporee

The Berlin Wall of Sound

SoundCloud ha pubblicato un post commemorativo per il 25mo della caduta del muro di Berlino.

Dal punto di vista musicale non è particolarmente significativo (è un collage di suoni e citazioni), ma probabilmente non era questo lo scopo. Il post, invece ha alcuni elementi interessanti sotto il profilo formale. Innanzitutto la durata: 7 minuti e 32 secondi è il tempo impiegato dal suono per percorrere i 155 km della lunghezza del muro. Poi i commenti, che sono 107, ciascuno con il nome di una persona morta nel tentativo di oltrepassare il muro (dovrebbero essere 120, forse qualcuno è collettivo).

 Marking the 25th anniversary of the fall of the Berlin Wall.

The Berlin Wall of Sound is an acoustic reconstruction of the Berlin Wall.

Its duration of 7:32 minutes reflects the time sound needs to travel the 155 kilometres length of the Berlin Wall. Its sound wave’s shape mirrors the wall of concrete and its watchtowers. There are no comments – the tags depict the victims and mark where they were killed.

The Wall of Sound is not easy to bear. But 27 years locked behind the concrete Berlin Wall were unbearable.

Back in 1989, SoundCloud’s headquarters would have been part of the Death Zone next to the Berlin Wall. We dedicate the Wall of Sound to the 120 women, men and children, who lost their lives in their attempt to live in freedom. We will not forget.

Major original quotes used:

Walter Ulbricht (former leader of the GDR and responsible for the construction) saying a few days before the construction started: „Nobody has the intention to raise a wall“

Heinz Hoffmann (former GDR secretary of defense): „To those, who don’t respect our border – they will feel the bullet.“

Erich Honecker (longtime and most powerful leader of the GDR) celebrating 40 Years of the GDR in 1989: „The German Democratic Republic will exist another 40 years and beyond.“

Alla fine, comunque, devo dire che, se da un lato un muro che cade fa sempre piacere, non concordo con la retorica semplicistica che circonda queste commemorazioni, secondo la quale noi abbiamo la libertà mentre loro erano un regime oppressivo.

La pagina originale è qui.

Generative Gestaltung

Generative Gestaltung è un simpatico sito di codice Processing che offre accesso diretto al codice di tutti gli esempi. In realtà gli esempi sono parte di un libro (Generative Design) acquistabile sul sito, comunque, anche da soli, possono dare spunti interessanti.

Il codice processing può essere scaricato da qui:

Requiem elettroacustico

chion requiemIl Requiem elettroacustico di Michel Chion è del 1973 (non 1993 come riporta erroneamente il video su You Tube qui sotto).

Quando l’ho ascoltato (sarà stato il 1977/78), mi ha fatto una notevole impressione. È un lavoro che ridefinisce completamente i canoni della musica concreta francese. Li supera con l’uso massiccio di sonorità puramente elettroniche a cui sono accostati suoni naturali, loop concreti e frammenti musicali, spesso trattati elettronicamente in modo evidente, ma soprattutto voci recitanti con modalità fra loro diverse: intense, sussurrate, urlanti, lontane, in coro, fino a una voce di bambino che legge, con qualche esitazione, una parte del testo.

È un’opera drammatica e intensa, emozionale, che va molto al di là del puro esercizio compositivo.

Note dell’autore:

The Form of this music was not meant as an excuse to deploy refined geometry over a time frame seen as space. And if Requiem as a whole is built on a system of echoes and correspondences that seem to be symmetrically organized (see graphism) around an axis represented by the work’s middle point, it is not my fault. The form was developed in the course of the process, as a dramatic scheme that played off the listener’s memory and premonitions, since once the listener has heard the work more than once, they can predict as well as recall. The musical analysis I came to perform, and of which I am disclosing a few pieces here, I did long after composing the work and for my own enjoyment. It should be understood as a game, not as the Key of Dreams, and it is surely not essential.

Echoes and correspondences of what ? Themes, musical motives, ranging from the most elemental (a loop, raw matter) to the most elaborated (a musical development), and which are reprised, quoted or announced at various moments of the work – some are easily identifiable as “leitmotivs” (theme-chorus from the Dies Irae quoted in the finale), while others are accompanying motives, matter that does not need to be memorized at a conscious level. An extreme case of such echo effect is found in the short movements 2 & 9, which use almost the same “music” cast under completely opposite sound lighting.

The centre of the work, the axis of that symmetry, is the 6th movement (Evangile), where happens a symbolical tear in the magnetic tape, a crack in the work itself, opening in the timeline a breach of eternity that lets us glimpse “something else.” This figure illustrates that breach as a sawtooh line, while the vertical line illustrates the pasted point, the moment (at the beginning of Sanctus) when the mass itself, like a broken reel of film at the cinema show, resumes. Within this large form in two parts, we find the small forms of each movement: forms with choruses and episodes, litanies, recitativo, levelled crescendos, etc. There is also another formal course delineated by the succession of several vocal characters, their timbre, intonation, and relation to the libretto. Without giving more details, it is worth mentioning that the only time a well-assured, peremptory voice is clearly heard is, once again, at that central moment in Evangile (“il va ressusciter” or “he will rise”), where its irruption seems to spread panic throughout the whole system and provoke the breach…

Like the great requiems of the classical era, this Requiem’s text is taken from the Funeral Mass, to which are added an Epistle, a Gospel and a Pater Noster. The texts are mostly said in their original language (Latin or Greek) and in French, in some rare cases.

The Requiem was composed whilst thinking about the troubled minority of the living, rather than the silent majority of the dead. Also, I tried to turn this oratorio into a “great sonic show,” cinemascope music. One can detect the obvious (at least to me) influence of a few filmmakers and films, more in the way of playing with forms, time and space, than through realistic evocations. Thomas Mann’s Docteur Faustus was another influence, again acknowledged after the fact; the pages spent describing the imaginary works of Adrian Leverkühn might have inspired the megalomaniac dream of carrying bits and pieces of them into the sound world. With Requiem, my intention was not to deliver a message or a manifesto, whether pro- or anti-religious. Instead, this work is a personal testimony, into which listeners are invited to project their own self, if they care to inhabit it with their own experience and sensibility.

Too late, too far

sam salemSam Salem (n. 1982) è un compositore di Manchester che lavora principalmente in area acusmatica e audio/video.

È principalmente interessato ai suoni degli ambienti urbani. Molte delle sue composizioni si focalizzano sui suoni di luoghi specifici, ciò nonostante la sua musica non ha niente a che fare con l’ambient. Invece Salem esplora l’ambiente sonoro cercando di rivelare la musicalità nascosta nei suoni ambientali. In questo senso i suoi lavori vanno al di là del semplice paesaggio sonoro.

Quello che ascoltiamo qui, Too late, too far è del 2014. Note dell’autore:

Too late, too far is part of a larger work entitled The Fall, composed between 2012 and 2014. The compositional process began during a residency at STEIM in December 2011: Amsterdam was the source from which I collected the materials for this piece.

I think now of the unwitting owners of actions contained herein: the cyclists and joggers of Vondelpark, the man on a bridge who offered a bike for a cigarette, the swans calling across the Red Light District, the choir of Sint-Nicolassbasiliek, and the countless others, long since dispersed but not forgotten: shouting, singing, laughing, swearing, clapping. I think also of the creaks and rhythms of rocking boats, of passing trams, the ubiquitous bells and horns, the rain, wind and lapping water, and the 5am fireworks on New Year’s Day. I consider these materials as fragments of sound, but also, now, as fragments of time. Sometimes their shimmering light is obscured, sometimes it is revealed.

This work, “peopled by bad dreams” (and the occasional good one), balances somewhere between loss and hope: after more than two years of work, this is its final character.

 

2001: A Space Odyssey

2001 Odissea nello Spazio, di Stanley Kubrick e Arthur Clarke, ritornerà nei cinema in edizione restaurata. L’uscita in Gran Bretagna è prevista per il 28 Novembre.

È una bella notizia soprattutto per quelli che non hanno potuto vederlo al cinema (il film è del 1968), ma anche per gli amanti del genere. Io, per esempio, credo proprio che andrò a vederlo quando uscirà in Italia (almeno, spero che esca anche qui).

Non ricordo se l’edizione originale qui da noi uscì proprio del 1968 o l’anno dopo. Ricordo solo che ero al liceo, ma ricordo molto bene l’effetto che mi fece. Avevo 14 o 15 anni e alla fine del film rimasi nel cinema per vederlo una seconda volta spostandomi in prima fila, nelle poltrone più vicine allo schermo (e da allora ho sempre avuto la mania di vedere certi film da sotto lo schermo).

Per pubblicizzare l’evento, il British Film Institute (BFI) ha messo in circolazione un nuovo trailer che potete vedere qui sotto e un sito.

Il trailer è notevole. Alcune di queste scene sono entrate a buon diritto nella storia del cinema. Non mi viene in mente un altro film di fantascienza così profondo, bello da vedere e da sentire (grande colonna sonora, da Strauss a Ligeti (anche se quest’ultimo è un po’ manipolato)). E pensate che all’epoca non avevano la computer graphic attuale.

Oltretutto credo sia uno dei pochi film del genere a rispettare la realtà fisica. Non si devono sentire le esplosioni nello spazio o nel vuoto, maledizione!

Sonification Handbook

Sonification HandbookIl Sonification Handbook (AA.VV., a cura di Thomas Hermann, Andy Hunt, John G. Neuhoff) è scaricabile gratuitamente (e legalmente) in versione PDF da questa pagina (guardate nella colonna di destra “download the book”) da cui è anche acquistabile in versione stampata. È possibile anche scaricare i singoli capitoli.

Questo libro è una presentazione introduttiva, ma completa delle aree chiave della ricerca nei campi interdisciplinari di sonificazione e visualizzazione uditiva (auditory display). I capitoli sono scritti da esperti e coprono una vasta gamma di temi centrali. Possono essere letti dall’inizio alla fine, o indipendentemente l’uno dall’altro secondo necessità (come il menu di un ricco buffet).

La sonificazione trasmette informazioni utilizzando suoni non vocali. Ascoltare i dati sotto forma di suono o rumore può essere un’esperienza sorprendentemente nuova con diverse applicazioni che vanno da nuove interfacce per i non vedenti all’analisi dei dati in molti campi scientifici.

Questo testo fornisce una solida introduzione al campo della visualizzazione uditiva (auditory display), delle tecniche per sonificazione, delle tecnologie adeguate a sviluppare algoritmi di sonificazione, e delle aree di applicazione più promettenti. Il libro è accompagnato daun’archivio online di esempi sonori.

Hooke

hookeHooke è una start-up che ha avuto l’idea di inserire due piccoli microfoni nei padiglioni di una cuffia wireless. In questo modo si possono fare delle registrazioni che si avvicinano alla tecnica binaurale.

Doco “si avvicinano” perché, nelle registrazioni binaurali, i microfoni devono essere piazzati all’interno del padiglione auricolare, in pratica all’inizio del canale uditivo. Infatti viene costruita una testa artificiale che ha la forma stilizzata di una testa umana, con i padiglioni auricolari accuratamente riprodotti e i microfoni vengono inseriti all’interno dei padiglioni. La presenza della testa serve a mascherare le onde sonore nello stesso modo in cui lo fa una testa umana e tutto il sistema arriva a costare parecchio.  Il KU 100 di Neumann, per esempio, costa circa € 7000.

Esistono anche sistemi più economici che, invece di riprodurre l’intera testa, si limitano ai padiglioni auricolari, con prezzi decisamente inferiori, ma il solo padiglione non basta perché si perde l’effetto schermante della testa che crea le differenze interaurali di ampiezza e tempo tipiche del sistema percettivo umano (vedi Il suono nello spazio dal mio corso di acustica).

L’idea di Hooke è molto buona perché in questo modo non c’è bisogno di costruire una testa artificiale, ma si usa la testa umana di chi indossa le cuffie. Di contro c’è il fatto che, il microfono, essendo sul padiglione della cuffia, per quanto piccolo sia, difficilmente può captare il suono esattamente come quando entra nel canale uditivo che inizia all’interno del padiglione. Ciò non toglie che questo oggetto permette di avvicinarsi alla registrazione binaurale con costi risibili rispetto a quelli dei sistemi professionali. Il prezzo annunciato, infatti, è inferiore a $ 120. Aspettiamo e vedremo.

Questo è il sito ufficiale e qui abbiamo un demo su vimeo.

Hooke: Wireless 3D Audio Headphones from Hooke Audio on Vimeo.

UPGRADE

Grazie per avermi segnalato un prodotto praticamente identico che esiste già: le cuffie Roland CS-10EM. Si trovano in vendita a circa € 100. L’unica differenza con Hooke è che non sono wireless, ma hanno il cavo (il che, per la qualità della registrazione, è meglio). A questo punto sembra proprio che non sia stato Hooke ad avere l’idea.

eMotion

eMotionQuesto programma sembra molto interessante anche se lo stato del suo sviluppo non è chiaro. Personalmente non l’ho provato. Alcune recensioni lo danno come potente, ma ancora sperimentale.

Secondo gli sviluppatori, eMotion è un software per la creazione di interazioni tra oggetti grafici e le informazioni provenienti dal mondo reale. Si basa su un sistema di animazione fondato su leggi fisiche e si propone di esplorare come il movimento è in grado di trasmettere emozioni. In altre parole: si tratta di un editor che permette di definire un mondo grafico composto da oggetti a forma di punti, linee, immagini, video e definire il modo in cui si interagisce con loro (suono, kinect, wiimote, movimento, salto , ecc).

Tutte le immagini vengono così generate, calcolate e proiettate in tempo reale, al fine di creare una sintesi sensoriale, una realtà tangibile sul palco, definita da un principio fondamentale nella programmazione digitale: focalizzarsi sull’energia interna che provoca il movimento degli oggetti, piuttosto che sui loro attuali percorsi. In tal modo, la matematica e la tecnologia digitale diventano possibili strumenti per la composizione poetica. Deviando dalla loro destinazione originaria, ci permettono di creare nuovi spazi sensoriali, anche se sintetici. Aprono le porte al regno del mondo immaginario e virtuale, in coincidenza temporale con la realtà, per fornire tutta la loro potenza evocativa.

Sito di riferimento: eMotion

VPT 8

VPT (VideoProjectionTool) is a free multipurpose realtime projection software tool for Mac and Windows created by HC Gilje.

Among other things it can be used for projecting video on complex forms, adapt a projection to a particular space/surface, combine recorded and live footage, for multiscreen HD playback, for interactive installations using arduino sensors or camera tracking ++

VPT has become a popular tool for theatre and installation use, but is also used by VJs.
The previous version,VPT 6, was downloaded over 20000 times.

The last version is VPT 8. Download from here.

Veer

Veer

Veer (2012), an installation by Adam Fure and Ashley Fure

Ashley Fure, Sound and Interaction Design
Adam Fure, Architectural Design

Batting, Custom Steel Branching System, Pressure Sensors, LEDs, Speakers, Computer, and Control Software

In Veer, created with architect Adam Fure, swaths of cotton batting wrap a branching steel structure to create a soft, interior sleeve for a room. Participants navigate tunnels and alcoves, activating speakers and LEDs embedded in the material walls as they move. Sensors disaggregate the musical form into gestural components, linked to locations, that elide into dramatic phrases through movement. Sonic, visual, and proprioceptive cues align into fused, synesthetic emphases. Gradations in color and ceiling height are mapped to acoustic shifts in register, spectral density, and gestural shape. High blanched walls project soft white noise while cramped regions thick with color screech out multiphonics. In Veer, space and matter are charged with an expressive force let loose through movement.

Veer is a multimedia installation that transforms space, sound, and light into variable dimensions of an experiential field. A base of polyester batting wraps a branching steel structure creating a soft, interior sleeve comprised of tunnel-like folds. Participants bend and push through saturated matter, pulling sound and light from sensors embedded in the material walls. In Veer, space provokes movement, movement provokes sound, and engaged participants instigate an emergent perceptual form.

Veer was funded and exhibited by Akademie Schloss Solitude in Stuttgart, Germany.

Veer, an installation by Adam Fure and Ashley Fure from SIFT on Vimeo.

Il canto della cometa

Ok. Dimenticate il titolo aulico. Quello di cui parliamo è un fenomeno scientifico che comunque ha anche dei risvolti audio e ci offre  l’occasione di parlare di una delle più affascinanti missioni spaziali degli ultimi anni.

Rosetta è una missione spaziale sviluppata dall’Agenzia Spaziale Europea e lanciata nel 2004. L’obiettivo ultimo della missione è lo studio della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, una cometa periodica che ritorna ogni 6.45 anni terrestri.

La missione è formata da due elementi: la sonda vera e propria Rosetta e il lander Philae. Quest’ultimo è destinato a staccarsi dalla sonda e atterrare sul nucleo della cometa, di cui la sonda ha già inviato splendide foto. Il distacco è avvenuto proprio oggi 12/11 e il lander sta scendendo verso il nucleo (incrociamo le dita).

La parte audio della faccenda è questa. Ovviamente la sonda trasporta molti strumenti per studiare da vicino la cometa. Cinque di questi costituiscono il cosiddetto Rosetta’s Plasma Consortium (RPC) e servono a studiare l’ambiente di plasma che circonda la cometa (il plasma è uno stato della materia che appare come un gas elettricamente conduttivo che circonda i campi magnetici e le correnti elettriche).

Già in Agosto, l’RPC ha scoperto che il campo magnetico della cometa ha una oscillazione con frequenza intorno ai 40-50 millihertz. Ora, qualsiasi oscillazione più o meno periodica può essere trasformata in suono. In questo caso il problema è che la frequenza è troppo bassa per essere udibile. Le frequenze più basse che siamo in grado di percepire stanno intorno a 20 Hz, mentre qui abbiamo a che fare con 0.05 Hz.

Il problema si può risolvere trasponendo (ovvero accelerando) il tutto di circa 10000 volte. Così 0.05 Hz diventano 500 Hz che sono perfettamente ascoltabili e il suono che ne esce è questo:

Ecco un’immagine del nucleo della cometa (il piccolo 747 che vedete al centro non è alieno; è lì per confronto; clicca per ingrandire)

nucleo cometaUna nota finale. Prima di delirare con toni mistici intorno al canto della cometa, rendetevi conto che qualsiasi fenomeno periodico può essere convertito in suono. Per esempio, la rotazione terrestre è periodica. Il giorno solare medio dura circa 24 ore, cioè 86400 secondi. Di conseguenza. dato che la frequenza è l’inverso del periodo, esso ha una frequenza di 0.000011574 Hz, troppo bassa per sentirla, ma basta trasporla di 24 ottave per avere circa 194.18 Hz, che corrispondono a una nota perfettamente udibile: un Sol appena calante (con La = 440 Hz).

Mappa dei generi

Forse finalmente capirò qualcosa di tutti quei maledetti nomi di generi musicali che mi sembrano venuti fuori dalla mente depravata di qualche kritiko allucinato in preda a frenesia classificatoria.

Andando su questa enorme pagina (Every Noise at Once) e cliccando un nome, parte un esempio audio. Tutto questo è possibile grazie alle API di Echo Nest che forniscono ogni sorta di informazioni su generi, artisti rappresentativi, generi simili e collegamenti a risorse sul web.

Le istruzioni a fine pagina permettono di passare ad altre mappe, per data, luogo, artista e altro.

mappa generi

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320° Licht

The ‘320° Licht’ installation of URBANSCREEN uses the cathedral-like beauty of the Gasometer as the starting point for a fascinating game with shapes and light.

Within a radius of 320 degrees graphic patterns grow and change on the 100-metre high inside wall of the Gasometer.

The observer experiences the interplay between real and virtual space, in which the Gasometer seems to dissolve into its own, filigree structures and yet finally always reverts to its clear shape. ’320° Licht’ has been achieved with kind project support from Epson Germany.

With approx 20,000 square meters of area played upon, the installation is among the world’s largest and technically most sophisticated interior projections – interconnecting 21 powerful projectors to one projection screen.

Duration (loop): approx. 22 min.

‘320° Licht’ is part of the exhibition ‘The Appearance of Beauty’ – the variety of beauty in art that is shown inside the Gasometer. The Gasometer Oberhausen opens this exhibition from 11th April until 30th December.

Please find detailed information here: Gasometer Oberhausen.

THX for providing REAL brillant services: Intermediate Engineering
Projection project partner: Epson Germany
3D Scan support: Leica Geosystems
Media-Engine mock-up: WINGS VIOSO

An URBANSCREEN.com production

Look on Vimeo

E’ un virus

Tom WaitsAnni fa, Tom Waits, che notoriamente non è mai accomodante verso le corporation, ha scritto una bella lettera polemizzando con i musicisti che permettono che le loro canzoni vengano inserite negli spot commerciali in cambio di una manciata di soldi.

La lettera, pubblicata, fra gli altri da Dangerous Visions, Letters of Note e The Nation, contiene alcuni concetti non banali, che a una prima lettura del fenomeno possono sfuggire. Per esempio:

  • quando vendete alle aziende la vostra musica, vendete anche il vostro pubblico perché loro la useranno per convincere la gente ad acquistare automobili, drink e biancheria;
  • le corporation sperano di dirottare i ricordi di una cultura verso i loro prodotti (che invece non ne sono per nulla collegati);
  • loro vogliono il pubblico di un artista, la sua credibilità, la sua reputazione e tutta l’energia che le sue canzoni hanno concentrato con il passare degli anni.

Mi rendo conto che parlare di etica nel 2014 può sembrare perfino da bacchettoni, ma la realtà è che un musicista che raggiunge la notorietà è portatore di un certo grado di potere sulla gente e non deve permettere che venga utilizzato per qualsiasi cosa in cambio di denaro. È il lato bello del copyright: la possibilità che il compositore ha di vietare che la propria musica venga utilizzata in determinati contesti. E non è detto che ci si perda, come Ligeti e lo stesso Tom Waits insegnano: a volte le corporation sono così sfacciate che, chiamandole in causa, si vince (Ligeti ha vinto contro i produttori do 2001 Odissea dello Spazio che avevano smontato e usato il suo brano Atmosphères, mentre Tom Waits ha ottenuto 2.6 milioni di $ da Frito-Lay che aveva rifatto una sua canzone).

Ecco la lettera originale, già ripubblicata qui

Thank you for your eloquent “rant” by John Densmore of The Doors on the subject of artists allowing their songs to be used in commercials [“Riders on the Storm,” July 8]. I spoke out whenever possible on the topic even before the Frito Lay case (Waits v. Frito Lay), where they used a sound-alike version of my song “Step Right Up” so convincingly that I thought it was me. Ultimately, after much trial and tribulation, we prevailed and the court determined that my voice is my property.

Songs carry emotional information and some transport us back to a poignant time, place or event in our lives. It’s no wonder a corporation would want to hitch a ride on the spell these songs cast and encourage you to buy soft drinks, underwear or automobiles while you’re in the trance. Artists who take money for ads poison and pervert their songs. It reduces them to the level of a jingle, a word that describes the sound of change in your pocket, which is what your songs become. Remember, when you sell your songs for commercials, you are selling your audience as well.

When I was a kid, if I saw an artist I admired doing a commercial, I’d think, “Too bad, he must really need the money.” But now it’s so pervasive. It’s a virus. Artists are lining up to do ads. The money and exposure are too tantalizing for most artists to decline. Corporations are hoping to hijack a culture’s memories for their product. They want an artist’s audience, credibility, good will and all the energy the songs have gathered as well as given over the years. They suck the life and meaning from the songs and impregnate them with promises of a better life with their product.

Eventually, artists will be going onstage like race-car drivers covered in hundreds of logos. John, stay pure. Your credibility, your integrity and your honor are things no company should be able to buy.

TOM WAITS

Il Kosmofono

Musica pilotata dai raggi cosmici. Non è una rarità. Ogni tanto qualcuno fa esperimenti del genere. Effettivamente, da quando note e frequenze possono essere espresse numericamente e inviate agli algoritmi di sintesi, la cosa non è così complessa: bisogna solo scegliere come riscalare i dati di partenza.

Da alcuni anni questi procedimenti hanno anche assunto una valenza scientifica con il nome di sonification. La trasformazione di dati di qualsiasi tipo in audio, infatti, consente di individuare più facilmente schemi ripetuti, differenze e altre caratteristiche del fenomeno su cui si indaga.

Ovviamente, dal punto di vista compositivo la faccenda assume tutto un altro aspetto. Il fenomeno fisico che origina i dati non si preoccupa minimamente di assumere un andamento che per noi possa essere sensato o significativo. Anzi, di solito il risultato è ripetitivo, noioso e monotono (spesso anche monotòno, nel senso matematico che indica movimento sempre verso la stessa direzione, per es. una curva logaritmica che sale o scende sempre approssimando un limite).

Il Kosmophono di cui parliamo è abbastanza “anziano”, essendo in attività almeno dal 2005 (sito). Si tratta di uno spettrometro a raggi gamma che opera nel range di 3-7 MeV, il cui output viene inviato al MIDI IN di un sintetizzatore.

Una breve spiegazione. La maggior parte dei raggi gamma è prodotta da fenomeni extra-solari (nello spazio lontano) di grande potenza. Le onde prodotte da tali fenomeni non sono audio (altrimenti non arriverebbero fin qui), ma fanno parte dello spettro elettromagnetico (come le onde radio e la luce che vediamo). Inoltre ne occupano la parte più bassa in termini di lunghezza d’onda (< 0.006 nanometri = 6 millesimi di milionesimo di millimetro), che equivale alle frequenze più alte, circa 5×1019 Hz e sono anche molto dannose per noi.

Fortunatamente, non arrivano fino al suolo ma si infrangono sugli strati alti dell’atmosfera e sono queste collisioni che lo spettrometro rileva. Ognuno di questi eventi produce una emissione di energia che viene misurata e convertita da un ADC a 12 bit di cui i 7 più alti vengono utilizzati come pitch MIDI e i 4 seguenti come velocity (l’ultimo bit si butta via).

Il player è un sintetizzatore MIDI, di solito un Roland JX-305 o un Alesis QSR.

Ora si può ascoltare una singola sequenza inviata al Roland. Essendo una sequenza singola è monofonica e piuttosto noiosa, però serve per capire il range e la densità degli eventi. È un MP3.

Percettivamente, le cose cambiano quando si sovrappongono due sequenze. La sovrapposizione non è in tempo reale. Semplicemente vengono mandate alla porta MIDI due sequenze salvate in tempi diversi (una è la sequenza precedente). Ne consegue che le due sequenze sono del tutto scorrelate, però è interessante notare che il nostro sistema percettivo (almeno quello di chi è abituato ad ascoltare un certo tipo di musica contemporanea) tende a fabbricare delle correlazioni. In effetti, complice anche il fatto che qui si utilizzano due timbri diversi, questo frammento è più interessante del precedente.

Un’altra sovrapposizione di varie sequenze a cui sono assegnati diversi timbri, ma tutti riconducibili a suono “biologici” (uccelli, insetti, miagolii, etc). Il risultato è decisamente piacevole perché tutti i suoni ricadono in una ben determinata tipologia e il nostro cervello ha gioco facile nel costruire delle connessioni e interpretare il tutto come un paesaggio sonoro abbastanza coerente.

Nel sito del Kosmofono potete ascoltare vari altri esempi.

Kosmophone

Space Oddity nello spazio (davvero)

Space Oddity è del 1969. Chissà se Bowie, all’epoca, avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stata cantata nello spazio, davvero (forse sì, visto che eravamo in piena era spaziale).

Questo video è stato registrato sulla stazione spaziale internazionale (ISS) dall’astronauta canadese Chris Hadfield, che se la cava anche non male come cantante, e in un solo anno ha avuto circa 23 milioni di visualizzazioni. Poi, però, è sparito per le solite e in questo caso, a mio avviso, molto stupide questioni di copyright: l’editore, titolare dei diritti sulla canzone, ne aveva concesso l’uso per un anno e Hadfield, fedele al contratto, l’aveva rimosso.

Tuttavia, visto il successo, Bowie e il suo editore si sono affrettati a prolungare la concessione per altri due anni e il video è tornato visibile.

Alcune considerazioni su questa faccenda del copyright:

  1. Ma che testa hanno gli editori? Lo dico proprio dal punto di vista squisitamente commerciale. Chi può pensare che un video come questo possa far perdere dei soldi ai titolari dei diritti (ovvero che questo video possa far calare le vendite dell’originale)? Casomai una canzone dedicata all’esplorazione spaziale eseguita sulla ISS è una pubblicità incredibile e del tutto gratuita!
  2. Sotto l’aspetto giuridico la cosa è dubbia. La ISS è una stazione internazionale. Una fettina di territorio di 15 paesi in cui sono in vigore leggi sul copyright completamente diverse, basti pensare alla Russia, dove il diritto d’autore praticamente non esiste. Inoltre la ISS fluttua costantemente su tutto l’orbe terracqueo. Quale giurisdizione deve essere applicata? (gli interessati possono leggere una dissertazione sull’argomento pubblicata sull’Economist).
  3. Ma gli avvocati non erano stati tutti sterminati durante il Grande Risveglio del 2023? [tratto da una parodia di Star Trek]

Ok. Ecco il video.

Eanalysis

Eanalysis

EAnalysis è un software per Mac creato specificamente per l’analisi e la rappresentazione di sound based music, ovvero la musica elettroacustica.

Ecco, ad esempio, come è possibile rappresentare parte di tre brani di François Bayle: L’oiseau moqueur, L’oiseau triste e L’oiseau zen tratti dai Trois rêves d’oiseau.

In ogni schermata possiamo vedere il sonogramma e la forma d’onda in basso, mentre nella parte superiore viene creata una rappresentazione grafica degli eventi sonori. Questa rappresentazione non è automatica, però il software dispone di strumenti individuare e marcare gli eventi sonori (in pratica una forma di segmentazione). Inoltre può importare dati da altri software come Sonic Visualiser, Audiosculpt, Acousmographe, Pro Tools, etc. (click image to enlarge)

EanalysisEAnalysis può essere scaricato da qui.

Att.ne: la versione attuale non funziona con Yosemite (come, del resto, gran parte del Mac).

Altre informazioni riportate sul sito:

Research and development: Dr Pierre Couprie. Coordination: Prof Simon Emmerson & Prof Leigh Landy

The development of EAnalysis is part of the research project entitled ‘New multimedia tools for electroacoustic music analysis’ at the MTI Research Centre of De Montfort University (Leicester, UK). The project is funded by the Arts and Humanities Research Council (AHRC).

This piece of software aims at experimenting new types of graphic representations and new analytical methods with an intuitive interface and adapted tools for analysis purposes.

Features

  • Visualise sonogram (linear or logarithmic) and waveform.
  • Import several audio and/or movie files to analyse multitrack works or compare different works.
  • Create beautiful representations with graphic events on different layers.
  • Analyse with analytical events and sound/musical parameters.
  • Create your own analytical lists of parameters and share them.
  • Annotate during playback with time text.
  • Use graphic tablet or interactive whiteboard to draw representation.
  • Use several types of views in the same interface.
  • Create charts and maps from sound extracts: paradigmatic chart, generative tree, soundscape map, etc.
  • Create synchronised slideshow.
  • Create layers of sonograms from several tracks to analyse space motions, difference between versions of same work, or different works.
  • Save configurations (snapshots).
  • Import data from other software like Sonic Visualiser, Audiosculpt, Acousmographe, etc.
  • Import Pro Tools information sessions and create graphic representation from sound clips.
  • Export to images, movies, and text files (txt, csv, xml, json).
  • Export without media to share analysis without copyright restrictions.

Internet Arcade

L’Internet Archive ha aperto una nuova sezione, chiamata Internet Arcade: contiene una miniera di videogiochi classici degli anni ’70, ’80 e ’90. Si possono giocare gratis direttamente nel browser, senza dovere scaricare nulla. Nell’elenco ci sono oltre 900 titoli. Si tratta di giochi con cui sono cresciute intere generazioni, da Pac-Man a Street Fighter, da Alpha Mission ad Arkanoid II. Un vero e proprio regalo per nostalgici e appassionati.

Sito: Internet Arcade dall’Internet Archive

Giardino verticale

Interessante idea quella del giardino verticale (chiamato anche living wall o Mur Végétal in francese). Si può incrementare drasticamente la quantità di verde senza occupare spazio al suolo.

Lo specialista e inventore di questa configurazione botanica è Patrick Blanc.

Però mi chiedo come possano lavorare i giardinieri. Serve qualche gru, o forse si calano come i lavavetri?

Il giardino nell’immagine è a Madrid.

Via: Dark Roasted Blend, dove potete vedere altri esempi.

giardino verticale

David Lee Myers

Questo post è la revisione di uno del 2006. Mi sembra che, essendo Myers non molto noto, sia il caso di parlarne ancora.

David Lee Myers è un compositore che si trova nella scomoda situazione di essere sconosciuto al grande pubblico perché non fa “pop” e sconosciuto agli accademici perché i suoi lavori non si inseriscono nella tradizione “colta”. Però è conosciuto dagli sperimentatori a oltranza, da quelli che non si accontentano di ri-elaborare delle idee maturate nell’ambito di una corrente, quelli un po’ scontenti e un po’ solitari che regolarmente disfano quello che hanno appena fatto per il gusto di ricominciare da capo.

Nel 1988 affermava che

True electronic music does not imitate the classical orchestra or lend well worn melodies the cloak of unexpected timbres – it exists to evoke the hitherto unknown. And it comes from circuits and wires, though I do not believe that electronic sound is “unnatural”, as some people might.

La vera musica elettronica non imita l’orchestra classica e non presta un mantello di timbri inattesi a melodie ben formate – essa esiste per evocare ciò che fino ad ora è sconosciuto. E nasce da circuiti e cavi, ciò nonostante io non credo che il suono elettronico sia così “innaturale” come qualcuno pensa.

DiaagProprio queste considerazioni hanno condotto D. L. Myers alla pratica di una musica estrema, quasi totalmente priva di input: niente partitura, nessuna tastiera, nessun suono da elaborare, nessun sistema di sintesi propriamente detto. Una musica in cui sia i suoni che le strutture non nascono dalla pressione di un tasto o dal fatto che qualcuno mette giù un accordo, ma dall’interazione spontanea di una serie di circuiti collegati fra loro in retroazione che l’essere umano si limita a controllare.
Al massimo l’input viene utilizzato solo come sorgente di eccitazione per il circuito di feedback.

Quello che Myers faceva, già nel 1987 con apparecchiature analogiche, era feedback music.

Il feedback positivo in una catena elettroacustica è stato sperimentato, con fastidio, da chiunque abbia usato un microfono e lo abbia inavvertitamente puntato verso gli altoparlanti. In breve si produce un fischio lancinante, mentre i tecnici si lanciano verso il mixer per abbassare il volume.

Questo problema, più conosciuto come Effetto Larsen, si verifica perché il microfono capta dei suoni che vengono amplificati e inviati all’altoparlante. Se gli stessi suoni, in uscita dall’altoparlante, vengono nuovamente captati dal microfono, amplificati e ri-inviati all’altoparlante, si crea una retroazione positiva tale per cui entrano in un circolo chiuso in cui vengono continuamente amplificati fino ad innescare un segnale continuo a forte volume.

Come si può immaginare, il feedback è un po’ il terrore di tutti i tecnici del suono, ma in determinate circostanze può essere controllato e se può essere controllato, può anche diventare uno stimolo per uno sperimentatore.

Bisogna puntualizzare che non si tratta di una idea di Myers. Ai tempi della musica elettronica analogica questo effetto è stato utilizzato in parecchi contesti. Anch’io ne ho fatto uso in una installazione del 1981 (si chiamava “Feedback Driver”, appunto), ma credo che negli anni ’80 l’abbiano provato un po’ tutti, con alterni risultati. I miei primi ricordi relativi a questa tecnica risalgono al lavoro di Tod Dockstader, un ricercatore e musicista americano relativamente poco noto, anche se alcune sue musiche sono finite nel Satyricon di Fellini.

Quello che distingue Myers dagli altri, però, è l’averne fatto una vera e propria poetica. Lui non sfrutta il feedback per elaborare qualcosa, non parte da algoritmi di sintesi, ma collega in retroazione una serie di dispositivi (principalmente mixer e multi-effetti) e variando i volumi sul mixer (che a questo punto diventa la sua “tastiera”) e cambiando tipo e profondità degli effetti ne trae una serie di sonorità suggestive, sempre in bilico fra il fascino di una musica che si muove in modo quasi biologico e il totale disastro delle macchine fuori controllo.

Senza dubbio, Myers è un virtuoso, ma, a differenza del virtuoso tradizionalmente inteso, lui non domina il proprio strumento. Piuttosto lo asseconda, cercando di spingerlo in una direzione. Qui la composizione consiste nel definire una rete di collegamenti fra i dispositivi e la tecnica si fa estetica.

Inoltre, come si vede in questo breve video, Myers si fa anche artista visuale elaborando una serie di tracce create dalla sua stessa musica.

Sito di riferimento: pulsewidth.

David Wessel

WesselPer ricordare David Wessel, scomparso il 13 Ottobre a 73 anni, mettiamo alcune testimonianze.

Per primo, il suo brano del 1977, Anthony.

In realtà Wessel è sempre stato un ricercatore più che un compositore, difatti la sua produzione musicale è rara. Anthony è un tipico brano costruito con fasce sonore in dissolvenza incrociata ed è stato uno dei primi pezzi realizzati con le macchine per la sintesi in tempo reale costruite da Peppino Di Giugno all’IRCAM.

Quella utilizzata qui è la 4A del 1975, uno dei primi modelli, il primo ad andare oltre lo stadio di prototipo. Si trattava di un processore capace di generare in tempo reale fino a 256 oscillatori digitali in wavetable (cioè con forma d’onda memorizzata e quindi con contenuto armonico definito dall’utente) con relativo inviluppo di ampiezza. Nonostante il fatto che gli oscillatori non si potessero connettere fra loro, era un passo avanti notevole per quegli anni perché, con i sistemi analogici dell’epoca, era già difficile arrivare a 10 oscillatori (per maggiori particolari vedi le voci 4A e Giuseppe Di Giugno sul blog di Alex Di Nunzio).

Se da punto di vista quantitativo la 4A era un grande passo avanti, la qualità del suono era limitata dal fatto che non si potevano realizzare dei metodi di sintesi a spettro sonoro variabile (per es. con filtri o modulazione di frequenza), se non ricorrendo all’additiva. In Anthony, Wessel aggira questo limite evitando una caratterizzazione melodica del materiale sonoro, affidandosi, invece, a grandi cluster in lenta mutazione armonica.

Att.ne: il brano inizia molto piano. Inoltre con gli altoparlantini del computer ne sentite metà.

Un secondo contributo video riguarda l’attività di David Wessel come ricercatore interessato principalmente all’interazione uomo – macchina, tanto che nel 1985 aveva fondato all’IRCAM un dipartimento di ricerca dedicato allo sviluppo di software musicale interattivo.

Qui viene mostrato lo SLAB, uno dispositivo di controllo composto da una serie di touch pad sensibili alla posizione e alla pressione. Ogni pad trasmette al computer informazioni relative alla posizione xy del dito che lo preme e alla pressione esercitata. Il flusso di dati è ethernet, non MIDI, per cui le misure sono accurate e la risposta è veloce (questa storia del superamento del MIDI ce la porteremo dietro per la vita; per citare Philip Dick, la cavalletta ci opprime). Maggiori dati tecnici sullo SLAB, qui. Per gli impazienti, nel video la performance inizia a 2:40.

A Girl Named Elastika

Questo divertente video ha vinto un tot di premi. Non è particolarmente innovativo, se non nel metodo utilizzato per crearlo. Certo che, se è veramente in stop motion come sembra (ovvero un fotogramma alla volta, come nei vecchi cartoon), questi hanno lavorato un bel po’…

A GIRL NAMED ELASTIKA from Guillaume Blanchet I Filmmaker on Vimeo.

Un modello matematico delle storie d’amore

Le storie d’amore sono processi dinamici nei quali i coinvolgimenti sentimentali (i “sentimenti”) evolvono nel tempo, partendo, in generale, da uno stato di indifferenza. Per questo motivo, esse possono essere collocate, almeno come principio, all’interno della struttura formale della teoria dei sistemi dinamici, dove si utilizzano modelli matematici per descrivere l’evoluzione nel tempo delle variabili di riferimento. I modelli più frequentemente usati si basano sulle equazioni differenziali ordinarie (ODE).

Questo l’incipit di un articolo non recente (risale a Luglio di quest’anno) ma affascinante tratto da Popinga, un bel blog di scienza e letteratura che ogni tanto seguo. So che anche la sola idea di formalizzare gli elementi che determinano l’attrazione fra due individui e regolano l’evoluzione del loro rapporto può apparire ripugnante a molti perché ha a che fare con i sentimenti e questi ultimi, per la massa, sono a-matematici (α privativo), ma per qualcuno che è avvezzo alla matematica, la cosa non è così strana. Al limite è solo difficile.

L’articolo originale è questo: Le storie d’amore come sistemi dinamici.

PS: un minimo di familiarità con le equazioni differenziali costituisce un pre-requisito per apprezzarlo.

RIP Jack Bruce – Rawalpindi Blues

A ricordare Jack Bruce, Rawalpindi Blues, un lungo brano tratto da Escalator Over The Hill, l’opera (?) jazz di Carla Bley e Paul Haines incisa con la Jazz Composer’s Orchestra che raccoglieva la crème del jazz di file ’60 primi anni ’70, allargata a Jack Bruce, John McLaughlin e altri (vedi, in questo blog, qui).

Qui la voce di Jack, che mi piaceva quanto il suo basso (e forse anche di più), è in grande evidenza. Il brano è idealmente diviso in più sezioni in cui si alternano una Eastern Band formata da Don Cherry (ceramic flute and percussion as well as trumpet and voice), Calo Scott – cello, Leroy Jenkins – violin, Sam Brown – 12 string guitar, Souren Baronian – G clarinet and dumbek, Ron McClure – bass, Carla Bley – piano and organ, Paul Motian – drums, dumbek and bells e una Western Band con Jack Bruce – basso elettrico e voce, John McLaughlin – chitarra elettrica, Carla Bley – piano e organo e Paul Motian – batteria e percussioni (che alla fine, nelle note del disco, sarebbe apparsa con il nome di Desert Band).

Ovviamente la prima crea un sound tipicamente orientale fatto di atmosfere soffuse con un bordone, mentre la seconda ha un suono elettrico occidentale. Come già accennato, queste due visioni musicali si alternano, a volte all’improvviso e altre volte collegate dalle entrate della Jazz Composer’s Orchestra. È interessante sapere che, dato che era risultato impossibile riunire a New York tutti i musicisti a causa dei loro impegni (in quegli anni si suonava molto), il pezzo è stato registrato separatamente in varie sessioni. Prima una con Don Cherry e la Eastern Band il 30/11/1970, poi, il 7/12, quella con la Western Band. Altre piste sono state aggiunte in seguito durante il montaggio finale. Il tutto crea una bellissima fusion fra i due mondi, ben sintetizzata nel titolo.

Ovviamente ci sarebbero tante altre cose di Jack Bruce da ascoltare, ma ho voluto scegliere Rawalpindi Blues, in primo luogo perché posso parlare anche di Escalator Over The Hill, che mi è sempre piaciuta moltissimo e poi perché lui ha sempre scavalcato i generi, passando dal rock al jazz, al 900 europeo senza porsi problemi e poteva farlo con una certa facilità e senza forzature perché era maledettamente bravo, sia tecnicamente che musicalmente.

Il panorama di Marte

Guardatevi questo bellissimo panorama a 360° di Marte. È interattivo, permette di guardare in qualsiasi direzione regolando l’ingrandimento.

Vi consiglio di andare a schermo intero. Starsene sul divano e guardare i particolari di un altro pianeta ruotando la camera come se si fosse laggiù è incredibile. Non ho parole. Gran lavoro!

Uppsala Analog Synthesizer Symphonic Orchestra

Per gli amanti del vintage, ecco la Uppsala Analog Synthesizer Symphonic Orchestra (UASSO). La musica è a tratti banale e nostalgica, ma il suono è quello di una volta. Un po’ più di coraggio non guasterebbe. Con tutti quei synth si può fare l’iraddiddio.

Gli strumenti con relativi strumentisti sono:

Front row:
* Erik Möller – Conductor
* Mario Pierro – Roland Juno 60, Roland SH-101
* Johan Runeson – Roland Jupiter 6
* Hans Möller – Korg Polysix
* Lisa Ulfves – Moog Rogue
* Glenn Liljestrand – Yamaha CS-5
* Kristofer Ulfves – Moog Prodigy, TR-606

Middle row:
* Peter Heerdt – ARP Odyssey
* Måns Sjöstrand – Roland MC-202
* Marcus Mohall – SH-2000

* Maja Stoltz Pierro – Jen SX-1000
* Dan Wistedt – Roland JX-3P
* Per Melander – Roland SH-09
* Tomas Bodén – Korg MS-20
* Olof Liliengren – Korg Mono/Poly

Back row:
* Håkan Lidbo – MC-202
* Daniel Araya – Pearl Syncussion, TB-303, TR-606
* Magnus Danielsson – EMS Synthi A
* Jon Nensén – Serge
* Andreas Tilliander – MS-20
* Jens Kallback – MS-10

Moon

Un altro video da Possible Metrics (Renaud Hallee) di cui abbiamo già pubblicato Sonar.

Come nel precedente, immagine e suono sono strettamente collegati (si fa prima a vederlo che a descriverlo). Anche qui, comunque, la struttura dell’insieme è piuttosto elementare, basata sulla corrispondenza diretta fra evento acustico e visivo. In questo caso, però, la semplicità è un pregio perché rende il tutto immediatamente percepibile senza bisogno di cercarci dentro chissà quali analogie strutturali. Di conseguenza il video è godibile, anche se al sottoscritto un maggiore tasso di sperimentazione non dispiacerebbe.

Visibile in dimensioni maggiori su vimeo.

Noise

noise Katarzyna Kijek e Przemysław Adamski sono animatori polacchi che inseriscono elementi di animazione in riprese vere e proprie creando un gioco di immaginazione strettamente legato al suono.

La loro tecnica è quella dell’ormai desueta stop motion in cui viene impressionato un fotogramma per volta muovendo gli oggetti animati fra uno scatto e l’altro. Dico desueta perché la stop motion, largamente in uso un tempo, è stata ormai sostituita quasi completamente dalla grafica computerizzata. Kijek e Adamski, invece, riescono ancora a trarne situazioni di grande suggestione dove la connessione con il suono è evidente e ricca.

Potete anche vedere il video su vimeo.

5000 campanelli

5000 campanelli da bicicletta compongono questa installazione sonora di Ronald van der Meijs (o, forse, componevano, visto che il lavoro ha 2 anni e non sempre le installazioni durano molto).

L’idea, però, è bella. I campanelli sono sospesi su steli metallici oscillanti piantati nel terreno e possono toccarsi ad ogni alito di vento.

Lost Elevator Programs

Brent & Ryan Hibbett, the alchemical duo behind the Gutta Percha moniker, returns with yet another amazing and much wanted new production, entitled ‘Lost Elevator Programs’. This new album is an eeringly interesting and somewhat unorthodox new approach to the ‘muzak’ concept and ideology.

From the artists’ liner notes:

This album offers four tracks, each in the streamed “medley” form of commercial music programming, for both historical and imagined elevators. Just as one, encapsulated within elevator walls, travels blindly under the illusion of stasis, the aesthetic is a drifting one, moving even through repetition in unpredictable directions. It also intends to offer the strange blend of comfort and uncertainty experienced by early elevator riders, whose distrust of the newfound contraption businesses tried to offset with streams of innocuous, piped-in tunes. Toward these ends, we’ve looped, filtered, and otherwise manipulated obscure bits of instrumental music, and infused them with found sounds and additional instrumentation.

Free download from Test Tube site.

Excerpt:

Program I: For King Louis’ flying chair

Organ of qwerty

Distant SeasTreasury of curiosities’ is a dream-state wandering through a sonic wunderkammer, a collection of curios, oddities, freaks, gems, and objects of wonder and beauty, a display intended to provide access to non-familiar listening experiences. Although divided into separate tracks, it is meant to be listened to as one continuous piece.

This is the work from the mind of John Hanes (composing, percussion) who is also a drummer when he’s not making electronic music. He also had the help of friends Cary Sheldon (voice) and John Schott (guitar) to produce this disconcerting and amusing album.

[notes from test tube]

Free download from Test Tube site.

Excerpt:

Distant Seas

Submerged Turntable

In questa scultura di Evan Holm dei giradischi, con relativo disco in vinile, sono leggermente sommersi e tuttavia funzionano. Dico leggermente sommersi perché il braccetto e la maggior parte del blocco che decodifica la vibrazione della puntina stanno fuori, quindi si tratta solo di qualche millimetro di acqua.

Ciò nonostante, come si può sentire nel video qui sotto, il suono è praticamente perfetto come non avrei mai immaginato. È evidente che il motore deve essere protetto dall’acqua e che la stessa non deve penetrare il blocco della puntina. La prima cosa non è complicata (qui c’è un making of  in cui si vede che la parte elettrica del motore è esterna, appesa all’albero), ma la seconda mi riesce difficile immaginare come sia possibile. Dal making of  non si evincono particolari accorgimenti per impedire all’acqua di penetrare nel foro da cui esce il sostegno della puntina. Evidentemente l’acqua è così poca che non ci arriva.

Tuttavia il moto che si genera nell’acqua dovrebbe interferire con l’aderenza della puntina al solco, arrivando a far levitare il braccetto. L’unica spiegazione è che quest’ultimo sia decisamente pesante e in effetti la lunghezza del braccetto depone a favore di questa ipotesi. Il tutto, comunque, non è un gioco e nemmeno uno studio sulla resa del giradischi. Ecco la nota dell’autore:

There will be a time when all tracings of human culture will dissolve back into the soil under the slow crush of the unfolding universe. The pool, black and depthless, represents loss, represents mystery and represents the collective subconscious of the human race. By placing these records underneath the dark and obscure surface of the pool, I am enacting a small moment of remorse towards this loss. In the end however this is an optimistic sculpture, for just after that moment of submergence; tone, melody and ultimately song is pulled back out of the pool, past the veil of the subconscious, out from under the crush of time, and back into a living and breathing realm. When I perform with this sculpture, I am honoring and celebrating all the musicians, all the artists that have helped to build our human culture.

Kodak Aerochrome III

Kodak Aerochrome III è una pellicola fotografica sensibile agli infrarossi ormai fuori produzione. In origine era utilizzata per la rilevazione aerea di zone di vegetazione che appaiono color magenta o rosso, in contrasto con il grigio e il blu delle aree “fredde” di materiale in prevalenza non biologico. Di conseguenza aveva anche un impiego militare, per individuare installazione mascherate con il colori della vegetazione.

Come ho già accennato, oggi questa pellicola non è più in produzione, ma ne rimane ancora una certa quantità da smaltire e ovviamente alcuni fotografi hanno trovato dei modi interessanti per utilizzarla. Richard Mosse ha realizzato vari progetti con la Kodak Aerochrome III, fra cui  Infra (2010/11) che testimonia la difficile situazione nella regione del Nord Kivu (Congo orientale) con il contrasto fra la vegetazione tropicale e lussureggiante e gli eserciti che la attraversano.

Tre immagini dal progetto Infra di Richard Mosse (cliccare l’immagine per ingrandire).

Colonel Soleil’s Boys
North Kivu, Eastern Congo
2010
Even Better Than The Real Thing
North Kivu, Eastern Congo
2011
Vintage Violence
North Kivu, Eastern Congo
2011

Daniel Zvereff, invece, l’ha usata per Introspective, un progetto solo apparentemente inadatto alle caratteristiche della pellicola: un viaggio verso l’artico, luogo in cui di vegetazione se ne trova ben poca. Ma proprio per questo, il diradarsi delle zone in colore dà l’esatta immagine del cambiamento del paesaggio, dal colore al (quasi) bianco/nero. Un viaggio fatto di foto, disegni e diario.

Tombstone, Yukon Kulusuk, Greenland Longyearbyen, Svalbard

Mi piace molto quando l’arte riesce a reinventare gli oggetti che la tecnologia si lascia dietro.

C’è vita oltre i 20.000 Hertz!

In realtà lo sapevamo già tutti (almeno noi che lavoriamo sull’audio digitale), ma, visto che noi umanoidi sentiamo solo fino a circa 20.000 Hertz (e solo se abbiamo 10 anni e le orecchie lavate), spesso non ci pensiamo.

E così, quando circa 20 anni fa, munito di una scheda audio e un microfono in grado di acquisire il suono con una banda passante superiore ai 22.000 Hz (frequenza massima del CD e degli impianti Hi-Fi)il che, per la scheda, significa un campionamento ben maggiore dei classici 44100/48000 Hertz, oggetti piuttosto rari a quell’epoca) James Boik, del Caltech, ha analizzato lo spettro di alcuni strumenti musicali scoprendovi frequenze superiori ai 50.000 Hertz, tutti sono rimasti colpiti.

Due parole di spiegazione per i non addetti. La banda di frequenza riprodotta normalmente nell’audio digitale va da 0 a 22050 Hz per il CD e 24000 Hz per il DVD. Il che, considerando che gli umanoidi sentono fino a circa 20000 Hz quando sono bambini e crescendo perdono le frequenze alte (il 70enne medio non arriva a 15000 Hz), va bene.

Ora, per registrare audio che arriva a 20000 Hz, una apparecchiatura audio digitale deve lavorare a una frequenza molto superiore. Per la precisione, il doppio. Quindi, per registrare un suono per noi acutissimo a 20000 Hz, una scheda audio deve lavorare almeno a 40000 Hz. Il che significa che deve trattare almeno 40000 numeri al secondo per ogni canale di audio (80000 per un segnale stereo, 240000 per un 5+1) .

È una situazione analoga a quella del cinema. Un film non è altro che una sequenza di fotografie, cioè immagini fisse. Per avere la sensazione del movimento occorre superare la soglia oltre alla quale il nostro sistema occhio-cervello non è più in grado di percepire le singole immagini, ma ognuna si fonde con la successiva, dando l’illusione del movimento. Per la vista, questa soglia è di circa 25 immagini al secondo (è la frequenza del PAL cioè la televisione europea (lo standard americano NTSC, invece, va a poco meno di 30)). Tuttavia si è visto che con frequenze maggiori l’immagine è più nitida e la qualità è superiore, soprattutto nel caso di grandi schermi. Il cinema, quindi, adotta frequenze intorno ai 50/60 Hz e così ormai fanno i monitor da computer e le TV digitali.

Torniamo all’audio. La verità e che, se consideriamo che il DO più alto del pianoforte emette una nota la cui fondamentale è 4186 Hz (accordato sul LA = 440), basta arrivare alla quinta componente armonica per superare i 20.000 Hz e di armonici ce ne sono ben più di 5. Di conseguenza, tutti sapevamo che l’estensione spettrale delle note alte degli strumenti musicale superava la fatidica soglia del nostro sistema percettivo, ma nessuno immaginava che potesse accadere anche con note non così alte.

E invece la ricerca di Boik mostra, per esempio, che una tromba che suona un SIb con fondamentale a 465.4 Hz emette componenti armoniche che superano i 50 kHz oltrepassando la 100ma armonica con ampiezza, sì, bassa, ma non proprio banale.

Cliccate sulla figura qui sotto per ingrandirla e leggere la didascalia. L’articolo intero è qui o qui.

trumpet spectrum

Genesi: Sebastião Salgado a Venezia

sebastiao-salgado

C’è una mostra da vedere a Venezia. 240 immagini di Sebastião Salgado ispirate alla terra incontaminata. 240 foto prese in quel 40/45% del nostro pianeta che rimane quasi intoccato da mano umana o perlomeno toccato ma a un livello ampiamente sostenibile, in cui il poco di umanità che lo abita non consuma più di quanto la terra possa produrre.

Otto anni e 32 viaggi per riempire le cinque sezioni di questa mostra, dedicate al altrettante aree del globo in cui la “civiltà” non è riuscita a introdursi in modo massiccio: l’Antartide e il sud dell’Argentina, l’Africa, alcuni luoghi piccoli ma peculiari come il Madagascar, Papua Nuova Guinea e l’Irian Jaya, il Grande Nord e infine l’Amazzonia, il polmone verde del pianeta, che contiene oltre un decimo della biodiversità presente sulla terra.

C’è una incredibile bellezza in queste immagini. Una bellezza che ognuno può interpretare come vuole (per me assolutamente laica), ma che rimane innegabile e sublime, termine, quest’ultimo, che non sono mai riuscito ad associare alle creazioni umane. A parte i molti viaggi di quando ero più giovane, io colleziono tuttora immagini della terra senza l’uomo e trovo che, anche dal punto di vista estetico, siano inarrivabili. C’è un equilibrio fra diversità e ripetizione, fra struttura e casualità che è una grande fonte di ispirazione, ma anche qualcosa di irraggiungibile.

Mi spiace solo che la natura non sia riuscita, finora, a porre un serio limite alla crescita umana. Ha tentato molte volte, con e senza il nostro aiuto, raggiungendo anche risultati apprezzabili, ma non ci è mai andata nemmeno vicina. Forse tenterà di nuovo e fallirà meglio. O forse, prima o poi, troverà una soluzione un po’ brusca, tipo un asteroide ben centrato, che darà al pianeta qualche millennio di tregua per riprendersi.

Perché, secondo me, la conservazione del pianeta non è questione di intelligenza da parte nostra. Anche se un po’ più di attenzione non sarebbe male, anzi, a dire la verità, sarebbe obbligatoria e potrebbe ottenere buoni risultati, non c’è niente da fare. È solo una questione di quantità.

Genesi è aperta dal 1 Febbraio al 11 Maggio alla Casa dei Tre Oci, alla Giudecca. Sito di riferimento.

Le foto sono in bianco/nero, ma, come diceva Samuel Fuller “la vita è a colori, ma il bianco e nero è più realista”. Altre immagini qui.

Esplorando Julien Bayle

Sto esplorando alcune produzioni di Julien Bayle (aka Protofuse). Abbastanza giovane (b. 1976, Marsiglia). Studi di biologia, informatica, forse musica. In quest’ultima spazia dalla techno all’ambient. In effetti ha iniziato come DJ Techno per passare, poi, ad Ableton, Max for Live e Max6 [notizie da wikipedia]. Si occupa anche di installazioni audio-visuali via Max + Jitter.

Musica di Julien Bayle si può ascoltare qui. Ecco un brano: void propagate #2

Ed ecco una immagine tratta da una installazione recente: Disrupt!on (2014) realizzata con Max6, OSC, OpenGL, Network connection.

impulse03

Dato che, come autore, spazia fra vari generi, alcune cose possono piacere, altre no, ma il suo è sicuramente un sito da visitare.

PS: mi sto anche chiedendo se non abbia qualcosa a che fare con François Bayle

Korg MS-20 Kit

Korg_MS-20Il Korg MS-20 è tornato in versione Ikea, ovvero scatola di montaggio prodotta dalla stessa Korg. L’originale è rimasto in produzione dal 1978 al 1983 ed è ormai diventato un pezzo da collezione venduto a cifre che arrivano a € 1600.

Cliccate l’immagine per un ingrandimento mega.

Finora era disponibile una replica prodotta sempre da Korg, ma a dimensioni ridotte di circa il 14% (il cosiddetto MS-20 mini) al prezzo di circa € 600, mentre questa nuova versione è a dimensioni intere.

Secondo i produttori, anche la circuiteria analogica originale è stata replicata accuratamente utilizzando, per quanto possibile, gli stessi componenti e sostituendo quelli non più in produzione con altri che garantiscono la sonorità tradizionale.

Un dato importante riguarda i filtri. Nel corso della produzione, infatti, il disegno dei filtri era stato cambiato. Il primo tipo aveva una caratteristica distorsione e andava facilmente in auto-oscillazione. Qualche anno dopo era stato sostituito da un filtro più dolce e facile da controllare, ma meno “cattivo”. Questa versione dispone di entrambe le versioni dei filtri e consente di passare dall’una all’altra grazie a un jumper sul circuito. Lo switch, quindi, è interno (una cosa da nerd).

Sono state aggiunte anche una porta MIDI IN e una USB con funzioni di MIDI IN e OUT.

Il prezzo, però, sembra elevato: si parla di circa $ 1400 con disponibilità a Marzo. Ecco il sito del produttore e un divertente video promozionale. Effettivamente montarselo deve essere una goduria.

Il Dottor Stranamore: titoli alternativi

Dagli archivi di Stanley Kubrick è saltata fuori una paginetta in cui il regista annotava idee per dare un titolo al Dottor Stranamore, famoso film del 1964 liberamente ispirato al romanzo Allarme Rosso (Red Alert, 1958) di Peter George.

Già dai titoli si può intuire una certa differenza fra il romanzo e il film. Mentre il romanzo è molto serio, centrato sulla minaccia nucleare e sulla relativa facilità con cui la catastrofe può essere innescata, il film affronta lo stesso tema in modo semiserio, tanto da poter essere definito una commedia più che un film catastrofico o di fantapolitica.

L’elenco dei possibili titoli è curioso e stranamente non riporta quello che sarebbe poi diventato il titolo reale: Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba).

È anche difficile immaginare a che cosa si riferissero alcuni titoli, come, per es. Dr. Strangelove’s Secret Uses of Uranus.

Comunque, ecco un elenco completo:

  • Doctor Doomsday
  • Don’t Knock the Bomb
  • Dr. Doomsday and his Nuclear Wiseman
  • Dr. Doomsday Meets Ingrid Strangelove
  • Dr. Doomsday or: How to Start World War III Without Even Trying
  • Dr. Strangelove’s Bomb
  • Dr. Strangelove’s Secret Uses of Uranus
  • My Bomb, Your Bomb
  • Save The Bomb
  • Strangelove: Nuclear Wiseman
  • The Bomb and Dr. Strangelove or: How to be Afraid 24hrs a Day
  • The Bomb of Bombs
  • The Doomsday Machine
  • The Passion of Dr. Strangelove
  • Wonderful Bomb

ed ecco infine la pagina.
Strangelove

Grazie a Lists of Note

Face Substitution

Allora, questa, qui sopra è la media fra il mio viso e quello di Obama. Così anch’io, che sono pallido, posso sembrare un po’ più abbronzato.

Quella qui sotto, invece, mi piace di più. In questo caso la media è fatta con Terminator. Vi risparmio quella con Chuck Norris.

Il tutto è opera di un software che lavora via web. Attiva la vostra webcam (chiedendovi il permesso; non a vostra insaputa) e individua gli elementi salienti del viso (occhi, naso, bocca, contorno).

A questo punto potete scegliere un viso con cui mixare in tempo reale il vostro da una lista di una decina di personaggi famosi. Il risultato, poi, non è fisso, ma segue i vostri movimenti e le vostre espressioni facciali.

Il bello è che tutto è fatto semplicemente  in javascript e peraltro il codice è anche liberamente scaricabile da GitHub. L’autore è tale Audun Mathias Øygard, ispirato da un video di Kyle McDonald & Arturo Castro che trovate su vimeo.

Ma, mentre quello è un video, questo è un mix in tempo reale, oltretutto fatto via web. Lo trovate qui. Assicuratevi che il vostro viso sia in piena luce. Poi cliccate “start” e cercate di stare fermi finché non appaiono delle linee che contornano i punti salienti del vostro volto. A questo punto potete scegliere dalla lista accanto, il viso con cui mixare il vostro.

Naturalmente nessuno vi assicura che non si tengano la vostra faccia, magari associandola al vostro ip, browser e quant’altro, ma così va il mondo (scherzi a parte, non mi sembra il tipo, però siete stati avvertiti).

MaxScore

MaxScore

MaxScore è un software che gestisce la notazione musicale in Max/MSP e Ableton Live via Max for Live.

In pratica è un oggetto Max che accetta messaggi per creare note e trasformarle. La partitura può essere salvata, caricata ed esportata in MusicXML e nel formato di LilyPond. È inoltre in grado di eseguire una partitura inviando messaggi ad ai vostri patch Max/MSP.

MaxScore è scritto in Java ed è stato sviluppato da algomusic.com che ha creato una libreria proprietaria chiamata JMSL (Java Music Specification Language):

JMSL is a Java API for music composition, interactive performance, and intelligent instrument design. With JMSL, the composer/programmer can create stand-alone musical applications or deploy applets on the web.
JMSL supports JSyn (Java Synthesizer, a music synth API written in Java) and MIDI.

Il download e l’utilizzo di MaxScore sono gratuiti per i possessori di una licenza JMSL, che costa $50 per gli studenti e per coloro che vogliono usare solo MaxScore con Max/MSP e Max for Live. Per tutti gli altri, cioè coloro che intendono sviluppare applicazioni in JMSL, la licenza per uso non commerciale, educativo e artistico costa $120. Per altre info, vedere qui.

DbN – The Found Tapes Project 2014

C’è del fascino nella poetica degli oggetti trovati…

DbN take old cassette tapes found on flea markets and thrift stores and use them as raw material in fully live improvised electronic music performances.

The found tapes are sampled, manipulated, processed and ”physically played” using granular synthesis and other techniques, to create obscure rhythmical structures, noises and drones.

For each and every concert DbN use only cassette tapes found locally within the city or the area of the specific concert venue, making the raw material for every performance totally unique.

The audience is encouraged to bring their own cassette tapes to the venue for use in the performance.

DbN – The Found Tapes Project 2014 from DA BOOK on Vimeo.

Un acquarello per la fine del tempo?

Henry Simon (1910 – 1987) era un pittore francese che lavorava principalmente in acquarello.

Catturato dai tedeschi a Dunkerque nel 1940, venne imprigionato nello Stalag 1B presso Olsztynek, nella zona di Dresda, in quella che allora era la Prussia Orientale. Durante la prigionia continuò a dipingere producendo, fra gli altri, il disegno riprodotto qui sopra che sarà pubblicato insieme ad altri dipinti di quel periodo (in tutto circa 20) nel 1941, dopo la resa della Francia, in un libro dal titolo Compagnons de Silence. Il disegno è titolato Le Violiniste au Camp (Simon, in effetti, era anche un musicista dilettante) e datato, come gli altri acquarelli, 1940/41.

Ora, se pensiamo che Olivier Messiaen, autore del celebre Quatuor pour la Fin du Temps, parimenti scritto in un campo di concentramento tedesco ed eseguito per la prima volta in campo di prigionia nel gennaio del 1941, venne rinchiuso nello Stalag V111-A, distante circa 200 km dall’1B di Simon, ma nella stessa zona, non si può non notare la coincidenza…

Noteflight

Noteflight è un tool su web per scrivere musica via browser. In pratica un programma di video-scrittura musicale che risiede su un sito.

Le partiture introdotte possono essere condivise e/o esportate in MusicXML, quindi, poi, possono essere importate nei principali software di questo tipo. L’applicazione è free per l’uso non commerciale e offre una versione più potente, chiamata Crescendo, per l’utilizzo commerciale a $49/anno (o $7.95 per un mese).

Gira con HTML5 quindi i browser lo devono supportare. Secondo loro dovrebbe andare su:

Browser Minimum Version
Google Chrome 21
Safari 5
Internet Explorer 9
Firefox 14
Mobile Safari iOS 6
Android 2.3

Sebbene, dal mio punto di vista, sia sempre meglio tenersi tutto in casa (io diffido anche delle varie clouds), probabilmente è bene che esista una cosa del genere che offre interessanti prospettive per la condivisione e la collaborazione (ma che cosa accade se in due cercano di editare contemporaneamente una partitura, è tutto da vedere).

Concerto per la fine del tempo

Lo spettacolo “Concerto per la fine del tempo”  va in scena la sera di martedì 28 gennaio 2014, alle 20.30, presso l’Auditorium Santa Chiara di Trento, occasione per il “Bonporti” di inaugurare l’Anno Accademico. La drammaturgia è incentrata su partiture, lettere, diari, testimonianze di musicisti che hanno vissuto l’olocausto: in modo asciutto e ironico, intreccia stili e registri differenti, dal classico al popolare, aiutandoci a comprendere un momento drammatico della storia dell’umanità attraverso la musica e i testi che l’hanno accompagnato.

La musica klezmer, popular e da film, gli strumenti e le voci, le parole degli attori e le coreografie di otto danzatrici del Liceo musicale-coreutico si uniranno sotto la guida di un’attenta regia.

Potremo così scoprire Viktor Ullmann, compositore e direttore d’orchestra ebreo austriaco che fu internato con la moglie dal 1942 al 1944 nel lager di Theresienstadt, dove diede vita a rappresentazioni teatrali, concerti e compose nuove musiche, prima di trovare la morte nelle camere a gas di Auschwitz. A Theresienstadt nel ’42 era arrivata con la famiglia anche la poetessa Ilse Weber, che durante la prigionia compose  60 tra poemi e canzoni, condividendo con Ullmann lo stesso fervore artistico ma anche la stessa tragica fine. Altro autore di riferimento è Olivier Messiaen che, trovatosi in campo di concentramento con altri tre musicisti, compose “Quartetto per la fine dei tempi”, e lo fece tenendo presente che, per presentare quest’opera ai compagni di prigionia, disponevano di un pianoforte scassato e di un violoncello con sole tre corde:  nacque in questo modo uno dei capolavori musicali del ‘900, a dimostrazione che – secondo il significato assegnato dall’autore all’opera stessa – la speranza deve vincere su ogni distruzione.

Facendo tesoro di questi e di altri contributi artistici, il “Concerto per la fine del tempo” è l’occasione per gli allievi del “Bonporti” di creare un’opera musicale significativa e originale sul tema della memoria.

Webbed Hand Records

 

La  Webbed Hand Records è una netlabel che ha un interessante catalogo nell’area ambient, drone ed elettroacustica di confine, cioè sperimentale, ma non troppo accademica.

Il tutto pubblicato in CC, quindi liberamente scaricabile in formato mp3. In effetti sarebbe carino che le produzioni si potessero anche acquistare in formato non compresso, come fanno altre netlabel, ma probabilmente, visto anche il tipo di produzioni, il mercato non sarebbe sufficiente a giustificare gli oneri derivanti dalla vendita.

La trovate qui (o cliccate l’immagine)

Google Music Timeline

Ma voi avete visto la music timeline di google? (il cui fine, poi, è quello di vendere musica da google play).

Cliccando su un genere, si espande ai sotto-generi, ognuno dei quali si espande fino ai nomi dei musicisti. Solo Google può permettersi cose del genere…

Però, attenzione: il grafico non si riferisce agli ascolti o alle vendite di tutto il mondo, ma è costruito basandosi soltanto sugli ascolti effettuati tramite il servizio Google Play (cito le FAQ: The Music Timeline is based on album and artist statistics aggregated from Google Play Music — we define popularity by how many users have an artist or album in their music library).

Quindi non è una mappa della popolarità dei generi musicali nel mondo, cosa che ci si potrebbe aspettare, conoscendo il furore “schedatorio” di Google, ma una statistica ricavata dal proprio servizio di vendita. Il valore della mappa, quindi, dipende da alcuni dati che attualmente non conosco e cioè quanti utenti ha Google Play e soprattutto cosa è disponibile (un artista non appare se Google non lo vende).

Ciò nonostante, è carina. Per la cronaca, nonostante quello che alcuni hanno scritto, c’è anche un tot di musica italiana (ho trovato De André e perfino la Pausini).

Un’altra precisazione importante è che la timeline non mostra, come dicono alcuni, la popolarità di un genere nel corso degli anni, bensì la presenza nelle librerie degli utenti di Google Play di dischi pubblicati in quegli anni. Per esempio, la grossa bolla di jazz degli anni ’50 non significa che negli anni ’50 tutti ascoltavano jazz, bensì che, fra le incisioni degli anni ’50, gli utenti di Google Play hanno principalmente dischi di jazz.

Un piccolo problema è che tutti i grafici sono normalizzati, per cui, se si vede un solo artista, non si ha la minima idea della sua incidenza sul totale. Verò è che, in tal caso, molti grafici sarebbero stati troppo piccoli, però una qualche indicazione percentuale avrebbero potuto metterla.

Infine, peccato non ci sia la musica classica. Nelle FAQ si dice che la mancata inclusione della classica dipende dall’incertezza della modalità di piazzamento temporale: ci si deve basare sulla data di composizione o di incisione? Effettivamente l’utilizzo della prima avrebbe esteso il grafico di almeno 5 secoli, mentre, secondo loro, la seconda sarebbe risultata fuorviante. Vedremo.

Box

Box explores the synthesis of real and digital space through projection-mapping on moving surfaces. The short film documents a live performance, captured entirely in camera.

Bot & Dolly produced this work to serve as both an artistic statement and technical demonstration. It is the culmination of multiple technologies, including large scale robotics, projection mapping, and software engineering. We believe this methodology has tremendous potential to radically transform theatrical presentations, and define new genres of expression.

Find out exactly how “Box” was created in our exclusive behind the scenes video:
http://www.youtube.com/watch?list=PL6…

http://www.botndolly.com/box

Segnalato da Katja

Per sempre cool

Il 21 Marzo 1976, dopo un concerto alla Community War Memorial arena in Rochester, New York, quattro detectives e un investigatore della polizia locale piombarono nella suite dell’Americana Rochester Hotel dove alloggiava David Bowie, sequestrando 182 grammi di marijuana e arrestando 4 persone: lo stesso Bowie, Iggy Pop, un bodyguard, tale Dwain Voughns e una ragazza di Rochester, Chiwah Soo.

I quattro passarono la notte in cella e furono rilasciati mattino seguente dietro cauzione di $ 2000 cadauno. Bowie e Iggy Pop vennero registrati con i loro veri nomi: rispettivamente David Jones e James Osterberg, Jr. Tre giorni dopo, David Bowie dovette presentarsi per il processo, immediato e veloce come è tipico negli USA, almeno per questo tipo di reati e in quell’occasione venne scattata la seguente foto segnaletica che fu ritrovata molti anni più tardi da un impiegato di una casa d’asta, frugando fra i mobili di un ufficiale di polizia in pensione. La foto fu poi venduta su Ebay per $ 2700.

È incredibile e quasi inumano come Bowie riesca ad apparire perfetto anche in una foto segnaletica come questa. Se non avete mai avuto il piacere, sappiate che, nel 1976, in America, di solito, queste foto venivano prese con vetuste polaroid e due fari sparati in faccia mentre tu devi reggere il cartello con il numero e non hai ben chiaro come andrà a finire.

Devo la storia a Open Culture

Nosaj Thing

Nosaj Thing (born Jason Chung) è un giovane musicista di Los Angeles attivo nell’area hip hop, remix, etc.

Mi ha colpito questo video sul suo brano Eclipse/Blue per la connessione fra i due danzatori (uno reale, mentre l’altro sembra essere parte del video) e la proiezione (virtuale) alle loro spalle.

Un gioco di luci trasforma il personaggio reale in una silhouette monocromatica quasi virtuale che interagisce con una seconda silhouette la cui realtà non è chiara. Insieme generano e si fondono con le forme in evoluzione sullo schermo. Notevole.

Da quel che capisco i credit per il video dovrebbero andara a Daito Manabe, takcom, Satoru Higa, and MIKIKO with support from The Creators Project. Peraltro anche il brano non è così banale…

Grazie a Katja per la segnalazione.

UPDATE: le ballerine sono effettivamente due, una davanti e l’altra dietro allo schermo

Treatise by Cardew Ensemble

Cardew Ensemble è una formazione nata con lo scopo di rivisitare in chiave elettroacustica le composizioni aperte tipiche degli anni ’60/’70, in primis il Treatise di Cornelius Cardew di cui potete ascoltare qui le pagine da 1 a 14.

La formazione è:

  • Nicola Baroni (cello and Max/MSP)
  • Carlo Benzi (synth and Max/MSP)
  • Mauro Graziani (Max/MSP)
  • Massimiliano Messieri (toys percussion and Max/MSP)
  • Federico Mosconi (electric guitar and Max/MSP)
  • Michele Selva (alto saxophone)

The Kelpies

Il primo Entrambi

 

Il kelpie è un demone in grado di assumere la forma di un cavallo e proviene dal folklore celtico, e si crede infesti i laghi ed i fiumi della Scozia e dell’Irlanda. È presente anche nel folklore scandinavo, dove è noto con il nome di Bäckahästen (il cavallo di fiume), e nell’Isola di Man, dove è noto con il nome di Alastyn. [wikipedia]

Ora, la Scozia celebra i Kelpies con queste sculture alte circa 30 metri, opera di Andy Scotts, installate nell’area di Falkirk, alla foce del Forth, non lontano da Edimburgo.

A giudicare dalle foto, il colpo d’occhio è notevole e anche l’impatto paesaggistico non mi sembra male. In un paese normale si riescono a fare anche queste cose nonostante il fatto che qualche polemica ci sia stata (ma, come è giusto, si tratta di polemiche culturali, non politiche o peggio, penali come spesso accade qui).

Alcuni, infatti, si sono chiesti perché celebrare i kelpies che, nella tradizione, sono demoni che convincono gli umani a cavalcarli, per poi trascinarli in acqua e divorarli. Ma in fondo, si tratta di un mito tradizionale e per estensione l’opera celebra anche il cavallo che, nei secoli fino alla rivoluzione industriale, ha avuto un grande ruolo nella civiltà scozzese.

Qui il sito dedicato all’opera con altre immagini dove si vedono anche i modelli in scala 1:10, attualmente esposti al Field Museum a Chicago.

Retromania

Sto leggendo Retromania, di Simon Reynolds (Isbn Edizioni, Milano, 2011, 506 pagg., € 26.90). Non l’ho ancora finito (sono circa a metà), quindi questa è una recensione parziale, comunque fin qui mi sembra un libro decisamente ben scritto e argomentato, ricco di fatti, quasi troppo e questo è il suo unico limite: avrebbe potuto risparmiarci un po’ di queste 433 (506 con bibliografia e indici) pagine. Però non mi lamento: avercene di critici con questa profondità di analisi e documentazione. Ottima anche la traduzione di Michele Piumini.

Qui Reynolds esamina la tendenza al remake che ha colpito la scena pop/rock a partire dal nuovo millennio, simboleggiata dall’apertura, nell’Aprile 2000, del Memphis Rock’n’Soul Museum presso lo Smithsonian Institution.

Questa faccenda, in effetti, è una delle cose che mi colpiscono maggiormente nella musica attuale, raramente in senso positivo, più spesso negativamente. Come recita l’introduzione,

un tempo il pop ribolliva di energia vitale … i duemila sembrano invece irrimediabilmente malati di passato …

Perché non sappiamo più essere originali? Cosa succederà quando esauriremo il passato a cui attingere? Riusciremo ad emanciparci dalla nostalgia e a produrre qualcosa di nuovo?

Ma mi rendo conto che il significato negativo che io attribuisco alla retromania può dipendere anche dal fatto che io ho vissuto quel passato e quell’energia vitale, perciò non riesco ad accettare facilmente i rifacimenti proposti dalla musica attuale che finiscono spesso per sembrarmi delle brutte copie prive della forza e del significato dell’originale.

Comunque, fra le domande che l’autore si pone, la prima e l’ultima mi sembrano le più stringenti. La seconda, a mio avviso, è inutile: il passato, infatti, non si esaurisce mai. Come le mode insegnano, c’è sempre qualcosa da rifare o qualche modo diverso di rifarlo.

Stiamo, infatti, assistendo ad una celebrazione del passato che interessa tutti i settori, nessuno escluso: dal più comune, quello dell’abbigliamento, fino all’arredamento, alla televisione, al cinema, a giocattoli e videogiochi, all’alimentazione, per arrivare al retro-porno (tipo il vintage hairy, il porno prima dell’avvento della depilazione totale).

Nel tentativo di dare una spiegazione, il testo di Reynolds si apre con una impressionante e un po’ angosciante retrologia: una lista di date e fatti che copre il decennio 2000/2009 e va dai musei celebrativi come il già citato Memphis Rock’n’Soul Museum o l’Experience Music Project di Paul Allen, passa per le reunion (più di 30, forse 40 in 10 anni: in molti casi una funerea parata di individui attempati e acciaccati, spesso ancora in grado di suonare bene, ma che si atteggiano squallidamente a ventenni), e arriva ai concerti delle tribute band e alle riedizioni/rifacimenti di dischi e perfino di avvenimenti storici (come l’attraversamento in massa di Abbey Road l’8 Agosto 2009, 40 anni dopo quello dei Beatles per la copertina dell’album omonimo).

Per quel che riguarda la musica pop, l’ipotesi centrale è che uno degli elementi scatenanti di questa tendenza sia l’accumulo reso possibile da internet. Sulla rete si mette ormai tutto e c’è posto per tutto. Fotografie, canzoni, video, spezzoni televisivi, libri, vecchie riviste, grafica e chi più ne ha, più ne metta. Con l’apparizione dei cellulari multifunzione, tutti girano con una videocamera, una macchina fotografica e un registratore. Documentare il presente e metterlo in rete è facilissimo, ma il presente diventa rapidamente passato. Inoltre, la gente, ormai, mette in internet non solo l’attualità, ma anche i propri ricordi e generalmente quello che ama o che reputa importante: cimeli sotto forma di immagini fisse, video e suono stanno saturando lo spazio disponibile in rete, spazio che, però, continua ad allargarsi grazie alla riduzione del costo delle memorie di massa.

La condivisione di tutto questo materiale, poi, è imposta da coloro che offrono lo spazio. Entità come You Tube guadagnano solo grazie alla pubblicità e quest’ultima è attirata solo dalla quantità dei contatti. Ne consegue che il materiale disponibile deve essere condiviso e deve essere molto (sia la qualità che i contenuti non hanno grande importanza; quello che conta è che generino contatti).

A questo punto, secondo Reynolds,

il puro e semplice volume del passato musicale accumulato ha cominciato ad esercitare una sorta di attrazione gravitazionale.
[…]
I musicisti divenuti maggiorenni in questo periodo sono cresciuti in un clima caratterizzato da un grado di accessibilità del passato travolgente e senza precedenti

Inoltre, aggiungo io, per ragioni anagrafiche, non hanno vissuto il passato e quindi ne sono affascinati.

Di conseguenza

l’esigenza di movimento, di arrivare da qualche parte, poteva essere soddisfatta altrettanto facilmente (anzi, più facilmente) volgendosi a questo immenso passato e non guardando avanti.

In effetti, un paragone fra la disponibilità attuale e quella mia o di Reynolds (io sono del ’54, lui del ’63) è improponibile. Ai nostri tempi, il passato spariva. Gli album andavano rapidamente fuori catalogo e se non si acquistavano nei primi anni erano facilmente perduti. Per di più, il file sharing dei tempi andati si limitava alle audio-cassette e l’accesso ai dischi dipendeva dalla disponibilità economica.

Oggi, nell’oceano di internet si può pescare quasi tutto al solo costo della connessione (peraltro necessaria anche per altre cose) ed è quindi normale andare ad ascoltarlo, così come è facile crogiolarvisi dentro. La situazione della creatività attuale è resa difficile proprio dal fatto che, a differenza di quanto avveniva prima di internet, il passato non scompare mai. Io, per esempio, avevo 12/13 anni quando ho iniziato ad ascoltare seriamente il rock e ho conosciuto prima i gruppi miei contemporanei (ex: Beatles, Stones e gli altri) e solo qualche anno dopo ho ascoltato quelle che erano le radici di queste band, cioè il blues e il rock’n roll. Attualmente, invece, tutto è contemporaneamente disponibile.

Nello stesso modo, io vedevo dei dischi e delle band diventare vecchi, mentre altri generi e band nascevano. Avevo, cioè, una percezione del tempo lineare e orientata da un passato verso un futuro. Attualmente, invece, il movimento è stato sostituito dall’accumulo: non si va da un passato, con delle cose che invecchiano e scompaiono, a un futuro che propone delle novità, ma si aggiungono altre cose che si stratificano in un immenso deposito che tende ad annullare il tempo e a produrre quello Reynolds chiama stallo temporale il cui effetto finale è di bloccare qualsiasi tendenza al progresso (inteso come semplice movimento, senza un giudizio di valore) e produrre un continuo rimescolamento di ciò che esiste o è esistito.

Music for 18 musicians

Una delle non molte composizioni di Steve Reich e di tutta la minimal music che mi piacciono veramente.

Per me, il problema del minimalismo è che si basa su una idea che non ha mai avuto un vero sviluppo. In altre parole, questa musica si basa essenzialmente sulla sovrapposizione di pattern che, nel tempo, possono

  1. cambiare melodicamente, per esempio sostituendo via via le note (Glass) o invertendo note e pause (Reich)
  2. cambiare ritmicamente, introducendo, ogni tanto, una mutazione nelle figurazioni
  3. cambiare timbricamente,  sostituendo gradualmente i gruppi strumentali che eseguono i vari pattern
  4. sfasarsi temporalmente accelerando o rallentando il metro (a volte usando metronomi diversi fin dall’inizio)

Non mi sembra ci siano altri espedienti e a mio avviso, il tutto diventa estremamente prevedibile. Ciò non toglie che, a volte, il risultato possa essere affascinante e coinvolgente, ma non si può continuare per una vita così.

 

Linguaggi fischiati

Sono rari ma esistono. I linguaggi composti da fischi sono tipici di alcune località con caratteristiche che rendono difficili i contatti ravvicinati fra le persone. Un esempio sono i luoghi molto montagnosi e frastagliati, dove la gente può vedersi da lontano, ma per arrivare a contatto diretto deve camminare un bel po’.

Di conseguenza, per scambiare due parole con il tipo che vedi sull’altro versante, bisognerebbe urlare, invece, in alcuni luoghi, si è sviluppata una forma di comunicazione basata su fischi. A pensarci, anche Venezia è un posto così. Capita spesso di vedere qualcuno che conosci, solo che, invece di essere dall’altra parte della strada, è dall’altra parte del canale e il ponte più vicino è almeno a 200 metri, nella direzione opposta a quella in cui stai andando.

Bene, a Venezia non è successo, ma in Messico, nel nord-est della regione di Oaxaca, è possibile sentire uno dei rari esempi di linguaggio basato sui fischi. Questa lingua non sostituisce quella parlata, che peraltro è complessa perché, pur facendo tutti parte della stessa famiglia linguistica, quella Chinantec, nella zona esistono almeno 14 dialetti mutualmente inintelligibili. I fischi si pongono, invece, come una forma di comunicazione parallela, utilizzata quando le persone si vedono, ma non possono avvicinarsi a causa della natura montuosa del terreno.

In questo video ne sentite un esempio: si tratta di una conversazione cordiale fra due agricoltori che sono al lavoro in due appezzamenti di terreno. Si vede anche la versione scritta della conversazione.

Un altro luogo in cui si è sviluppata questa forma di comunicazione è La Gomera, un’isola delle Canarie. Qui abbiamo un video in cui si vede un buon esempio a partire da 5’35”.

Sud

Il primo movimento di Sud di J.C. Risset, è un bell’esempio di composizione elettroacustica che sfrutta ed elabora alcuni elementi del paesaggio sonoro che, ad onta delle immagini del video, è quello della Francia meridionale (NB: il video non ha niente a che fare con il brano).

La composizione è del 1985. Qui abbiamo solo la prima sezione. Più sotto, le note di copertina

The first movement of Sud may be perceived as a sequence of soundscapes and sonic fields represented as the subsections shown in figure I below. Transitions between subsections are characterised by subtle transformations of character and juxtaposition of extrinsic identities, as discussed below. The various subsections cohere into sections that suggest a general construction plan for the movement.

The first section (0’00 – 2’49) presents the sonic subjects of the movement, indeed many of the subjects of the composition. It is dominated by mimetic discourse and the manipulation of environmental soundscapes. The transition between sections I and II is the only instance within Sud in which an abrupt interruption is perceived. This pause creates expectation regarding the continuation of the musical discourse. The previous development suggested a sequence of soundscapes clearly connected with extrinsic identities. The second section (2’49 – 5’44) then presents a sequence of sonic fields that suggest extrinsic identities only at the level of basic structures, being dominated by an aural discourse. The identification of relationships between Gestalten occurs in a much less direct way, inviting the listener to penetrate the abstract world devised by the composer with a different approach. The third section (5’44 – 9’45) marks a return to the manipulation of environmental soundscapes, being characterised by a balance between mimetic and aural discourses.

A Boy and His Atom

Ancora sulla miniaturizzazione estrema nel campo dell’informatica.

Quelli che vedete nel video qui sotto sono degli atomi. I ricercatori dell’IBM hanno realizzato questo filmato in stop motion interagendo direttamente con alcune molecole di monossido di carbonio e spostandone gli atomi su una superficie di rame.

Come si può immaginare, il fine di questa ricerca non è artistico. Il punto è che, se è possibile costringere degli atomi ad assumere una determinata configurazione e mantenerla, allora i suddetti atomi possono essere utilizzati per memorizzare delle informazioni e questo significa memorie più piccole di quelle attuali di un enorme ordine di grandezza.

Per dare un’idea dell’impatto di una tale tecnologia, Andreas Heinrich, coordinatore del progetto,  afferma che “se oggi sul tuo smartphone hai un paio di film, in futuro potresti metterci tutti quelli esistenti”. Il che apre le porte a interessanti quanto inquietanti scenari.

In quest’altro video, the making of A Boy and His Atom.

Il suono delle auto elettriche

Una delle sfide dei sound designer è la progettazione del suono delle auto elettriche. Infatti, per una popolazione abituata al fatto che le auto fanno rumore, il fatto che il motore elettrico emetta un suono quasi inaudibile è un rischio che fa lievitare notevolmente il numero degli investiti.

È stato dimostrato che il fatto di non sentire alcun rumore di auto provoca un drastico abbassamento di attenzione nel pedone che si appresta ad attraversare una strada, soprattutto se ad alto traffico. Così, anche con l’avvento dell’auto elettrica, non potremo godere della pace in città. Il rischio giustifica l’idea di dotare le auto elettriche di un suono sintetico.

Dal 2019 esiste anche un’ordinanza UE che stabilisce l’obbligo per le auto elettriche di emettere un suono (AVAS: Acoustic Vehicle Alert System). È interessante notare che, secondo la Commissione Europea, il suono dovrebbe essere rappresentativo dei cambiamenti di stato del veicolo cioè, per esempio, suggerire che il veicolo sta accelerando o rallentando e la retromarcia dovrebbe avere un suono diverso.

Quadricotteri in volo

Questo video ha quasi un anno, ma è decisamente bello.

I quadricotteri sono dei piccolissimi elicotteri con 4 eliche. Dei droni, spesso muniti di videocamera.

Qui Ars Electronica Futurelab ne ha riuniti ben 49, li ha dotati di luce e li ha lanciati, pilotandoli in formazione nella notte di Linz.

Belli da vedere, ma per me il momento più emozionante è quello della partenza, anche se ho l’impressione che il video, in quell’istante, sia stato un po’ accelerato.

Requiem 2019

Requiem 2019 è uno spot per sostenere lo stop totale e definitivo alla caccia alle balene. Un breve film che si avvale della presenza di Rutger Hauer (Blade Runner e molti altri film) in cui l’ultima balenottera azzurra guarda negli occhi il suo unico vero nemico: noi.

Regia di Rutger Hauer e Sil van der Woerd. Guardatelo a schermo intero (click in basso a destra). Questa la sua pagina su vimeo.

Cambiare modo

No, non è l’ennesimo appello per una nuova politica, ma la constatazione che nel mondo c’è qualcuno che si diverte a spostare le canzoni da maggiore a minore o viceversa.

In realtà, il fatto che il modo maggiore comunichi felicità, gioia e che il minore sia più adatto alla tristezza e alla malinconia è un po’ più di una credenza. Un ricercatore ha scoperto che l’intervallo di terza minore compare nella parlata degli attori quando vogliono comunicare tristezza (qui l’articolo su Scientific American), almeno nella cultura occidentale. Nella nostra musica, questa connotazione dei modi è in uso fin dal 17mo secolo.

Ora scopro che qualche buontempone impiega tempo e risorse per cambiare il modo delle canzoni producendo curiosi quanto, a mio avviso, discutibili risultati.

Ecco, per esempio, Hey Jude, spostata da maggiore a minore.

Notate che il farlo sarebbe semplice se il pezzo venisse rieseguito, ma questi lo fanno editando digitalmente il file originale e ri-intonando solo le note e gli accordi che vanno cambiati, la qual cosa non è così semplice.

Il principale autore di questo rifacimento è tale Oleg Berg, musicista ucraino, che ha varato il progetto Major versus minor.

Ancora più strana suona The House of Rising Sun

Vi riporto questa cosa come curiosità. Ovviamente non sono contrario. Ognuno è padrone di usare il suo tempo come vuole. Mi lascia solo un po’ perplesso il fatto che una cosa che facevamo per gioco quando eravamo al liceo venga proposta come un’idea interessante e soprattutto che venga messa in vendita. $10 per l’album e $1 per il singolo brano, come se fosse roba sua. Oltretutto, cambiare un brano di un autore senza il suo permesso e venderlo non è una cosa simpatica. Tecnicamente è anche un reato. Ora, a me del diritto d’autore interessa poco. I miei brani sono in CC, ma se qualcuno prende un mio pezzo cambiando qualcosa e lo vende, mi inca**o anch’io.

Pubblicato in Pop

Project Genesis

In questo breve film si immagina un interessante cambio di prospettiva…

Un mondo popolato solo da computer, che hanno sempre guardato il mondo da un singolo punto di vista: quello della rassegnazione e della sopravvivenza. La loro conformazione infatti da sempre limita il loro sviluppo, rendendo impegnative anche le azioni più semplici. Oggi un progetto straordinario sta per vedere la luce, aprendo strade fino ad oggi impensate: il mondo conosciuto dai computer diventa più accessibile, semplice, alla portata di tutti. Grazie a “Project Genesis” finalmente tutti i computer potranno aprire la porta ai loro sogni scoprendo una nuova dimensione: una realtà senza più limiti e paure. Ora non resta loro che iniziare a vivere, veramente.

A world populated only by computers that has always looked at our world with resignation and great sense of survival. Their structure, indeed, has always limited their development making even the simplest actions difficult. Today an extraordinary project is about to see the light, clearing new unexpected ways: the world of computers becomes more accessible, simpler, within the reach of everybody. Thanks to “Project Genesis” every computer will finally be able to open the door to its dreams, discovering a new dimension: a reality with no more limits and fears. Now they can only begin to live, for real.

Sito dedicato: projectgenesismovie.com

Director //Alessio Fava alessiofava.com
Production // Izen Ideas + Green Movie Group
Producers // Alessio Fava + Marijana Vukomanovic
Subject // Alessio Fava
Writers // Alessio Fava + Matteo Lanfranchi effettolarsen.it
Director of Photography // Beppe Gallo beppegallo.com
Original music // Giovanni Dettori + Lorenzo Dal Ri
Sound designer & re-recording mixer // Matteo Milani usoproject.blogspot.it/
Voice Actor // Michael Navarra | Donna Cuddemi | Thomas Blackthorne
Producer Post-production // Alfredo Beretta
Editing // Massimo Magnetti
Visual effects-3D // Andrea Vavassori + Andrea Zimbaro
Colorist // Giorgia Meacci
Stop motion animation // Alessio Fava + Beppe gallo + Matteo Lanfranchi
Set designer //Cristian Chierici ccsettantanove.wordpress.com/
Graphic designer // Lorenza Negri boombangdesign.com
Make up // Cristina Panata
Film studios // Izen + Pietro Baroni Photographer + Studioneon
Mockup printing // Grafix Milano grafixmilano.it
Communications strategy// Alessio Fava + Alice Avallone nastenka.it/
Actors // Alex Cendron + Marta Mazzi + Matteo Lanfranchi + Anna Mykhaylenko + Fabrizio + Giulia Linguanti + Dario Lo Nardo
Special thanks: Luciano Beretta, Gianfranco Negri, Rossella Fugazza, Ann Kroeber, Luigi Toscano, Barbara Alberghini, Grafix Milano, Enrico Bisi, Serivideo Torino, Jacopo Rondinelli, Pietro Baroni, Antonio Serra, Amos Caparrotta, Ivan Merlo, Parco delle Groane, Studio Neon, Philip Abussi, Francesca Cao, Ploonge

Le dimensioni dell’universo

Una bella e sorprendente applicazione che vi fa viaggiare dall’atomo di idrogeno (0.0000000000000017 metri o 1.7 x 10-15) fino alle dimensioni dell’intero universo osservabile (880,000,000,000,000,000,000,000,000 metri o 8.8 x 1026).

L’originale è qui, dove potete anche scaricare un poster.


Copyright 2012. Magnifying the Universe by Number Sleuth.

Kenzo Electric Jungle

Mat Maitland per Kenzo. Pop raffinato. Gustoso.

Visibile in grandi dimensioni su Vimeo (anche su You Tube, ma io in genere preferisco Vimeo: i video sono meno oppressi dal contorno e più valorizzati. Anche la qualità video mi sembra migliore)

Art Direction: Mat Maitland
Direction: Smith & Read / Mat Maitland
Animation: Natalia Stuyk
Production: Alastair Coe at Big Active
Music: ‘Mädchen Amick’ by Buffalo Tide

Sul nome B.a.c.h.

Se c’è qualcuno a cui Dio deve qualcosa, è J. S. Bach
Emil Cioran

Si tratta di un film di Francesco Leprino che ricostruisce la vita e l’opera del vecchio Bach. Ecco la descrizione dell’autore:

Sul nome B.a.c.h. è un film che si svolge su più piani strettamente interrelati e intercalati: il piano dell’esecuzione musicale dell’Arte della Fuga con elaborazioni strumentali per diversi organici, il piano dell’esplorazione di tutti i luoghi bachiani, quello del racconto biografico, quello dell’analisi discorsiva dell’Arte della fuga raccontata a più voci fra i luoghi bachiani dagli stessi personaggi, quello delle interviste ai vari esperti sugli aspetti del fenomeno bachiano (biografico, numerico-pitagorico, logico-matematico, esoterico, spirituale, profano, umano…), quello di Bach stesso, che in livrea si aggira muto nei “suoi” luoghi e ci guarda, dal remoto passato e dal lontano futuro al tempo stesso (interpretato da Sandro Boccardi, emblematico personaggio che ha promosso la musica antica in Italia fondando l’ultra trentennale festival “Musica e Poesia a San Maurizio”) e a cui dà voce il più grande attore in lingua tedesca: Bruno Ganz. La voce guida è quella altrettanto celebre di Arnoldo Foà e Sonia Bergamasco, insieme ad altri valenti attori che “interpretano” i personaggi principali della vita di Bach: il figlio Carl Philip Emanuel, autore del necrologio, Forkel, primo biografo, Anna Magdalena, la devota consorte, i severi superiori… tutti personaggi che costituiscono i testimoni di ieri.

Testimoni di oggi sono invece i personaggi intervistati, fra i più autorevoli in campo bachiano: Enrico Baiano, eccellente clavicembalista, Alberto Basso, che ha scritto il monumentale Frau Musika, Hans Eberhard Dentler, musicista e studioso, che nel suo volume su l’Arte della fuga ne ha decodificato il livello pitagorico-numerico, Ton Koopman, massimo interprete e direttore specializzato nelle esecuzioni bachiane, Douglas Hofstadter, autore dell’originalissimo saggio Goedel, Escher e Bach e studioso di intelligenza artificiale, Piergiorgio Odifreddi, logico matematico che ha approfondito le relazioni con il linguaggio musicale, Quirino Principe, autorevole musicologo e germanista particolarmente sensibile agli aspetti esoterico-cabalistici, Don Luigi Garbini, responsabile per la musica della Curia di Milano, che ha scritto una pregevole Introduzione alla musica sacra, Benedetto Scimemi, musico-matematico che con le sue lezioni-concerto ha divulgato le complessità delle fughe bachiane, Matteo Messori, clavicembalista e studioso di Bach, che ha inciso l’Arte della fuga al clavicembalo, Luca Cori, compositore e studioso che ha approfondito le relazioni strutturali e simboliche dell’Arte della fuga, Salvatore Natoli, filosofo da sempre interessato alle relazioni fra filosofia e musica. Tutti nomi riuniti in un grande convegno internazionale virtuale che fa il punto sulla figura di Johann Sebastian Bach.
Le elaborazioni strumentali, ad opera di due autorevoli compositori (Ruggero Laganà e Alessandro Solbiati), per quanto si mantengano fedeli alla scrittura bachiana (non aggiungendo né togliendo alcuna nota), sono volta a volta traduzioni ad hoc per il particolare organico, con un’opportuna assegnazione e circolazione delle voci, che ne mette in luce relazioni nascoste e virtuali, prendendo ad esempio la strumentazione del Ricercare a sei da “L’offerta musicale” di Anton Webern.
Infine gli interpreti, oltre 50 musicisti che costituiscono un insieme unico di grandi solisti riuniti appositamente per l’esecuzione di un’opera.

Puntualizzo che io non ho visto il film. Mi sono imbattuto nei vari frammenti posti su You Tube. Alcuni mi piacciono, altri meno. Nell’insieme, però, mi sembra un lavoro abbastanza interessante da segnalarlo.

Qui la pagina di cinema italiano mentre a questo link trovate la playlist su You Tube.

Intanto, eccovi il primo capitolo, con il primo Contrappunto dell’Arte della fuga eseguito con la glass-harmonica.

Dati nel DNA

BinaryDNAC’è una notizia pubblicata sull’autorevole Nature del 23 Gennaio 2013, che mi ha colpito (e colpito è dire poco).

Alcuni ricercatori sono riusciti a codificare opportunamente 739 Kb di dati che risiedevano su un hard-disk, trasformarli in una sequenza di DNA e poi rileggerli senza nessun errore sequenziando la catena.

Non è la prima volta che si fa, ma questo metodo è più efficiente, scalabile e assicura una accuratezza del 100%. I dati memorizzati comprendono una registrazione audio di Martin Luther King (il famoso I have a dream), il testo di 154 sonetti di Shakespeare e l’articolo originale di Watson e Crick in cui si descrive, per la prima volta, la struttura della doppia elica.

Dato che non sono un biologo, i dettagli vanno oltre le mie conoscenze (oltretutto, l’articolo è a pagamento e ne ho potuto leggere solo una parte). Quello che ho capito è che ogni possibile byte  (una sequenza di 8 bit che forma numeri da 0 a 255) è stato codificato in una sequenza di 5 basi del DNA per poi sintetizzare una catena di codice genetico formata da questa serie di bytes. Le basi del DNA sono A, C, G e T. Un byte come, ad esempio, 124 (01111100) è codificato come TAGAT.

Mettendo in fila i bytes così codificati si costruisce una catena della doppia elica, mentre l’altra è formata dalle basi complementari (le basi non legano liberamente: A può legare solo con T e G può legare solo con C).

Al di là dei dettagli tecnici, questo lavoro apre degli orizzonti difficilmente immaginabili. Innanzitutto sotto l’aspetto della capacità di memoria. Si stima che in un grammo di DNA si possa memorizzare il contenuto di più di un milione di CD, il corrisponde a circa 700 milioni di Megabytes, ovvero 700.000 Gb, ovvero 700 Tb. Il risultato è che l’intera conoscenza umana potrebbe essere memorizzata in qualche kilo di DNA. Inoltre, il DNA è durevole, molto più sicuro dei supporti attuali (da un po’ di materia organica si estrae DNA che ha migliaia di anni).

Per ridere un po’, il DNA è organico: per una volta l’espressione mi è morto l’hard-disk cesserà di essere una metafora.

Plane Finder

Una mappa, aggiornata in tempo reale, con la posizione di tutti (??) gli aerei di linea attualmente in volo nel mondo intero. Si può cliccare l’icona dell’aereo per vedere i particolari del volo.

Sapevo che mappe di questo tipo esistevano per le singole compagnie o per zone limitate, ma ignoravo l’esistenza di un aggregatore di questo genere. Si trova qui.

UPDATE

Non sono mappati tutti i voli, ma solo quelli dotati di ADS-B data transmitter, tuttavia la maggior parte delle compagnie utilizza questo dispositivo che sta diventando obbligatorio per quasi tutti gli aerei di linea.

La mappa ha una serie di opzioni molto belle fra cui quella di mostrare l’immagine satellitare e di aggiungere lo strato di nuvole e il percorso dell’aereo.

Plane Finder

Stille Post

Stille post è un gioco tedesco che equivale al nostro telefono senza fili, che gli anglosassoni chiamano chinese wisphers. In pratica ognuno sussurra al seguente quello che ha capito della frase sussurrata dal precedente, in una catena che può alterarne sensibilmente il contenuto.

Questo video è stato costruito in modo apparentemente analogo: ogni artista doveva creare un video di durata compresa fra 5 e 30 secondi, avente come tema il concetto di PAUSA, partendo dall’ultimo frame del video realizzato dall’artista precedente. Molto importante: ognuno non vedeva l’intero video precedente, ma riceveva solo l’ultimo frame.

Guardando il risultato si può notare come, nella maggior parte dei casi, il ricevente non si sia minimamente sforzato di sviluppare il contenuto del frame ricevuto, ma abbia cercato un modo elegante e rapido per disfarsene e piazzare la propria idea. Il che la dice lunga sull’attitudine collaborativa degli artisti in genere.

Ora non so se dirvi subito quando cambiano i video (la lista appare alla fine). Sappiate, però, che i contributi sono 13 e che due artisti non si sono adeguati alla durata massima prescritta (30″); uno ha sforato di soli 3″, ma un altro è andato oltre per ben 24″.

Ok, ecco il video. La lista dei punti di giunzione la metto dopo.

Stille Post, collaborative project from BUILT. visual communication on Vimeo.

Project Management: BUILT.
Motion Designer:
00:00 Anja Mewes
00:07 Tina Löwenstern
00:33 Media Sound & Pictures
01:06 Jochen Braun
02:00 Marcus Martinez
02:15 Deborah Arp
02:28 Eduard Lefter
02:38 Dennis Herzog
02:53 Kemane Ba
02:58 Dino Muhic
03:28 Jim Tabladillo
03:48 Matthias Winckelmann
04:10 BUILT.
Audio montage: BUILT.

La più antica canzone del mondo… cantata!

Con riferimento a questo post del 2006 (La più antica canzone del mondo), un attento lettore mi ha fatto notare come su You Tube, ne esistesse anche una versione interpretata. Ovviamente moderna, fatta da qualcuno che, basandosi sulla trascrizione di quella pagina, l’ha eseguita.

Così possiamo avere un’idea più precisa di come una persona del nostro secolo la può cantare con la nostra prassi esecutiva e il nostro sistema temperato. Naturalmente questo ci dice ben poco su come suonasse in Mesopotamia nel 1400 A.C. perché la loro prassi esecutiva e il loro rapporto con la notazione ci sono del tutto sconosciuti.

Per chiarire, molte partiture che risalgono anche solo al barocco (1600 d.C., cioè 400 anni fa) ci appaiono costituite da una semplice sequenza di note, che, in esecuzione diventa quasi irriconoscibile perché infarcita di abbellimenti e note di passaggio che non venivano notate in quanto facevano parte della prassi esecutiva dell’epoca.

Altro esempio più pop: provate a trascrivere un solo di un chitarrista rock senza il bending (le corde tirate), le pennate, gli abbellimenti della mano sinistra e i leggeri ritardi e anticipi e verrà fuori tutt’altra cosa.

Stardust

Stardust from PostPanic on Vimeo.

PostPanic director Mischa Rozema’s new short film, Stardust, is a story about Voyager 1 (the unmanned spacecraft launched in 1977 to explore the outer solar system). The probe is the furthest man-made object from the sun and witnesses unimaginable beauty and destruction. The film was triggered by the death of Dutch graphic designer Arjan Groot, who died aged 39 on 16th July 2011 from cancer.

The entire team at PostPanic (the Amsterdam-based creative company) pushed themselves in their own creative post techniques to produce a primarily CG short film crafted with love.

The film’s story centers on the idea that in the grand scheme of the universe, nothing is ever wasted and it finds comfort in us all essentially being Stardust ourselves. Voyager represents the memories of our loved ones and lives that will never disappear.

From a creative standpoint, Rozema wanted to explore our preconceived perceptions of how the universe appears which are fed to us by existing imagery from sources such NASA or even sci-fi films. By creating a generated universe, Rozema was able to take his own ‘camera’ to other angles and places within the cosmos.
Objects and experiences we are visually familiar with are looked at from a different point of view. For example, standing on the surface of the sun looking upwards or witnessing the death and birth of a star  – not at all scientifically correct but instead a purely artistic interpretation of such events.

Rozema says, ‘I wanted to show the universe as a beautiful but also destructive place. It’s somewhere we all have to find our place within. As a director, making Stardust was a very personal experience but it’s not intended to be a personal film and I would want people to attach their own meanings to the film so that they can also find comfort based on their own histories and lives.’

Rozema turned to his regular audio partner, Guy Amitai, to create the music for the film.

I approached Guy to make the music because I trust him and knew he would instinctively understand what I wanted to communicate with this film.’  Their long-term collaboration over the years helped them explore different musical approaches before finally settling on a musical journey featuring analogue instruments. Amitai explains, Once we started working on this project and I told people about Stardust and what Arjan meant to us all, the offers started pouring in. Musician friends and friends-of-friends all wanting to join in and record even the smallest parts. It was an incredibly emotional and personal journey for us all – not something you can professionally detach yourself from.

Credits:

A PostPanic Production
Written & directed by Mischa Rozema
Produced by Jules Tervoort
VFX Supervisor: Ivor Goldberg
Associate VFX Supervisor: Chris Staves
Senior digital artists: Matthijs Joor, Jeroen Aerts
Digital artists: Marti Pujol, Silke Finger, Mariusz Kolodziejczak, Dieuwer Feldbrugge, Cara To, Jurriën Boogert
Camera & edit: Mischa Rozema
Production: Ania Markham, Annejes van Liempd
Audio by Pivot Audio , Guy Amitai
Featuring “Helio” by Ruben Samama
copyright 2013 Post Panic BV, All rights reserved

Carta stampata

C’è un’allegoria non tanto nascosta in questo T-Rex fatto di carta stampata che muore entrando in contatto con un nuovo medium.

Un brevissimo (95″) corto di Ken Ottman che mostra una grande padronanza del mezzo e che potete vedere in più alta risoluzione qui.

Bowie 66

David Bowie compie 66 anni e li festeggia rilanciando il suo sito e riempiendolo di video che vanno dal 1972 ad oggi ripercorrendo 40 anni di intelligente carriera.

Inoltre, dopo 10 anni di assenza, sta preparando il nuovo album The Next Day, atteso per Marzo, da cui è tratto il brano “Where Are We Now?”, lanciato con questo video diretto da Tony Oursler, in cui il viso di Bowie, insieme a quello di una donna sconosciuta, spunta da uno schermo su cui scorrono immagini in bianco/nero di una Berlino anni ’70, quasi da film di Wim Wenders.

Ricordi e nostalgia, anche nel testo:

Prossimo alla fine
Seduto alla discoteca Dschungel
A Nurnberger Strasse
Un uomo perduto nel tempo
Vicino alla KaDeWe
Semplicemente prossimo alla fine

Dove ci troviamo adesso?
Dove ci troviamo adesso?
Nel momento in cui sai
Tu sai
Tu sai

Finché ci sarà il sole
Finché ci sarà la pioggia
Finché ci sarà il fuoco
Finché ci sarò io
Finché ci sarai tu

Gran classe, come (quasi) sempre…

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D’une rare Crudité

D’une rare Crudité (sottotitolo: Histoires douces et cruelles dans un étrange jardin) è il lavoro di diploma di Emilien Davaud – Jérémy Mougel – Marion Szymczak (musica di David De Salle).

Si tratta di una breve opera di animazione che mostra dei frammenti di vita di strane piante in uno strano giardino, mentre il tempo passa e scorrono le stagioni. Il tutto in una atmosfera surreale e un po’ misteriosa.

Lo riporto anche qui, ma vi consiglio di vederlo a risoluzione migliore su Vimeo.

Altri lavori dello stesso autore qui.

Unidisplay

Unidisplay, installazione audio – video di Carsten Nicolai, altrimenti noto come Alva Noto (scusate il bisticcio) all’Hangar Bicocca (Via Chiese, 2, 20126, Milano), è stata prorogata fino a Domenica 6 Gennaio.

Resta solo qualche giorno per vedere questo lavoro che

riunisce in sé i temi più importanti del lavoro di Nicolai: la capacità di rendere percepibile il suono in modo ottico; l’estetica minimale che si traduce nell’uso monotonale del colore (variazioni sul bianco e nero) e delle sonorità; la propensione verso l’astrazione e quella verso l’infinito.

In questo video, sottotitolato in italiano, lo stesso Nicolai spiega Unidisplay e se ne possono vedere anche alcuni frammenti. Qui si possono leggere alcune note sull’opera.

L’arte della Terra

Richat StructureTrovo che le foto aree abbiano una loro particolare bellezza. In immagini come questa il suolo diventa pura forma e colore, quasi un’opera astratta i cui tratti non sono mai banali o ripetitivi, ma sempre diversi pur restando simili.

Quella che vedete è la Struttura di Richat, conosciuta anche come Occhio del Sahara o Guelb er Richat. Si trova in Mauritania, in una parte di deserto sahariano altrimenti vuota. Ha un diametro di più di 40 km e si ritiete sia un formazione geologica risalente al paleozoico (click per ingrandire).

Per la fine del 2012 la NASA ci regala The Earth as Art, un libro con 75 immagini riprese da satellite liberamente distribuito e scaricabile qui in pdf.

Per l’iPad, inoltre, è disponibile questa App gratuita con lo stesso contenuto.

Per gli amanti del genere segnalo anche il sito The Gateway to Astronaut Photography che, semplicemente “hosts the best and most complete online collection of astronaut photographs of the Earth”.

Strumenti musicali dai rifiuti

…ma non per sfizio o per una qualche sfida artistica, ma proprio perché questi non possono fare altro.

E non si tratta di strumenti etnici, ma di strumenti della tradizione occidentale che quindi si misurano con il suono di quelli costruiti da fior di liutai. A sentire il violoncello che ha come cassa armonica un bidone, il risultato mi sembra fin troppo buono.

Il video è visibile in qualità migliore qui su Vimeo e qui su You Tube.

Voyage

Questa immagine fotografa una installazione creata da Aether & Hemera (architect Claudio Benghi and lighting artist Gloria Ronchi) a Canary Wharf (Londra).

Le barchette che vedete non sono di carta, ma di polipropilene, materiale non tossico e riciclabile. Sono collegate fra loro tramite un cavo elettrico subacqueo con dei pesi che le tengono in posizione. Ogni barca è dotata di un led di colore variabile, individualmente indirizzabile e programmabile, il che significa che l’intera flotta si comporta come una matrice luminosa che può essere configurata per creare effetti luminosi, pattern geometrici, onde di colore in movimento.

Le barche sono connesse a formare una rete wireless che consente ai passanti di interagire con la flotta via cellulare modificando colori e pattern.

Per maggiori particolari e immagini, vedi questo sito.

Miles in Europe, 1967-69

Miles Davis filmato live a Stoccolma e Karlsruhe nel 1967 con il suo leggendario quintetto (Davis, Shorter, Hancock, Carter, Williams) in due concerti per un totale di circa un’ora.

Si può vedere con risoluzione migliore.

Poi, però, ci si imbatte in quest’altro video girato a Copenaghen nel 1969 con Shorter, Corea, Holland e DeJohnette ed è incredibile sentire come tutto sia cambiato in soli due anni.

In mezzo ci sono In a Silent Way e Bitches Brew.

cheFare

Un altro sito a cui dare più di un’occhiata è questo cheFare (premio per la cultura, 100.000 euro) che propone 32 progetti culturali da votare.

Tra il 24 settembre ed il 3 novembre 2012 cheFare ha raccolto con un bando oltre 500 progetti di innovazione culturale che sono stati analizzati da un team di esperti per far emergere quelli che meglio rispondono alle caratteristiche ricercate: collaborazione e co-produzione; innovazione; scalabilità e riproducibilità; sostenibilità economica nel tempo; equità economica e contrattuale; impatto sociale positivo; tecnologie opensource e impiego di licenze Creative Commons; capacità di comunicazione.

I progetti selezionati sono ora su questo sito per essere votati dal pubblico – fino al 13 gennaio 2013. Gli utenti hanno anche la possibilità di finanziare i progetti preferiti, sostenendoli tramite crowdfunding con Eppela, mentre i proponenti hanno modo di auto-narrarsi attraverso l’uso della piattaforma per l’informazione partecipativa Timu. I primi cinque classificati saranno valutati da una giuria, composta da personalità del mondo della cultura, che eleggerà il vincitore il 29 gennaio 2013.

Uno vince e becca il premio, ma in questo modo si offre visibilità anche agli altri 31.

Unico neo, almeno secondo me, è che, per votare con una certa consapevolezza, bisognerebbe viverli questi progetti, se non altro per vedere quanto la realizzazione corrisponde all’idea e come funziona il progetto una volta implementato.

Comunque, ben vengano iniziative del genere.

Primarie centro-sinistra: risposte sulla scienza

In occasione delle primarie del centro-sinistra, il gruppo Facebook “Dibattito Scienza” ha posto sei domande ai candidati.

Le domande sono:

  1. Quali politiche intende perseguire per il rilancio della ricerca in Italia, sia di base sia applicata, e quali provvedimenti concreti intende promuovere a favore dei ricercatori più giovani?
  2. Quali misure adotterà per la messa in sicurezza del territorio nazionale dal punto di vista sismico e idrogeologico?
  3. Qual è la sua posizione sul cambiamento climatico e quali politiche energetiche si propone di mettere in campo?
  4. Quali politiche intende adottare in materia di fecondazione assistita e testamento biologico? In particolare, qual è la sua posizione sulla legge 40?
  5. Quali politiche intende adottare per la sperimentazione pubblica in pieno campo di OGM e per l’etichettatura anche di latte, carni e formaggi derivati da animali nutriti con mangimi OGM?
  6. Qual è la sua posizione in merito alle medicine alternative, in particolare per quel che riguarda il rimborso di queste terapie da parte del SSN?

Le risposte dei cinque candidati sono pubblicate sul sito de Le Scienze.

Non esprimo nessuna opinione personale, dato che devo ancora leggerle anch’io perché in questo mese sono ingolfato dalla partenza dell’anno accademico, visto che mi ritrovo a gestire il triennio di Musica Elettronica, alcuni studenti rimasti al corso tradizionale di Musica Elettronica, il Biennio di Musica e Nuove Tecnologie, i corsi di Informatica Musicale per tutti gli altri trienni più varie attività personali.

Curiosity: una scoperta da libri di storia?

CuriosityDa ieri c’è un po’ di agitazione nel mondo scientifico perché John Grotzinger, il direttore della missione di Curiosity (uno dei nostri eroici robottini su Marte), in una intervista a NPR ha annunciato una possibile scoperta che, a suo dire, potrebbe finire sui libri di storia (“This data is gonna be one for the history books. It’s looking really good”), aggiungendo, però, che saranno necessari vari giorni per effettuare verifiche.

Ha aggiunto che questi dati vengono dal SAM (Sample Analysis at Mars) che è uno strumento dotato di serie di tool in grado di prendere campioni del suolo, vaporizzarli e analizzarli cercando tracce di ossigeno, nitrogeni, carbone e altri elementi tipicamente associati alla vita. Di conseguenza tutti sperano che Curiosity abbia finalmente trovato una traccia di vita organica sul suolo di Marte.

Speriamo solo che la NASA non stia esagerando nel creare aspettative, come già accaduto in passato. La mia impressione è che ci vorrà più di “qualche giorno” per un annuncio definitivo, ciò nonostante spero che si sbrighino.

RIP Elliott Carter

Quando un compositore ci lascia a 103 anni continuando a lavorare fino a pochi mesi dalla morte (la sua ultima composizione è datata 2012), dopo aver composto per più di 80 anni (il primo brano comunemente ricordato, un lieder, è del 1928 e sicuramente non è il primo) non è il caso di essere tristi. Sono sicuro che quasi tutti ci metteremmo la firma.

Elliott Carter (1908 – 2012) era l’ultimo dei grandi C della musica americana del 900, gli altri essendo Aaron Copland (1900 – 1990), Henry Cowell (1897 – 1965) e John Cage (1912 – 1992), contemporanei e tutti molto importanti nel panorama della musica del ‘900.

Carter, nella sua lunga carriera, è stato capace di rinnovarsi. Dopo una fase iniziale neoclassica, influenzata da Stravinsky, Harris, Copland, e Hindemith, si è dato all’atonalità negli anni ’50, pur senza mai accogliere il serialismo. Ha invece sviluppato in modo indipendente una tecnica compositiva basata sulla catalogazione di tutti i possibili gruppi di altezze, ovvero degli accordi di 3 note, di 4, di 5, di 6 note, etc, basando, poi, le proprie composizioni su questi insiemi. Per esempio, il Concerto per Piano del 1964-65 deriva le proprie altezze dall’insieme degli accordi di 3 note, il Quartetto del 1971 è costruito su accordi di 4 note, la Sinfonia di Tre Orchestre, che qui ascoltiamo, si basa su accordi di 6 note e così via. Tipicamente, ad ogni sezione strumentale viene assegnato un insieme di altezze in una stratificazione del materiale.

In Carter, il concetto di stratificazione informa anche la gestione del ritmo: ogni voce strumentale ha un proprio insieme di tempi realizzando, così, una poliritmia strutturale.

Il titolo di questo brano del 1976, Sinfonia di Tre Orchestre e non per Tre Orchestre, deriva proprio dal fatto che, sebbene il brano sia diviso in 4 movimenti di carattere diverso, come è tradizione, ciascun movimento è formato da tre movimenti parzialmente sovrapposti, uno per ciascuna orchestra.

Inoltre, la composizione strumentale delle tre orchestre è fortemente differenziata: in pratica si tratta di una sola orchestra divisa in tre gruppi. La prima è formata da ottoni, archi e timpani; la seconda da clarinetti, piano, vibrafono, chimes, marimba, primi violini, contrabbassi e violoncelli; la terza da flauti, oboi, fagotti, corni, secondi violini, viole, contrabbassi e percussioni non intonate.

Boulez dirige la New York Philarmonic.

Max Mathews & John Chowning

In questa lunga conversazione con Curtis Roads, compositore e musicologo, Max Mathews & John Chowning ripercorrono varie tappe della storia della Computer Music.

A partire dagli anni ’50, Max Mathews ha creato, per primo, una serie di software che hanno permesso all’elaboratore di produrre e controllare il suono: si tratta della serie MUSIC I, II, III … fino al MUSIC V, largamente utilizzato, fra gli altri da Jean Claude Risset per sintetizzare alcuni famosi brani degli anni ’70, ma soprattutto per fare ricerca e rendere palesi le possibilità offerte dall’audio digitale.

John Chowning, percussionista, compositore e ricercatore, è invece noto come l’inventore della modulazione di frequenza (FM) per la sintesi del suono, tecnica sviluppata negli anni ’70 e poi ceduta a Yamaha che l’applicò in una lunga serie di sintetizzatori commerciali fra cui il DX7 (1983) che resta tuttora il synth più venduto nella storia.

Il video include anche una performance della pianista Chryssie Nanou che esegue Duet for One Pianist di J. C. Risset, in cui il pianista suona un pianoforte a coda Yamaha dotato di MIDI controller e duetta con un computer che “ascolta” l’esecuzione e a sua volta invia comandi MIDI allo stesso strumento i cui tasti iniziano ad abbassarsi da soli in un 4 mani con fantasma.

Troma su You Tube

logoIn Italia la Troma Entertainment è poco nota. Si tratta di

una casa di produzione e distribuzione cinematografica indipendente statunitense, fondata da Lloyd Kaufman e Michael Herz nel 1974.

La compagnia produce film indipendenti e a basso costo, che presentano un alto tasso di sequenze splatter e di nudità, politicamente scorretti e irriverenti, molti dei quali sono divenuti dei cult movie. Ha prodotto e distribuito oltre 800 film, tra cui i primi lavori di registi come Trey Parker e Matt Stone, Brian De Palma e Oliver Stone, e attori come Robert De Niro, Kevin Costner, Samuel L. Jackson e Marisa Tomei.

Tra i titoli più famosi prodotti o distribuiti dalla Troma vi sono Il vendicatore tossico, Tromeo and Juliet (rivisitazione in chiave splatter ed erotica di Romeo e Giulietta di William Shakespeare), Sgt. Kabukiman N.Y.P.D., Terror Firmer e Cannibal! The Musical. Fatta eccezione per alcuni la maggior parte dei film della Troma sono rimasti inediti in Italia.

[Leggi la voce su wikipedia]

Oggi la Troma Entertainment ha il proprio canale su You Tube con cui ha distribuito gratuitamente più di 150 film, compresi alcuni fra i più famosi.

Empty America

Empty America è una serie di brevi video realizzati da Thrash Lab. Si tratta di timelapse dedicati ad alcune città americane ripulite da qualsiasi presenza umana, compresi turisti e traffico.

Francamente non so bene come abbiamo fatto. Posso pensare che, essendo timelapse, quindi video non continui, ma formati da immagini a distanza di (poco) tempo montate in serie, siano state selezionati solo i fotogrammi senza persone e traffico. Però nei video ci sono anche luoghi in cui è piuttosto difficile non vedere nessuno.

Inoltre, nel video di San Francisco, c’è (secondo me) un indizio del fatto che le persone c’erano, ma sono state tolte ed è una scala mobile funzionante, ma vuota. Di solito le scale mobili si fermano quando non rilevano nessuna presenza, dopo che hanno completato poco più di un ciclo di salita.

UPDATE

Con qualche ricerca, ho trovato il making of di uno dei video. C’è dietro un notevole lavoro di Photoshop, After Effects, e Premiere. Praticamente si approfitta del fatto che il timelapse è fatto con una camera fissa. Di conseguenza, nel filmato di partenza, il posto che in un fotogramma è occupato da (per es.) un’auto, è vuoto nel fotogramma precedente o in quello successivo. In tal modo è facile prendere un frammento da un fotogramma e copiarlo su un altro per far sparire auto e persone.

Si può vedere il making of qui.

END UPDATE

Le città finora svuotate sono Seattle, San Francisco e New York. La prossima sarà Washington DC. I video hanno prodotto reazioni contrastanti. Alcuni li hanno definiti “eerily disturbing” affermando che “It feels like everyone was abducted by aliens”.

Ammetto che l’idea di un’intera metropoli come un’immensa Mary Celeste può suonare un po’ inquietante, anche perché alcuni dei casi che conosciamo sono collegati a catastrofi, tipo Pryp’yat’, ma io li trovo deliziosi. Solo la musica, in questo contesto, mi suona un po’ irritante.

Ecco i video.

Steinway vs Bösendorfer?

L’idea può sembrare un po’ idiota, ma ha una certa valenza, almeno per la tipologia musicale in questione.

Stessa pianista (Kimiko Ishizaka), stessa tournée (WTC World Tour 2012), stesso brano (la Fuga in Sib maggiore BWV 866 dal Clavicembalo Ben Temperato di J.S. Bach), stesso microfono, ma due sale diverse e due pianoforti diversi: uno Steinway e un Bösendorfer di livello comparabile., due strumenti i cui fans si sono stupidamente scannati per anni e continuano a farlo.

Il microfono (lo stesso), nel caso dello Steinway è piazzato sulla destra, rivolto verso lo specchio, a circa 2/3 metri dallo strumento. Purtroppo, nel secondo caso non si vede, ma spero sia in posizione analoga.

Le sale sono lo Shalin Liu Performance Center di Rockport, MA e la Bösendorfer-Saal alla Mozarthaus, Vienna. A giudicare dal video, sono molto diverse: quella americana sembra essere decisamente più grande e di costruzione ben più recente rispetto all’antico salone restaurato di quella che fu la residenza di Mozart fra il 1784 e il 1787.

Quello che emerge sono due concetti sonori radicalmente diversi (da apprezzare con delle vere casse piuttosto che con gli altoparlanti del computer). Sicuramente anche le sale fanno la loro parte (e a mio avviso la grande finestra che chiude il palco nella sala americana è determinante), ma con altrettanta sicurezza non si può dire che uno dei due strumenti sia migliore dell’altro. Al massimo si può affermare che l’esecuzione di questo brano da parte di questa pianista rende meglio sull’uno o sull’altro e su quale, ognuno avrà la propria preferenza.

Quello che mi riesce più difficile capire, invece, è come un concertista possa accettare di suonare su due strumenti così diversi, tali da farmi pensare che uno dei due sia radicalmente lontano dalla sua idea di suono. Ma, evidentemente, a volte non si ha una forza contrattuale tale da imporre lo stesso strumento per tutta la tournée.

De Natura Sonorum

De Natura Sonorum è un titolo decisamente abusato nella musica contemporanea. Questa volta parliamo di un brano elettroacustico di Bernard Parmegiani composto nel 1975. Un pezzo che a me piace molto, almeno la prima parte, tutta giocata su pochi suoni montati in molti modi diversi.

Gli interessati possono anche scaricare De Natura Sonorum dall’Internet Archive in flac a 24 bit.

Ecco il piano completo dell’opera:

The first series is made up of five movements, most of which bring electronic and instrumental sounds, and less often concrete ones, into relation, generally in couples.

  1. lncidents/Resonances brings sympathetic resonances of concrete sound events with processes that allow variable continuousness (prolongation of sound) of electronic sources into controlled play. The “incidents” arc opposed to punctual “accidents” of the second movement.
  2. Accidentals/Harmonics often very brief events of instrumental origin arc brought in to modify the harmonic timbre from the continuum that they undercut or on which they are superposed. Elsewhere, the placing with pitches reduced to a minimum creates a zone of attention to other phenomena generally masked by the melodic form applied to the instrumental play.
  3. A Geological sonority resembles flying over a landscape in which the different “sound’ levels will emerge on the surface one after the other. Electronic and instrumental sounds become confused in fusion, seen from such a height
  4. Dynamic of the resonance is a microphonic exploration of a single sound body that is made to resonate by means of different types of percussion
  5. Elastic study juxtaposes sounds coming from the different “playing” of elastic of instrument skins (gold-beaters skin, zarb) and vibrating strings and different instrumental gestures analogous to this “playing:’ but created by the use of electronic generators of white noise.
  6. Timbre conjugations last movement of this series uses the same material to apply rhythmic forms on a continuum of which the timbre is in continual variation

The second series falls back on electronic and concrete means whilst the instrumental sources only appear in a fleeting way.
lncidences/pulsations is a son of recall of the first movement and leads very rapidly to

  1. Ephemeral nature interplay of short-lived instrumental and electronic sounds rather more individualised by the form of the internal trajectory than the material itself.
  2. Induced matter just as molecular effervescence creates transformations of state, it would appear that the different stages of the sound material’s states here are products of each other, as if by induction
  3. Intermixed wavelengths the audible vibrations of pizz interfere with the waves that we imagine “visible” like water droplets on a surface of the same material,
  4. Full and free can he listened to as a study of the damped energies of bodies set into motion then rebounding. Such are the hollow “bubbles’ and the points bringing into relationship the heaviness of some, and the very fine movements of others,
  5. Points versus fields here we have the idea of perspective of different sound themes that weave a sort of field network. imprison the repeated punctuated elements of the foreground and absorb them progressively so as to give free reign to the fields and melodic sound that opens out.

Suoni della natura su You Tube

You Tube si rivela  ogni giorno più impressionante. C’è gente che carica ore e ore di field recording (che non pone nemmeno problemi di copyright).

Cercando “sounds of nature” (senza virgolette) questi video saltano fuori e se si mette anche la chiave -music (con il meno davanti), si eliminano tutte quelle sconcezze formate da suoni naturali con sopra nefanda musichetta ambient.

Occorre solo stare attenti alla frequenza di campionamento: alcuni, per risparmiare spazio e quindi tempo di caricamento, la riducono a 22050, ma altri riescono a tenerla a 44100 anche su video lunghi.

Visto il tempo di questi giorni, non ce sarebbe bisogno, comunque, a titolo di esempio, ecco 10 (dieci!) ore di pioggia e tuoni (magari l’estate prossima vi viene buono…)

Il primo sito web

Se, per curiosità, volete dare un’occhiata al primo sito web mai realizzato cliccate qui.

Niente di pirotecnico. Si tratta di una serie di pagine di solo testo che, tuttavia, esibiscono una cosa che oggi, a 20 anni di distanza, è normale, ma, per l’epoca, era una grande novità e cioè il collegamento ipertestuale.

Il 6 Agosto 1991 Tim Berners-Lee e Robert Cailliau del CERN misero in linea questo sito che descriveva i fondamenti del progetto WWW, nato, in realtà, “to allow high energy physicists to share data, news, and documentation.”

Il sito era raggiungibile all’indirizzo http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html.

Quello che si vede oggi in linea è uno snapshot del sito presa il 3 Novembre 1992.

Il 2012 profetizzato dagli scrittori di fantascienza

Nel 1987, il sito Writers of The Future, legato al discusso Ron Hubbard, invitò vari scrittori di fantascienza a fare una predizione cercando di immaginare il mondo a 25 anni distanza. Una capsula del tempo da aprire dopo 25 anni e vedere quante delle predizioni fatte da persone abituate a immaginare il futuro si sono avverate. Ora, 1987 + 25 = 2012, cioè oggi, per cui è il momento di verificare.

In realtà, nella media, anche qui vale la legge della predizione: più è precisa, meno è azzeccata.

Alcuni fra i più famosi hanno toppato clamorosamente. Per esempio, Zelazny che prevede una società trasformata dalla robotica e dall’automazione, con spese militari diminuite, rallentamento della crescita della popolazione, medicina trasformata dalle biotecnologie e un mondo un po’ più conservatore, ma mediamente più sano, con più tempo libero e una più ampia gamma di opzioni educative e ricreative di cui godere.

Fra quelli che hanno più o meno indovinato spiccano i pessimisti:

Jack Williamson

Vi preghiamo di perdonarci. Vi abbiamo gravato di debiti impossibili, sprecato e inquinato il pianeta che avrebbe dovuto essere il vostro ricco patrimonio, lasciandovi invece una terribile eredità di ignoranza, povertà, e guerra.

Orson Scott Card

Dobbiamo ritenerci fortunati se qualcuno avrà abbastanza tempo libero nel 2012 per aprire questa capsula del tempo e preoccuparsi di ciò che contiene. Nel 2012 gli americani vedranno il crollo dell’Impero Americano, la Pax Americana, perché abbiamo chiuso con la nostra perdita di volontà nazionale e altruismo nel 1970. Il collasso economico mondiale costerà all’America il suo ruolo dominante, ma non si tradurrà in egemonia russa

Un nuovo ordine mondiale emergerà da carestie, malattie, e dislocazione sociale: la ri-tribalizzazione d’Africa, la distruzione dell’illusione di unità islamica, la lotta tra aristocrazia e proletariato in America Latina, senza il sostegno finanziario dei paesi industrializzati, il vecchio ordine finirà.
I cambiamenti saranno grandi come quelli che emersero dalla caduta di Roma

L’omogeneità di Israele probabilmente gli permetterà di sopravvivere, Messico e Giappone potranno cambiare governanti, ma saranno ancora forti.

Si fa notare per lucidità Sheldon Lee Glashow, forse proprio perché non è uno scrittore, ma un fisico, premio Nobel nel 1979 insieme a Steven Weinberg e Abdus Salam per aver teorizzato il quarto quark (charm) che ha permesso di completare la costruzione della teoria unificata delle interazioni elettromagnetiche e deboli (teoria elettrodebole).

Non ci sarà alcuna guerra nucleare.

Il Giappone sarà la principale potenza economica del mondo, in possesso o in controllo di una parte significativa delle industrie europee e americane. Questa “dittatura economica” sarà utile agli stati clienti del Giappone, dal momento che lo stesso Giappone ricava benefici dal mantenere i propri clienti sani e ricchi.

Molte malattie saranno curabili: il diabete e la gotta, per esempio, saranno trattati con tecniche di ‘ingegneria genetica’. La sclerosi multipla e il morbo di Parkinson saranno effettivamente curabili. Tuttavia, l’AIDS non sarà ancora sotto controllo.

L’economia americana registrerà un calo graduale ma implacabile. I nostri figli non vivranno una vita così comoda come noi. Il differenziale tra ricchi e poveri crescerà e la criminalità si diffonderà al punto da minacciare il tessuto sociale. I ricchi e i poveri formeranno 2 campi armati. La maggior parte delle automobili e dei mezzi di trasporto saranno prodotti in enclaves di proprietà giapponese situate in America. Tuttavia, l’agricoltura e l’istruzione superiore saranno le nostre esportazioni di maggior successo. Non ci saranno treni veloci che collegano le città americane, ma una rete di treni levitati superconduttori sarà in costruzione in Europa occidentale e in Giappone.

Tutto sommato, non male, se allarghiamo il Giappone alle tigri asiatiche (la Corea del Sud soprattutto) che comunque stanno nella stessa area geografica. La sclerosi multipla e il morbo di Parkinson non sono attualmente curabili, ma in molti casi possono essere tenuti sotto controllo. L’AIDS è effettivamente ancora fuori controllo in gran parte del pianeta.

Quasi tutta l’ultima parte è sostanzialmente corretta. Qui in Europa non stiamo costruendo una rete di treni levitati superconduttori, ma una più tradizionale alta velocità.

Colpisce, invece, l’assenza della Cina, che, fra tutti, è citata una sola volta e marginalmente. Sembra che, nel 1987, nessuno potesse pensare che la Cina sarebbe stata in grado di cambiare il proprio sistema al punto da poter entrare fra le grandi potenze economiche mondiali. Eppure già numerosi studi dell’epoca ne avevano parlato.

Frederick Pohl, infine, dà un saggio di sarcasmo, ma in fondo ha toppato anche lui. Il suo intervento inizia dicendo:

Voi vivete in un mondo in pace. Qualcosa di simile a una Corte di Giustizia Mondiale, emanazione delle Nazioni Unite, dirime le controversie internazionali e ha il potere di applicare le proprie decisioni anche con la forza. Per questa ragione vivete in un mondo praticamente senza armi e proprio grazie al fatto che i singoli paesi non hanno bisogno di spendere per mantenere eserciti, voi avete un tenore di vita paragonabile a quello dei miliardari odierni.

E continua prevedendo esplorazione dello spazio, fine della deforestazione, inquinamento sotto controllo, in una parola, Utopia.

Ma poi aggiunge:

Come so tutto questo? Non perché ho fatto una valutazione probabilistica delle attuali tendenze. Anzi, al contrario. Tutto ciò che sta accadendo nel mondo di oggi porta a concludere che nessuna di queste buone cose sta per accadere, perché il nostro paese, la nazione più ricca e potente della storia del mondo (e, ho sempre pensato, la migliore) si sta mandando in rovina per reclutare e addestrare i terroristi in America Latina, dare armi ai terroristi in tutto il mondo, sviluppare ed impiegare eserciti, flotte e sistemi d’arma che non hanno scopo se non di sconfiggere qualsiasi paese che non sia disposto a sottomettersi. Dal momento che, purtroppo per noi, le persone che sono in disaccordo con noi hanno terroristi, flotte, eserciti e propri armamenti, lo scenario futuro più plausibile è una guerra nucleare.

E conclude (riassumo)

Di conseguenza, se potete leggermi, significa che avete risolto i problemi di cui sopra e vivete nella prima ipotesi. In caso contrario, non ci sarà nessuno in grado di leggermi. Quindi ho vinto in ogni caso.

No, Frederick. Non ci sono solo le alternative estreme. L’umanità ha sviluppato la capacità di camminare verso il baratro spingendo l’orlo sempre più in là, sopravvivendo anche alle proprie teorie. Il problema è che questa sopravvivenza ha un costo.

Citando scherzosamente Douglas Adams

La storia di tutte le maggiori civiltà galattiche tende ad attraversare tre fasi distinte ben riconoscibili, ovvero le fasi della Sopravvivenza, della Riflessione e della Decadenza, altrimenti dette fasi del Come, del Perché e del Dove. La prima fase, per esempio, è caratterizzata dalla domanda ‘Come facciamo a procurarci da mangiare?’, la seconda dalla domanda ‘Perché mangiamo?’ e la terza dalla domanda ‘In quale ristorante pranziamo oggi?’

Spesso il prezzo della sopravvivenza è il ritorno a una fase precedente.

Se volete leggere tutte le profezie, le trovate qui.

Peter Sellers legge She Loves You

Tanto per mostrare cosa sa fare un grande attore, ecco Peter Sellers che interpreta il testo di She Loves You di Lennon & McCartney nei panni del Dottor Stranamore, da lui interpretato nell’omonimo film di Kubrick del 1964 (faceva 3 parti in quel film: il Dottor Stranamore, il Capitano Lionel Mandrake e il Presidente degli Stati Uniti).

Come se non bastasse, in questo post di Open Culture potete anche vederlo mentre recita lo stesso testo con accento cockney, con accento aristocratico e con accento irlandese.

Infine, a questo link, legge il testo di un altro brano dei Beatles, A Hard Day’s Night, nello stile di un attore shakespeariano, per la precisione imitando Laurence Olivier nel monologo del Riccardo III (quello che inizia con l’inverno del nostro scontento).

Form1

Form1 è una stampante 3D, prodotta da Formlabs, che può modellare forme piccole fino a 3 decimi di mm su strati dello spessore di 25 millesimi di mm, il tutto su blocchi di 125 x 125 x 165 mm. Il che significa che può produrre, con estrema precisione, oggetti come quelli in figura (click per ingrandire; occhio alle dimensioni degli oggetti: la monetina è ¼ di $, circa 24 mm di diametro).

Il progetto è opera di alcuni ricercatori del MIT Media Lab che hanno deciso di realizzare una stampante 3D economica, ma ad alta precisione dopo aver constatato che le macchine attuali, pur costando decine di migliaia di dollari, non sono in grado di soddisfare gli standard di qualità richiesti dai designer professionali. Form1 costa solo $ 3000.

A piccoli passi, ci stiamo avvicinando alla distribuzione di massa a basso prezzo in modo analogo a quanto è avvenuto per le stampanti laser che una volta costavano milioni di lire in bianco/nero, mentre oggi costano qualche centinaio di euro, a colori. Pensateci un attimo. Avete bisogno di un oggetto? Non andate a comprarlo; caricate un po’ di di resina e ve lo stampate.

Ma, al di là del progetto in sé, è notevole il modo in cui è stato sviluppato. Questi avevano evidentemente bisogno di un finanziamento per produrre i prototipi e cosa hanno fatto? Hanno chiesto soldi allo stato? Alle banche? A una azienda? Niente di tutto questo. Hanno lanciato una sottoscrizione pubblica con quote che vanno da $ 5 a $ 10.000 offrendo in cambio gadget e sconti sul prodotto (con $ 2999 si riceve una stampante completa, una volta realizzata). Il tutto nella più assoluta trasparenza, con un sito che ne mostra l’andamento.

Finora hanno raccolto impegni per $ 395.220, a fronte dei 100.000 richiesti, da parte di 279 sottoscrittori (ma la parola inglese backer significa anche investitore e scommettitore). L’asta è ancora aperta; termina il 26/10. Questo è uno degli aspetti dell’America che è chilometri avanti rispetto alla vecchia Europa.

Il sito è qui. Andate a vedervi il video: dopo i discorsi, vederla in funzione è affascinante, soprattutto quando stampa un piccolo oggetto a forma di stella con un minuscolo tubo dentro. E il tubo è cavo: ci passa un liquido.

P.S.: speriamo non finisca come in Internal Debate; le stampanti sono sempre macchine del Demonio.

Solitude-Sérénade

Claus-Steffen Mahnkopf (1962), compositore tedesco, è generalmente associato con il movimento della Nuova Complessità, il cui esponente principale è Brian Ferneyhough, con cui Mahnkopf ha studiato.

Le sue opere sono fortemente legate al linguaggio dell’avanguardia, tanto da teorizzare la nascita di una seconda scuola di Darmstadt, ma la sua musica affonda le proprie radici nella tradizione germanica, fino a Berg e Beethoven.

Solitude-Sérénade, del 1997, per piccolo oboe e Ensemble (2 Vla., Cb., Gtar., Hp., Perc), è la rielaborazione di un precedente brano solistico: Solitude-Nocturne del 1993 (Solitude si riferisce al Castello Solitude vicino a Stoccarda).

Zimoun

Zimoun è svizzero. Crea sculture e installazioni in movimento in cui la componente sonora è essenziale.

Nei suoi lavori, il movimento di una gran quantità di semplici oggetti industriali mossi da piccoli motori crea un flusso sonoro granulare caotico. Come nel Poema Sinfonico per 100 Metronomi di Ligeti, anche qui il flusso è creato dalla sovrapposizione sfasata di molti elementi semplici, tutti uguali, ognuno dei quali ha una pulsazione ritmica regolare.

The Future Forms Of Life

The Future Forms Of Life è un breve, visionario cortometraggio di David Lance basato sulle sculture cinetiche di Theo Jansen, il cui lavoro seguiamo da anni.

L’idea base è efficacemente delineata da questa frase di Lance:

If we work really hard on our dreams sooner or later we will reach our goals. But what if one day our dreams go too far?

e in effetti nel film immagina che le sculture di di Jansen, che già si muovono autonomamente spinte dal vento, un giorno prendano vita.

Lo potete vedere più in grande direttamente su vimeo, da cui lo potete anche scaricare in alta qualità, oppure su you tube,

π nel cielo

Ieri pi greco è apparso nel cielo della Bay Area sotto forma delle sue prime 1000 cifre, quasi come stampate da una vecchia dot matrix printer.
È una installazione effimera, nata nell’ambito del 2012 ZERO1 Biennial, un festival che celebra l’arte e la tecnologia nella Silicon Valley.

L’idea è di ISHKY, un eclettico artista californiano, creatore di installazioni di vasta scala, che ha riunito intorno a sé un gruppo di artisti, programmatori e scienziati.

I numeri vengono creati a circa 3000 metri di altezza da 5 aerei sincronizzati equipaggiati con una non ben identificata “dot matrix technology”, evidentemente un sistema che permette di disegnare delle lettere emettendo sbuffi di fumo, col un sistema analogo a quello di una stampante ad aghi. Ogni cifra è alta circa 400 metri (¼ di miglio).

pi nel cielo

Earth Overshoot Day: 22 Agosto

In seguito a nuovi calcoli, l’Earth Overshoot Day, che è il giorno in cui noi, razza umana, cominciamo a consumare più risorse di quante il pianeta Terra sia riuscito a rinnovare, è arretrato al 22 Agosto.

Evidentemente alcuni calcoli sono stati rifatti rispetto al mio post del 2008 sullo stesso argomento perché il primo anno di totale utilizzo delle risorse del pianeta, oggi viene fissato dal Global Footprint Network alla metà degli anni ’70 invece che al 1986 come riporta wikipedia (a meno che wikipedia non sbagli; io l’avevo usata come fonte anche nel precedente post). In effetti, la data in cui si stima che il nostro consumo arriverà al 200%, cioè avremo bisogno di due terre per sostenerci, rimane fissata al 2050 (circa).

Attualmente siamo, secondo le stime, al 156%. È come se, ogni anno, guadagnassimo 1000 e spendessimo 1560, cioè perdiamo 560 all’anno, il che significa che, ogni anno, consumiamo una quota di risorse che il pianeta non riesce a rinnovare. Ovviamente, non potremo andare avanti così per sempre, ma il momento della resa dei conti dipende essenzialmente dal capitale iniziale. Disponendo, per esempio, di un capitale pari a 100.000, potremmo andare avanti 178 anni spendendo il 156% di quanto guadagniamo.

Però, dobbiamo tener presenti due cose. La prima è che il nostro consumo di risorse dipende dalla popolazione, dal livello di vita e da come, cioè a quale prezzo in termini di risorse, questo livello di vita è mantenuto (per esempio, dato un consumo medio pro capite di energia elettrica, il fatto che questa energia sia prodotta dal petrolio o da fonti rinnovabili cambia di molto le cose.

Il punto è che la popolazione mondiale è in rapido aumento, che tutti vogliono elevare il proprio livello di vita e che l’investimento sulle fonti rinnovabili è limitato. Il che significa che il consumo di risorse globale è in aumento.

Il secondo dato di fatto è che effettivamente il pianeta costituisce un capitale iniziale molto grande, ma minore di quanto si possa immaginare, visto che, al di fuori del primo mondo (il nostro), gli effetti si sentono già e il primo segnale è la spinta all’immigrazione.

Si deve inoltre considerare che il pianeta non è come il conto in banca che oggi è in positivo e domani in rosso. Le risorse sono un insieme complesso e multiforme che non si esaurisce tutto in un solo colpo, ma degrada in modo “dolce” con numerosi effetti collaterali. Per fare un esempio, un eventuale esaurimento del petrolio non arriverebbe in un solo colpo. Prima si esaurirebbero i giacimenti più sfruttati, cioè quelli da cui è più semplice e meno costoso estrarlo. A questo punto inizierebbero ad essere sfruttati i depositi più difficili, che comportano maggiori spese, quindi il prezzo si alzerà determinando una riduzione dei consumi e maggiori investimenti sui combustibili alternativi avviando una trasformazione che avrà una serie di effetti che io sono in grado, al limite, di immaginare, ma non di prevedere (e anche gli esperti hanno qualche difficoltà). La cosa, quindi, è molto complessa, però non si dovrebbe ignorare, mentre attualmente ci si concentra solo sul parare le singole emergenze.

In questo grafico, elaborato da me basandomi sui dati del Global Footprint Network (sul sito linkato sopra c’è un simpatico tachimetro che mostra questi numeri), si vede l’andamento attuale e la proiezione per gli anni a venire. In ascissa gli anni e in ordinata la percentuale delle risorse che spendiamo annualmente.

Città private

Visto che parlavamo di nuove città, questa notizia riportata da Adnkronos, è, come minimo, interessante.

Honduras, nascono le città ‘private’ gestite da multinazionali Usa

ultimo aggiornamento: 08 settembre, ore 14:32

Tegucigalpa – (Adnkronos/WashingtonPost) – Saranno tre e avranno legislazione autonoma su ordine pubblico e tasse. L’esperimento è del gruppo d’investitori statunitense Mgk

Tegucigalpa, 8 set. (Adnkronos/WashingtonPost) – Città “private”, con leggi autonome in materia di ordine pubblico, amministrazione e sistema fiscale, “create” per favorire lo sviluppo dell’Honduras. L’esperimento del gruppo d’investitori statunitense Mgk, che stanzierà 15 milioni di dollari per porre le basi del progetto, avrà luogo vicino Puerto Castilla, sul versante caraibico del Paese. Qui sorgerà la prima delle tre “città artificiali”, che seguirà solo in parte l’ordinamento legislativo honduregno.

La città “privata”, scrive infatti il Washington Post, sarà inizialmente amministrata da un team di “nove membri indipendenti”. Solo in un secondo momento i cittadini interverranno con il voto nelle decisioni amministrative, che potranno riguardare tra l’altro anche la firma di propri accordi internazionali sul commercio e autonome politiche di immigrazione. “Il futuro ricorderà questo momento come il giorno in cui l’Honduras è diventato un Paese sviluppato”, ha dichiarato Michael Strong, Ceo della Mgk dopo che il Congresso honduregno ha dato il via all’esperimento.

Non manca, tuttavia, chi si oppone all’iniziativa. Il popolo indigeno dei Garifuna e alcuni gruppi civici di Puerto Castilla hanno manifestato la loro ferma opposizione al progetto. Oscar Cruz, un ex procuratore costituzionale, ha presentato istanza alla Corte Suprema definendo l’idea delle città privatizzate incostituzionale e “una catastrofe per l’Honduras”.

Secondo le stime presentate dal presidente del Congresso honduregno, Juan Hernandez, la “città modello”, che sorgerà dopo l’autorizzazione definitiva del governo agli investimenti sulle infrastrutture, creerà 5.000 posti di lavoro nei primi sei mesi e 200.000 opportunità avorative nel futuro. Dopo Puerto Castilla, gli altri due “siti privatizzati” sorgeranno rispettivamente nella Sula Valley e nel sud del Paese.

[neretti di Adnkronos]

È vero che situazioni simili esistono già, però si tratta quasi sempre di basi militari o di rimasugli coloniali, tipo la vecchia Hong Kong o Macao. Questo, invece, è diverso. Da quel che si legge non sembra essere extra-territorialità, nel senso che queste città non dovrebbero diventare parte di un altro stato, ma sembra trattarsi piuttosto di una forma di autonomia che prima non esisteva. Al massimo si avvicina al caso delle micronazioni.

Città autonome, con proprie leggi, possedute da una multinazionale. Mi sembra un serio passo verso un mondo alla Gibson.

Le città fantasma cinesi

Nel frenetico sviluppo cinese, ogni tanto si fanno errori di progettazione.

Abbiamo già parlato di Kangbashi, una città pensata per un milione di abitanti rimasta praticamente disabitata, ma pensavo che fosse una situazione unica, invece i casi sono parecchi. Un fotografo italiano, Matteo Damiani, ha visitato e documentato Chenggong, una città satellite, la cui costruzione è iniziata nel 2003 poco a sud di Kunming che ha, secondo BBC News, ben 6.5 milioni di abitanti. La zona è il sud-ovest, non lontano dai confini con Myanmar, Laos e Vietnam (Google maps).

A Chenggong sono stati costruiti circa 100.000 appartamenti rimasti praticamente vuoti. È abitata soltanto da una piccola comunità di studenti, lavoratori e guardie della sicurezza. Sia la periferia che il centro sono abbandonati, così come le ville di lusso, lo stadio e i centri commerciali. Ecco alcune foto, belle e impressionanti di Matteo Damiani (click per ingrandire). Le altre sono qui.

Chenggong Chenggong
Chenggong Chenggong

L’articolo di BBC News riporta anche altri casi, seppure di portata inferiore: per esempio un centro commerciale situato ai bordi di una città da 10 milioni di abitanti, rimasto vuoto per carenza di infrastrutture (collegamenti), un parco a tema medievale a nord di Pechino, un rione di Shangai costruito a imitazione della Londra georgiana, utilizzato solo per le foto di nozze e una simil Manhattan in costruzione a Tianjin.

Ma, se in questi casi le ragioni dei fallimenti sono più semplici da individuare, quello delle nuove ghost town cinesi è un fenomeno più difficile da analizzare. In parte è imputabile alla bolla immobiliare che ha colpito anche la Cina facendo lievitare i prezzi, ma non sembra essere l’unica ragione perché non ha dissuaso minimamente gli investitori, tanto che, recentemente, il governo ha dovuto bloccare le autorizzazioni alla costruzione di un’altra ventina di città.

Di conseguenza gli investitori hanno spostato le proprie mire andando a costruire fuori dal paese. Il China International Trust and Investment Corporation (CITIC) ha finanziato la costruzione di Kilamba, in Angola, a una trentina di chilometri dalla capitale, Luanda. Ecco un paio di immagini cliccabili:

Kilamba Kilamba

Kilamba, finanziata dai cinesi ma progettata dai portoghesi, è una città molto moderna anche secondo gli standard europei, ma anch’essa, per ora, è una ghost town a causa dei prezzi: le case costano fra $100.000 e $200.000, mentre i 2/3 degli angolani guadagnano meno di $2 al giorno.

Perché si costruisce allora? Una spiegazione che vale sia per la Cina che per l’Angola, è che le città siano viste come un investimento a lungo termine e si calcoli che, con la crescita del PIL che questi paesi registrano, fra una decina d’anni ci siano acquirenti che possono permettersi questi prezzi. Ma, pur considerando che la visione del mondo orientale è diversa dalla nostra, si tratta di una considerazione poco probabile perché il rischio è elevato.

Il problema della bolla immobiliare cinese, infatti, esiste e gli esperti sono in disaccordo su possibili effetti in caso di esplosione. Alcuni, ricordando che l’attuale crisi è partita con la bolla americana del 2008, temono che, se qualcosa del genere accadessi in Cina, l’effetto potrebbe essere catastrofico. Effettivamente, se si tiene conto del fatto che l’economia cinese ormai possiede titoli e azioni estere in grande quantità, si teme che, nel caso le banche vadano in sofferenza, vendano in massa buona parte dei titoli di cui dispongono.

Ma, nello stesso tempo, gli esponenti dei tre principali costruttori del Paese, China Vanke, China Overseas e Evergrande Real Estate, minimizzano affermando che, nel caso più brutto, la Cina non farà una fine peggiore di Dubai in cui la bolla ha creato delle difficoltà, ma comunque è stata assorbita.

Abbiamo più auto degli USA

Ogni tanto, spulciando le statistiche, saltano fuori cose che non immaginavo (almeno io; non so voi).

Dunque, secondo Wikipedia, la nazione che ha il più alto numero di auto pro capite è gli USA con una media di 812 ogni 1000 abitanti, preceduta solo dal Principato di Monaco, il che è comprensibile, visto che si tratta di uno stato con circa 35.000 abitanti tutti piuttosto danarosi. La statistica, in realtà, si riferisce ai veicoli a motore, puntualizzando che “include automobiles, SUVs, vans, and commercial vehicles; and exclude motorcycles and other motorized two-wheelers” (vedi qui). Notate che questi dati includono i veicoli commerciali cioè bus e minibus con più di 9 posti (incluso l’autista), camion, furgoni adibiti al trasporto cose e (probabilmente) taxi (dati mediamente del 2010).

Già in questa lista, l’Italia si piazza ad un molto onorevole (??) decimo posto, ed è prima in Europa con 690/1000, se si escludono Monaco, Liechtenstein, Lussemburgo (tutti stati minimali come popolazione) e Islanda che comunque ha 320.000 abitanti, come una media città.

Se, però, si vanno a vedere le analoghe statistiche della Banca Mondiale (aggiornate al 2009), si nota che le posizioni sostanzialmente non cambiano se si includono i veicoli commerciali, ma cambiano se si escludono questi ultimi e si considerano solo i veicoli che potremmo chiamare personali. In questo caso gli USA precipitano e l’Italia è preceduta solo da Monaco, Lussemburgo, Islanda e Nuova Zelanda. Siamo il primo stato europeo e praticamente il primo nel mondo per numero di autoveicoli personali (esclusi quelli commerciali e le moto), almeno fra le nazioni con una certa densità abitativa (la Nuova Zelanda ha solo 4 milioni e mezzo di abitanti).

Ecco un grafico che mostra la nostra posizione in Europa. In vert. il numero di auto pro capite, in oriz. gli anni. Fonte: tutti i veicoli; solo passeggeri.

Auto pro capite

Lasciamo indietro tutti di gran lunga, il che mi colpisce, se pensiamo che da noi il mantenimento dell’auto (benzina e assicurazione in primis) è il più alto d’Europa e fra i più alti nel mondo. Farebbe pensare a un paese con un reddito pro capite altrettanto alto, ma sappiamo che non è così.

Ovviamente mi vengono in mente le quasi inesistenti politiche di trasporto pubblico del nostro paese (vivo in quartiere in cui passa un autobus ogni 30 minuti e ogni 60 dopo le 20) che praticamente ci obbligano ad avere un’auto. Il bello è che io lo considero un dato sostanzialmente negativo, ma senz’altro qualcuno lo vedrà come un segnale positivo.

iTypewriter

La nostalgia colpisce ancora. Austin Young ha costruito iTypewriter, una macchina da scrivere vecchio stile che si interfaccia con l’iPad. In tal modo l’utente può sperimentare il feeling antico della pressione su dei tasti meccanici, pur utilizzando la tecnologia più recente.

Personalmente, queste cose mi lasciano abbastanza freddo, ma in questo caso, quello che mi diverte è “l’interfaccia” fra la macchina da scrivere e l’iPad. Non si tratta di qualcosa di elettrico, ma è una soluzione puramente meccanica, visibile nel video qui sotto.

Per quanto mi riguarda, ho fatto in tempo a rompermi le dita per anni su una Olivetti Lettera 32 (ci ho fatto tutta l’università, tesi compresa) e vista anche la mia passione per l’audio, mi basta la rievocazione sonora che ho trovato in FocusWriter, un simil wordpad, nel senso che non è un WP completo come Open Office, ma, volendo, emette i rumori dei tasti e del ritorno carrello tipici della vecchia macchina da scrivere.

Lo stesso Austin Young ha messo a punto anche un altro progetto, iTurntable, che permette di controllare un player digitale come l’iPhone con un piatto girevole con tanto di braccetto per suggerire il feeling antico dei vecchi 33 giri.

Asako Narahashi

Da più di 10 anni, Asako Narahashi fotografa il mondo dal ciglio dell’acqua, a volte con la macchina in parte sommersa.

In alcune immagini, la prospettiva sembra quella di un naufrago che annaspa fra le onde. In altre, con acqua calma, la vista è quella di un nuotatore che riposa scivolando sull’acqua o facendo il morto.

Click per ingrandire.

Steve Jobs by Walter Isaacson

Steve_Jobs_by_Walter_IsaacsonSe a qualcuno piacciono la tecnologia e le biografie, quella di Steve Jobs scritta da Walter Isaacson è un’ottima lettura. L’ho trovata in un supermarket e mi sono deciso a comprarla perché, leggendo le note di copertina, mi è sembrata abbastanza obiettiva, cioè anche critica e non solo osannante (non è che non ami Jobs; quello che non mi piace è l’atteggiamento di adorazione acritica che molti manifestano nei suoi confronti).

Walter Isaacson è un ex caporedattore di Time, CEO di CNN, oggi direttore dell’Aspen Institute. Ha scritto biografie di Kissinger, Benjamin Franklin ed Einstein. È una persona con le spalle abbastanza larghe da non farsi condizionare da chicchessia e va a merito di Jobs l’averlo invitato a scrivere la sua biografia autorizzata senza interferire nella stesura.

Il libro si legge facilmente ed è privo di strafalcioni tecnologici significativi.

Isaacson tratteggia senza sconti la personalità complessa di Jobs: un genio per quanto riguarda la definizione degli aspetti estetico/funzionali dei prodotti Apple e sufficientemente carismatico da spingere i suoi collaboratori a realizzare cose fino a quel momento ritenute impossibili, ma anche un egocentrico che divideva il mondo soltanto in due categorie, fantastico e merda, spesso brutale con chi gli stava intorno, capace anche di appropriarsi delle idee altrui e riproporle come proprie.

La sua ricerca estrema e quasi furiosa della semplicità sia nel design che nella funzionalità dell’oggetto, lo avvicina al Bauhaus, con la differenza che, per Jobs, il detto “form follows function” si rovescia nel suo esatto opposto. Spesso, infatti, alcune caratteristiche funzionali dei sistemi Apple sono state determinate dall’estetica scelta da Jobs per qualche dispositivo. In tal modo si rovescia il normale processo di progettazione. Di solito, infatti, prima vengono gli ingegneri che decidono quali componenti devono far parte della macchina e poi arrivano i designer che hanno il compito di rinchiuderli in un involucro accattivante (e spesso, nel caso del computer, si limitano a un involucro qualsiasi).

L’approccio di Jobs, invece, ha posto ai progettisti delle sfide che li hanno costretti a innovare. In genere, non si ha la percezione di quanto sia difficile cambiare la forma di un computer. Per esempio, il solo fatto di volere gli spigoli molto arrotondati provoca un bel problema di progettazione perché i produttori di schede e chip lavorano solo con elementi rettangolari. In teoria un chip rotondo si potrebbe fare, a patto, però, di cambiare l’intera catena di produzione, dal software che sistema i collegamenti fino ai robot che saldano i chip sulla piastra. In pratica è impossibile.

Di conseguenza, l’arrotondamento degli involucri con il taglio degli angoli produce spazio sprecato, a meno di inventare una disposizione diversa degli elementi all’interno dell’involucro, cosa che risulta più semplice se si usano elementi più piccoli, che, però, hanno un costo maggiore, il che spiega, in parte, il prezzo eccessivo rispetto alle prestazioni delle macchine Apple.

Gli effetti di questo modo di procedere sono risultati a volte decisamente innovativi, ma, in altre occasioni, si sono rivelati tali da compromettere alcune funzionalità.

Un esempio del primo tipo è lo sfondo bianco dell’interfaccia del Macintosh, conseguenza del fatto che Jobs voleva che fosse WYSIWYG: what you see is what you get (quello che vedi è quello che ottieni), quindi, se il documento in stampa sarebbe risultato nero su bianco, anche sullo schermo doveva essere così. Questa idea aveva fatto imbestialire non poco i tecnici perché il tradizionale sfondo nero (a fosfori spenti) era più semplice da progettare ed evitava che il tremolio dei fosfori fosse visibile. Lo sfondo bianco, invece, costringeva a ricorrere a monitor di qualità superiore, più costosi. Oggi tutti siamo abituati a questa situazione ed anche i display hanno fatto un salto di qualità non da poco.

Un esempio del secondo caso è il maledetto lettore CD dell’iMac. Jobs si arrabbiò moltissimo quando vide che il progettista aveva inserito nella macchina un lettore a cassettino invece che uno a fessura come era suo desiderio e gli impose di cambiarlo. Il punto è che a quell’epoca, i CD player non erano ancora in grado di masterizzare, ma solo di leggere. Il progettista, però, sapeva che a breve sarebbero stati disponibili anche i primi masterizzatori e che, per alcuni anni, sarebbero stati prodotti solo in versione a cassettino e avvisò Jobs che non volle scostarsi dalla sua idea. Per questa ragione gli acquirenti dell’iMac non hanno potuto beneficiare di un salto tecnologico e per vari anni sono stati costretti ad acquistare un masterizzatore a parte, mentre tutte le altre macchine nascevano dotate di masterizzatore di serie.

Un altro esempio molto più recente è l’antenna-gate dell’iPhone 4. Sebbene la volontà ferrea di Jobs fosse in grado di spingere i tecnici a fare miracoli, non c’è alcuna possibilità di contrastare il fatto che il metallo non è un materiale ideale da piazzare vicino ad una antenna: a dispetto dei desideri di Jobs e del suo designer di fiducia, le onde elettromagnetiche si ostinano a fluire sul metallo piuttosto che attraverso di esso con la conseguenza che un involucro metallico attorno a un telefono scherma sia la ricezione che la trasmissione (è la cosiddetta gabbia di Faraday). In origine, l’iPhone avrebbe dovuto avere una corona di plastica per permettere al segnale di fluire, ma la visione estetica di Jobs richiedeva una corona metallica. I tecnici fecero l’impossibile per utilizzare il metallo come estensione dell’antenna creando una discontinuità nella corona di acciaio che circondava l’apparecchio, ma come risultò chiaro da subito, se un dito sudato interrompeva tale fessura, la linea crollava.

È giusto rilevare, però, che i successi del metodo Jobs sono stati di gran lunga maggiori rispetto agli insuccessi e che la sua capacità innovativa ha realmente cambiato il modo in cui la massa percepisce la tecnologia. Dico “la massa” perché le creazioni Apple sono rivolte principalmente a coloro che utilizzano i sistemi digitali per l’ordinaria amministrazione, non a coloro che fanno un uso spinto della tecnologia. Prova ne è il fatto che le macchine high-end disegnate da Jobs sia in Apple che fuori, non hanno mai avuto grande successo. Non l’ha avuto il Lisa, non l’ha avuto il NeXT e non l’ha avuto il Power Mac G4 Cube che, nonostante sia finito esposto al Museum of Modern Art di New York, non ha impressionato i professionisti, poco disposti a spendere il doppio del normale per avere una scultura sulla loro scrivania. La presenza massiccia di Apple in alcuni centri di ricerca, come, nel mio campo, l’IRCAM, dipende più che altro da oculate politiche di vendita e sponsorizzazione che altro (leggi: sconti e regali).

Ma il problema maggiore di Apple, quello che ne ha frenato la diffusione fra gli addetti ai lavori, in realtà non è il prezzo, ma l’estrema chiusura dei loro sistemi. Nonostante la pubblicità tenti sempre di accreditare un’immagine creativa, i sistemi di Jobs sono sempre stati più diretti alla fruizione di contenuti che alla loro creazione e per volontà espressa dell’azienda, non esiste una pluralità di fornitori, il che significa che, sia che si abbia bisogno di un particolare componente hardware, di una certa applicazione o solo di una riparazione, bisogna sempre rivolgersi a una e una sola azienda e accettare le sue condizioni. A partire dal primo Mac, questa è stata la politica aziendale propugnata da Jobs. Quando in Apple si sono accorti che erano nati dei servizi di riparazione dell’iPhone gestiti da terze parti, l’azienda ha persino modificato le viti per impedire che qualcun altro fosse in grado di aprirlo.

Entrare in Apple, in pratica, significa consegnare la propria attività e i propri dati a una singola azienda senza potersi rivolgere a qualcun altro nel caso di disaccordi con la politica aziendale. È un po’ come acquistare una bellissima automobile di marca ZZZ (che proprio per questo costa il doppio di un auto normale) e scoprire, però, che gli unici che possono ripararla sono i centri ZZZ (che la tengono via 20 giorni e ti fanno pagare un occhio), che puoi fare benzina solo nei distributori approvati da ZZZ e che rende il massimo solo sulle strade consigliate da ZZZ.

Detto così, sembra solo un fatto economico, ma non lo è. È una di quelle cose che riguarda la libertà di tutti, anche se pochi ne sono toccati direttamente. Il fatto è che, sul mio computer, voglio mettere il sistema che voglio, farci girare i programmi che voglio e anche scriverne qualcuno, visto che so come fare, e magari venderlo o regalarlo e questo, in Apple, non è semplicemente possibile.

The making of Strawberry Fields

Cancello dell'orfanotrofio di Strawberry HillStrawberry Fields Forever (1967) è sicuramente una delle canzoni più complesse di tutta la produzione del Beatles. Ricordo che quando l’ascoltai (avevo 13 anni e studiavo già musica) mi fece una grande impressione proprio perché era un brano armonicamente diverso dal solito e con sonorità per l’epoca nuove.

Uscita come singolo nel febbraio 1967, era il lato B di Penny Lane. Sono entrambe canzoni nostalgiche: “Strawberry Field” era il nome di un orfanotrofio situato in Beaconsfield Road, Woolton, Liverpool, vicino alla casa d’infanzia di Lennon (nella foto il cancello dell’orfanotrofio). Lui e i suoi compagni di giochi Pete Shotton, Nigel Whalley, e Ivan Vaughan erano soliti giocare nel giardino alberato dietro l’edificio.

Venne poi inserita nell’LP Magical Mistery Tour. È attribuita al solo Lennon che iniziò a lavorarci ad Almería, in Spagna, durante le riprese del film diretto da Richard Lester How I Won the War (Come ho vinto la guerra) nel settembre–ottobre del 1966. La sua gestazione fu lunga e complicata, con numerose registrazioni anche non complete, arrangiate in modo diverso, due delle quali sono state poi tagliate, collegate e mixate fino ad ottenere il prodotto finale.

Bisogna ricordare che i registratori disponibili all’epoca avevano al massimo 4 piste, non le 48 o 64 delle macchine degli anni ’80 o le centinaia dell’attuale HD recording, quindi le sovra-incisioni possibili erano molto limitate. Si potevano certamente prendere 4 piste e mixarle in una (mono) oppure in due (perché il brano alla fine doveva essere stereo), mettendole su un secondo registratore, per poi registrare altre 4 piste e rifare lo stesso processo, ma ogni mix introduceva un po’ di rumore di fondo e costringeva a sincronizzare più registratori, con la conseguenza che già arrivare a 16 tracce era difficile.

Fortunatamente i Beatles, che musicalmente erano più o meno autodidatti, non erano così bravi a scrivere su pentagramma le proprie idee: il loro metodo per memorizzarle era registrare. Oggi che anche i demo tapes e le registrazioni inutilizzate dei Beatles sono state pubblicate, si può così ricostruire l’intero processo che ha portato alla versione finale di Strawberry Fields e valutare anche il contributo essenziale del loro arrangiatore e tecnico George Martin.

Qui abbiamo due video che tentano di chiarire le varie fasi attraverso le quali il brano è passato: dai primi accenni del solo Lennon con chitarra, all’arrangiamento orchestrale di Martin. I video sono riportati qui sotto. Questo articolo di Joe Brennan della Columbia University (autore di una utile guida alle registrazioni dei Beatles) è più completo, ma meno immediato. Anche questa pagina di wikipedia offre molte informazioni utili.

Notate che in alcune parti del video il suono può uscire da una sola cassa (di solito la sin.) perché si tratta di un mix temporaneo monofonico. In altre si può sentire un insieme strumentale su una cassa e uno strumento singolo o due sull’altra: questi ultimi sono quelli incisi sulle nuove piste, usando il mix precedente come base.

 

Olimpiadi

Olimpiadi 2012Per le Olimpiadi di Londra i pubblicitari hanno avuto abbastanza fondi da potersi scatenare e devo dire che la maggior parte delle loro realizzazioni è tecnicamente egregia e professionalmente ineccepibile (vedi il video qui sotto).

Però sto guardando adesso la cerimonia di apertura. Qualche richiamo storico nella prima parte (Shakespeare, Blake, Milton…) con un’isoletta verde in stile hobbit, per arrivare rapidamente ai Beatles e alla pop music. Gli aspetti culturali più profondi, che con le edizioni di Atene e Pechino avevano raggiunto il massimo, qui sono stati un po’ trascurati. O, almeno, mi è sembrato che, più che per gente come Bacon, Newton o Dowland, gli organizzatori amino ricordare la propria nazione per Mr. Bean, la swingin’ London e la pop music.

Comunque la cerimonia olimpica fa sempre pensare. Sfila la Cina e molto dopo, in ordine alfabetico, sfila Taipei. Passano le due Coree, passa la Siria, sfila l’Arabia Saudita, con un’atleta, donna, tuttora combattuta fra il gareggiare con il velo, come vuole il comitato olimpico del suo paese, oppure senza, come chiede il comitato olimpico internazionale, passa Timor Est, passano gli Stati Uniti, con divise disegnate in America da Ralph Lauren, ma interamente prodotte in Cina, arriva la Gran Bretagna, con Heroes di Bowie come colonna sonora…

01:00 – la sfilata è finita. Adesso suonano le Scimmie Artiche. Glob!

01:39 – per chiudere, dopo discorsi e cerimonie di accensione, Paul McCartney canta, con un po’ di fatica, Hey Jude.

Olympic Stadium – London 2012 from squintopera on Vimeo.

Concerti barocchi per chitarra a 8 corde

Un po’ di musica “leggera” per questi giorni di afa. In questo disco, Daniel Estrem esegue musica barocca di Vivaldi e Bach trascritta per chitarra a 8 corde. Le due corde in più espandono decisamente le possibilità dello strumento dando alla chitarra una completezza armonica che, a mio avviso, normalmente non ha.

In circa 30 anni di carriera Vivaldi ha scritto più di 500 concerti, molti dei quali sono stati poi trascritti per vari strumenti.
L’Estro Armonico, Op. 3, scritto nel 1711, è una raccolta di 12 concerti per 1, 2 e 4 violini che ha influenzato molti compositori dell’epoca, tanto che lo stesso J.S. Bach ne ha trascritto ben sei.

In questa incisione si eseguono il num. 2 e il num. 8 nonché il concerto in Sol Maggiore (Alla Rustica), particolarmente vicino alla musica popolare e molto adatto ad una trascrizione chitarristica.

Dall’opera di J.S. Bach sono tratti il famosissimo terzo Brandeburghese e il doppio concerto in Re minore, originariamente per due violini.

Una parola sul terzo Brandeburghese, il cui primo e terzo movimento sono due allegri, mentre il secondo è un adagio cosi breve che nelle esecuzioni pubbliche spesso si preferisce saltarlo oppure sostituirlo con un tempo lento tratto da un’altra composizione, come in questo caso.

Questa incisione si può scaricare gratuitamente in MP3 oppure acquistare in formato non compresso da Magnatune cliccando sul link riportato sotto il player.

Cliccate invece un brano nel player per ascoltarlo qui.

Baroque Concertos on 8 String Guitar by Daniel Estrem

RIP Lol Coxhill

Qualche giorno fa, il 10, se ne è andato Lol Coxhill. Io ero impegnato in un corso estivo in un luogo ameno fuori dal mondo e anche dalla rete, per cui ne scrivo solo adesso.

Coxhill era un sassofonista che mi piaceva perché la sua musica non aveva confini. Sebbene fosse fondamentalmente un improvvisatore di stampo jazzistico, nella sua sterminata discografia ha attraversato vari stili passando e spesso mescolando free jazz, bebop, ma anche musica contemporanea “colta”, free music, elettronica (con Simon Emmerson), rock e punk, Canterbury scene, progressive e blues.

L’album Digswell Duets del 1978, accreditato a Coxhill, Simon Emmerson e Veryan Weston, è stato inserito dalla rivista britannica The Wire nella lista dei 100 album che hanno incendiato il mondo (quando nessuno li ascoltava) (qui l’intera lista).

With Kou Katsuyoshi (guitar), John Edwards (bass), Steve Noble (drums) at Cafe Oto London. 23 November 2009.

Turner (drum set), Coxhill (soprano sax) and Cooper (electronics) play at the Red Rose, London. 6th February 2007.

Max Eastley (self-made instrument – arc), Steve Beresford (electronics), Lol Coxhill (soprano sax) at Battersea Arts Centre week of free improvised music curated by Adam Bohman. 20th February 2010.

 

 

8 Breaths Of Different Lengths

Non si cerca la varietà in un brano di Steve Roden.

Anche artista visuale, pittore, scultore, creatore di installazioni, Roden è stato fra i primi esponenti del movimento lowercase, una forma estrema di minimalismo ambientale in cui suoni molto flebili si alternano a lunghi silenzio, Roden si è poi evoluto in uno stile sonoro più continuo, fatto di un drone sottile, quasi granulare, composito, irregolare ma di vasto respiro.

Come in questo 8 Breaths Of Different Lengths, tratto da Three Roots Carved To Look Like Stones edito dalla netlabel francese Sonoris nel 2003.

Ascoltatelo nel silenzio. Non alzate il volume. Note di programma (all’intero disco):

this work was originally an installation presented at inmo gallery, in chinatown/los angeles, december 2000. the work was created using 3 objects purchased at chinatown giftshops: a toy wooden flute, a small aluminum wind chime, a small paper accordion. each track was created using one of these objects as the only sound source. some of the sounds have been processed electronically. the installation was created in response to: the generic sounding ‘muzak’ playing in most of the public spaces of chinatown; the private landscape of chinatown lingering unnoticed in alleys and second floor windows; and, a book on the history of chinese philosopher’s stones. the audio was installed in front of a large picture window facing the chinatown pedestrian area.

Metropolis

Michael Daugherty (n. 28/04/1954) è probabilmente il più interessante fra quei compositori che, memori della lezione post-moderna, includono nelle proprie composizioni diversi stili con citazioni tratte dal pop, dal jazz, come dai classici sia dell’800 che del primo ‘900.

Mi rendo conto che, detta così, fa pensare a una zuppa infame, ma invece Daugherty è un compositore molto preparato, nonché fine orchestratore e anche alle mie orecchie, che pure non amano più di tanto simili commistioni, riesce a risultare, tutto sommato, piacevole.

In realtà Daugherty è attualmente uno dei più eseguiti, commissionati e premiati compositori americani, sicuramente anche perché i suoi brani sono ascoltabili anche da un pubblico più vasto della ristretta cerchia amante della sperimentazione.

Sebbene, a mio avviso, la sua produzione migliore non sia quella orchestrale, qui vi propongo un movimento di Metropolis (1988-93), opera sinfonica in 5 movimenti (eseguibili anche separatamente), dove il riferimento culturale del titolo non è Fritz Lang, ma Superman. Metropolis è, infatti, la città in cui era ambientato il famoso fumetto.

I titoli dei movimenti sono

  1. Lex (1991)
  2. Krypton (1993)
  3. MXYZPTLK (1988)
  4. Oh, Lois (1989)
  5. Red Cape Tango (1993)

L’ultima incisione, diretta da Giancarlo Guerrero con la Nashville Symphony Orchestra è stata fra le nomination in sei categorie ai Grammy Awards del 2011 e ha portato a casa i premi per Best Orchestral Performance, Best Engineered Album e Best Classical Contemporary Composition.

Proprio da questa incisione e grazie a You tube, vi propongo il quinto movimento. Occhio (orecchio) alle citazioni. Una può essere tratta perfino dai Deep Purple (anche se quei tre accordi possono essere qualsiasi cosa, ma sono così simili anche nel tempo…)

Strumentazione: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto; 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, tuba; timpani, 4 percussioni; piano; archi.

Tutta Metropolis è ascoltabile su You Tube.

La filosofia in un grafo

Drunk&Lampposts ha realizzato questo grafo che cerca di visualizzare le connessioni fra gli esponenti della storia della filosofia.

La metodologia utilizzata non è una scelta personale, ma deriva strettamente da quanto pubblicato in wikipedia. Simon Raper, che ha realizzato materialmente l’immagine, ha utilizzato la sezione “influenced by” contenuta in ogni voce dedicata ad un filosofo in wikipedia, anzi, più precisamente, in dbpedia che altro non è se non una versione strutturata in forma di database delle informazioni contenute in wikipedia (non so quanti di voi ne conoscono l’esistenza).

Ogni dichiarazione di influenza è stata tradotta in un link, mentre la quantità di “influenze” ha determinato la grandezza del cerchio rappresentante il filosofo.

Il tutto è stato tradotto in immagine da Gephi, un software open source interattivo per la realizzazione di grafi dinamici e gerarchici che rappresentano network e sistemi complessi. La mappa, quindi, non si deve leggere come una opinione di Raper, ma come “wikipedia riporta che…”

Attenzione, l’immagine originale è trasparente, quindi lo sfondo traspare condizionandone la leggibilità. Quello che vedete qui è un estratto. È conveniente cliccare l’immagine per vedere l’originale.

Naturalmente potete anche scaricarla, ma sappiate che l’originale è 8.1 Mb.

Nell’articolo originale Raper rileva alcuni problemi della mappa (il principale è l’assenza di frecce nei link che non fa capire chi influenza chi), ma offre anche varie chiavi per capirla meglio. Per esempio, fa notare come il software tenda a centrare gli elementi più grossi, per cui i nomi più importanti sono, in genere in posizione più centrale. Offre anche un’interpretazione dei colori. Gli amanti del genere, infine, troveranno anche alcune note tecniche sull’estrazione di dati e la realizzazione del grafo.

Comunque, sebbene io sia un appassionato di mappe, la mia opinione è che questa è molto bella da vedere, ma solo relativamente usabile perché la sua complessità ne limita notevolmente la leggibilità nelle parti più dense (sfido chiunque a seguire i link nella zona di Hegel o Kant). Una versione finale potrebbe assumere, per esempio, la forma di un applet Java che permetta di selezionare cosa vedere, spostare i box et similia. Però è simpatica come idea.

mappa della filosofia

La fine di Radio Music?

Il 2012 è il centenario della nascita di John Cage e il ventennio dalla morte (Los Angeles, 5 settembre 1912 – New York, 12 agosto 1992). Ovviamente le celebrazioni sono molte. Presumibilmente, quasi tutta la sua opera sarà eseguita quest’anno e qualcuno si accorge anche di qualche problema.

Peter Urpeth, nel suo blog silentmoviemusic, ha fatto notare che, probabilmente, uno dei più famosi e caratteristici brani di Cage, Radio Music, composto nel 1956, diventerà ineseguibile a partire dal 2017 e forse la stessa fine farà Imaginary Landscape 4 (e qualche altro brano basato sulla radio). Questi pezzi, infatti, sono scritti per un certo numero di esecutori (da 1 a 8 il primo, 12 il secondo), ognuno munito di una radio. La partitura di Radio Music riporta una lista di frequenze su cui gli apparecchi devono essere sintonizzati nel corso del brano. La lista è indipendente dal luogo e dall’orario dell’esecuzione, per cui ne esce un insieme indeterminato di suoni. Occasionalmente, su qualche frequenza non c’è alcuna trasmissione e quindi si sente il silenzio della radio, fatto di rumore di statica con qualche disturbo casuale.

Il fatto che mette in pericolo Radio Music è lo spegnimento del segnale analogico previsto per il 2017, segnando il passaggio definitivo alle trasmissioni digitali. Le conseguenze sono due:

  1. la statica del digitale è definitivamente silenziosa e anche i disturbi sono molto rari, se non nulli, ma, ancora peggio,
  2. nella radio digitale non ci sono frequenze, ma solo canali, quindi è impossibile sintonizzarsi su una data frequenza e se è vero che ogni transponder lavora su una sua frequenza, quest’ultima non ha niente a che fare con le vecchie frequenze analogiche e ogni transponder corrisponde a un blocco di canali, non a una singola trasmissione.

La partitura, dunque, appare obsoleta rispetto a un recente salto tecnologico. Non è la prima volta che questo accade nella storia della musica. Penso, per esempio, al passaggio dall’arco barocco a quello moderno, o dal clavicembalo al pianoforte, tuttavia, in questi casi, la sostanza del discorso musicale, cioè la successione di altezze, rimaneva e consentiva una nuova interpretazione.

Ci sono, poi, altri casi legati a un salto tecnologico. Nella musica elettronica il passaggio dall’analogico al digitale ha messo in crisi varie partiture. Tuttavia con il digitale si può emulare il 99% di quello che si faceva in analogico, sia pure con qualche differenza, ma che, in fondo, non è più grande di quella provocata dall’abbandono del clavicembalo in favore del pianoforte.

In questo caso, invece, è proprio la sostanza del brano a cambiare e se il suo significato, che consiste nella sovrapposizione casuale di varie sorgenti radiofoniche, può essere riprodotto, vengono a mancare sia una serie di rumori (statica, disturbi, ricerca della sintonia), che quella commistione di trasmissioni normali e di servizio (sistemi di trasporto, emergenze, CB) che un tempo lavoravano con lo stesso medium, ma che ora sono definitivamente separati.

Non credo, comunque, che Cage si sarebbe preoccupato più di tanto della fine di Radio Music, anzi l’avrebbe accolta come un altro passo verso il silenzio, ma il silenzio digitale è troppo perfetto…

Nell’immagine David Tudor e John Cage (click per ingrandire), trovata via johncage.org. Vi riporto anche il bel sito JOHN CAGE unbound: a living archive, creato dalla New York Public Library for the Performing Arts, segnalato da Franz.

Tudor & Cage

Profetico

Nell’autunno del 1888 George Gouraud fece, a Londra, una serie di dimostrazioni della nuova invenzione di Edison: il fonografo, capace di registrare il suono su cilindri di paraffina. Dopo le demo, Gouraud registrava le reazioni dei presenti su cilindri da inviare ad Edison.

Uno dei presenti era il compositore Arthur Sullivan (1842-1900). Nel suo messaggio disse, fra l’altro:

For myself, I can only say that I am astonished and somewhat terrified at the results of this evening’s experiment — astonished at the wonderful power you have developed, and terrified at the thought that so much hideous and bad music may be put on record forever.

Trad. mia
Per quel che mi riguarda, posso solo dire di essere sbalordito, ma anche un po’ spaventato dai risultati dell’esperimento di ieri sera — sbalordito dal fantastico potere che avete sviluppato e spaventato al pensiero di quanta orrenda e cattiva musica potrà essere registrata per sempre.

Fonte: wikipedia

Karl Marx Credit Card

Karl Marx Credit CardIn uno stato che una volta si chiamava Germania Est, in una città un tempo chiamata Karl-Marx-Stadt (oggi Chemnitz), una banca chiamata Sparkasse Chemnitz fa un sondaggio online per decidere quale immagine mettere sulla propria carta di credito, fra 10 immagini comprendenti 3 castelli, 2 municipi, un monumento, un fiume, una pista, una torre, un museo (lista completa qui in un pdf in tedesco).

E chi vince? Il monumento a Karl Marx. E non di poco: vince alla grande prendendosi il 35% dei consensi.

Non solo. Il fenomeno non è locale. La banca ha poi ricevuto numerose richieste da cittadini di altri stati della Germania, che chiedevano di aprire un conto solo per avere la carta di credito con l’effigie di Marx.

Nostalgia? Un sondaggio del 2008 ha rivelato che il 52% degli abitanti dell’ex Germania Est considerava l’economia di libero mercato “inadeguata” e il 43% diceva di rivolere il socialismo. Probabilmente le stesse percentuali che 30 anni fa sognavano di passare all’ovest.

Via Reuters

Paesaggi Tipici

Castel PietraDomani, venerdì 22, la mia classe di Musica Elettronica del Conservatorio Bonporti tiene il suo saggio annuale in forma di concerto nella cornice suggestiva di Castel Pietra, a Calliano (prov. Rovereto, in foto).

Si eseguiranno brani del sottoscritto, degli studenti, più un pezzo di Jonathan Harvey, Ricercare una melodia, per tromba e live electronics, di cui abbiamo ricreato il sistema di elaborazione audio con Max/MSP in quanto l’originale utilizzava device ormai obsoleti e un recente brano di Walter Prati per lo stesso organico.

Nella stessa serata anche il TinnitusLab dell’Istituto Vivaldi di Bolzano.

PAESAGGI TIPICI
live audio performance

Castello della Pietra a Calliano (prov. Rovereto)
ore 20.30
ingresso libero

Compositori ed esecutori: Mauro Graziani > Marco Banal > Raffaele Guadagnin > Raul Masu > Marco Simoncini > Mario Mariotti > Jonathan Harvey > Walter Prati.

In questa serata presentiamo la ricerca della Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio Bonporti di Trento, giunta ormai al quinto anno di vita. Pur essendo relativamente giovane, con la direzione del docente Mauro Graziani, la Scuola di Musica Elettronica ha prodotto composizioni e ricerche che toccano varie tematiche, spaziando dal paesaggio sonoro, a strumenti acustici elaborati digitalmente in tempo reale fino a lavori acusmatici di sola elettronica. L’elemento unificante di tutti questi brani è la fascinazione sonora, l’esplorazione profonda del tessuto sonoro, fino a svelare il paesaggio che si nasconde all’interno del singolo suono per quanto piccolo. Ogni pezzo è il risultato di improvvisazioni, ricerche e/o stratificazioni di idee, costruzione ed elaborazione di scenari acustici, ma ogni suono, ogni rumore è anche lo spunto per uno sguardo oltre il visibile, oltre il reale.

Per l’intera rassegna, vedi Paesaggi Tipici.

27.08.2011

Cover

Una registrazione che ha quasi un anno (il titolo è la data, nello stile di molti improvvisatori europei) realizzata da v4w.enko (aka Evgeniy Vaschenko ucraino) e d’incise (svizzero, aka Laurent Peter) e pubblicata dalla netlabel Resting Bell a Marzo di quest’anno.

Due brani un po’ noisy in cui le forme algoritmiche del primo si fondono con i suoni concreti elaborati del secondo. Ne risultano due improvvisazioni che combinano drone e soundscape con sonorità di oggetti e microfoni a contatto elaborati in real time.

Il tutto è scaricabile da Resting Bell.

Come estratto vi linko il primo brano che, come titolo, ha la sua durata.

 

CAN: the lost tapes

Can 1972Le registrazioni perdute dei Can, che non sono mai state veramente perdute, si possono ascoltare, in parte, su Youtube.

La storia è questa. Quando lo studio dei Can venne venduto al German Rock’n’Pop Museum, tutto il contenuto, compresi i materassi attaccati alle pareti per insonorizzare il locale, venne smontato e rilocato a Gronau (2007).

Nell’insieme erano compresi parecchi nastri (circa 30 ore) registrati fra il 1968 e il 1977, mai editi e sommariamente etichettati (peraltro le etichette erano ormai quasi illeggibili). Nessuno sapeva che cosa contenevano, finché Irmin Schmidt, ex tastierista della band, non si prese la briga di rimettere ordine.

Alla fine, il prossimo 18 Giugno verrà pubblicata ufficialmente da Spoon Record che è anche il sito ufficiale della band, una selezione di tutto questo materiale in un box di 3 CD di cui si possono già ascoltare 10 brani nel sito di cui sopra.

Il materiale è tipico di questa band, che mi sempre piaciuta perché capace di inquinare il rock conservando pochi stilemi essenziali e distorcendone molti altri. Il fatto che due membri (Czukay e Schmidt) fossero stati studenti di Stockhausen, aiutava.

In queste registrazioni la formazione è quella classica: Holger Czukay on bass, Michael Karoli on guitars, Jaki Liebezeit on drums and Irmin Schmidt on keyboards, con i due cantanti che si sono succeduti negli anni, Malcolm Mooney e Damo Suzuki.

Fra i pezzi, alcuni sono chiaramente prime versioni di brani poi pubblicati un po’ diversi e con altri titoli (Swan Song, che qui si intitola A Swan is Born), altri sono dei live (Mushroom) e altri sono del tutto inediti, ma tutti conservano la tipica impronta Can.

Att.ne: questa è una playlist di 29 brani

I cani della metro di Mosca

Quello dei cani randagi che vivono nella metropolitana di Mosca è uno dei più strani e interessanti ecosistemi urbani esistenti.

Anche a causa della durezza dell’inverno russo, nel sistema di gallerie della metro moscovita, che attualmente si estende per circa 300 km, girano ormai più di 500 cani randagi che sopravvivono chiedendo cibo ai passanti. Contrariamente a quanto si può pensare, non ci sono stati casi di attacco agli esseri umani, anzi, qualche volta è accaduto il contrario.

Alcuni anni fa, per esempio, Yulia Romanova, una modella 22enne, stava rientrando a casa con il suo staffordshire terrier quando, nella stazione Mendeleyevskaya ha incontrato Melchik, un randagio nero che, alla vista dell’altro cane, ha iniziato ad abbaiare per difendere il proprio territorio perché, per lui, quella era la sua stazione. Invece di scansarlo come facevano tutti, Yulia Romanova si è diretta con decisione verso Melchik e lo ha accoltellato, uccidendolo. Di conseguenza è stata arrestata e la sua unica possibilità di evitare il carcere è stata di sottoporsi a un anno di trattamento psichiatrico.

Una statua bronzea di Melchik (nella foto a fianco), pagata da donazioni spontanee, è state eretta all’entrata della Mendeleyevskaya, a testimonianza della simpatia dei moscoviti (Update: è nata una usanza secondo la quale accarezzare il naso di Melchik porta fortuna).

Ma, al di là di queste storie folkloristiche, l’organizzazione sociale dei randagi della metropolitana ha dei tratti di adattamento unici, tali da essere oggetto di studi.

È risultato, infatti, che alcuni cani sono diventati più abili di altri nell’individuare le persone da cui è più probabile ottenere qualcosa e nell’evitare quelle potenzialmente ostili. Questo fatto, in sé, non è così sorprendente, i cani sono intelligenti.

La cosa interessante, però, è che, secondo Andrei Poyarkov, ricercatore presso l’ A.N. Severtsov Institute of Ecology and Evolution, che studia i 35.000 randagi di Mosca ormai da 30 anni, nel caso dei cani della metropolitana sembra essere cambiato il modo in cui nei piccoli branchi si afferma un capo, cioè il cane alfa. Quest’ultimo, normalmente, è il più forte, il che, in campo aperto, equivale anche a una maggiore efficacia nella caccia. Però, in questo caso, sembra invece essere diventato il più abile nel procurarsi il cibo, indipendentemente dalla sua forza fisica.

Il punto più importante è proprio questo: questi cani, che in base al loro comportamento Poyarkov classifica nella categoria dei “mendicanti”, hanno realizzato che, in questo ambiente, la forza fisica non equivale a una maggiore sicurezza di nutrimento, ma, al contrario, un piccolo, ma grazioso esemplare ha più possibilità di ottenere qualcosa avvicinandosi a chi, magari, sta tornando a casa dopo aver fatto la spesa, rispetto a un grosso cane che può anche fare paura.

Notevole è anche il fatto che alcuni di questi cani hanno sviluppato la capacità di muoversi da una stazione all’altra prendendo i treni. Non è ancora chiaro come riconoscano la stazione a cui scendere, ma si presume che si basino su qualche odore particolare e che abbiano imparato a riconoscere l’annuncio della fermata (nella metro russa il conduttore annuncia sempre la prossima fermata). In questo modo, alcuni cani incorporano più stazioni nel proprio territorio e si spostano regolarmente dall’una all’altra a orari precisi. È normale, quindi, vedere un cane, da solo, che aspetta il treno sempre a quell’ora in una certa stazione, come nell’immagine di apertura di questo post.

C’è anche un sito dedicato ai cani della metro di Mosca (in russo): metrodog.ru

Una fontana …

… un po’ speciale.

Si trova in Giappone, alla Osaka City Station.

A vederla disegnare forme con l’acqua, sembra complicata, ma, in realtà, non è più complessa di una stampante. Immaginate una stampante che abbia una sola linea di ugelli lunga quanto la larghezza del foglio. A questo punto basta che il software prenda una linea della pagina e mandi un 1 (aperto) per ogni pixel nero e uno 0 (chiuso) per ogni pixel bianco, continuando così per tutte le righe. Il software è perfino più semplice di quello di una stampante. Ecco fatto. In fondo è computer art.

C’è, comunque, un messaggio più interessante, dietro ed è l’idea che una società deve favorire e perfino spingere la creatività e l’arte anche nelle sue manifestazioni più normali, come una stazione o l’arredo urbano in genere. Da quanto tempo non vedo un’opera d’arte contemporanea in una stazione?

Ray Bradbury

Cronache MarzianeIl 5 Giugno è morto Ray Bradbury.

Veramente sono un po’ stufo di scrivere necrologi, però non posso dimenticare che il suo “Cronache Marziane” (1950; trad. it. 1954) è uno dei libri di fantascienza che più mi hanno colpito quando ero ragazzo, al punto che  rileggendo qui i titoli dei racconti che ne fanno parte, mi sono reso conto che, a circa 40 anni di distanza, me li ricordo tutti.

C’è un racconto in particolare, Night Meeting (Incontro di notte nella trad. italiana), in cui, durante uno spostamento notturno, uno strano (e non spiegato) salto temporale fa incontrare un giovane colonizzatore terrestre e un marziano di un altro tempo, quando ancora la civiltà marziana esisteva, prima dell’arrivo dei terrestri.

Ognuno dei due vede l’altro come una persona semitrasparente, dalle apparenze di un fantasma e ognuno dei due vede Marte come è abituato a vederlo: dove il terrestre vede rovine, il marziano vede una città brulicante di vita, dove l’uno vede un oceano l’altro vede un recente insediamento. I due, evidentemente, non si capiscono e se ne vanno ognuno per la propria strada, ciascuno nel proprio tempo, entrambi chiedendosi se quell’incontro era realtà o allucinazione. Ma nessuno dei due sa spiegare quella strana malinconia che si sente dentro…

Per Bradbury, la poesia era più importante di una trama razionale. Per esempio, non si è sforzato di spiegare quel salto temporale. Semplicemente lo fa accadere. Le emozioni, i sentimenti dei protagonisti sono molto più importanti della spiegazione razionale di un fenomeno che, peraltro, è centrale in quel racconto.

Tutto Cronache Marziane è così. I marziani vengono nuovamente fatti fuori dai batteri dei terrestri, prendendo di peso l’idea dalla Guerra dei Mondi di Wells. Una trama banale dal punto di vista della science-fiction. Ma per l’autore è un sistema per mettere nelle mani dei nuovi arrivati un mondo vuoto, ma non da millenni; da poco. Due civiltà si sono incrociate per un breve periodo e ora la seconda si trova a ripartire camminando letteralmente sugli scheletri ancora freschi della prima, come nel racconto The Musicians. È una situazione quasi unica nel mondo della speculazione letteraria e anche della stessa fantascienza.

Nell’opera di Bradbury il focus è sull’essere umano, sui suoi problemi e passioni, piuttosto che sulla tecnologia tout-court. Ciò nonostante la sua forza inventiva è straordinaria, testimoniata da molti libri, anche se tutti si limitano a ricordare Fahrenheit 451 divenuto un’icona anche grazie al film di Truffaut.

Con questa impostazione, Bradbury ha portato la fantascienza nel mainstream letterario e proprio per questo il suo lavoro ha ispirato altre categorie artistiche, oltre al cinema, lasciando un’enorme quantità di tracce e connessioni storiche. Un esempio fra tanti: “I Sing the Body Electric“, il titolo di un suo racconto e di una antologia del 1969 è preso da un poema di Whitman ed è poi diventato anche il titolo del secondo album dei Weather Report, del 1972.

URBANSCREEN a Sidney

URBANSCREEN è un gruppo tedesco specializzato in proiezioni di larga scala su superfici urbane.

Già famosi per 555 KUBIK – How it would be if a house was dreaming, che utilizzava come schermo la Kunsthalle Hamburg, oggi hanno ricevuto una commissione per lavorare sulla Sydney Opera House, nel quadro della manifestazione Vivid Sydney, un festival di luce, musica e idee.

Vedere le vele dell’Opera House muoversi come mosse dal vento è semplicemente emozionante.

Watch as multi-award winning German design collective URBANSCREEN transform Sydney Opera House with their Lighting of the Sails.

Vivid LIVE at Sydney Opera House is a 10-day celebration of ambitious popular music within the city’s annual Vivid Sydney festival running from 25 May to 11 June 2012.

Musical Chairs

This movie shows an installation by designer Bobby Petersen at the Victoria and Albert Museum in London, where chairs were programmed to play music when visitors sat on them. Each seat represented a different instrument and rhythm, creating a harmony when people sat down together.

Paper

L’artista di Colonia Simon Schubert crea immagini di interni semplicemente piegando un foglio di carta.

Francamente mi è anche difficile immaginare come faccia. I fogli di carta sono piegati, incisi e sgualciti senza nessun segno grafico. Le forme nascono dai differenti rilievi che il foglio assume e sembra siano sempre sul punto di scomparire…

Altre immagini qui.

Cologne artist Simon Schubert creates intricate images of stately homes and palaces simply by folding plain white sheets of paper.

In his paper works Schubert folds and creases the sheets in an extraordinary technique, adding a plastic quality to the plain paper without any graphical aid. Staircases and hallways, insights of stately homes are shown, seemingly on the point of dissolution. The rooms are inhabited by hidden human figures whose ghost-like shadows seem to enter or leave the scene.

The works are made of plain paper. The papers are entirely folded and uncoloured.

Via Deezen

Com’era il vecchio west

Quando passo per qualche luogo che mi piace mi chiedo sempre come è apparso agli occhi dei primi uomini (il senso reale della domanda è com’era prima che la civiltà lo riempisse di insulse casette, strade eccetera). Pensare per esempio a come poteva apparire il lago di Garda a qualcuno che lo vedeva per la prima volta arrivando dalle montagne a nord, è sorprendente: un’immensa distesa di acqua con qualche villaggio e qualche palafitta qui è la.

Adesso il Daily Mail online pubblica una serie di foto scattate da Timothy O’Sullivan nei primi anni del 1870: sono le prime immagini di quelle terre che diverranno note come il selvaggio west (principalmente Arizona, Nevada, Utah).

Qui il link.

The wild west

These remarkable 19th century sepia-tinted pictures show the American West as you have never seen it before – as it was charted for the first time.

The photos, by Timothy O’Sullivan, are the first ever taken of the rocky and barren landscape.

At the time federal government officials were travelling across Arizona, Nevada, Utah and the rest of the west as they sought to uncover the land’s untapped natural resources.

The DailyMail online: Here is the link.

Berlusconi ha vinto le elezioni?

  1. Andate sul traduttore di Google (cliccate qui)
  2. Selezionate da Italiano a Inglese
  3. Nella casella a sin. (italiano) scrivete “Berlusconi non ha vinto le elezioni” senza le virgolette e con la lettera maiuscola, come è scritto qui (att.ne: scrivetelo, non fate copia/incolla).
  4. Guardate cosa appare da me (immagine qui sotto – click per ingrandire)
  5. Adesso, nella casella in italiano, cancellate Berlusconi e scrivete un nome qualsiasi: la traduzione diventa giusta.
  6. Rimettete Berlusconi (sempre con la maiuscola): la traduzione ritorna errata.
  7. Basta cancellare una qualsiasi lettera dal nome Berlusconi e la traduzione ritorna giusta.

Qualcuno me lo spiega?

 

UPDATE

È più di un anno che questo chiamiamolo bug è qui. Francamente mi chiedo se sia proprio un bug, visto che basta scrivere una qualsiasi altra parola al posto del nome del nostro, oppure metterlo in minuscolo e la traduzione diventa d’incanto giusta.

Dopo quella di fine 2010 in cui ha attribuito il tutto al classico errore informatico, Google non ha più dato spiegazioni e il bug è ancora lì.

Il disastro del lago d’Aral

Ex lago di AralPensavo che queste immagini di navi da pesca abbandonate in mezzo al deserto fossero famosissime.

Era un po’ che volevo parlare del disastro ecologico del lago di Aral, o meglio ex lago di Aral. Non l’ho fatto perché ero convinto che fosse universalmente noto. Poi, conversando con un po’ di gente, mi sono reso conto che è solo vagamente noto, quindi ve lo racconto, con l’aiuto di wikipedia.

L’Aral (in russo Aralskoje More, Аральскοе мοре; in kazako Арал Теңізі) è un lago salato di origine oceanica, situato alla frontiera tra l’Uzbekistan (nel territorio della repubblica autonoma del Karakalpakstan) e il Kazakistan. Il nome deriva dal chirghiso “Aral Denghiz”, che significa “mare delle isole”, a causa delle numerose isole che erano presenti nei pressi della costa orientale. È talvolta chiamato erroneamente mare d’Aral, poiché possiede due immissari (Amu Darya e Syr Darya) ma non ha emissari che lo colleghino all’oceano; è infatti un bacino endoreico.

Un bacino endoreico è semplicemente un bacino idrografico senza emissari.

È interessante chiedersi come un bacino endoreico possa mantenersi in equilibrio, visto che l’acqua entra, ma non esce. Come mai non si espande oltre un certo limite?

La risposta è la stessa dei mari e degli oceani: l’evaporazione. È l’evaporazione a far sì che il lago possa espandersi fino a un certo punto, ma non oltre, in proporzione alla quantità di acqua che riceve.

Ma la cosa non sta ancora in piedi se non si aggiunge un altro tassello. Il bacino idrografico che alimenta il lago, infatti, può essere anche immenso. Quello del Mar Caspio, per esempio, si estende per diversi milioni di km2.

Il bilancio con l’evaporazione forma un lago di “soli” 371000 km2. Questo perché l’evaporazione aumenta esponenzialmente con la superficie del lago. Più la massa d’acqua è estesa, più l’evaporazione incide. Ad un certo punto si arriva all’equilibrio.

Questo equilibrio, tuttavia, è precario. Il clima, l’esposizione solare e le precipitazioni condizionano sia l’entità dell’evaporazione che la quantità di acqua affluente.

Di conseguenza, questi specchi d’acqua possono manifestare grosse variazioni di superficie, non solo in tempi lunghi nel corso della loro storia, ma anche su tempi dell’ordine di pochi mesi, seguendo variazioni dell’andamento meteorologico stagionale.

L’evaporazione, infatti, aumenta con la temperatura e diminuisce con l’umidità relativa (la cosiddetta pressione di vapore): all’aumentare della temperatura aumenta il flusso evaporante, ma via via che ci si avvicina alla saturazione, il flusso diminuisce fino a stabilizzarsi. Il vento, però, portando via l’umidità (cioè il vapore acqueo), favorisce l’evaporazione.

L’equilibrio è delicatissimo. Ciò nonostante le variazioni del lago non comportano quasi mai la sua estinzione perché al diminuire della superficie d’acqua, diminuisce anche l’evaporazione.

Contrariamente a quanto si dice, non abbiamo notizie storiche di sparizioni e riapparizioni del lago di Aral. Si sa, invece, che la sua superficie si è ridotta fino al 1880 per poi aumentare fino al 1908. Si sa anche che nell’antichità aveva un emissario che portava le sue acque fino al mar Caspio e che fungeva da via navigabile collegata alla via della seta.

Il disastro iniziò ai primi del ‘900, quando si cominciarono ad utilizzare le acque dei suoi due immissari per alimentare le coltivazioni. All’inizio, comunque, lo sfruttamento era contenuto e non si notò niente di strano, anzi il lago sembrava crescere.

Nell’immediato dopoguerra, però, l’utilizzo delle acque dell’Amu Darya e del Syr Darya fece un salto notevole: le loro acque vennero prelevate da svariati canali al fine di irrigare i neonati vasti campi di cotone delle aree circostanti.

Sin dal 1950 si poterono osservare i primi vistosi abbassamenti del livello delle acque del lago. Già nel 1952 alcuni rami della grande foce a delta dell’Amu Darya non avevano più abbastanza acqua per poter sfociare nel lago. Il piano di sfruttamento delle acque dei fiumi a scopo agricolo aveva come responsabile Grigory Voropaev. Voropaev durante una conferenza sui lavori dichiarò, a chi osservava che le conseguenze per il lago sarebbero state nefaste, che il suo scopo era proprio quello di “far morire serenamente il lago d’Aral”. Era infatti così abbondante la necessità di acqua che i pianificatori arrivarono a dichiarare che l’enorme lago era ritenuto uno spreco di risorse idriche utili all’agricoltura e, testualmente, “un errore della natura” che andava corretto.

Un atteggiamento che oggi passa per folle, ma che negli anni 50/60 non lo era. Non voglio in alcun modo giustificarlo, ma solo inquadrarlo storicamente. Fino al diffondersi di una certa coscienza ecologica, la specie umana ha fatto migliaia di interventi di questo tipo (e anche oggi continua a farli) con risultati a volte buoni, a volte disastrosi, ma più spesso non ottimali, ma nemmeno così terribili.

Abbiamo deviato e interrato fiumi con effetti a volte pessimi, ma altre volte non così cattivi. Credo che meno di 1/1000 degli abitanti delle città siano consci di quanti fiumi interrati scorrano sotto i loro piedi (e quanto grandi siano) e di come siano stati deviati e rimodellati quelli esistenti. Per esempio, non so quanti moscoviti che passeggiano nel centralissimo quartiere Presnenskij sappiano che sotto i loro piedi scorre il Presnja, affluente non proprio piccolo della Moscova (in compenso, i genovesi si sono ben accorti dell’esistenza del Fereggiano).

Nella nostra storia abbiamo desertificato intere zone e bonificato paludi rendendo abitabili altri terreni, abbiamo spianato montagne, costruito isole e tagliato canali per collegare mari e oceani nonostante tonnellate di profezie avverse. Tutte queste azioni hanno cambiato il volto del pianeta, ma non decisamente in bene o in male. Hanno effetti positivi e negativi, però secondo me, nella maggior parte dei casi non ci è andata così male, prova ne sia il fatto che spesso non sappiamo nemmeno che queste cose sono state fatte.

Per esempio, sarebbe interessante sapere quanti di coloro che atterrano al Kansai International Airport (Osaka) o a Kobe, sanno che la terra su cui posano i piedi non c’era, prima che gli aeroporti venissero progettati (sono isole artificiali).

Nel caso del lago di Aral, i pianificatori ritenevano che il lago, una volta ridotto ad una grande palude acquitrinosa sarebbe stato facilmente utilizzabile per la coltivazione del riso, ma hanno sbagliato i calcoli, se mai li hanno fatti. Quello che invece è accaduto è che

Nel corso di quattro decenni la linea della costa è arretrata in alcuni punti anche di 150 km lasciando al posto del lago un deserto di sabbia salata invece del previsto acquitrino. A causa infatti della sua posizione geografica (si trova al centro dell’arido bassopiano turanico) è soggetto a una forte evaporazione che non è più compensata dalle acque degli immissari. L’impatto ambientale sulla fauna lacustre è stato devastante. Per far posto alle piantagioni, i consorzi agricoli non hanno lesinato l’uso di diserbanti e pesticidi che hanno inquinato il terreno circostante. Il vento che spira costantemente verso est/sud-est trasportando la sabbia, salata e tossica per i pesticidi, ha reso inabitabile gran parte dell’area e le malattie respiratorie e renali hanno un’incidenza altissima sulla popolazione locale. Le polveri sono arrivate fino su alcuni ghiacciai dell’Himalaya.

MappaAl posto delle acque del lago oggi ci sono 40 000 km2 di zona secca, di colore bianco a causa del sale sul terreno, denominati deserto del Karakum.

Cliccando questa immagine animata (guardatela per circa 30 sec.) potete apprezzare l’entità del disastro. Dal 1987 il lago si è diviso in due: la parte a nord, più piccola, è chiamata Piccolo Aral e quella a sud, ovviamente, Grande Aral. La diminuzione della superficie d’acqua ha superato il punto di non ritorno e senza interventi la totale scomparsa del lago sarebbe ormai inevitabile.

I pochi interventi sono iniziati nel 2000 con la messa in sicurezza della base militare sovietica che sorgeva su una delle isole.

Per anni una grave preoccupazione era costituita dall’installazione militare sovietica abbandonata dal 1992, i cui resti si trovano tuttora su quella che una volta era l’isola di Vozroždenie. In quella base infatti venivano condotti esperimenti di armamenti chimico-batteriologici. A causa dell’abbassamento del livello del lago, tale isola ormai era di fatto diventata parte della terraferma e facilmente raggiungibile. La presenza di fusti di antrace e di altri agenti tossici era nota e confermata sia dalle autorità ex-sovietiche, sia dalle autorità uzbeke, sia da quelle statunitensi incaricate di indagare sulla effettiva pericolosità del luogo. Tale installazione è stata bonificata definitivamente nel 2002 con uno sforzo congiunto delle autorità del Kazakistan e dell’Uzbekistan coadiuvate da consulenti statunitensi. Periodici sopralluoghi vengono via via effettuati nella zona per accertare l’eventuale persistenza di agenti tossici.

La difficoltà dell’intervento è acuita dal fatto che il territorio dell’Aral è diviso fra Kazakistan e Uzbekistan. Inoltre i suoi ex affluenti interessano anche Tagikistan, Turkmenistan, Kirghizistan ed in parte Afghanistan.

Allo stato attuale, l’unica nazione che ha intrapreso provvedimenti concreti per la situazione è il Kazakistan. In pratica, al di là di alcuni accordi formali tra loro, i governi delle altre nazioni che insistono nell’area interessata al passaggio dei due fiumi non hanno intrapreso significative azioni comuni per ripristinare l’afflusso delle acque verso il bacino del lago. Il motivo è che la coltivazione del cotone impiega ormai una quantità di lavoratori cinque volte maggiore di quella che una volta era impiegata nella pesca, che peraltro era concentrata nei soli Kazakistan ed Uzbekistan. Inoltre i terreni che le acque del lago hanno scoperto ritirandosi hanno mostrato di essere ricchissimi giacimenti di gas naturale. Nel corso del 2006 un importante accordo per lo sfruttamento del sottosuolo del lago è stato raggiunto tra il governo dell’Uzbekistan, la società russa LUKoil, la Petronas, la Uzbekneftegaz e la China National Petroleum Corporation. Un eventuale ritorno dell’acqua al livello originario sulla riva uzbeka renderebbe complicato questo genere di attività.

L’intervento kazako, finanziato dalla Banca Mondiale, si è concentrato sul Piccolo Aral e ha comunque raggiunto dei risultati notevoli. È stata costruita una diga per isolare il lago a nord dalla parte sud e ricongiunto al lago l’antico affluente Syr Darya, seppure con afflusso ridotto.

Grazie a ciò

Dal 2003 al 2008 la superficie del Piccolo Aral è passata da 2.550 km² a 3.300 km². Nello stesso periodo la profondità è passata da 30 a 42 metri. In alcuni villaggi è ripresa l’attività di pesca dopo che alcune specie di pesci erano state reintrodotte proprio per tentare di rendere la pesca nuovamente praticabile. Nel 2011, secondo le dichiarazione del presidente kazako Nursultan Nazarbayev, la quantità di pescato del Piccolo Aral è arrivata a 6000 tonnellate. Secondo gli imprenditori locali, il pescato del 2011 ammonterebbe addirittura a 18.000 tonnellate. Le acque del lago, inoltre, sono risultate abbastanza pulite da essere potabili e la salinità è tornata ai livelli simili a quelli pre-1960.

Tutto questo dimostra che, una volta fatto il danno, non tutto è perduto e che politiche e investimenti mirati possono ripristinare, almeno in parte, la situazione originaria. Tuttavia l’ambiente è transnazionale e spesso una delle cose più difficili da ottenere è il consenso di tutti i paesi interessati.

Il Kazakistan, che ha nel proprio territorio il Piccolo Aral, ha aderito al programma di salvataggio, ma l’Uzbekistan, nel cui territorio giace quanto rimane del Grande Aral, no.

Le autorità dell’Uzbekistan ritengono che ormai la situazione sia talmente compromessa che l’unica soluzione sia quella di investire nel rinverdimento del deserto lasciato dal lago evaporato invece di provvedere ad un suo eventuale nuovo riempimento. Stanno avendo un discreto successo delle opere di rimboschimento di Haloxylon ammodendron, un arbusto noto anche con il nome di “albero del sale”, in grado di vivere in ambienti aridi e dalla salinità elevata. Secondo un piano curato da autorità tedesche, uzbeke e kazake, nel giro di 10 anni circa 300.000 ettari saranno rimboschiti con questo tipo di vegetazione. L’obiettivo è quello di ridurre del 60%-70% la velocità del vento al suolo durante le frequenti tempeste di sabbia in modo da ridurre sensibilmente la quantità di polveri che i venti portano nei dintorni.

Così abbiamo due strategie praticamente opposte che tendono entrambe alla riduzione del danno, ma in modi diversi. Entrambe sono maledettamente costose.

Adesso ci potrebbero stare tonnellate di commenti moralisti del tutto inutili, perciò mi asterrò dal farli. Solo in parte l’uomo è in grado di imparare dai propri errori. Più spesso la memoria è soverchiata da considerazioni contingenti o che appaiono tali.

L’unico aspetto positivo di questa storia è che, proprio in tempi recenti, sul fondo prosciugato del lago sembra siano riapparsi i resti, risalenti al XIII-XIV secolo, di un’antica città.

Qualche altra immagine della zona del disastro (click per ingrandire).

MiniMoog Sofa

UPDATE: questo articolo non esiste più (e in ogni caso costava + di €1000), però era carino

Visto che pochi giorni fa parlavamo dell’anniversario di Robert Moog, beccatevi questo grazioso MiniMoog Sofa, in pieno stile anni ’70, prodotto dalla spagnola Woouf (sul sito cliccate Collection). Ci sono anche parecchi distributori italiani elencati in home page.

Bob Dylan is 71

Tre giorni fa, il 24, Dylan ha compiuto 71 anni. (NB: il post è del 2012)

Che da quando lo ascoltavo da giovane, le cose siano cambiate non c’è dubbio. Nel 1965 “The Times they are a-changin” veniva urlata per la strada, mentre, nel video qui sotto, del Febbraio 2010, Dylan la canta alla Casa Bianca. Quest’anno Obama gli consegnerà la Presidential Medals of Freedom, la più alta onorificenza civile della nazione. Come aveva predetto John Cage, “tutto quello che facciamo, prima o poi finirà per diventare melodico”.

Nel frattempo, in una lunga intervista a 60 Minutes, Bob Dylan ha detto qualcosa che può essere interpretato come una ammissione di aver venduto l’anima al diavolo. Ancora più sorprendentemente, un sacco di gente gli ha creduto. È incredibile come la gente sia pronta a credere a uno che in un film dichiarava di chiamarsi Alias (il film è Pat Garrett & Billy the Kid).

Forse è meglio ascoltare questa stessa canzone nella versione originale, sotto la scena di apertura di Watchmen, in quest’altro video con la storia virata nel grottesco di una realtà alternativa.

Comunque mi piace sempre Dylan. Mi sembra un sopravvissuto, uno dei più onesti di tutta la scena pop. Il che è tutto dire.

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Supersilent + Joshua Light Show

Supersilent è una band norvegese con cui ho avuto il piacere di condividere un concerto al Göteborg Art Sound festival il 12 Maggio. Qui con Stian Westerhus alla chitarra.

Il Joshua Light Show è un team di artisti e tecnici che esiste da più di 40 anni e differenziandosi dai tanti VJ con laptop, porta avanti uno stile legato alle visioni psichedeliche dei roaring sixties, generate da proiezioni di pura luce e trasparenze imbevute di coloranti ad olio, proprio come tanti anni fa.

Eccoli insieme.

Synapse

SynapseLa storica rivista di musica elettronica Synapse, ormai defunta, consultabile e scaricabile online.

Thanks to the this page for info.

Joyce 130 anni

130 anni dalla nascita di James Joyce.

Un’intervista con Carmelo Bene in cui legge Joyce mi sembra appropriata.

L’audio è un po’ basso. Quello che segue, da You Tube, è circa una metà del programma Una sera, un libro da cui è tratta l’intervista. A questo indirizzo, sul sito RAI, trovate l’intero programma (però dovete installare il plugin Microsoft Silverlight; se non va su Firefox, usate Google Chrome).

A proposito, vorrei sapere perché la RAI, che è servizio pubblico, usa dei codec proprietari.

Mooges

Questo interessantissimo sistema permette di collegare dei suoni di sintesi alle diverse sonorità generate interagendo in vari modi con una superficie, riprendendole con un microfono a contatto.

Il tutto ideato da Bruno Zamborlin, ricercatore italiano presso l’IRCAM e i Goldsmiths Digital Studios dell’Università di Londra.

Maggiori particolari qui.

Passing Cloud

Perché viaggiare ad alta velocità? Perché avere sempre una destinazione definita?

L’architetto Tiago Barros ha ideato Passing Cloud, una pseudo-nuvola, composta da diversi palloni aerostatici di forma circolare, in grado di fluttuare su un territorio guidata dal vento.

Le immagini del progetto sono molto poetiche. Solo due appunti:

  1. gli omini accennati nella prima immagine, sulle sfere sopra le nuvole, sono quantomeno improbabili: sopra le nuvole la temperatura è alquanto bassa e i venti molto forti;
  2. ovviamente il sistema deve prevedere un qualche tipo di motore, se non altro per scendere e per evitare i tornado.

Altre immagini sul sito.

Douglas Trumbull

Douglas TrumbullDouglas Trumbull è uno dei più prestigiosi creatori di effetti speciali per il cinema. Ha partecipato a film come 2001 Odissea nello Spazio, Blade Runner, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Star Trek. Il suo team ha costruito i modellini delle astronavi che ruotano a tempo di valzer e il panorama apocalittico della città di Blade Runner.

Il suo nuovo sito svela come sono stati realizzati molti di questi effetti. Per ora, la maggior parte dei contenuti è relativa a Blade Runner, ma altri saranno aggiunti prossimamente (gira voce che stia preparando il documentario definitivo sul making of 2001). Andate nella pagina dei video.

Weightless

Secondo studi non ben identificati (sembrano essere della British Academy of Sound Therapy) Weightless, della band Marconi Union. sarebbe il brano più rilassante mai realizzato, in grado di ridurre l’ansia e i battiti cardiaci.

All’ascolto è un incrocio fra il primo Eno e i Pink Floyd vecchio stile. Sembra comunque che la band di Manchester abbia lavorato con dei terapisti per produrlo. I particolari in questo articolo del Daily Mail.

Intanto ascoltatelo (ma vi consiglio di procurarvelo in originale, piuttosto che basarvi sull’audio compresso di YouTube in versione da 10 ore)

Il Popolo Migratore

Questa notte hanno dato su RAI1 Il Popolo Migratore, un bel documentario naturalistico che conoscevo da tempo (realizzato da jacques Perrin nel 2001) che racconta le migrazioni stagionali degli uccelli senza pomposità o atteggiamenti infantili, con affascinanti riprese aeree.

Lo sto guardando proprio adesso. La sua diffusione in orari più consoni potrebbe forse convincere qualcuno a non prenderli a fucilate quando passano. Ne trovate qualche stralcio su You Tube, ma la visione in HD su grande schermo è insostituibile.

Un estratto

…amaris et dulcibus aquis…

Tristan Murail – …amaris et dulcibus aquis… (2004), per coro misto e suoni di sintesi.

Nella prima versione di questo brano erano utilizzati due sintetizzatori DX7 Yamaha che producevano suoni in modulazione di frequenza con componenti microtonali. In questa definitiva stesura sono stati sostituiti da suoni prodotti via computer e memorizzati su hard disk, che vengono fatti partire da un esecutore via tastiera MIDI.

Note di programma dell’autore

This piece was written for a project initiated by the Internationales Forum Chor Musik, which consisted of commissioning choral works by various European composers on the theme of “pilgrimage to Compostela”. This theme does not necessarily imply a religious dimension, but can be considered as being the symbol of a gathering of different peoples – in particular at the time of European unity. The sung texts are excerpts from the Pilgrims Guide to Santiago de Compostela, an anonymous work from the 12th century that describes the famous Way of Saint James and the stopping points that line the various routes.
It is a sort of Michelin Guide from the Middle Ages, where practical information is placed side by side with religious legends, pious advice and descriptions that are picturesque, but often brimming with prejudice toward the peoples encountered along the route.
Four routes cut across France – traces can still be found today. After crossing the Pyrenees, they come together and form a single route that takes the name of the Camino Francés (the French Way).
Parable of a lifelong quest, the Way of St. James is marvellous and perilous: a person encounters hospitality as well as bandits. The water of certain rivers is good to drink – that of others poisonous: sweet and bitter waters…
The text is sung in the original Latin (the Latin of the Middle Ages that is a bit different from classical Latin). It describes the four routes in France and the Camino Francés in northern Spain, lists the cities that are passed through and warns about perils met on the way.
The choral writing is voluntarily rather simple, because the project consisted of writing for amateurs or semi-professionals. Written for eight mixed voices, the choir is enhanced by two synthesizers that reinforce and complement the harmonies, giving them a microtonal colour.

Qui si può scaricare un pdf con alcune note di esecuzione e 4 pagine della partitura

Riverrun

Barry Truax – Riverrun (1986), musica acusmatica di sintesi in 4 canali.

Recentemente Truax ha prodotto una revisione del brano spazializzato su 8 canali. Qui possiamo ascoltare soltanto l’edizione mixata in stereo disponibile in CD sul sito dell’autore.

Riverrun è realizzato completamente in sintesi granulare, un sistema in cui il suono, anche se sembra continuo, è composto da piccoli grani sonori la cui durata può andare da un centesimo a circa un decimo di secondo. Quando la durata dei grani è lunga (> 50 msec) è più facile distinguerli e quindi si percepisce la natura granulare del suono. Con durate comprese fra i 10 e i 30 msec (da 1 a 3 centesimi di secondo) e con grani parzialmente sovrapposti, invece, la granularità non è percepibile e si ottengono suoni continui.

La sonorità dell’insieme dipende sia dal suono dei singoli grani che dalla loro distribuzione in frequenza. La manipolazione di questi due parametri, oltre alla durata e alla densità, permette di ottenere un vasto spettro sonoro in evoluzione.

L’idea della sintesi granulare risale a Xenakis ed è stata implementata su computer da Curtis Roads nel 1978. Qui alcune note tecniche di Barry Truax.

Qui, le note dell’autore su Riverrun.

I Metallica calmano le scimmie

Per l’esattezza si tratta dei tamarini, scimmiette dalla lunga criniera bianca che vivono nelle Americhe Centrale e Meridionale.

BEIJING, Sept. 2 (Xinhuanet) — Monkeys prefer heavy metal to classical music, according to researchers at the University of Wisconsin whose findings are published this week in Biology Letters.

Scientists played a selection of music to a group of cotton-top tamarin monkeys but the only tunes that got a reaction were from the heavy metal band Metallica. They were seemingly disinterested in Led Zeppelin, Miles Davis and Bach, but after the dulcet tones of Master of Puppets by Metallica was played the tamarins calmed down.

“Monkeys interpret rising and falling tones differently than humans. Oddly, their only response to several samples of human music was a calming response to the heavy-metal band Metallica,” said Professor Charles Snowdon, from the University of Wisconsin-Madison.

Rather than making them agitated or aggressive, the heavy metal tracks had a soothing effect.

Fonte: Biology Letters

Sidney’s Siberia

Fra le molte meraviglie del sito Secret Technology di Jason Nelson spicca questa Sidney’s Siberia.

Un’immagine che contiene una breve poesia e un quadrato, mosso dal mouse, per ingrandirne una parte. Quest’azione rivela che l’immagine di partenza è composta da molte piccole immagini, una modalità già ben nota nel web (esistono dei software per farlo).

Ma presto ci si accorge che ogni piccola immagine, ingrandita, contiene un’altra breve poesia e che il procedimento può continuare all’infinito…

Cliccare le immagini per ingrandire.

Golden Record

La sonda Voyager 1 è stata lanciata il 5 Settembre 1977. Dopo aver sfiorato Giove e Saturno, il Voyager 1 si è lanciato verso i confini del sistema solare, destinato a perdersi nello spazio.

Attualmente è l’oggetto più lontano mai costruito dall’uomo. Si trova a circa 17 miliardi e 900 milioni di chilometri dalla Terra e si allontana alla velocità di 17.056 km/sec. Sembrerebbe aver oltrepassato l’eliopausa (il limite a cui arriva il vento solare) nel 2010, ma sono in corso ulteriori analisi per averne la certezza. Al di là di questo limite c’è solo lo spazio interstellare, pur rimanendo sempre all’interno della nostra galassia. In questa pagina trovate la distanza del Voyager 1 e della sua gemella Voyager 2, costantemente aggiornata.

Non tutti sanno che, nella remota possibilità che il Voyager 1 venga intercettato da una civiltà extraterrestre, è stato sistemato a bordo un disco in oro (la cosiddetta Golden Record) che contiene immagini, suoni e musica della Terra, oltre a messaggi in tutte le lingue e saluti del presidente degli USA Jimmy Carter e del segretario generale dell’ONU Kurt Waldheim, insieme alle istruzioni per accedervi. I contenuti sono stati selezionati da una commissione presieduta da Carl Sagan.

Per essere americani, (ma francamente non so chi erano i componenti la commissione, oltre a Sagan), la selezione è incredibilmente cosmopolita. L’americanismo viene fuori solo nel rock, dove spicca l’assenza (almeno) dei Beatles che negli anni ’70 erano già qualcosa… Naturalmente, per quanto riguarda la musica contemporanea, al massimo si arriva a Stravinsky.

La lista dei contenuti musicali è la seguente:

  • Bach, Brandenburg Concerto No. 2 in F. First Movement, Munich Bach Orchestra, Karl Richter, conductor. 4:40
  • Java, court gamelan, “Kinds of Flowers,” recorded by Robert Brown. 4:43
  • Senegal, percussion, recorded by Charles Duvelle. 2:08
  • Zaire, Pygmy girls’ initiation song, recorded by Colin Turnbull. 0:56
  • Australia, Aborigine songs, “Morning Star” and “Devil Bird,” recorded by Sandra LeBrun Holmes. 1:26
  • Mexico, “El Cascabel,” performed by Lorenzo Barcelata and the Mariachi México. 3:14
  • “Johnny B. Goode,” written and performed by Chuck Berry. 2:38
  • New Guinea, men’s house song, recorded by Robert MacLennan. 1:20
  • Japan, shakuhachi, “Tsuru No Sugomori” (“Crane’s Nest,”) performed by Goro Yamaguchi. 4:51
  • Bach, “Gavotte en rondeaux” from the Partita No. 3 in E major for Violin, performed by Arthur Grumiaux. 2:55
  • Mozart, The Magic Flute, Queen of the Night aria, no. 14. Edda Moser, soprano. Bavarian State Opera,
  • Munich, Wolfgang Sawallisch, conductor. 2:55
  • Georgian S.S.R., chorus, “Tchakrulo,” collected by Radio Moscow. 2:18
  • Peru, panpipes and drum, collected by Casa de la Cultura, Lima. 0:52
  • “Melancholy Blues,” performed by Louis Armstrong and his Hot Seven. 3:05
  • Azerbaijan S.S.R., bagpipes, recorded by Radio Moscow. 2:30
  • Stravinsky, Rite of Spring, Sacrificial Dance, Columbia Symphony Orchestra, Igor Stravinsky, conductor. 4:35
  • Bach, The Well-Tempered Clavier, Book 2, Prelude and Fugue in C, No.1. Glenn Gould, piano. 4:48
  • Beethoven, Fifth Symphony, First Movement, the Philharmonia Orchestra, Otto Klemperer, conductor. 7:20
  • Bulgaria, “Izlel je Delyo Hagdutin,” sung by Valya Balkanska. 4:59
  • Navajo Indians, Night Chant, recorded by Willard Rhodes. 0:57
  • Holborne, Paueans, Galliards, Almains and Other Short Aeirs, “The Fairie Round,” performed by David
  • Munrow and the Early Music Consort of London. 1:17
  • Solomon Islands, panpipes, collected by the Solomon Islands Broadcasting Service. 1:12
  • Peru, wedding song, recorded by John Cohen. 0:38
  • China, ch’in, “Flowing Streams,” performed by Kuan P’ing-hu. 7:37
  • India, raga, “Jaat Kahan Ho,” sung by Surshri Kesar Bai Kerkar. 3:30
  • “Dark Was the Night,” written and performed by Blind Willie Johnson. 3:15
  • Beethoven, String Quartet No. 13 in B flat, Opus 130, Cavatina, performed by Budapest String Quartet. 6:37


Golden RecordSe poi volete anche ascoltare le registrazioni, andate qui, poi cliccate la sonda che appare al centro e infine il disco dorato. Apparirà un’immagine come quella a destra.

Cliccate il cerchio a sinistra in altro e una applicazione vi permetterà di accedere alle registrazioni.

La maledizione del 39

Da ieri in Afghanistan circa 2000 leader di comunità locali, generalmente rappresentanti anziani delle tribù ma anche capi religiosi e militari, sono riuniti a Kabul nella tradizionale Loya Jirga, l’assemblea consultiva in cui si discute delle questioni importanti per il Paese.

Quest’anno sono due i temi principali su cui il presidente afghano, Hamid Karzai, ha incentrato i quattro giorni di lavori:

  1. I futuri rapporti da stabilire con gli Stati Uniti a partire dal 2014, ovvero dal momento in cui verrà completato il ritiro ritiro delle truppe Nato
  2. Come proseguire nei negoziati con i talebani dopo il fallimento dei colloqui di pace.

Ebbene, i 2000 delegati sono stati suddivisi il 40 comitati, ma i membri del comitato numero 39 si sono rifiutati di riconoscere questa assegnazione per via di una credenza popolare molto diffusa secondo cui il 39 sarebbe un numero maledetto.

La superstizione arriva al punto che gli automobilisti rifiutano le targhe quando hanno un numero 39, e sono disposti anche a pagare una mazzetta per ottenerne un’altra. Lo stesso accade per i numeri di telefono dei cellulari.

È interessante ricordare che, per chiamare l’Italia dall’Afghanistan, come da ogni altro stato, si fa +39… Immagino l’atteggiamento dei funzionari pubblici e privati quando viene loro ordinato di contattare qualcuno in Italia.

Per la cronaca, nella Loya Jirga l’impasse è stata superata soltanto saltando il numero maledetto e assegnando a quel comitato il numero 41. Così l’assemblea  è stata suddivisa in 40 comitati numerati da 1 a 41.

Trattandosi di folklore, queste notizie passano in secondo piano. Qui le fonti sono: BBC News, il Journal, Ticino News. Ma, secondo me, queste cose sono indicative delle difficoltà di trattare con altri paesi, difficoltà che derivano dalle differenze culturali.

Restando sempre in Afghanistan, sentite questa.

Un anno fa, si era deciso di intavolare delle trattative di pace con i Talebani. Il punto è che i Talebani non hanno un governo e sono clandestini, perciò non possono mandare un ambasciatore con tanto di credenziali unanimemente riconosciute e verificabili. Ne consegue che, dopo aver investito nei colloqui di pace per mesi credendo di essere riusciti a parlare con uno dei più alti comandanti dei talebani, tale Mullah Akhtar Muhammad Mansour considerato il numero due della gerarchia talebana, secondo solo al Mullah Omar, si è scoperto che la persona con cui si negoziava non era Mansour, ma un impostore, un semplice negoziante pakistano, anche se molti sospettano sia stato inviato dai servizi segreti di quel paese.

Un diplomatico occidentale ha candidamente dichiarato: “Non è lui, e gli abbiamo dato un sacco di soldi”. E un ufficiale americano a Kabul ha ribadito: “D’altra parte, anche se incontrassimo il Mullah Omar in persona travestito da commerciante, sono sicuro che i nostri maghi dell’intelligence non se ne accorgerebbero”.

Fonte: Washington Post.

Beyond The Valley Of A Day In The Life

Nel lontano 1977 i Residents fecero uscire un singolo dal titolo The Beatles Play The Residents and The Residents Play The Beatles.

La facciata A consisteva di un collage di pezzetti tratti unicamente da brani dei Beatles, più uno da un pezzo di Lennon come solista. Il tutto realizzato non con sistemi digitali che allora non esistevano se non nei centri di ricerca, ma tramite loop analogici, cioè pezzi di nastro chiusi ad anello.

Un elenco non ufficiale dei brani saccheggiati è il seguente, ma potrebbero essercene anche altri:

  • A Day in the Life
  • The End
  • Tell Me What You See
  • God (by John Lennon)
  • The Beatles’ Third Christmas Record
  • Her Majesty
  • Tell Me Why
  • Blue Jay Way
  • I Am The Walrus
  • Another Girl
  • All My Loving
  • Yellow Submarine
  • No Reply
  • I’m A Loser
  • Mr. Moonlight
  • Love You To
  • She Loves you
  • Hey Bulldog
  • Bad Boy

Si trattava del primo esempio di quelle tecniche di composizione tramite campionamento che diventeranno popolari con l’avvento del software di acquisizione e montaggio audio. Ecco il brano tratto da You Tube. Naturalmente il video non c’entra.

Steel Cathedrals (repost)

Visto che sembra essere scomparso dal luogo dove lo avevo linkato, ri-posto Steel Cathedrals, un breve film del 1985 di David Sylvian e Yasayuki Yamaguchi (e la voce di Jean Cocteau).

Le scene sono state girate in due giorni del Novembre 1984 vagando per zona industriale di Tokyo. La musica è stata aggiunta da Sylvian con l’apporto di altri musicisti. La formazione:
David Sylvian : keyboards, tapes, digital percussion
Steve Jansen : percussion
Ryuichi Sakamoto : piano, strings
Kenny Wheeler : flugelhorn
Robert Fripp : guitar, frippertronics
Holger Czukay : dictaphone
Masami Tsuchiya : guitar ‘abstruct’

Il video venne pubblicato su VHS in edizione limitata a 2000 copie e poi ristampato nel 1989. Anche la musica uscì dapprima solo su cassetta in un numero limitato di copie nel 1985, per approdare poco tempo dopo al CD, con qualche traccia in più.

Su You Tube lo si trova diviso in due parti.

Kapsis

Kapsis è frutto di una collaborazione fra Edgar Barroso, giovane compositore messicano e Yen-Ting Cho, designer di Taiwan.

Kapsis is a piece for flute, electro-acoustic music, and video art. It portrays the mesmerizing Nahua myth of a young girl who becomes a starfish. The animation will be part of a contemporary opera, which is a collaboration between composer Edgar Barroso, designer Yen-Ting Cho, and filmmaker Aryo Danusiri.

L’autore consiglia di ascoltare con cuffie.

Un nuovo Monopoli

Questo enorme tabellone di un monopoli in versione crisi è apparso fra le tende degli attivisti di Occupy Wall Street.

Si dice che a crearlo sia stato il famoso artista di strada Bansky. Altre e più grandi immagini qui.

Dujardin

Filip DujardinFilip Dujardin è un fotografo belga che si occupa di architettura e che, oltre a fotografare edifici reali, compone immagini di edifici immaginari assemblando frammenti architettonici.

Ne risultano delle architetture che, pur con evidenti anomalie, risultano perlomeno verosimili.

Vibroy

La compagnia coreana Xenics ha prodotto un simpatico ordigno, chiamato Vibroy, che serve a trasmettere un’onda sonora a un qualsiasi oggetto utilizzabile come cassa armonica, con il risultato di rendere l’onda udibile. È lo stesso principio per cui il diapason diventa udibile quando lo si posa sulla cassa del pianoforte o della chitarra.

In pratica, Vibroy si collega, via minijack, a un player (per es. un lettore di MP3). Poi si posa il mini-speaker che sta all’altro capo del filo su un oggetto qualsiasi. In questo modo Vibroy trasmette la vibrazione all’oggetto con cui è in contatto che diventa un altoparlante.

Naturalmente la qualità dell’audio è fortemente influenzata dalla natura dell’oggetto usato come speaker e dalla sua capacità di vibrare. I vari materiali, infatti, si comportano diversamente: un bicchiere di vetro, per esempio, riprodurrà solo le frequenze alte, mentre un oggetto di legno avrà uno spettro più vasto.

Ecco qualche demo.

Ora, visto che in giro se parla come una genialata, vediamo di chiarire…

Punto primo, con un mini-speaker del genere come sorgente, questo coso avrà, in partenza, un range di frequenze molto limitato. A occhio, non va sotto i 200/300 Hz e non va sopra i 10000: i bassi e gli acuti vanno persi.

Secondo, la risposta in frequenza di un oggetto qualsiasi è ben lontano dall’essere anche vagamente piatta. Di conseguenza quello che si sente ha poco a che fare con quello che i musicisti hanno cercato di realizzare. Tuttavia, è molto divertente e anche istruttivo sentire la risposta in frequenza dei vari oggetti.

Infine, non è l’unico sistema del genere. Su YouTube se ne vedono altri, praticamente uguali. Un significativo passo avanti verso il lo-fi generalizzato.

Microworlds

La microfotografia (o nanofotografia) ha la capacità di svelare paesaggi inaspettati e misteriosi, tali da poterci costruire sopra delle storie, come fa Alan Jaras.

Guardatevi questa serie, denominata MicroWorld, partendo dalla prima immagine.

Time stretch (on Gesualdo)

Nonostante il nome, Bruno Mantovani è un giovane compositore francese (nato nel ’74). Qui vi propongo Time stretch (on Gesualdo), una composizione per orchestra del 2006.

Nota del compositore:

Time stretch (on Gesualdo) ha come punto di partenza uno dei madrigali del 5° libro del compositore italiano, “S’io non miro non moro”.
Ho estratto da questo breve brano per 5 voci un quadro armonico di 130 accordi che ho rielaborato eliminando tutti gli elementi non significativi per l’ascolto (principalmente ottave) e poi ho “stirato” questa griglia sulla durata totale del pezzo per creare un percorso armonico a partire dal quale ho composto.
Se le tensioni dovute al linguaggio cromatico di Gesualdo sono percettibili in questo brano, non si tratta assolutamente di un “pastiche”, di una citazione, ma di un’opera originale dove il riferimento è presente solo in secondo piano.
Indipendentemente dalla struttura armonica, Time stretch rimanda e delle problematiche drammaturgiche sempre presenti in me: la ricerca di una energia costante, i contrasti radicali, le transizioni continue fra episodi conflittuali, ma il discorso è unificato dall’onnipresenza della periodicità ritmica, delle pulsazioni che creano un senso di ordine all’interno di una musica rapsodica.

 

Procrastinazione strutturata

Se cercate “procrastinazione” su Google, troverete una sfilza di siti che insegnano ad evitarla dipingendola come una pessima abitudine.

Tutto ciò mi ha sempre provocato una certa quantità di sensi di colpa, perché io ho sempre tirato tardi. Sono uno di quelli che invia il 31 il modulo che scade il 31 (fa fede il timbro postale), che finisce alla notte il pezzo da presentare al concerto del giorno dopo (ecco perché non scrivo volentieri musica strumentale), che prepara la notte prima la lezione per il giorno seguente.

Ho sempre pensato, però, di aver bisogno di procrastinare. Non posso semplicemente fare una cosa. Devo aspettare che, dentro di me, scatti qualcosa. Devo aver esaminato ogni aspetto di quello che devo fare e io penso alle cose complesse mentre faccio cose semplici, tipo fare solitari al computer, passeggiare con il cane, guardare fuori dalla finestra…

Finalmente ho trovato qualcuno che mi sostiene e teorizza la procrastinazione strutturata e ci ha vinto un Ig-Nobel. Leggete qui. Questo è il primo paragrafo.

I have been intending to write this essay for months. Why am I finally doing it? Because I finally found some uncommitted time? Wrong. I have papers to grade, textbook orders to fill out, an NSF proposal to referee, dissertation drafts to read. I am working on this essay as a way of not doing all of those things. This is the essence of what I call structured procrastination, an amazing strategy I have discovered that converts procrastinators into effective human beings, respected and admired for all that they can accomplish and the good use they make of time. All procrastinators put off things they have to do. Structured procrastination is the art of making this bad trait work for you. The key idea is that procrastinating does not mean doing absolutely nothing. Procrastinators seldom do absolutely nothing; they do marginally useful things, like gardening or sharpening pencils or making a diagram of how they will reorganize their files when they get around to it. Why does the procrastinator do these things? Because they are a way of not doing something more important. If all the procrastinator had left to do was to sharpen some pencils, no force on earth could get him do it. However, the procrastinator can be motivated to do difficult, timely and important tasks, as long as these tasks are a way of not doing something more important.

[da J. Perry, Structured procrastination]

NB: John Perry is a professor of philosophy at Stanford University.

Musical typewriter

Questo oggetto è una rara macchina da scrivere musicale prodotta da Keaton, S. Francisco, California. Brevettata in una prima versione a 14 tasti nel 1936 e allargata a 33 tasti nel 1956, era sul mercato negli anni ’50, in vendita a $225.

Oggi ne restano circa una dozzina. Quella in figura vale circa $6000.

CubeStormer II

Questo robot risolve il cubo di Rubik in 5.35 secondi. È l’attuale record mondiale. Può sembrare un giochino, ma non lo è.

CubeStormer II solves the Rubik’s Cube puzzle faster than the human world record.

This ARM Powered robot was designed, built and programmed by Mike Dobson and David Gilday, creators respectively of CubeStormer http://youtu.be/eaRcWB3jwMo and Android Speedcuber http://youtu.be/ylFb4pqAUd8.

The mechanics are constructed entirely from LEGO, including four MINDSTORMS NXT kits, with the addition of a Samsung Galaxy S II smartphone running a custom Android app as the robot’s brain. Both the MINDSTORMS NXT kits and the Samsung Galaxy SII use a variety of ARM –based processors.

The app uses the phone’s camera to capture images of each face of the Rubik’s Cube which it processes to determine the scrambled colours. The solution is found using an advanced two-phase algorithm, originally developed for Speedcuber, enhanced to be multi-threaded to make effective use of the smartphone’s dual-core ARM Cortex-A9 1.2GHz processor. The software finds an efficient solution to the puzzle which is optimised specifically for the capabilities of the four-grip mechanism. The app communicates via Bluetooth with software running on the ARM microprocessors in the LEGO NXT Intelligent Bricks which controls the motors driving the robot. During the physical solve, the app uses OpenGL ES on the phone’s ARM Mali-400 MP GPU to display a graphical version of the cube being solved in real time.

Human speedcubers’ solve times only include the physical manipulation of the cube and don’t include some time which is allowed to “inspect” the cube beforehand. Times recorded by CubeStormer II are for the total solve including: image capture, software solution calculation and physical solve.

Want to see it in action?? Check it out at ARM TechCon 2011 in Santa Clara, California Oct 26-27th http://www.armtechcon.com.

Campi armonici

Pierre Sauvageot distribuisce un migliaio di strumenti eolici su una grande superficie. La fruizione avviene muovendosi all’interno del sito. Si può passare, così, da un’area lunga quasi 400 metri in cui sono sparse più di 300 campane balinesi a uno slalom fra canne di bamboo forate e intonate, per poi finire in uno spazio cosparso di glockenspiel pentatonici azionati da turbine.

Il tutto mosso solo dal vento. Il video si riferisce all’installazione del 2010 a Martigues, nei pressi di Marsiglia.

Accidenti, è morto anche Dennis Ritchie

ken_n_dennisPochi giorni dopo Jobs, muore anche Dennis Ritchie (qui con Ken Thompson; Ritchie è a destra).

Probabilmente pochi sanno chi era, infatti non ne hanno parlato in molti. Eppure Ritchie ha inciso sul mondo dell’informatica ben più di Jobs perché, alla fine degli anni ’60, ha sviluppato il sistema operativo Unix che oggi è alla base di Linux, Mac Os-X, iOS (il sistema operativo di iPhone e iPad), Android e di molti altri derivati.

La chiave del successo di Unix sta nel suo livello di astrazione. Prima di Unix, il programmatore doveva comportarsi diversamente con ogni computer e con ogni dispositivo (hard disk, stampanti, monitor, tastiera, schede varie). In pratica, stampare con una stampante IBM richiedeva comandi diversi da quelli di una stampante HP e anche cambiare scheda grafica significava mettere mano ai programmi. In Unix, invece, tutti i dispositivi sono visti nello stesso modo, ovvero come un file. Di conseguenza il programmatore può trattarli tutti con le stesse modalità. Spetta, poi, ai device driver interpretare i comandi del programma a basso livello, in modo da far funzionare correttamente quel particolare dispositivo.

Il fatto che anche macchine neonate prendano vita grazie a un SO creato 50 anni fa testimonia la validità e l’eleganza di Unix che ha attraversato i decenni senza invecchiare.

In seguito, insieme a Brian Kernighan e Ken Thompson, ha marcato un’altra tappa fondamentale dell’informatica creando il linguaggio di programmazione C, uno dei linguaggi più utilizzati al mondo, con cui sono state sviluppate migliaia di applicazioni di tutti i tipi e parti di vari sistemi operativi (fra gli altri, anche i sistemi Windows da NT a 7, sono in gran parte scritti in C).

Kernighan e Ritchie hanno anche scritto lo storico manuale “The C Programming Language“, su cui si sono formate generazioni di programmatori (anche il sottoscritto), tanto da essere universalmente noto semplicemente come il K&R.

Insieme al suo collega Ken Thompson, ha ricevuto il Turing Award nel 1983, la IEEE Richard W. Hamming Medal nel ’90, la National Medal of Technology nel 1999 e il Japan Prize for Information and Communications proprio quest’anno.

Eppure nessuno è andato in TV a dire che Ritchie era un genio e lui stesso avrebbe rifiutato questo appellativo. Di carattere riservato e schivo, rifuggiva le platee, preferendo rimanere nella sua cerchia di hacker (nel senso originale del termine). Però, se Ritchie fosse l’inventore del motore a scoppio e qualcun altro ci avesse costruito intorno l’automobile, Jobs sarebbe al massimo l’inventore della vernice metallizzata.

Stay Hungry, Stay Foolish

Sono rimasto un po’ colpito dalle reazioni al luttuoso evento, sia quelle dei media che della gente comune. Ho sentito una grande quantità di inesattezze, come è tipico dei media. In certe trasmissioni sembrava che Jobs avesse inventato l’interfaccia a mouse, finestre e icone, che invece era stata adottata grazie ad un accordo con Xerox che l’aveva realizzata per prima. In altre, sembrava quasi che fosse l’inventore di internet.

Alcuni articoli, come quello di Wired Italia, dipingono Jobs come un immenso genio dell’informatica. La BBC ha voluto scendere ancora più in profondità sottoponendo il cervello di Alex Brooks, un fan infatuato di Apple, a vari test neurologici nel corso del documentario Secrets of the Superbrands per verificare le sue reazioni di fronte ad alcuni dispositivi della casa di Cupertino. La sorpresa, almeno per i neuroscienziati, è stata quella di rintracciare reazioni neurali analoghe a quelle dell’esperienza mistica o risposte simili a quelle che i fedeli di una religione provano nel vedere oggetti sacri (“Simply viewing Apple kit provokes religious euphoria” in The Register).

Ora, Jobs non era un genio dell’informatica. All’inizio di tutto, quando con Steve Wozniak e Ronald Wayne si apprestava a fondare la Apple, veniva anche preso un po’ in giro per non essere un hacker. Il genio tecnico era Wozniak. Fu lui a progettare l’Apple I e a distribuirne liberamente il progetto nel più puro spirito hacker.

Jobs, semmai, era un genio del marketing. Lo aveva dimostrato da subito, quando Woz, in base al progetto di John Draper (aka Captain Crunch), aveva costruito una blue box, una macchinetta che permetteva di fare chiamate telefoniche gratuite dalle cabine, inviando alla centrale il segnale che informava che l’utente aveva inserito una moneta, Jobs era riuscito venderne un bel po’ ai propri compagni di scuola e ai loro amici. È sintomatico il fatto che, grazie alla blue box, Jobs aveva rivelato le proprie qualità, mentre Draper era finito in galera.

Il genio di Jobs consisteva nell’ideare delle modalità semplici e intuitive per rapportarsi con la tecnologia, un’interfaccia utente che fosse comprensibile anche per la gente comune. E riusciva a farlo proprio per il fatto di non essere un hacker. Un hacker non ha bisogno di queste facilities, non ci pensa nemmeno. Invece Jobs ci pensava e aveva il coraggio di chiederle e scommettere sul fatto che avrebbero avuto successo nonostante i costi che comportavano. Apple, infatti, ha sempre realizzato prodotti di nicchia, estremamente costosi rispetto alla concorrenza, ma anche estremamente belli e facili anche a costo di limitarne le funzionalità.

L’unico tasto del mouse Apple, per esempio, è una demenza. Quando lavoro con il Mac del Conservatorio, lo stacco e collego un mouse normale, a due tasti perché con il secondo esce il menu contestuale anche sul Mac, lo stesso che, con il mouse originale, esce facendo Ctrl-click, con due mani.
Ricordo, per esempio, una pubblicità del Mac che diceva “Apple ha insegnato l’uomo a Macintosh: l’uomo ha 10 dita, ma ne usa uno solo…”.
La cosa interessante è che questo mouse, che mi limita, costa € 50, con il filo o € 65 nella versione wireless.

Ecco, un’altra qualità di Jobs era quella di convincere la gente di aver bisogno di cose di cui non ha veramente bisogno e di imporre queste caratteristiche come delle pietre miliari che poi tutti vanno a copiare. Marketing. Certo, alcune di queste lo sono davvero. I prodotti Apple sono innegabilmente più belli (esteticamente) e facili rispetto alla concorrenza.

Ma la Apple è anche una corporation ed è una delle corporation più chiuse e simili ad una chiesa che esistano. Non si possono fabbricare cloni del Mac. Nonostante il reverse engineering sia comunemente accettato nel mondo dell’informatica, Apple ha sempre messo in atto sistemi atti a impedire l’imitazione dei propri prodotti, anche a scapito della comodità degli utenti (il sistema operativo su ROM dei primi Mac ne è un esempio).

Con i prodotti più recenti, la chiusura di Apple si è estesa anche al software. Per creare delle App per iPhone e iPad, per esempio, bisogna identificarsi e la Apple ha il diritto di bloccarne la distribuzione sui propri store e impedire che girino sui sistemi suddetti. E le applicazioni bloccate non sono solo quelle che hanno caratteristiche illegali o offensive. Ce ne siamo già occupati. Vedi qui, qui o qui.

C’è anche un lato più inquietante e scomodo della Apple, cioè il fatto di essere uno dei principali clienti della famigerata Foxconn, l’azienda taiwanese nota per l’alto tasso di suicidi fra i propri operai, dovuti, a quanto sembra, alle allucinanti condizioni di lavoro. Alla Foxconn si fabbricano iPod, iPhone, iPad, ma anche prodotti di altre aziende, come PlayStation2 e PlayStation 3, Wii, Xbox 360, Amazon Kindle, Televisori LCD Sony Bravia. Colpisce, comunque, il contrasto fra l’immagine libertaria tipica del marketing di Apple e queste modalità produttive.

Rileggendo tutto, mi sembra di aver elencato solo i lati negativi. In effetti, come ho già accennato, in questi giorni ho sentito un po’ troppe esagerazioni. Comunque, mi piace ricordare le sue ultime parole rivolte ai laureandi di Stanford: stay hungry, stay foolish.
Puntualizzo solo che non sono sue. Come lui stesso racconta:

Quando ero un ragazzo c’era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. (…) Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c’erano le parole: «Stay Hungry. Stay Foolish». Siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio.

FaceOSC

FaceOSC è un tool per Mac che consente di usare l’espressione facciale rilevata da una webcam come MIDI controller. È stato realizzato da Kyle McDonald e si appoggia sul sistema Osculator, nato per collegare vari tipi di controllers a programmi audio e video.

A mio avviso, queste cose sono solo “giochini”, però lo segnalo perché non dubito che qualcuno che ci crede più di me saprà trovare una qualche applicazione interessante.

Ecco quanto riferisce l’autore, con i link da cui scaricare i software (FaceOSC e Osculator), nonché un breve video

FaceOSC is a tool for prototyping face-based interaction. It’s built on non-commercial open source FaceTracker code from Jason Saragih.

FaceOSC comes as an example app with the ofxFaceTracker addon for openFrameworks. You can download an OSX/Win binary at github.

OSCulator is an excellent program for routing OSC and MIDI. Download it at osculator.net/

Some of the “face gestures” (or metrics) are more stable than others. Lighting can also have a huge influence on the stability of your values: even lighting from the front coupled with a dark background can give the best results.

Other demos on Youtube

Cassini

Questo breve video è un montaggio di scene raccolte dalla NASA grazie al sistema di ripresa della sonda Cassini, entrata in orbita intorno a Saturno nel 2004 per studiare il sistema formato dal pianeta e dai suoi satelliti.

Un saggio di psichedelia in bianco e nero.

La musica è tratta da Ghosts I – IV di Nine Inch Nails.

White Box

White Box by Purform

Audio/Video performance for a tryptic of HD video screens and quadraphonic audio

White Box is a work based on a new way of generating A/V compositions in real time and is a new piece in a cycle that began in 2003 with Black Box. This cycle metaphorically transposes, into sound and images, concepts from systems theory related to black, white and grey boxes.

Visuals: Yan Breuleux
Music: Alain Thibault

Programmers: Jean-Sébastien Rousseau, Peter Dines.

The Singing Ringing Tree

Questa scultura sonora, progettata dagli architetti Anna Liu e Mike Tonkin (Tonkin Liu Ltd), si trova in un luogo remoto non lontano dalla città di Burnley, nell’Inghilterra del nord ed è chiamata The Singing Ringing Tree.

Completata nel 2006, è alta circa 3 metri e formata da canne di acciaio galvanizzato che, grazie al vento, possono produrre una sonorità corale che si estende su varie ottave. Il suono, leggermente dissonante, non è casuale. Alcune delle canne, infatti, sono state forate per accordarle.

Non tutte le canne, inoltre, suonano. Parecchie hanno solo una funzione strutturale o estetica.

Ecco un video in cui potete anche ascoltarla.

Tsunami in soggettiva

Questo impressionante video, ritrovato in un’auto, mostra lo tsunami giapponese dal punto di vista del cittadino qualunque.

Yu Muroga è un autista giapponese. Era al lavoro l’11 marzo 2011. Come altre persone in quell’area, non si sentiva minacciato da uno tsunami, essendo abbastanza lontano dalla costa, così, nonostante il terremoto, ha continuato a fare il suo lavoro. Ma si sbagliava.

La telecamera ad alta risoluzione montata sull’auto, lasciata accesa, ha filmato il momento del sisma e il successivo arrivo delle onde…

In realtà, data la diffusione di videocamere in Giappone, i video di questo tipo sono moltissimi. Date un’occhiata anche a questo.

Canti delle balene in tempo reale

whalesong.net è un interessante sito la cui “mission” è quella di promuovere la conservazione e la tutela dell’ambiente sottomarino.

In questa ottica, hanno sviluppato il progetto WhaleSong destinato a diffondere in tempo reale, via internet, le voci delle balene e di altri mammiferi marini mediante il sistema schematizzato nella figura qui sotto.

Si tratta, sostanzialmente, di un microfono sottomarino (idrofono) collegato ad un trasmettitore che invia i segnali raccolti dall’idrofono a un ricevitore piazzato sulla costa. Da cui i segnali vengono instradati nella rete grazie ad un server audio e possono essere ascoltati grazie ad una internet radio raggiungibile dal sito di cui sopra o direttamente da questo link.

Fisicamente, il tutto è piazzato sull’isola di Maui, nelle Hawaii, uno dei più importanti siti di whale-watching del globo.

Naturalmente non sempre è possibile contare sulla presenza di vari mammiferi marini nel sito in quanto questi animali compiono lunghe migrazioni. In questo caso la radio trasmette le registrazioni dell’anno precedente.

Tre mesi dopo

ll Giappone, tre mesi dopo il terremoto. Queste immagini accostate, prese, la prima poco dopo lo tsunami (12/3) e la seconda 20 giorni fa (4/6) a Miyako, mostrano una incredibile trasformazione.

Naturalmente non è andato così ovunque, ma in tutti i luoghi colpiti, eccetto, ovviamente Fukushima, la rimozione dei detriti prosegue a velocità sorprendente (almeno per noi; in effetti, è così che dovrebbe andare in un paese normale).

Click per ingrandire.

Love in the Asylum

Michael McNabb è sempre stato portatore di una elettronica che definirei “leggera”, il che non significa che non abbia fatto della sperimentazione, anzi, l’ha fatta e spesso anche molto avanzata, ma le sue composizioni non hanno mai abbandonato delle suggestioni post-tonali con funzioni prettamente emozionali.

Qui vi presentiamo Love in the Asylum del 1981, un brano che, al suo apparire, mi aveva colpito per la sua liquidità e per le continue mutazioni del materiale audio. Il pezzo è idealmente diviso in vari movimenti e sottosezioni:

  1. Mad as Birds
    illusorio
    allegro ridendo
    accelerando perpetuamente
  2. Pirouette
    vivace
  3. The Magician’s Daughter
    inquieto
    amoroso
    carosello
    lontano

Queste le note dell’autore:

Love in the Asylum is a love song to the calculated insanity and spontaneous magic that one must sometimes call upon in order to live in this strange universe of ours. It features an orchestra of familiar instrumental and vocal sounds, new sounds drawn from the imagination, and—perhaps most expressively—sounds that fluidly shift between the two. The work, which critic Paul Lehrman called “one of the most devastatingly beautiful pieces of electronic music I have ever heard”, is built of two psychological layers. Foremost is a layer of cheerful confidence and exuberance, colored and occasionally overpowered by a dark emotional undercurrent of anxiety and psychological imbalance.

All sounds in Love in the Asylum were synthesized except for the laughter and the player calliope music. It includes a number of musical quotations, including quotations from other works of electroacoustic music. The spatial sound paths at the beginning of the first movement are from Turenas (1972) by John Chowning, who was a primary mentor, and influenced McNabb’s decision to specialize in electroacoustic music and performance.

Love in the Asylum premiered on November 2, 1981, at the Monday Evening Concert Series in Los Angeles.

Love in the Asylum has been realized on the Systems Concepts digital synthesizer at the Center for Computer Research in Music and Acoustics (CCRMA) at Stanford University.

L’originale è in quattro canali. Qui ascoltate la riduzione stereo curata dall’autore.

Altra musica e video di McNabb sono disponibili sul suo sito.

Evidence

Questo è un video di Godfrey Reggio, già regista del famoso Koyaanisqatsi e degli altri due film della stessa serie. La parte interessante (e impressionante) inizia circa 1’30”, con i visi di bambini ripresi frontalmente mentre guardano la televisione.

Il video è stato realizzato in Italia da Fabrica, con Angela Melitopoulos e Miroslav Janek e prodotto da Massimo Cortesi.

Anatomia di Stuxnet

Per chi non conosca la storia di Stuxnet, per quel che sappiamo, la prima vera arma fatta interamente di software, ne abbiamo parlato qui. Ora questo breve video ne riassume le caratteristiche.

An infographic dissecting the nature and ramifications of Stuxnet, the first weapon made entirely out of code. This was produced for Australian TV program HungryBeast on Australia’s ABC1.

https://youtu.be/qeEY7-Q0ViI

https://youtu.be/iKUuuvo_cSQ

Prova di IPV6

Oggi internet prova l’IPV6, il protocollo nato per risolvere l’esaurirsi degli ip numbers che diventeranno a 8 bytes invece degli attuali 4.

Il che significa che gli indirizzi internet passeranno da 4.294.967.296 allo spropositato numero di 18.446.744.073.709.551.616 (in realtà qualcuno di meno, visto che quelli che terminano per 0 e per 255 e alcuni altri non sono assegnabili per motivi tecnici). Il rimanente è comunque sufficiente per assegnarne uno ad ogni essere umano presente e futuro, il che apre interessanti prospettive.

Probabilmente oggi non noterete nulla perché si tratta solo di un test: l’IPV6 verrà attivato da 400 organizzazioni, fra cui Google, Facebook, Yahoo, ma nel frattempo l’attuale IPV4 continuerà a funzionare regolarmente.

In ogni caso, potete verificare se la vostra macchina è già pronta per lo switch semplicemente cliccando qui.

Pubblicato in Web

Partitura

Partitura è un software molto interessante che genera immagini in movimento a partire da una traccia audio.

NB: la generazione non è immediata. Partitura è un linguaggio di programmazione con interfaccia grafica nello stile di MAX/Msp e del suo modulo grafico Jitter.

Il software nasce dalla collaborazione di Abstract Birds e Quayola ed è free per uso non commerciale (la licenza commerciale costa € 500, sconti per quantità). È stato realizzato utilizzando il toolkit vvvv dal cui sito è scaricabile.

Partitura is a custom software built in vvvv.org to generate realtime graphics aimed at visualising sound. The term “Partitura” (score) implies a connection with music, and this metaphor is the main focus of the project. Partitura aims to create a new system for translating sound into visual forms. Inspired by the studies of artists such as Kandinsky, Paul Klee, Oscar Fischinger and Norman McLaren, the images generated by Partitura are based on a precise and coherent system of relationships between various types of geometries. The main characteristic of this system is its horizontal linear structure, like that of a musical score. It is along this linear environment that the different classes of abstract elements are created and evolve over time according to the sound. Partitura creates endless ever-evolving abstract landscapes that can respond to musical structures, audio analysis and manual gestural inputs. It is an instrument that visualises sound with both the freedom of spontaneous personal interpretation/improvisation and at the same time maintaining the automations and triggers of mathematical precision.

Partitura defines a coherent language of its own for the creation of new contemporary abstractions. It is within this system that Partitura creates worlds that expand from a single dot to multiple galaxies, from minimalism to complexity, from rigid to elastic, from solid to liquid, from angular to smoothness, from tentative to boldness, from calm to agitation, from slow to fast, from desaturated to saturation, from dark to lightness, from predictable to unpredictability. Literally ‘everything’ and its opposite… just like a musical flow.

Il mondo attraverso Facebook

Questa immagine è stata creata da Paul Butler, che nella vita si occupa di strutturare i dati raccolti da Facebook, partendo da circa 10.000.000 di coppie di amici.

In pratica, ogni utente è stato geo-localizzato con un punto nella posizione della sua città di residenza. Le varie città sono state poi connesse da linee il cui colore (dal blu scuro al bianco) è funzione del numero di amici che risiedono nelle due città.

Ovviamente non è possibile discernere con chiarezza le singole linee. È invece interessante osservare come il pianeta venga disegnato e soprattutto vedere le zone scure che non sempre sono causate dal digital divide, come è il caso dell’Africa. Spesso, infatti, il vuoto dipende dal fatto che in alcuni paesi, per es. Cina, Russia e Brasile, esistono dei social network locali che Faccialibro non è ancora riuscito a scardinare (rispettivamente QZone, VKontakte e Orkut).

L’immagine è molto grande. Cliccare per ingrandire. Qui l’articolo originale di Paul Butler.

il mondo attraverso facebook

Transfinite

Una installazione in cui Ryoji Ikeda tenta di catturare l’invisibile flusso di dati che scorre attraverso l’intero pianeta. Due enormi schermi affiancati, 13 m. di altezza per 18 di larghezza, ma un’enorme estensione al suolo, su cui scorrono figure generate dal flusso numerico della rete in sincronia con la musica dello stesso Ikeda, fatta di nuvole di rumore, onde sinusoidali, bassi mormorii punteggiati da tintinnii e sibili sulle alte frequenze.

Installata fino all’11 Giugno presso Park Avenue Armory
643 Park Avenue, New York, NY 10065, (212) 616-3930

ikeda - transfinite

ikeda - transfinite

ikeda - transfinite

ikeda - transfinite

Dialogues

Jean Claude Risset – Dialogues (1975), per ensemble e suoni sintetici

In questo brano il compositore cerca di costruire un ponte fra i suoni strumentali e quelli sintetici. Queste due realtà a tratti dialogano, a volte si scontrano, ma i momenti, a mio avviso, più interessanti sono quelli in cui i suoni strumentali e quelli sintetici si fondono creando situazioni ambigue da cui, improvvisamente, emerge un suono chiaramente sintetico o strumentale.

Flauto : Renaud François
Clarinetto : Michel Arrignon
Piano : Carlos Rogue Alsina
Percussioni : Jean-Pierre Drouet
Direttore : Michel Decoust
Suoni sintetici realizzati via computer al Centre Universitaire de Marseille-Luminy.

Schèmes

Un lungo documentario (45′) sulla genesi del concerto per violino e orchestra di Jean Claude Risset denominato Schèmes ed eseguito in prima a Tokyo nel 2007 (Tokyo Symphonic Orchestra, Kazyoshi Akiyama direttore, Mari Kimura violino).

Il Giappone è lontano

Tokyo, 10-05-2011

Il primo ministro giapponese Naoto Kan ha annunciato che rinuncera’ al suo stipendio fino a quando non sara’ terminata la crisi nucleare a Fukushima. Il taglio dell’appannaggio mensile e del bonus versato due volte l’anno iniziera’ dal mese di giugno, riferisce l’agenzia stampa Kyodo.

L’annuncio e’ giunto durante una conferenza stampa nella quale Kan si e’ scusato con gli elettori per non aver saputo prevenire la crisi nucleare scoppiata all’impianto nucleare di Fukushima, in seguito al sisma e lo tsunami dell’11 marzo.

Il primo ministro giapponese ha anche riferito che il Giappone rinuncera’ all’aumento dal 30 al 50% della percentuale di elettricita’ elettrica [sic] prodotta da centrali nucleari, originariamente previsto entro il 2030.

Intanto la Tepco, societa’ che gestisce l’impianto di Fukushima, ha chiesto formalmente al governo di Tokio un aiuto finanziario per affrontare gli enormi costi dei risarcimenti alle vittime del disastro nucleare.

Assieme alla richiesta, riferisce l’agenzia Kyodo, e’ stato presentato un piano per un taglio dei costi della societa’ che comprende anche la restituzione degli stipendi del presidente della Tepco, Mastaka Shimizu, del chairman Tsunehisa Katsumata e di sei vicepresidenti.

Fonte: RAInews24

Paint Box

Anna Clyne è una delle figure più interessanti fra i giovani compositori contemporanei. Inglese, nata a Londra nel 1980, ha studiato a Edimburgo, prima di trasferirsi in Canada e infine a New York, dove risiede dal 2002.

Particolarmente interessata all’elettroacustica, qui potete ascoltare Paint Box del 2006, per cello, music box, voice & tape. Altri brani fra i Related Posts.

Paint box by annaclyne

Ci spiano a fin di bene?

Le foto digitali contengono un sacco di dati, quasi tutti di carattere tecnico. Il formato utilizzato dalle fotocamere digitali, infatti, va sotto il nome di Exif (Exchangeable image file format). La specifica utilizza i formati esistenti JPEG, TIFF Rev. 6.0, e RIFF, con l’aggiunta di specifiche etichette (tag) di metadati.

Questi metadati, in genere, sono utili perché permettono, anche a distanza di tempo, di visualizzare i valori di tempo, diaframma, risoluzione, data e ora, nonché tutte le impostazioni con cui è stata scattata la foto.

Per vederli, aprite questa pagina e caricate una foto oppure scaricate l’ottimo ExifTool.

Fra questi dati, però, almeno uno può essere utile o dannoso in base alle intenzioni. È il numero di serie della fotocamera, che è unico e quindi, in qualche modo, permette di risalire all’acquirente. Quindi ricordate di eliminare i metadati se, per es., mettete una immagine in internet e non volete essere identificati.

D’altra parte, proprio il serial number può avere un altro utilizzo, più interessante. Supponete che vi rubino la fotocamera e che, alla fine, vada in mano a qualcuno che fa qualche foto e la mette in internet.

Ebbene guardando il serial number di quelle immagini, voi potete dimostrare che sono state scattate con la vostra fotocamera (peraltro il numero dovrebbe essere anche riportato sulla garanzia).

È proprio quello che fa il sito stolencamerafinder che ha raccolto un database di più di un milione di fotocamere. Vi basta avere una immagine non modificata scattata con la vostra fotocamera ormai perduta e il sito può aiutarvi a identificare altre immagini scattate con la stessa, a patto che siano state imprudentemente messe in rete.

Se, poi, per curiosità, volete vedere i dati Exif contenuti in una immagine, ecco qui:

Exif Byte Order                 : Little-endian (Intel, II)
Image Description               : OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Make                            : OLYMPUS IMAGING CORP.
Camera Model Name               : SP800UZ
Orientation                     : Horizontal (normal)
X Resolution                    : 72
Y Resolution                    : 72
Resolution Unit                 : inches
Software                        : Version 1.0
Modify Date                     : 2010:10:15 09:15:56
Y Cb Cr Positioning             : Co-sited
Exposure Time                   : 0.3
F Number                        : 4.1
Exposure Program                : Program AE
ISO                             : 400
Exif Version                    : 0221
Date/Time Original              : 2010:10:15 09:15:56
Create Date                     : 2010:10:15 09:15:56
Components Configuration        : Y, Cb, Cr, -
Compressed Bits Per Pixel       : 2
Exposure Compensation           : 0
Max Aperture Value              : 2.8
Metering Mode                   : Multi-segment
Light Source                    : Unknown
Flash                           : Off, Did not fire
Focal Length                    : 36.7 mm
Special Mode                    : Normal, Sequence: 0, Panorama: (none)
Camera ID                       : OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Equipment Version               : 0100
Camera Type 2                   : D4434
Focal Plane Diagonal            : 7.665 mm
Body Firmware Version           : 77
Camera Settings Version         : 0100
Preview Image Valid             : No
Preview Image Start             : 1644
Preview Image Length            : 0
Macro Mode                      : Off
Flash Mode                      : Off
White Balance 2                 : Auto
Drive Mode                      : Single Shot
Panorama Mode                   : Off
Image Processing Version        : 0112
Distortion Correction 2         : Off
Face Detect                     : Off; Unknown (0)
Face Detect Area                : (Binary data 383 bytes, use -b option to extract)
Quality                         : SQ (Low)
Macro                           : Off
Black & White Mode              : Off
Digital Zoom                    : 1.0
Resolution                      : 1
Camera Type                     : D4434
Pre Capture Frames              : 0
White Board                     : 0
One Touch WB                    : Off
White Balance Bracket           : 0
White Balance Bias              : 0
Scene Mode                      : Standard
Serial Number                   : 000JAJ248048
Data Dump                       : (Binary data 2540 bytes, use -b option to extract)
User Comment                    :
Flashpix Version                : 0100
Color Space                     : sRGB
Exif Image Width                : 2560
Exif Image Height               : 1920
Interoperability Index          : R98 - DCF basic file (sRGB)
Interoperability Version        : 0100
File Source                     : Digital Camera
Scene Type                      : Directly photographed
Custom Rendered                 : Normal
Exposure Mode                   : Auto
White Balance                   : Auto
Digital Zoom Ratio              : 0
Focal Length In 35mm Format     : 204 mm
Scene Capture Type              : Standard
Gain Control                    : High gain up
Contrast                        : Normal
Saturation                      : Normal
Sharpness                       : Normal
Compression                     : JPEG (old-style)
Thumbnail Offset                : 9216
Thumbnail Length                : 4452
Image Width                     : 2560
Image Height                    : 1920
Encoding Process                : Baseline DCT, Huffman coding
Bits Per Sample                 : 8
Color Components                : 3
Y Cb Cr Sub Sampling            : YCbCr4:2:2 (2 1)
Aperture                        : 4.1
Image Size                      : 2560x1920
Scale Factor To 35 mm Equivalent: 5.6
Shutter Speed                   : 0.3
Thumbnail Image                 : (Binary data 4452 bytes, use -b option to extract)
Circle Of Confusion             : 0.005 mm
Field Of View                   : 10.1 deg
Focal Length                    : 36.7 mm (35 mm equivalent: 204.0 mm)
Hyperfocal Distance             : 60.77 m
Light Value                     : 3.7

Guardate attentamente

questa immagine per un po’…

Non è un video. È una GIF animata. Un formato che, di solito viene utilizzato per fare stupidaggini come quella qui sotto, ma che Jamie Beck e Kevin Burg stanno cercando di elevare a un livello che si avvicini all’arte: “more than a photo but less than a video”.

animated gif

 

Flux

Un metamorfico video di Candas Sisman. che ha realizzato sia il video che l’audio per il Plato College of Higher Education.

Note dell’autore:

A Short Animation Inspired by the Works of İlhan Koman

Plato Art Space is proud to present Candaş Şişman’s video dedicated to famous sculptor İlhan Koman produced for the exhibition İlhan Koman: Hulda Festival, a Journey into Art and Science opening on the 22nd September, 2010.
İlhan Koman’s unique design approach in his form studies also inspires contemporary art works. The video installation Flux by young artist Candaş Şişman can be defined as a digital animation which is inspired from the structural features of some of İlhan Koman’s works like Pi, 3D Moebius, Whirlpool and To Infinity… A red circle, which is colored in reference to the red radiators of Ogre, is traced in a morphological transformation which re-interprets the formal approach of Koman’s works. The continuous movement sometimes connotes the formal characteristics of Pi, 3D Moebius, Whirlpool and To Infinity…, as well as the original formal interpretations of the design principles of the works . In Flux, Koman’s design process in the making of the Pi series has been treated as the emerging of a sphere from a two-dimensional circle by the principle of increasing the surface; and that simple direction is re-interpreted in digital medium. Thanks to this, in the digital animation an entirely different form serial that does not resemble Pi yet remaining its design principle can be followed through the flow of a circle to the sphere. As a conscious attitude of the artist, this work is not designed in a direct visual analogy with Koman’s works. During the animation, none of the moments of the transforming form look like Pi or 3D Moebius, however the subjective reading of Koman’s approach can be observed.

With the integration of the sounds of various materials – which Koman used in his sculptures – Flux turns into an impressive spatial experience. Flux, also exemplifies that Koman’s work can be re-interpreted by the analysis and manipulation of form in the digital medium.

Qui potete vederlo su Vimeo

La vita nella zona morta

A 25 anni dall’incidente la zona di Chernobyl è tuttora off-limits per gli esseri umani e lo sarà ancora per molti anni.

Non così per la natura. Abbiamo già parlato dell’esplosione di vita che si registra nella zona di alienazione, tale da lasciare sbigottiti scienziati e ambientalisti che ormai consideravano quel cerchio di 30 km di diametro come una zona morta.

Le immagini che vedete qui sotto (click per ingrandire e ancora click per dimensione massima) sono tratte dal documentario Chernobyl – Life in the dead zone, un bellissimo film, visibile anche su You Tube, che, dietro alla storia di una gatta e dei suoi gattini, mostra come, nonostante la radioattività, flora e fauna prosperino in modo mai visto prima.

È un film poetico che sembra pieno di speranza. In fondo la zona non è diventata quel deserto radioattivo che tutti immaginavano.

Lasciata a sé stessa, senza l’interferenza della specie umana, la natura trova sempre il modo di andare avanti.

Come al solito ci spiano

In questi giorni sta facendo un certo rumore la scoperta che la nuova generazione di cellulari ci spia sistematicamente. Non mi riferisco al fatto, ormai noto a tutti, che i nostri spostamenti e contatti vengono tracciati dalle compagnie telefoniche grazie alle celle che il nostro cellulare aggancia, ma al fatto che i nostri movimenti vengono salvati in un file conservato all’interno del telefono e a volte anche sul computer a cui il telefono viene connesso.

Tutto ciò appare grave perché, se alle registrazioni conservate dalle aziende si può accedere solo dietro richiesta di un magistrato, questo file può essere consultato da chiunque sappia come arrivarci. E non è difficile, soprattutto per Apple.

La cosa vale sia per l’iOS di Apple che per Android. con qualche piccola distinzione che vado a riferirvi:

mappa realizzata a partire dai dati conservati su iPhoneiOS Apple (iPhone e iPad 3G)

Cory Doctorow riporta qui la scoperta di alcuni ricercatori che si occupano di sicurezza presentata alla conferenza Where 2.0. È stato scoperto un file nascosto (invisibile all’utente) che contiene tutti gli spostamenti del telefono desunti dalle celle, dagli access point wi-fi e dal GPS, ognuno accompagnato dal relativo time-stamp (data e ora). Il file viene anche scaricato sul computer a cui il telefono si connette.

A quanto pare, la registrazione di tali dati è iniziata con l’upgrade a iOS 4 datata Maggio 2010. Di conseguenza,  in alcuni telefoni, si può trovare quasi un anno di spostamenti completi di coordinate, data e ora. Il file non è criptato e la lettura è possibile anche a non geek utilizzando l’apposita applicazione, iPhone Tracker, che si scarica qui.

Finora Apple non ha spiegato perché questi dati vengono raccolti, né fornito un modo per bloccarli. L’utente viene tracciato, che lo voglia o no. In pratica, Apple ha reso possibile ottenere informazioni dettagliate sui vostri spostamenti a chiunque abbia accesso al vostro iPhone (un partner geloso, un detective privato, i genitori, etc.).

La cosa divertente è che Apple ha il diritto di raccogliere tali dati. Fra le 15200 parole che formano i terms and conditions for its iTunes program, un paragrafo di 86 parole dice

Apple and our partners and licensees may collect, use, and share precise location data, including the real-time geographic location of your Apple computer or device. This location data is collected anonymously in a form that does not personally identify you and is used by Apple and our partners and licensees to provide and improve location-based products and services. For example, we may share geographic location with application providers when you opt in to their location services.

La notizia è finita anche sul Guardian con dovizia di particolari.

Android

Gli utenti Android sono relativamente più fortunati. Quello di Android, infatti, non è un file, ma una cache. Ne consegue che è più difficile accedervi (serve un informatico dotato di una certa perizia, vedere qui), ma soprattutto vengono conservate solo le ultime 50 celle e gli ultimi 200 wi-fi access point. La profondità dei dati, quindi, è più limitata rispetto a iOS.

In entrambi i casi, non si sa se i dati vengano inviati rispettivamente a Apple e a Google. Vari rappresentanti di entrambe le aziende si stanno affrettando a negare qualsiasi utilizzo fraudolento.

First Orbit

Il 12 Aprile di 50 anni fa Yuri Gagarin faceva il primo giro nello spazio intorno alla Terra. Ho cercato per parecchi giorni qualcosa di sufficientemente interessante per commemorare l’evento. Solo adesso mi sono imbattuto in questo film realizzato appositamente.

First Orbit è una ri-creazione, pressoché in tempo reale, della prima orbita mai vissuta da un essere umano. Le scene del film cercano di mostrare ciò che vide Gagarin per la prima volta nella storia dell’umanità. Sono state girate interamente nello spazio a bordo della International Space Station e combinate con l’audio originale della missione di Gagarin e colonna sonora originale di Philip Sheppard.

Lo potete vedere qui, ma vi consiglio di andare a guardarlo in alta definizione su You Tube. Settate 1080 punti e schermo intero.

Esiste anche il sito dedicato.

RIP Max Mathews

maxheadPessima giornata il 21 Aprile. All’età di 84 anni si è spento Max Mathews. Non un vero compositore, ma praticamente l’inventore della computer music, avendo ideato e scritto, nel 1957, il primo software che permettesse ad un elaboratore di emettere suoni.

Per raccontarlo con le sue parole:

Computer performance of music was born in 1957 when an IBM 704 in NYC played a 17 second composition on the Music I program which I wrote. The timbres and notes were not inspiring, but the technical breakthrough is still reverberating. Music I led me to Music II through V. A host of others wrote Music 10, Music 360, Music 15, Csound and Cmix. Many exciting pieces are now performed digitally. The IBM 704 and its siblings were strictly studio machines – they were far too slow to synthesize music in real-time. Chowning’s FM algorithms and the advent of fast, inexpensive, digital chips made real-time possible, and equally important, made it affordable.

Starting with the Groove program in 1970, my interests have focused on live performance and what a computer can do to aid a performer. I made a controller, the radio-baton, plus a program, the conductor program, to provide new ways for interpreting and performing traditional scores. In addition to contemporary composers, these proved attractive to soloists as a way of playing orchestral accompaniments. Singers often prefer to play their own accompaniments. Recently I have added improvisational options which make it easy to write compositional algorithms. These can involve precomposed sequences, random functions, and live performance gestures. The algorithms are written in the C language. We have taught a course in this area to Stanford undergraduates for two years. To our happy surprise, the students liked learning and using C. Primarily I believe it gives them a feeling of complete power to command the computer to do anything it is capable of doing.

Eccolo in un video del 2007 mentre ascolta Daisy Bell (A Bycicle Build for Two), eseguita e cantata nel 1961 da un elaboratore IBM 7094 grazie al software di John Kelly, Carol Lockbaum e dello stesso Mathews.

Orchidée

Questo interessante sistema chiamato Orchidée, realizzato all’IRCAM da Grégoire Carpentier and Damien Tardieu con la supervisione del compositore Yan Maresz, è in grado di fornire una o più orchestrazioni di un suono dato.

In pratica, significa che un compositore può arrivare con un suono e farlo analizzare al sistema che poi fornisce varie combinazioni di suoni orchestrali che approssimano la sonorità data.

Un esempio, tratto da quelli forniti dall’IRCAM, dice più di molte parole. Qui potete ascoltare:

Si tratta di Computer Aided Orchestration (orchestrazione assistita) ed è un ulteriore esempio di come il computer possa ormai affiancare il compositore in molte fasi del suo lavoro.

Il sistema si basa su un largo database di suoni orchestrali che sono stati analizzati e catalogati in base a una serie di descrittori sia percettivi (es. brillantezza, ruvidità, presenza, colore, …) che notazionali (strumento, altezza, dinamica, etc).

Un algoritmo genetico individua, poi, varie soluzioni, ognuna ottimizzata rispetto a uno o più descrittori, il che significa che non esiste una soluzione ideale, ma più di una, ciascuna delle quali si avvicina molto ad un aspetto del suono in esame, risuldando, invece, più debole sotto altri aspetti. Per esempio, si potrebbe ottenere un insieme che approssima molto bene il colore del suono, ma non la sua evoluzione. Sta poi al compositore scegliere quella che gli appare più funzionale al proprio contesto compositivo.

La descrizione completa del sistema Orchidée si trova qui. Vari altri esempi si possono ascoltare qui.

Haiku sonori

Ho appena letto un articolo di Murray Shafer, Orecchie aperte riportato in Paesaggi sonori, a cura di M. Bull e L. Back, Il Saggiatore, 2008 (NB: titolo originale The auditory culture reader, 2003; non ci sono i titoli originali dei singoli articoli, maledizione).

A un certo punto, in un capitolo intitolato L’orecchio dell’immaginazione, Shafer riporta vari haiku che spingono ad immaginare un suono a volte in modo sorprendente.

Il primo è il famoso haiku della rana di Bashō (1644 – 1694), che ho trovato anche in lingua originale

古池や
蛙飛びこむ
水の音
(furu ike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto)

Questo haiku è stato tradotto in molti modi, ma la traduzione più realistica, anche se non è quella riportata nell’articolo, mi sembra essere:

antico stagno
una rana si tuffa
il suono dell’acqua

Nota: la traduzione degli haiku, come di molta poesia, non è univoca, ma è spesso una questione di sfumature. Qui, a volte, ho scelto di riportare la mia traduzione preferita anche se non è quella utilizzata nell’articolo che, oltretutto, è una doppia traduzione (giapponese → inglese → italiano).

Lo stesso Bashō offre anche altri esempi di attenzione al suono

il canto del cuculo
si adagia
sulla superficie dell’acqua

*****

il canto del cuculo
si perde lontano
verso un’isola sola

*****

mentre canta l’allodola
le grida del fagiano
battono il tempo

*****

silenzio:
la voce delle cicale
graffia la pietra

Un esempio fantastico è di Yamei

hark! la voce di un fagiano
ha ingoiato il grande campo
in un sorso

Ci sono, poi, alcuni haiku sul movimento del suono (autori Issa e Gyotai)

grillo
anche se era all’altra porta che cantavi
ti ho sentito qui

*****

il suono di una ghianda
che cade da un tetto di assi
freddo nella notte

ed esistono anche fusioni sinestetiche di fenomeni sonori e visivi (ancora Bashō)

il mare si scurisce
e il richiamo di un’oca selvatica
è pallidamente bianco

Infine, sempre da Bashō, un bellissimo esempio dell’immanenza del suono negli oggetti silenziosi

la campana del tempio tace,
ma il suono continua
ad uscire dai fiori

Plus-Minus

Karlheinz Stockhausen – Plus-Minus (1963)

score pagePlus-Minus è una partitura indeterminata, notata per un generico ensemble e basata su 7 pagine di materiale musicale in notazione non convenzionale, accoppiate ad altrettante pagine di simboli che suggeriscono come utilizzare i materiali musicali, per un totale di 14 pagine più 6 di spiegazione della simbologia. (in figura una delle pagine di simboli, clicca per allargare)

Ogni pagina di materiali musicali contiene:

  • 7 accordi
  • 6 guppi di note determinati sotto il profilo delle altezze, ma non privi di indicazioni di durata, dinamica e modalità esecutive.

Ciascuna pagina di simboli è accoppiata ad una delle pagina musicali e contiene 53 quadrati, ognuno dei quali è un evento musicale. L’interpretazione dei quadrati e della simbologia in essi contenuta è gerarchica. Ogni quadrato contiene l’indicazione di:

  • un zentralklang, il suono principale su cui si basa l’evento, che corrisponde a uno dei 7 accordi della pagina musicale collegata.
  • gli akzidentien che sono indicazioni esecutive applicabili alle ottave, alle durate, alle dinamiche, alle modalità esecutive e al timbro. Tali indicazioni non sono precise, ma, appunto, indicative, tipo breve, medio, lungo, accelerando, ritardando, il più veloce possibile, etc.
  • le nebennoten, note secondarie che corrispondono ai gruppi da 1 a 6 di ciascuna pagina.

Ciascun quadrato contiene, inoltre, un complesso insieme di simboli che guidano la realizzazione dell’evento sotto il profilo ritmico, dinamico e timbrico.

Nell’applicazione dei simboli, i concetti di crescita e contrazione sono centrali. Su ogni simbolo può essere posta una indicazione numerica (1 cifra) con segno + o – (es. +1, -2, +3, etc) che determina il numero delle ripetizioni di quel simbolo al suo prossimo incontro. Per esempio, il fatto che, nell’evento (il quadrato) attuale, al simbolo del zentralklang è sovrapposto un +1, significa che la prossima volta che si incontrerà quel simbolo, dovrà essere eseguito 2 volte e poi all’incontro successivo 3 volte e così via, fino ad incontrare una eventuale indicazione negativa che ne determina la contrazione, magari fino alla sua scomparsa.

Si generano, così, dei loop in crescita e contrazione che danno vita a figure musicali ripetute, a tratti arcaiche, con modifiche più o meno sottili fra un evento e i successivi e possibilità combinatorie pressoché infinite.

È anche interessante notare come Plus-Minus non sia un brano musicale, ma un progetto, un’idea per sua natura non perfettamente definita e di conseguenza ogni valutazione estetica basata sulla sola partitura sia completamente fuori luogo. Sotto l’aspetto musicale, infatti, Plus-Minus non esiste fino alla sua trascrizione (vorrei quasi dire “implementazione”) ed è solo quest’ultima che può essere valutata in termini di estetica musicale.

Vale anche la pena di ricordare che Stockhausen prescrive la realizzazione completa dell’opera, ovvero di tutti i 53×7 eventi. Cosa che, invece, non si è quasi mai realizzata, sia per la durata che per la complessità del lavoro.

Realizzazione del 2010 ad opera dell’Ives Ensemble.

Ryoichi Kurokawa

Kurokawa Ryoichi composes time based sculpture with digital generated materials and field recorded sources, and the minimal and the complexities coexist there. Kurokawa accepts sound and imagery as a unit not as separately, and constructs very exquisite and precise computer based works with the audiovisual language. That shortens mutual distance, the reciprocity and the synchronization of sound and visual composition. He also performed live-visual for musicians such as HUMAN AUDIO SPONGE(ex.YMO: Sketch Show + Ryuichi Sakamoto). In recent years, Kurokawa is invited to numerous noted international festivals and museums in Europe, US and Asia including TATE MODERN[UK], ARS ELECTRONICA[AT], transmediale[DE], Shanghai eARTS[CN], MUTEK[CA], and SONAR[ES] for concert and exhibition, and he continues to be an active presence on the international stage.

More info: http://www.ryoichikurokawa.com/

Aurora timelapse

Negli ultimi mesi, a causa dell’aumento dell’attività solare, si sono viste aurore spettacolari nei cieli dell’estremo nord. Ecco uno spettacolare timelapse realizzato da Terje Sorgjerd. Immagini prese in Norvegia, presso Kirkenes e al Pas National Park vicino al confine Russo, a 70 gradi nord and 30 gradi est. Temperature di circa -25 Celsius.

Folds And Rhizomes For Gilles Deleuze

coverThe idea for “Folds And Rhizomes” came as a result of contact that was made between the Sub Rosa label and Deleuze himself.

Reportedly, Sub Rosa sent Deleuze a number of CDs from some of the artists featured on “Folds And Rhizomes,” as well as some other of Sub Rosa’s back catalog releases.

Deleuze was, apparently, quite impressed with the work of these musicians, and wrote back to the label thanking them for the CDs and inquiring as to where further recordings of that type could be obtained.

It was then that certain of Sub Rosa’s staff decided that perhaps an album released in gratitude to Deleuze’s life contributions would be a nice idea.

Contributions were commissioned from certain artists with the idea in mind that the finished disc would be presented to Deleuze in some personal way.

Deleuze’s suicide, however, intervened in the process, and the project was not completed in time to present Deleuze with the finshed product.

The CD id printed by Sub Rosa label and features various artists: Mouse On Mars, Main, Oval, Scanner, Tobias Hazan / David Shea.

Excerpt:

To the Edge of Dream

Takemitsu Toru (武満 徹) – To the Edge of Dream (1983), for guitar and orchestra.
John Williams, guitar
London Sinfonietta/Esa-Pekka Salonen.

A review by Blue Gene Tyranny

This 13-minute work was commissioned by Ichiro Suzuki and the Festival International de Liége held in Belgium. It is scored for an orchestra typical of Debussy (the Romantic period orchestra plus two harps and expanded percussion section), as are most of Takemitsu’s other orchestral works. Takemitsu himself was known as a fine guitarist and much of the decidedly virtuosic writing for the guitar solo is a series of fantastical, dreamy interpretations of traditionally “typical” guitar gestures (various kinds of strumming, triplet-feel Dowland-like dances, various arpeggios); but the primary idea is a series of complex harmonic variations on the e-minor seventh chord which is heard, at forte level, at the guitar’s first entrance in the piece. The rich lower open E-string sound implies the richly resonant harmonics that form the basis of the subtly shifting tone colors in the work. Takemitsu layers timbres in dense textures, like Webern or Schoenberg, or creates fleeting passages where densely harmonized lines occur in rhythmic unison among several instruments (for example, the shimmering tutti figures for two harps, celesta, vibraphone and glockenspiel in the fourth measure of the introduction). As a whole, the piece seems to proceed from conscious gestures “to the edge of dream” – after the final extended cadenza for the guitar, the orchestra enters with a brief yet stunning coda built of string section harmonics alternating with otherworldly chords played by a double harp/ celesta / vibraphone / triangle / woodwind / trumpet combination, the whole forming a fragmented event horizon of consciousness.

UTP

UTP (per UToPia), di Alva Noto (aka Carsten Nicolai) e Sakamoto Ryuichi nasce da un invito delle città di Mannhein a sviluppare uno spettacolo audio visivo per il 400° anniversario della fondazione della città.

In questa registrazione, i due hanno abbandonato lo stile minimale fatto di tappeto elettronico + pianoforte che caratterizzava i loro lavori precedenti (Vrioon, Insen, Revep), espandendo la tavolozza timbrica anche alle sonorità di un gruppo cameristico contemporaneo, l’Ensemble Modern di Mannhein, ed a field recording realizzati nella stessa città e nei suoi dintorni.

Ecco il tutto, da you tube, 1h,11’39”.

Ans Meer

Avrete sicuramente notato che gli ultimi post sono dedicati al Giappone. Fare una piccola rassegna della musica contemporanea giapponese è un modo per essere vicino a questo paese, in cui sono stato e che ho amato, e alla sua gente.

Hosokawa Toshio è uno dei più interessanti compositori contemporanei giapponesi. Nato nel 1955 a Hiroshima, ha studiato in Germania, per cui la sua musica ha assunto delle sonorità marcatamente europee, ma, nel contempo, non ha dimenticato la tradizione del suo paese, come dimostrano i suoi brani derivati dal Gagaku di cui abbiamo già parlato.

Qui ascoltiamo Ans Meer del 1999, un concerto per piano e orchestra, che appartiene al versante più “occidentale” della sua produzione.

Takemitsu Soundtrack Documentary

Su You Tube c’è un bel documentario sulla musica da film scritta da Toru Takemitsu, una parte molto importante e significativa della sua produzione.

Il documentario è sottotitolato in inglese e include varie interviste con il compositore e con alcuni dei famosi registi per cui ha lavorato, oltre a numerosi estratti musicali.

Questa è la prima parte. I link alle altre sono riportati sotto. Purtroppo la parte 2 è stata bloccata dal solito idiota “per motivi di copyright”, ma tutte le altre sono visibili.

Telemusik

In Telemusik, composto e realizzato in Giappone su commissione della NHK, Stockhausen intende integrare degli elementi musicali ideati da diverse civiltà, in qualsiasi epoca storica e in qualunque luogo.

Detta così, si potrebbe pensare che quest’opera sia una specie di collage, ma invece il risultato sonoro è lontanissimo da una forma del genere. Ascoltando Telemusik, si sentono, invece, degli eventi sonori apparentemente elettronici, difficilmente riconducibili alla musica tradizionale.
Il fatto è che qui Stockhausen utilizza largamente il modulatore ad anello (ring modulator), un sistema in grado di modificare radicalmente il timbro, ma anche la melodia e il ritmo di un evento sonoro.

Il profano può considerarlo come un “distorsore” estremamente controllabile, con cui è possibile intervenire sui vari parametri del suono in base alle onde con cui l’evento sonoro in input viene modulato. Stockhausen utilizza, per esempio, la modulazione ritmica in cui una musica assume in parte gli accenti e il ritmo di un’altra, oppure la modulazione armonica in cui un suono elettronico si muove interagendo con le altezze di una musica registrata, o ancora la modulazione in ampiezza dove il volume di una musica cambia seguendo il profilo di ampiezza di un’altra.

Il risultato è un affresco elettronico derivato dalle musiche di tutto il mondo, che, però, non risultano sensibili come tali, ma danno vita a suoni spesso permeati dalla qualità timbrica tipica delle trasmissioni in onde corte (la radio, in effetti, utilizza un processo analogo).

Aldo Clementi, 1925 – 2011

Il compositore Aldo Clementi, ultimo rappresentante della scuola italiana storica insieme a personaggi come Maderna, Berio, Nono, Donatoni, è deceduto il 3 Marzo all’età di 86 anni.

Superando il serialismo e lo strutturalismo, Clementi ha elaborato una metodologia compositiva basata su brevi frammenti, spesso diatonici, a volte storici, la cui pregnanza melodica, però, viene annullata da una stratificazione massiccia in forma canonica, con trasposizioni e variazioni metronomiche, fino a formare un flusso sonoro continuo.

Qui potete ascoltare la Fantasia su roBErto FABbriCiAni (1980/81), per flauto e nastro magnetico, basata su un materiale ridotto, una serie composta dalle note tratte dal nome dell’esecutore: SIb, MI, FA, LA, SIb, DO, LA.

In questo brano, uno dei due lavori di Clementi a cui ho avuto il piacere di collaborare realizzando la parte elettronica, il flauto, suonato dal vivo, emerge, con discrezione, da un magma sonoro creato dalla sovrapposizione di quattro frammenti registrati dal flauto e sovrapposti più volte, via computer, con trasposizioni anche microtonali.

  • Aldo Clementi – Fantasia su roBErto FABbriCiAni (1980/81), per flauto e nastro magnetico.
    Roberto Fabbriciani, flauto
    Nastro realizzato da Mauro Graziani presso il CSC Un. di Padova.

Cryoacoustic Orb

Cryoacoustic Orb is a sound installation involving multiple illuminated acrylic orbs filled with slowly melting ice. Hydrophones frozen inside the ice amplify the sounds of the melting process, which are electronically processed and spatialized throughout the darkened gallery space. The result is a unique ambient soundscape that evolves over the course of several hours.

Beam Drop

Beam Drop (1984/2008) is a large-scale sculpture on the top of a hill, made of 71 structural beams dropped by crane from a height of 45 meters into a pit of wet cement over a 12-hour period. The random pattern of the fallen beams formed the piece, making this work an interpretation of the gestural aspects of Abstract Expressionism and a simultaneous deconstruction of modern sculpture. It is the recreation on a larger scale of a work originally installed in 1984 for Art Park in the state of New York and destroyed in 1987.

Rui Gato and Hiraku Suzuki viewed Burden’s work one day in Brazil, returned the next day with a field recorder and began to extract sounds from it. Though broken up into seven tracks, Beam Drop is one recording of an improvisation by Gato and Suzuki in a limited time frame as a bus waited for them in the distance. If one listens carefully you can hear the artists talk about how and what they are creating as well as cries of amazement as different sounds are drawn out of the sculpture. Gato and Suzuki’s beam drop is exciting for me as it is filled with the childhood innocence of banging pans on the kitchen floor.

They say:

coverThe Beam Drop sculpture is a very powerful experience.

This recording is the result of our very short and fast contact with the Beam Drop. Both of us were immediately attracted to the sonic dimension of this work, during the visit to the Inhotim Centre.

We found the sculpture at different moments in the first day, and agreed to go back the next day and try to get some music out of it, and record it.

We did it in one continuous take, due to time limitations of the visit (everybody was waiting for us to get back to the bus), and we are glad it was so.

It is presented to you unedited, only with 7 divisions that seem logic and natural to us when listening.

Download with artwork and photos from Test Tube netlabel.

Excerpts:

Peaceful Atom

coverWhen it was born in the mind of italian musician Guglielmo Cherchi (aka VACVVM), ‘Peaceful Atom’ was intended to be a concept work about the Chernobyl disaster, and as a result of this some tracks are ideally connected to that topic: the title track (referring to the name of the first RBMK – Reactor Bolshoy Moshchnosty Kanalny – reactor), SCRAM (the emergency shutdown of a nuclear reactor), Lava Flow (the melted material erupted from the reactor after the explosion), Leaving Pripyat (the evacuation of the nearest city to the powerplant), Worm Wood Forest (the dead trees killed by the radiations) and Ignalina’s Sunset (Ignalina was the last nuclear powerplant to use a RBMK reactor, the same model involved in the Chernobyl disaster, which was only shut down in 2009).
The other songs don’t belong to this concept but are related to the environment pollution problem in Russia: Oka and Yenisei are the two most polluted rivers in the planet; Pylons refers to the Shukhov towers (featured on the cover artwork), which were electricity pylons on the banks of the Oka river. The remaining track, Radiologos, is a stand-alone song, but features an original jingle aired in Soviet Russia’s radio stations.

‘Peaceful Atom’ was entirely built from scratch using laptop-based synthesizers and electric guitar, with the exception of a few samples. On ‘Worm Wood Forest’: Arboretum Bad Grund by Inchadney at The Free Sound Project, on ‘Radiologos’: Soviet jingle and radio recordings taken with an old military tubes HF radio and on ‘Leaving Pripyat’: electrostatic hiss taken from an old Kenwood amplifier dating from the eighties) at high volume.

Download ‘Peaceful Atom’ from Test Tube.

Excerpts

Magia delle foto ad alta velocità

La fotografia ad alta velocità (high speed photography) ormai ha raggiunto limiti impensabili (fino a 1/30000 di secondo (0.03 msecs) ed è in grado di produrre immagini come questa che ha anche un risvolto audio perché la superficie rossa da cui emana il liquido è quella di un subwoofer in vibrazione, rosso perché illuminato da un flash con gel rosso.

Quasi tutti credono che, per ottenere queste immagini, ci si serva di macchine fotografiche con otturatori velocissimi, ma non è così, o almeno non sempre. Sebbene gli otturatori abbiano raggiunto la ragguardevole velocità di 1/8000 di secondo, per la fotografia ad alta velocità basta una macchina normale in grado di mantenere l’otturatore aperto per tempi molto lunghi o meglio ancora in posa (B: sempre aperto fino al comando di chiusura).

La foto, infatti, è ottenuta grazie al flash. Alcuni flash, di alta qualità, sono in grado di generare lampi di durata brevissima, fino a 1/30000 di secondo, per cui si mette il tutto in un ambiente buio, con la macchina bloccata ad otturatore aperto e si impressiona il sensore con un singolo, istantaneo lampo di luce.

Il difficile, ovviamente, è sincronizzare il lampo e il fenomeno. In realtà non servono apparecchiature particolarmente esoteriche e si può mettere insieme un buon set anche in casa.

L’immagine di cui sopra è tratta dall’album di Chaval Brasil su Flickr, ma coloro che si dedicano di questo tipo di fotografia sono parecchi (per es. vedi gruppi su Flickr).

Solo Pour Deux

Solo Pour Deux (1981) di Grisey, per clarinetto e trombone, incarna l’essenzialità della concezione compositiva spettrale e in questo senso è didattico.

Come il titolo suggerisce, i due strumenti (monofonici) non creano contrasti o linee melodiche contrappuntistiche, ma concorrono a creare la sonorità di questo brano lavorando l’uno sugli armonici dell’altro (tipicamente il clarinetto su quelli del trombone, per forza di cose). Sono in due, ma, nella maggior parte dei casi, creano un’unica linea, spesso sovrapponendosi, ma a volte l’uno continua riducendo o espandendo una nota dell’altro.

Sotto l’aspetto dell’idea compositiva (ma solo in quello), il pezzo è vicino al Ko-Lho per flauto e clarinetto di (o attribuito a) Giacinto Scelsi del 1966, che potete ascoltare qui, soprattutto al secondo movimento, in cui i due strumenti, più che duettare, si compenetrano.

Presumibilmente gli interpreti sono Ernesto Molinari al clarinetto e Uwe Dierksen al trombone.

Makunouchi Bento

coverI rumeni Felix Petrescu (Waka X) e Valentin Toma (Qewza), nel 2001 hanno dato vita a questo progetto sperimentale chiamato Makunouchi Bento (che è il nome di un pranzo “al sacco” giapponese).

Utilizzano sia strumenti elettronici che acustici. Il loro ultimo lavoro, Swimé, è acquoso in modo affascinante con inserti che abbozzano semplici strutture armoniche e graziosi rumori di fondo.

Il disco è scaricabile gratuitamente qui.

Un estratto:

Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskii

Qualche anno fa, in questo post, abbiamo parlato delle foto a colori realizzate nel 1909, con una tecnica semplice quanto ingegnosa, dal russo Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskii.

Oggi la collezione delle sue immagini, ricreate in digitale a partire dalle lastre originali, è approdata a Flickr e può essere visualizzata qui.

Eccone alcune. Nella loro semplicità e staticità, le trovo bellissime.

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Milton Byron Babbitt (May 10, 1916 – January 29, 2011)

Milton BabbittMilton Babbitt non era fra i miei compositori preferiti, ma ne riconosco l’indubbia importanza come pioniere. Ha incarnato il serialismo integrale post weberniano negli USA ed è stato uno dei primi a credere seriamente nella musica elettroacustica fin dagli anni ’50. Qui abbiamo le Occasional Variations, scritte fra il 1968 e il ’71 per il sintetizzatore Mark II della RCA (vedi anche il Synth Museum), una macchina ancora analogica, ma la prima ad essere programmabile via nastro perforato.

Born in 1916 in Philadelphia Pennsylvania, has been one of the most prominent musical figures of the 20th century. His pioneering work with electronic tape, synthesized sounds, and his development of serial composition have established an essential place for him in musical history. As composer, writer, and teacher, he has greatly influenced the most important composers of his time, as well as created controversy, challenging his audience to rethink their very definition of music, and the relationship between a creative artist and his public.

Babbitt studied violin, clarinet, and saxophone as a child, but wished to follow his father’s footsteps and become a mathematician. He began his studies in math at the University of Pennsylvania, but soon felt a pull towards music as a career, these aspirations taking him to New York University where he studied composition, becoming very interested in the twelve-tone music. His studies then took him to Princeton University where he was a student of Roger Sessions.

He soon developed his own method of composing with the twelve-tone techniques of the Second Viennese School. In addition to pitch, he arranged other musical elements into a series, such as dynamics and rhythm, creating a “total serialism.” That and the introduction of other complex mathematical principals result in a dense and highly textured music. His innovations invited the attention of musicians, composers, and historians around the world, although these “complex, advanced, and problematical activities,” as he would call them, tended to alienate the public.
Babbitt has strong beliefs about his creative process and his relationship to his audience. He adopted the philosophy of Roger Sessions, who said that composers must:

abandon resolutely chimerical hopes of success in a world dominated overwhelmingly by ‘stars’, by mechanized popular music, and by the box-office standard, and set themselves to discovering what they truly have to say, and to saying it in the manner of the adult artist delivering his message to those who have ears to hear it. All else is childishness and futility.

La foto del giorno

Considerato quello che sta accadendo al là del mare e vista la mia “affezione” nei confronti della rete, questa per me è l’immagine del giorno. (click per ingrandire)

È stata scattata da Paula Nelson e pubblicata sul Boston Globe insieme ad altre 39 foto. Mostra alcuni bloggers egiziani anti-governativi che lavorano con laptop e cellulari in un angolo di Piazza Tahrir, dopo essersi procurati la corrente e aver collegato una catena di ciabatte.

Non so se afferrate la forza di questa immagine. Questi tizi, nel mezzo del casino, fanno quello che sentono di dover fare e bloggano, sia pure con grande difficoltà. Ricordiamo che, in quel famoso 27 Gennaio, il governo ha imposto alle telco il blocco delle linee adsl e wireless, cellulari compresi. Ciò nonostante, dopo qualche giorno, internet ha ripreso funzionare a singhiozzo grazie ai radioamatori e ai vecchi modem su linea telefonica fissa collegati a French Data Network che ha fornito connessioni gratuite sulle linee analogiche internazionali.

Il 2 Febbraio i collegamenti sono stati, almeno parzialmente, ripristinati (qui i dati del RIPE).

In Egitto l’età media è 24 anni e più dei 2/3 della popolazione ha meno di 30 anni. È impossibile dire adesso che cosa succederà in questo paese e nel resto del Medio Oriente, ma questo è un bel segnale che fa piazza pulita degli stereotipi culturali sulle masse arabe e delle teorie del “portare la democrazia”. La democrazia non si porta; se ce la fa, arriva (e poi non è detto che resti).

Il video che segue è Sout Al Horeya صوت الحريه “The sound of freedom” (con sottotitoli in inglese), accreditata a Moustafa Fahmy, Mohamed Khalifa, and Mohamed Shaker (ma altre fonti citano altri nomi), una delle tante canzoni nate in questi giorni e messe in rete.

 

The Transforms

Blue Gene Tyranny – The Transforms (1972 – 1992)

Within the environmental sounds were small events – rhythms, quasi-melodic inflections, ringing harmonics – a fine, sub-rosa level brought out by electronic scans called transforms’. Heard through small-band “windows”, the two channels cross-modulate each other, creating a simple field in which everything affects everything, like the body’s perceptors transducting an outside sound. The sensation of a transform is like the feeling left after a sound has ended, or a concert is over.

The transforms heard here are

  • A Dream Without Images
    The feeling behind the action. A telegraphic ringing relaxes into cascades of harmonics, acetylcholine neurons flash in the brain, calcium deposits from exploding stars leave traces in the synapses, and we dream of being helpful for no reason at all, while sferics sweep the atmosphere.
  • X Marks The Spot (Daydream)
    This music occurs simultaneously in both forward, historical time and backward, daydream time. This is analogous to interior imagination and visual perception physically sharing the same pathways only moving in opposite directions (in the occipital parietal temporal lobes). Background and foreground positions gradually cross from one world to the next, and curious illusions occur at the exact midpoint of this crossing (‘X’). “X Marks The Spot” at which the inside and the outside meet.

AGGIORNAMENTO 15/02

La particolarità di questi brani risiede nel fatto che derivano da registrazioni di suoni ambientali derivati da comuni attività giornaliere. I suoni della vita di tutti i giorni vengono isolati, trattati, a volte utilizzati come sorgenti di controllo per altri suoni. È questo modo di trovare la musica nei suoni di tutti i giorni che trovo degno di nota.

3D printed flute

Amit Zoran, del MIT Media Lab, ha creato un flauto con una stampante 3D a partire da un modello realizzato in CAD.

Per il momento, il suono è temibile a causa dei materiali utilizzati e il modello ha ancora qualche piccola imperfezione, ma si tratta di un passo notevole che potrebbe portare a grandi sviluppi sia dal punto di vista commerciale (calo dei prezzi perlomeno per gli strumenti di fascia media e bassa), sia sotto l’aspetto sperimentale, che mi interessa di più. Qui si intravvede la possibilità di progettare e testare nuovi strumenti o nuove forme per quelli tradizionali. Sarà possibile, inoltre, creare strumenti personalizzati.

Per l’utilizzo elettroacustico, il suono non è una qualità imprescindibile, essendo trasformato e creato via software e quindi la possibilità di sperimentare con forme e sonorità nuove è attraente.

Ecco il video:

Sito non raggiungibile

La delibera Agcom 668/2010 pone in consultazione un testo che mira ad introdurre un meccanismo che le consentirà di inibire completamente l’accessibilità ai siti posti fuori dal territorio italiano e di rimuovere contenuti sospettati di violare il diritto d’autore in modo automatico e prescindendo da qualsiasi requisito di colpevolezza accertato dell’Autorità giudiziaria.

In base alla delibera intitolata Lineamenti di provvedimento concernente l’esercizio delle competenze dell’autorità nell’attività di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica si instaurerebbe un sistema di cancellazione e di inibizione di siti Internet sospettati di violare il diritto d’autore, anche solo in uno dei file contenuti al suo interno. Di cui Agcom diverrebbe “garante”.

Nel concreto, l’azione dell’autorità in caso di contenuto in sospetta violazione del diritto d’autore trovato su un sito (anche se sito privato o blog senza fini di lucro, superando di fatto le limitazioni operate dall’art. 2, comma 1 del decreto Romani) si articola in quattro fasi:

  • segnalazione con richiesta di rimozione al gestore del sito o al fornitore del servizio di media audiovisivo da parte del titolare del diritto;
  • 48 ore di tempo per la rimozione dei contenuti sospetti;
  • verifica della situazione con un breve contraddittorio tra le parti;
  • infine provvedimento inibitorio “qualora risulti l’illegittima pubblicazione di contenuti protetti da copyright”.

In pratica, si può arrivare rapidamente all’oscuramento di un sito senza l’intervento di un magistrato, ma con il semplice intervento dell’AGCOM.

Anche se nel testo Agcom dice di essersi ispirata più al sistema di notice and takedown statunitense che alla dottrina dei tre colpi francese, e nonostante le smentite a tal proposito del presidente Corrado Calabrò, i dubbi circa l’attribuzione di poteri da sceriffo del Web all’Autorità delle telecomunicazioni non appaiono affatto dissipati.

Il punto è che, con questo sistema, un sito può essere bloccato semplicemente in base a una segnalazione. Non occorre che l’autorità giudiziaria accerti il reato. La magistratura viene completamente bypassata.

Nel caso questa delibera venga approvata, le sezioni di Internet che potranno essere bloccate includeranno portali informativi esteri sospettati di violare il diritto d’autore senza che ciò sia in qualche modo accertato, gran parte dei sistemi comunemente utilizzati per avere accesso alle informazioni necessarie per lo scambio di software libero e per conoscere le opere disponibili nel pubblico dominio e distribuite con licenze aperte, fino ad articoli pubblicati da giornali, banche dati di pubbliche amministrazioni e di privati, documenti riservati finiti in rete ed utili per conoscere fatti che l’opinione pubblica potrebbe non conoscere diversamente, video amatoriali e fotografie con sottofondo musicale caricate dagli utenti nelle piattaforme di condivisione, singole pagine di blog amatoriali contenenti anche un solo file in violazione del diritto d’autore.

Questo provvedimento è posto in consultazione pubblica fino al 3 Marzo, ovvero chiunque può esprimere il proprio parere, peraltro non vincolante.

Per costituire un cospicuo gruppo di pressione, varie associazioni fra cui Adiconsum, Agorà Digitale, AltroConsumo hanno creato il sito

sitononraggiungibile.e-policy.it

in cui si può aderire a una petizione contro la suddetta delibera.

Treffpunkt

Negli anni ’60, Stockhausen raccolse intorno a sè un piccolo gruppi di esecutori e tecnici con i quali lavorare e sperimentare. Con questo gruppo, che è quanto di più vicino a una ‘band’ si sia mai visto nella musica cosiddetta colta, aveva iniziato a sperimentare varie forme di improvvisazione più o meno controllata che ricadevano sotto l’etichetta di Musica Intuitiva.

Il massimo della musica intuitiva viene raggiunto nel 1968 con il ciclo Aus den sieben Tagen (dai 7 giorni: accenno evidente alla creazione). Le partiture dei 12 brani che lo compongono sono in realtà brevi testi di istruzioni sommarie che spesso richiedono all’esecutore anche un impegno meditativo non banale e a volte tale da portarlo anche vicino allo stato del Buddha («…arriva a uno stato di non pensiero…»).

Peraltro, alcuni dei brani sono decisamente belli, grazie evidentemente alla bravura degli esecutori e alla direzione di Stockhausen che partecipa alle esecuzioni.

Sul concetto di Musica Intuitiva Stockhausen afferma:

I call this music Intuitive Music, because with a text like the one for IT [citato sopra, in rosso; nota mia], one should exclude all the possible systems which are usually used for any kind of improvisation ­ if one understands the term “improvisation” in the way it has always been used. I therefore prefer the term Intuitive Music. We shall see how Intuitive Music is going to develop in the future.

Question: Were there ever any performances which ­ in your view ­ were failures?

Stockhausen: Do you mean, in which we couldn’t play at all?

Question: No, in which something was played which to your musicians’ creative sense seemed to be rubbish? Or is there such a thing as rubbish?

Stockhausen: Absolutely. The first sign of rubbish is the emergence of clichés: when pre-formed material comes out; when it sounds like something which we already know. Then we feel that it is going wrong. There is a sort of automatic recording within us, which also automatically spits out all the recorded stuff ­ also the garbage ­, and then one stops.

Question: Have you any way of eliminating acoustical rubbish from the creative process?

Stockhausen: Certainly. While playing Intuitive Music it becomes extremely obvious which musician has the most self-control; the musicians soon reveal whether they are critical, whether the physical and spiritual sides are in a certain balance etc. Some musicians are very easily confused, because they do not listen. That is the usual reason for rubbish ­ rubbish in the sense that they produce dynamic levels which erode the rest for quite some time, without realising it themselves. In certain situations some become very totalitarian, for example, and that leads to really awful situations of ensemble playing. The sounds then become extremely aggressive and destructive; they operate on a very low level of communication, and destructive elements prevail (I hope we understand one another: I do not only mean simply “ugly” or “beautiful” when I say “low” level; I mean bodily, physically destroying each other). Then they all play at once. This is one of the most important criteria, that one must constantly remind oneself: “Do not play all the time”, and “Do not get carried away to act all the time”.

After several hundred years of having been forced to play only what was prescribed by the composers, once musicians now have the opportunity ­ in Intuitive Music ­ to play all the time, they do. The playing immediately becomes very loud, and the musicians do not know how to get soft again, because everybody wants to be heard. I mean, it is easy to get loud, but how can you get soft again? Finally you think: “Nobody hears me anyway, so I might as well stop”.

These are the general principles of group behaviour, of group playing.

From: Questions and answers on Intuitive Music, vedi anche Stockhausen – Questions and answers on Intuitive Music Pt 1 e Pt 2

Qui ascoltiamo due esecuzioni di Treffpunkt (punto di incontro) il cui testo base, che risale all’8/5/1968, è il seguente:

Everyone plays the same tone

Lead the tone wherever your thoughts
lead you
Do not leave it, stay with it
Always return
to the same place

Le due esecuzioni sono state registrate nello stesso giorno (27/8/1969).

Esecutori: Aloys Kontarsky (piano), Rolf Gehlhaar (tam-tam with microphone and bamboo flute), Carlos R. Alsina (piano), Michel Portal (tenor saxophone and clarinet), Vinko Globokar (trombone), Karlheinz Stockhausen (glissando flute, short-wave receiver, 1 filter and 2 potentiometers for tam-tam).

Cosmic Womb

Somei Satoh 佐藤聰明 was born in 1947 in Sendai (northern Honshu), Japan. He began his career in 1969 with “Tone Field,” an experimental, mixed media group based in Tokyo. In 1972 he produced “Global Vision,” a multimedia arts festival, that encompassed musical events, works by visual artists and improvisational performance groups. In one of his most interesting projects held at a hot springs resort in Tochigi Prefecture in 1981, Satoh places eight speakers approximately one kilometer apart on mountain tops overlooking a huge valley. As a man-made fog rose from below, the music from the speakers combined with laser beams and moved the clouds into various formations. Satoh has collaborated twice since 1985 with theater designer, Manuel Luetgenhorst in dramatic stagings of his music at The Arts at St. Ann’s in Brooklyn, New York.

Satoh was awarded the Japan Arts Festival prize in 1980 and received a visiting artist grant from the Asian Cultural Council in 1983, enabling him to spend one year in the United States.

He has written more than thirty compositions, including works for piano, orchestra, chamber music, choral and electronic music, theater pieces and music for traditional Japanese instruments.


Somei Satoh is a composer of the post-war generation whose hauntingly evocative musical language is a curious fusion of Japanese timbral sensibilities with 19th century Romanticism and electronic technology. He has been deeply influenced by Shintoism, the writings of the Zen Buddhist scholar DT Suzuki, his Japanese cultural heritage as well as the multimedia art forms of the sixties. Satoh’s elegant and passionate style convincingly integrates these diverse elements into an inimitably individual approach to contemporary Japanese music.

Like Toshiro Mayazumi an Toru Takemitsu, the most well-known of contemporary Japanese composers outside Japan today, Satoh has succeeded in reshaping his native musical resources in synthesis with Western forms and instrumental sonorities. His work cannot, however, be considered within the mainstream of contemporary Japanese art music, for he writes in an unreservedly non- international style, remarkably free from any constraints of academism. This may be attributed to the fact that being primarily self-taught, he has never been subjected to a formal musical education. Satoh has on occasion, been referred to as a composer of gendai hogaku (contemporary traditional music). Much as Satoh is reluctant to be so classified, this assessment of his writing has some validity if one views him as reworking the traditional Japanese musical aesthetic in a broader, abstract context infusing it with a new vitality.

Minimalism, that Eastern-derived Western phenomenon born of the sixties, has much in common with the hypnotic, regular pulsations of rock. “Litania” and “Incarnation II”, among others of Satoh’s compositions which rely primarily on the prolongation of a single unit of sound, draw upon this repetitive element. In Satoh’s case, however, the repetitions are perceived more as vibrations because of the rapidity of the individual beats in conjunction with an extremely slow overall pulse. This creates the sensation of being in a rhythmic limbo, caught in a framework of suspended time which is typically Japanese. This experience can be summed up in the Japanese word ‘ma’ which may be defined as the natural distance between two or more events existing in a continuity. In contrast to the West’s perception of time and space as separate entities, in Japanese thinking both time and space are measured in terms of intervals. It is the coincidental conceptualization of these elements which is perhaps the main feature distinguishing Japan’s artistic expression from that of the West. In Satoh’s own words,

My music is limited to certain elements of sound and there are many calm repetitions. There is also much prolongation of a single sound. I think silence and the prolongation of sound is the same thing in terms of space. The only difference is that there is either the presence or absence of sound. More important is whether the space is “living” or not. Our [Japanese] sense of time and space is different from that of the West. For example, in the Shinto religion, there is the term ‘imanaka’ which is not just the present moment which lies between the stretch of past eternity and future immortality, but also the manifestation of the moment of all time which is multi-layered and multi-dimensional …. I would like it if the listener could abandon all previous conceptions of time and experience a new sense of time presented in this music as if eternal time can be lived in a single moment.

(from the liner notes by Margaret Leng Tan to New Albion’s release, “Litania” NA008)

Listen to

  • Somei Satoh 佐藤聰明 – Cosmic Womb (1975), for 2 pianos with digital delay – Margaret Leng Tan, piano

Somei Satoh page on Facebook and on wikipedia.

In The Name of the Holocaust

John Cage – In The Name of the Holocaust (1942), for prepared piano.

Like much of Cage’s early dance music (this to accompany a piece by Merce Cunningham), In the Name of the Holocaust was written for what Cage would later refer to as a ‘prepared piano’: a piano with screws, bolts, or other materials placed between certain strings to create a percussive effect.

The music features a number of new piano techniques, many of which Cage borrowed from his teacher Henry Cowell: notes held open for resonance, muted and plucked strings, and clusters played with the arm and flat of the hand. The title references World War II and comes from a pun on the Catholic liturgical phrase “In the Name of the Holy Ghost” found in James Joyce’s novel Finnegans Wake.

John Cage – In The Name of the Holocaust (1942), Margaret Leng Tan, piano

Shadowtime


Shadowtime is an opera by Brian Ferneyhough dedicated to Walter Benjamin (first performance at the 2004 Munich Biennale).

Brian Ferneyhough’s vision of a philosopher – Walter Benjamin – in the Underworld…
Described as a “thought opera”, Brian Ferneyhough’s Shadowtime sets Charles Bernstein’s inventive and complex libretto based on the work, life and imagined death of philosopher and cultural critic Walter Benjamin: it includes a movement for a speaking pianist – Opus contra naturam, the opera’s fourth scene – a guitar concerto (Scene II) and ends in an ethereal haze of voices and electronics, Stelae for Failed Time.

A philosopher, a sociological and cultural critic, born to a wealthy Jewish family, Benjamin represented in his writings a unique, one might say mystical, synthesis of Marxism and Jewish mysticism. Bertolt Brecht, Georg Lukacs and Gershom Scholem were friends of his, representing these two strands. His most famous work is probably the essay “The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction,” and he was loosely affiliated with the Frankfurt School through Theodor Adorno. Benjamin was either killed or more likely committed suicide at the Spanish border while attempting to belatedly flee Nazi Germany.

Ferneyhough explains that he selected Benjamin for the subject of his first and only opera because he was neither hero, like Orpheus, nor anti-hero, like Wozzeck, but something more complex. Says Ferneyhough, “The image of a coherent whole is no longer accessible to us, because mediators and power itself have reduced it to tiny fragments.” Shadowtime is composed mainly of small fragments and short movements.

More on Musicweb here and here.

Listen to three excerpts from Shadowtime

 

Saturne

Hugues Dufourt  – Saturne (1979), per 12 fiati, 6 percussioni, 2 chitarre elettriche, 2 organi elettrici e suoni elettronici.

Questo brano ha una storia particolare. Come racconta Dufourt

Ho creato, con Murail, una organologia elettronica, un insieme di strumenti. Data l’epoca [1979], abbiamo optato per le tecniche analogiche con qualche concezione modulare. Ma poi è stato sviluppato l’elaboratore come strumento compositivo e nel giro di 5 anni ha spazzato via tutto. Credevo di fare un’opera storica e invece mi sono completamente sbagliato.

Abbiamo fatto dei miracoli tecnici per ricostruirla. Se non altro per identificare il problema che era al tempo storico, tecnologico e di restauro. Non era possibile né digitalizzare integralmente i risultati sonori, né ricostruire gli strumenti dalla A alla Z. È solo grazie a dei suoni rielaborati 15 anni fa, quando ancora la memoria era fresca, che ci siamo salvati.

Saturne è l’immagine di una terra desolata, con sonorità fredde e lontane, ma affascinanti, che evolvono lentamente, come testimonia la durata (circa 43 minuti).

Ivor Darreg

darregIvor Darreg (vero nome Kenneth Vincent Gerard O’Hara; 1917 – 1994, contemporaneo di Harry Partch) è stato uno dei pionieri della musica microtonale, nonché inventore di appositi strumenti.

Ecco due dei suoi brani tratti dalla sua, a mia conoscenza, unica incisione: Detwelvulate!

Liste di proscrizione

C’ è aria di censura, nel Veneto leghista. Gli scrittori pro-Battisti, prima genericamente ostracizzati da un assessore della provincia di Venezia, ora vengono messi al bando nelle scuole. Mentre nelle biblioteche comunali, nel silenzio generale, stanno sparendo le opere degli autori politicamente scomodi.
«Non chiediamo nessun rogo di libri, intendiamoci. Semplicemente inviteremo tutte le scuole del Veneto a non adottare, far leggere o conservare nelle biblioteche i testi diseducativi degli autori che hanno firmato l´appello a favore di Cesare Battisti», dice l´assessore regionale all´istruzione Elena Donazzan, 39 anni di Bassano del Grappa, pidiellina fervente cattolica, con alle spalle una militanza nel Fronte della Gioventù e un passaggio in An. «Un boicottaggio civile è il minimo che si possa chiedere davanti ad intellettuali che vorrebbero l´impunità di un condannato per crimini aberranti», sbotta annunciando una lettera a tutti i presidi.
La sua crociata arriva dopo la “sparata” dell´assessore alla cultura della Provincia di Venezia, Raffaele Speranzon, che aveva detto: «Via quegli autori dalle biblioteche pubbliche». Ora a chiederne ufficialmente la censura nelle scuole è l´assessore regionale. Al suo fianco il presidente della Regione Luca Zaia, che definisce la vicenda Battisti «abominevole». E tuona: «I delinquenti vanno messi in galera, non lasciati liberi».
Intanto casi di censura leghista, strisciante o esplicita, vengono denunciati da alcuni bibliotecari veneti. A venire sconsigliati sono (soprattutto) i libri di Roberto Saviano. [neretto mio] Nei giorni successivi alla messa in onda di Vieni via con me e alla polemica con Maroni il dirigente di una biblioteca in provincia di Treviso ha segnalato che il sindaco leghista non gradiva si tenessero i libri dell´autore di Gomorra: presenti in catalogo, ma spariti dagli scaffali.

Fonte Repubblica del 20/01/2011, ma la notizia è nota.

Aggiornamento dal Corriere Veneto: l’assessore regionale all’Istruzione, la pdl  Donazzan, dichiara che, con il placet dello stesso Governatore Zaia, scriverà una lettera a tutti i Presidi del Veneto ( e attraverso di loro agli insegnanti), invitandoli a non diffondere tra i giovani le opere degli autori messi al bando. A chi le contesta di operare una censura, risponde che la sua non è un’imposizione  ma un “indirizzo politico”.

Elenco assolutamente parziale di alcuni dei titoli che dovrebbero essere eliminati dalle biblioteche e dalle scuole tratto dal blog di Loredana Lipperini.

  • Agamben Giorgio: L’uomo senza contenuto, Rizzoli; La comunità che viene, Einaudi; L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri; Il giorno del giudizio, Nottetempo; Profanazioni, Nottetempo; Nudità, Nottetempo; La Chiesa e il Regno, Nottetempo.
  • Balestrini Nanni: Poesie pratiche, antologia 1954-1969, Einaudi: Tristano, Feltrinelli; Vogliamo tutto, Feltrinelli; Gli invisibili, Bompiani, L’editore, Bompiani, I furiosi, Bompiani, Una mattina ci siam svegliati, Baldini & Castoldi; La Grande Rivolta; Bompiani; Sandokan, Einaudi.
  • Benedetti Carla Pasolini contro Calvino: per una letteratura impura, Bollati Boringhieri; L’ombra lunga dell’autore. Indagine su una figura cancellata, Feltrinelli; Il tradimento dei critici, Bollati Boringhieri;
  • Bernardi Luigi: Erano angeli, Fernandel; Vittima facile. Una storia criminale, Zona; Atlante freddo. Trilogia criminale, Zona; Senza luce, Perdisa Pop; Fuoco sui miei passi, Senzapatria.
  • Bertante Alessandro: Al diavul, Marsilio.
  • Biondillo Gianni: Per cosa si uccide, Con la morte nel cuore, Il giovane sbirro, Nel nome del padre, Guanda.
  • Cacucci Pino: Outland rock, Transeuropa, Puerto Escondido, Mondadori; San Isidro Futbòl, Feltrinelli; Punti di fuga, Feltrinelli; In ogni caso nessun rimorso, Feltrinelli; Demasiado corazón, Feltrinelli; Nahui , Feltrinelli; Sotto il cielo del Messico, Feltrinelli; La giustizia siamo noi , Rizzoli.
  • Carlotto Massimo: Il fuggiasco, e/o; La verità dell’Alligatore, e/o; Le irregolari, e/o, Nessuna cortesia all’uscita, e/o; Arrivederci amore, ciao, e/o; L’oscura immensità della morte, Roma, Edizioni e/o; Nordest, e/o; L’amore del bandito, e/o.
  • Dazieri Sandrone: Attenti al gorilla, Mondadori, La cura del Gorilla, Mondadori, Gorilla blues, Mondadori; Il Karma del gorilla; È stato un attimo. Mondadori; La bellezza è un malinteso; Mondadori.
  • De Michele Girolamo. Tre uomini paradossali, Einaudi; Scirocco, Einaudi, La bellezza del cieco, Einaudi, La scuola è di tutti, Minimum Fax.
  • Di Monopoli Omar. Uomini e cani, Ferro e fuoco, La legge di Fonzi, ISBN
  • Evangelisti Valerio. Nicolas Eymerich, inquisitore, Le catene di Eymerich, Il corpo e il sangue di Eymerich, Il mistero dell’inquisitore Eymerich, Cherudex, Picatrix, Il castello di Eymerich, Mater Teribilis, La Sala dei Giganti, La luce di Orione, Rex tremendae maiestatis (tutti Mondadori); Metallo urlante, Black Flag, Einaudi; Il collare di fuoco, Il collare spezzato, Tortuga, Veracruz,Noi saremo tutto, Mondadori.
  • Ferrario Davide: Sangue mio, Feltrinelli.
  • Genna Giuseppe. Catrame, Nel nome di Ishmael, Non toccare la pelle del drago, Grande Madre Rossa, Hitler, Le teste, Mondadori; Assalto a un tempo devastato e vile, Minimum Fax; L’anno Luce, Marco tropea; Italia De Profundis, Minimum Fax.
  • Grimaldi Laura: La paura, Sospetto, Mondadori. Perfide storie di famiglia, Marco Tropea Editore,
  • Lipperini Loredana. La notte dei blogger, Einaudi, Ancora dalla parte delle bambine, Non è un paese per vecchie, Feltrinelli.
  • Monina Michele: Furibonde giornate senza atti d’amore, Pequod, I Demoni, Pequod, Vasco Chi?, Marco Tropea.
  • Moresco Antonio: Lettere a nessuno, Einaudi, Gli esordi, Feltrinelli, Canti del caos, Mondadori, Lo sbrego, Rizzoli, Gli incendiati, Mondadori.
  • Pennac Daniel: Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola, Signor Malaussène, La passione secondo Thérèse, Ultime notizie dalla famiglia, Come un romanzo, Diario di scuola, Feltrinelli.
  • Philopat Marco. Costretti a sanguinare, La Banda Bellini, I viaggi di Mel, Shake; Roma k.o. Romanzo d’amore droga e odio di classe, Agenzia X.
  • Quadruppani Serge. L’assassina di Belleville, La breve estate dei colchici, La notte di Babbo Natale, Mondadori, In fondo agli occhi del gatto, Y, Marsilio.
  • Raimo Christian. Latte, Dov’eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? , Minimum Fax.
  • Scarpa Tiziano. Occhi sulla graticola, Einaudi, Kamikaze d’occidente, Rizzoli, Stabat Mater, le cose fondamentali, Einaudi.
  • Serino Gian Paolo Usa & getta. Fallaci e Panagulis. Storia di un amore al tritolo Aliberti
  • Vauro . La satira alla guerra, Vita e morte della DC. Foglio di via. Manifestolibri, Il papa è morto, Baldini Castoldi Dalai, Appunti di guerra. Pensieri e vignette di un mese sotto le bombe. Terre di Mezzo Editore, Kualid che non riusciva a sognare. Piemme, Sangue e cemento, con Marco Travaglio. Editori Riuniti, Farabutto. Piemme.
  • Voce Lello Singin’ Napoli cantare , Ripostes, Eroina, Transeuropa, Farfalle da combattimento, Bompiani, Il Cristo elettrico, No Reply.
  • Wu Ming. Q, Asce di guerra, 54, Manituana, Altai, Einaudi

X di Cory Doctorow

Prima di tutto sappiate che questo libro, che in italiano assume il titolo di X, altro non è che Little Brother. Un testo che, dal 2008, gira tranquillamente in rete essendo distribuito sotto licenza Creative Commons (non commercial, share alike). Chi legge correntemente l’inglese può scaricarlo gratuitamente qui, in una miriade di formati.

L’autore, Cory Doctorow, è giornalista, attivista dei diritti civili, ex responsabile europeo della Electronic Frontier Foundation e ben noto come paladino della libertà della rete.

Di conseguenza, X non è un avvincente romanzo, anzi, sotto questo punto di vista lascia a desiderare. Per forza di cose, la trama non è fra le più originali, la prosa è di tipo giornalistico più che letterario e può dirsi avvincente solo per un nerd minorenne.

Ciò nonostante, leggerlo fa bene in quanto è un ottimo testo didattico sul come e perché un governo possa far fuori i diritti fondamentali dei propri cittadini e su come si possa organizzare il dissenso nell’era digitale.

Partendo da un attentato stile 9/11 localizzato nella Bay Area invece che a New York, Cory Doctorow delinea, in forma romanzata, ma con lucidità, la reazione governativa: una prima botta di arresti in massa seguita da una progressiva riduzione delle libertà civili in nome della sicurezza. In pratica, la politica interna americana durante la presidenza Bush. Un film che abbiamo già visto e che crediamo di conoscere. Tuttavia è istruttivo vedere come, anche in un sistema in cui i diritti fondamentali sono chiaramente sanciti da un apposito documento costituzionale, si possa diffondere, soprattutto grazie ai media, una specie di malattia autoimmune che porta la società civile ad annullarsi rinunciando volontariamente ai propri diritti costituzionali.

Il libro fa riflettere anche perché mostra come molte delle comodità digitali che possediamo possano trasformarsi rapidamente in sistemi di controllo. Personalmente, rifletto spesso sulla privacy e essendo un informatico, conosco i meccanismi della sicurezza, così molte delle cose descritte nel testo, come il tracciamento dei nostri movimenti in rete, la possibilità di evidenziare percorsi e comportamenti anomali, le informazioni ricavabili dai cellulari e dall’uso delle carte di credito mi erano già note. Ciò nonostante sono rimasto colpito da quanto poco ci voglia per trasformare in strumenti di controllo anche sistemi di uso comune.

Prendete, per esempio il Telepass. Oggi serve quasi esclusivamente per entrare in autostrada e al limite in qualche centro storico o parcheggio, ma è semplicissimo piazzare altri sottosistemi fissi (RSE: l’apparecchio di ricezione del segnale emesso dall’OBU, on board unit) nelle principali strade in modo da rilevare quasi tutti i movimenti dei veicoli.

Tutto questo conduce al problema degli RFID (Radio Frequency IDentification; lo stesso Telepass è un RFID attivo) che ormai vanno diffondendosi in modo massiccio. Sono stati adottati anche sui nuovi passaporti dell’EU (Italia compresa), sono leggibili e scrivibili a distanza senza entrare fisicamente a contatto con il lettore e sono ricchi di informazioni (quello sul passaporto, per esempio, contiene l’intera storia delle entrate e uscite dal paese). Vengono ormai piazzati anche su determinate smartcard che consentono di pagare il biglietto di bus e metropolitana nelle principali città.

In modo analogo, però, i sistemi digitali possono essere sfruttati per nascondersi o confondere chi li traccia. Le comunicazioni via internet possono sfruttare reti che mantengono l’anonimato, i dati degli RFID possono essere manipolati, i sistemi di identificazione possono essere confusi.

Questo scontro è il vero tema del libro e occorre aggiungere che anche i pochi particolari tecnici sono spiegati chiaramente e alla portata del lettore medio non nerd. Consigliato a tutti; quasi obbligatorio per i più giovani. Si legge rapidamente (mi ha preso parte del tempo libero degli ultimi 3 giorni). Da inserire nelle biblioteche scolastiche, dove, proprio per questo, non si troverà.

Timepieces

Jonathan Harvey – Timepieces (1987)

In questo brano Harvey sperimenta la coesistenza di diversi tempi metronomici. A differenza di Gruppen di Stockhausen, che utilizza tre orchestre, ciascuna con il suo direttore, l’orchestra di Harvey è unica, ma esistono due direttori che battono diversi tempi con diversi metri e agli esecutori si chiede di seguire ora l’uno, ora l’altro. Inoltre il pianoforte segue una sua propria scansione temporale, cosicché vengono a sovrapporsi tre tempi.

Nel secondo movimento i due direttori si sincronizzano gradualmente, mentre nel terzo sono liberi di improvvisare sui propri tempi e metri.

Complaintes de marée basse

Il solito d’incise (Laurent Peter) insieme al percussionista Cyril Bondi (con cui forma il duo Diatribes) e ad Abdul Moimême, membro attivo della scena portoghese della musica improvvisata, ha registrato questo Complaintes de marée basse: sette improvvisazioni caratterizzate da atmosfere sospese, per me piuttosto intriganti ed emozionali.

Il tutto è stato registrato a Lisbona il 28 e 29 Agosto 2009.

La formazione è:

  • abdul moimême: two prepared guitars, metalic objects, springs, cymbals, metronome
  • d’incise: laptop, objects, various instruments, snare drums, bow, cymbals, gramophone
  • cyril bondi: drums, percussions, bow, cymbals, objects, small instruments

Un brano: diatribes & abdul moimême – complaintes de marée basse

Download

Rapture

Anna Clyne (1980) – Rapture (2005), per clarinetto in Sib con distorsore e suoni elettronici

Altri brani su Soundcloud

 

Kreuzspiel

Stockhausen è stato uno dei principali esponenti di quella scuola di Darmstadt che, nell’immediato dopoguerra, proponeva il serialismo integrale come tecnica organizzativa musicale storicamente necessaria. Nello stesso tempo, però. è stato uno dei primi a staccarsene, se non a livello programmatico, almeno come dato di fatto compositivo.

Per lui, il problema maggiore insito nel serialismo integrale e nel puntillismo è la staticità. È evidente, infatti, che la dispersione dei parametri attuata con questa tecnica implica l’assenza pressoché totale di evoluzione: se per ogni nota, durata e dinamica si deve seguire una serie che forza all’utilizzo di tutti i valori prima di una qualsiasi ripetizione, è evidente che il brano risultante difficilmente potrà avere una evoluzione interna, ma sarà solo la rappresentazione della sua organizzazione.

Questo fatto, in sé, non è necessariamente un male e non è nemmeno un effetto collaterale imprevisto. Il serialismo, infatti, nega l’evoluzione interna per contrapporsi all’estetica romantica e post-romantica in cui i brani hanno uno sviluppo drammatico, cioè cercano di far compiere all’ascoltatore un percorso emozionale, cosa che è considerata superata da Webern e dai suoi seguaci. Per questi ultimi, infatti, la musica deve rappresentare soltanto sé stessa e il proprio modello organizzativo. La cosa non è nuova: questa idea è comune anche a molta musica pre-romantica, basti pensare all’Arte della Fuga.

L’assenza di sviluppo, tuttavia, per Stockhausen è un problema e già nei suoi primi lavori escogita dei metodi spesso ingegnosi per aggirarlo, pur continuando a utilizzare la tecnica seriale. Per poterlo fare, deve agire su quei pochi parametri che non sono coinvolti nell’ossessione organizzativa integrale il più evidente dei quali è il registro in cui le note appaiono.

schemaPer esempio, in Kreuzspiel, per oboe, clarinetto basso, pianoforte, 3 percussionisti (1951), lo sviluppo è confinato alla dimensione dell’ottava, ma esiste. All’inizio del brano (in realtà da batt. 14 in quanto il processo è preceduto da una breve introduzione), 6 note della serie appaiono nelle ottave superiori e le altre 6 in quelle inferiori; le ottave centrali sono vuote.

Nel corso delle prime 6 esposizioni della serie (corrispondenti alle prime 6 righe del quadrato di permutazione), molte note cambiano registro e si infiltrano nelle ottave centrali, un processo che viene reso più evidente anche dall’aumentato uso dei legni rispetto al pianoforte (l’idea iniziale era di impiegare voci femminile e maschile), fino al punto in cui, alla fine della 6a riga del quadrato di permutazione, tutte le ottave sono riempite in modo uniforme.

Poi, con le 6 righe seguenti, le note si ritirano nuovamente verso i registri estremi, ma effettuando un incrocio tale per cui le note che all’inizio si trovavano nel registro acuto finiscono in quello grave e viceversa. Questo processo è evidente all’ascolto e, se si considera che dà anche il titolo al pezzo, si può immaginare quale sia la sua importanza per il compositore.

Il lettore interessato può cliccare sull’immagine a destra ed esaminare lo schema dell’intero processo.

Focaccina Num. 1

Bun No. 1 (trad. focaccina, ciambella, panino) è un brano del 1965, composto da Cornelius Cardew durante i suoi studi con Goffredo Petrassi come esercizio finale per il corso di perfezionamento in composizione.

Si tratta, per quanto ne so, di un lavoro seriale per orchestra senza percussioni. Un brano affascinante, molto timbrico, che rivela un aspetto di Cardew quasi sconosciuto anche perché questo pezzo non era stato praticamente mai eseguito fino alla prima londinese curata dalla Scottish Symphony Orchestra diretta da Ilan Volkov per la BBC il 20 Agosto 2010.

Ma perché Bun? in Contact no.26 (Spring 1983), John Tilbury ha spiegato

[Cardew} gave me two off-the-cuff reasons when I asked him: a bun is what you give to an elephant at the zoo, and that was how he felt when he gave the work to an orchestra to play; and the piece is like a bun – filling but not substantial!

Non badate all’immagine che con questo brano non c’entra assolutamente nulla

Simmetrie menomate

Crippled Symmetry, del 1983, è uno dei lavori di lunghezza epica tipici dell’ultimo Feldman. Circa 90 minuti; niente in confronto alle 5/6 ore del Secondo Quartetto, composto nello stesso anno.

Ciò nonostante, per la sua durata e per i limitati elementi musicali di cui fa uso, questo brano richiede un ascolto di tipo ben diverso da quello della musica da camera tradizionale o anche contemporanea.

L’aggettivo crippled significa “menomato, storpio”, ma anche “paralizzato, bloccato, danneggiato”. Ed è in questo senso che vanno cercate le simmetrie all’interno del brano. I tre esecutori, uno al flauto e flauto basso, uno a glockenspiel e vibrafono, il terzo al pianoforte e alla celesta, suonano brevi frammenti ripetuti che variano gradualmente nel tempo dando vita a schemi ritmici complessi in cui la coordinazione fra gli esecutori si palesa per un istante, per poi scomparire e dar vita ad un nuovo schema.

Tuttavia non si tratta di minimal music. Il lavoro di Feldman è lontano dagli stilemi di Reich, Glass e compagni, così come da quelli di Arvo Pärt o Giya Kancheli. In uno scritto del 1981, Feldman affermava che

Music can achieve aspects of immobility, or the illusion of it.

e poi

The degrees of stasis, found in a Rothko or a Guston, were perhaps the most significant elements that I brought to my music from painting.

Molti critici avvicinano il processo evolutivo di questi ultimi brani di Feldman a quello, lentissimo e invisibile, ma inesorabile, dei ghiacciai o delle entità geologiche. Personalmente, visto che in questi giorni mi trovo in luogo isolato circondato dalla natura (mi collego saltuariamente con un misero gsm), tendo a paragonarlo alla lenta mutazione invernale delle piante a confronto della quale sembra perfino veloce.

Wind Chimes

Dennis Smalley – Wind Chimes (1987)

The main sound source for Wind Chimes is a set of ceramic chimes found in a pottery during a visit to New Zealand in 1984. It was not so much the ringing pitches which were attractive but rather the bright, gritty, rich, almost metallic qualities of a single struck pipe or a pair of scraped pipes. These qualities proved a very fruitful basis for many transformations which prised apart and reconstituted their interior spectral design. Taking a single sound source and getting as much out of it as possible has always been one of my key methods for developing sonic coherence in a piece. Not that the listener is supposed to or can always recognize the source, but in this case the source is audible in its natural state near the beginning of the piece, and that ceramic quality is never far away throughout. Eventually, complementary materials were gathered in as the piece’s sound-families began to expand, among them a bass drum, very high metallic Japanese wind chimes, resonant metal bars, interior piano sounds, and some digital synthesis. The piece is centered on strong attacking gestures, types of real and imaginary physical motion (spinning, rotating objects, resonances which sound as if scraped or bowed, for example), contrasted with layered, more spacious, sustained textures whose poignant dips hint at a certain melancholy.

Wind Chimes was composed in the Electroacoustic Music Studio of the University of East Anglia (UK) in 1987, with computer sound transformations carried out on the digital system of Studio 123 of the Groupe de recherches musicales (GRM) in Paris (France) in 1986. It was premiered during the Electric Weekend at the Queen Elizabeth Hall in London on September 11, 1987. This piece was first released in 1990 on the Computer Music Current #5 compact disc on the Wergo label (WER 2025-2). Wind Chimes was commissioned by the South Bank Centre, London (UK).

Traiettoria…deviata

Ecco la prima parte di Traiettoria, le altre essendo Dialoghi e Contrasti, di Marco Stroppa.

Note di programma

Traiettoria per pianoforte e suoni generati al computer è un ciclo di tre pezzi Traiettoria…deviata, Dialoghi, Contrasti, composta tra il 1982 e 1984 e della durata di circa 45′.

Traiettoria può essere considerato come un concerto per pianoforte e orchestra, dove i suoni sintetici sostituiscono l’orchestra. In questo lavoro, il rapporto tra suoni sintetici e suoni concreti del pianoforte a volte è progettato in modo che si fondano in un’unica immagine e sensazione. Timbri inarmonici e armonia, in altre parole, “illusione” e realtà, tendono spesso a fondersi e trasformarsi l’una nell’altra.

La disposizione del pianoforte e del dispositivo di amplificazione è stata studiata con molta attenzione. I suoni sintetici provengono sia da un altoparlante posizionato sotto il piano che interferisce con la tavola armonica e le corde, sia da più altoparlanti disposti intorno al pubblico. A seconda alla soluzione scelta il volume del suono è ridotto oppure circonda il pubblico da tutti i lati in un impulso costante per tutto il pezzo. Per ragioni di equilibrio anche il pianoforte è amplificato.

La regia sonora di Traiettoria in concerto serve a modellare il suono sintetico in base alla partitura e alle caratteristiche acustiche della sala. Deve essere assicurata da un musicista la cui importanza è pari a quella del pianista.

Aura

Aura è il titolo del primo quartetto del compositore spagnolo Tomás Marco (1942).

Composto nel 1968/69, questo brano si è fatto notare per essere basato quasi esclusivamente su una sola nota, eseguita su varie ottave, con diversi modi di attacco, timbriche e sonorità a formare un tessuto cangiante nonostante l’esiguità del materiale.

Tomás Marco – Aura (1968-69) – Streichquartett Nr. 1 – Arditti Quartet

Ngram Viewer

Tanto per dimostrare la potenza di un database, anche quando viene utilizzato in modo non particolarmente raffinato, per esempio su base puramente statistica, questa è una delle più recenti creazioni di Google.

L’Ngram Viewer interroga una base dati costituita da 5.2 milioni di libri, un subset dei 15 milioni digitalizzati da Google, e quantifica le ricorrenze di una parola o una frase in un arco di tempo di 200 anni (dal 1800 al 2000).

Per esempio, il grafico qui sotto (clicca per ingrandire), presenta le ricorrenze della parola “terrorism” fra il 1800 e il 2007 mostrando che il massimo, lo 0.002%, è situato negli anni poco dopo il 2000 (ovviamente), con un altro picco nel 1980.

Si possono cercare anche frasi e più parole o frasi separate da virgole. I risultati sono in percentuale, quindi normalizzati rispetto alla quantità di libri.

Istruzioni ufficiali qui.

Zodiac

coverDal fascinoso Zodiac, del percussionista inglese Frank Perry, il segno di Natale: Capricorno

Recensione da Amazon

Each of the 12 tracks on this album corresponds to a sign of the Zodiac and is composed of a series of vibrating bells, gongs, chimes, and petalumes (vibrating discs) among other atonal instruments. Perry’s unique, transcendent style has evolved from his origins as a free-jazz musician, and he uses that genre’s approach to deconstructing Western ideas of music for an Eastern effect. The songs aren’t played so much as conjured up out of the silence, slowly and beautifully, until various vibrational frequencies come together as one, then drift apart back into the abyss. This is perfect accompaniment for meditators to “Om” along to, harmonizing with the interlocking drones as a tool for aligning chakra energy and reaching a state of supernal calm. Perry’s instincts as a formally trained Western musician, along with his knowledge and passion for Eastern philosophy, unite on ZODIAC, making this a fine auditory gateway into the realm of the spirit.

Niagara senza acqua

Ecco alcune rare (!) immagini della cascate del Niagara senza l’acqua.

Nel Giugno 1969, il ramo americano del fiume venne deviato per vari mesi. Il progetto era di rimuovere dalla base della cascata l’ammasso di rocce che si era depositato. I lavori vennero portati avanti fino a novembre quando furono interrotti per mancanza di fondi.

Click to enlarge. Altre immagini qui.

Regali di Natale

Fra le varie proposte viste sulla rete, vi consiglio queste.

Gramophone Mini Recorder


.

Purtroppo a questo sito non si può accedere dall’Italia. Forse possono vendere solo negli USA. Ci sono arrivato con un proxy. Però ne varrebbe la pena, guardate l’immagine. Trattasi di:

Dragon Computer Speakers


Un telefono a forma di teschio. Oltre a suonare, gli occhi lampeggiano.

Skull Phone


Mini umidificatore R2D2 alimentato via USB


Oggetto per rompere le uova senza far cadere il guscio


Yumbots


Ingranditore wireless da pagina a schermo (anche da Amazon)


Macchinina che segue la traccia disegnata da voi


iPad Arcade Cabinet. NB: il joystick e i pulsanti funzionano.


Telecomando universale su iPhone e iPod Touch


Micro MP3 player


Farfalla robot


Robot che raccoglie oggetti


Hub con 80 porte USB


Set per dormire come un senzatetto. Provate l’ebbrezza.


Six Flags

Il parco dei divertimenti Six Flags New Orleans, che fa parte di una catena diffusa nelle principali città degli USA, è stato distrutto dall’uragano Katrina nel 2005. Da allora è abbandonato. La sua demolizione è prevista per Gennaio 2011, ma secondo wikipedia è in atto un tentativo di salvataggio.

Questo video è stato girato in Ottobre 2010 da Teddy Smith. La musica è vagamente pink-floydish, un po’ banale, ma, in  un’ottica tradizionale, non sta male (o almeno, è sicuramente superiore alla media dei filmati su You Tube). Il film, però, è bello anche nel silenzio più completo. Conviene vederlo in HD a schermo pieno.

Come ci raccontano le cose…

Dunque, avrete tutti sentito che Assange, il rappresentante pubblico di WikiLeaks, è in carcere in UK perché accusato di stupro in Svezia.

Bene, non è così. Ufficialmente Assange è accusato di “sesso a sorpresa” (sex by surprise), un reato che esiste solo in Svezia e che consiste nel non aver condotto un rapporto sessuale come concordato con la partner.

Nel caso specifico, Assange non avrebbe indossato il profilattico, come invece aveva richiesto la sua partner e si sarebbe poi rifiutato di sottoporsi a un esame sulle malattie trasmissibili per via sessuale.

Il reato si estingue pagando una sanzione pari a circa 715 dollari, ma prima deve subire un processo.

Fonte: AOL News

Zeitgeist 2010

Google ha pubblicato il suo Zeitgeist 2010, lo spirito dei tempi desunto dalle parole introdotte nel suo motore di ricerca.

Se si guarda il segmento dedicato all’Italia, alcuni dei risultati sono:

Le parole più cercate in assoluto:

  1. facebook
  2. youtube
  3. libero
  4. meteo
  5. giochi
  6. streaming
  7. google
  8. yahoo
  9. corriere
  10. alice

I termini di crescente popolarità:

  1. chatroulette
  2. sarah scazzi
  3. stipendi pa
  4. waka waka
  5. mondiali 2010
  6. video mediaset
  7. il fatto quotidiano
  8. autoscout24
  9. megavideo
  10. google traduttore

I termini di crescente popolarità cercati tramite cellulari e smartphone

  1. ipad
  2. pietro taricone
  3. waka waka
  4. iphone 4
  5. mondiali 2010
  6. avatar
  7. ovi
  8. google traduttore
  9. sanremo
  10. classifica serie a

I termini economico-sociali

  1. manovra finanziaria 2010
  2. maturità 2010
  3. stipendi PA
  4. modulistica INPS
  5. prove invalsi
  6. pec
  7. agenzia delle entrate
  8. gdf
  9. servizio civile nazionale
  10. sportello immigrati

I termini più cercati associati alla parola “significato”

  1. bunga bunga
  2. kippah
  3. waka waka
  4. networking
  5. probiviri
  6. concussione
  7. bischero
  8. sarcasmo
  9. namasté
  10. shoah

Due osservazioni banali. Mi lascia un po’ perplesso il fatto che la gente vada su google per cercare “google”. Inoltre, mi sconvolge un po’ il fatto che la gente non conosca il significato di probiviri, concussione, sarcasmo e shoah.

Anche Yahoo ha pubblicato il proprio compendio che si intitola, più modestamente, “I Fatti dell’Anno“.

Mottetto

Paul-Heinz Dittrich (born 1930)
Motette für 2 Gitarren und elektronische Klänge – 1980
( MOTET FOR 2 GUITARS AND ELECTRONIC SOUNDS written 1980 )

Dieter Rumstig – Gitarre
Barbara Richter – Gitarre

Il deserto danese

Questo è il faro abbandonato di Rubjerg Knude, penisola dello Jutland, Danimarca. È stato costruito nel 1899 e ha funzionato fino al 1968. Dopo la chiusura, i due edifici adiacenti erano diventati un museo e un bar.

Ma lentamente, tutto il complesso è stato ingoiato da una duna mobile che si sposta di circa 9 metri l’anno a causa del forte vento e nel 2002 è stato definitivamente abbandonato.

Cliccare le immagini per ingrandire
coordinate : 57°26’56.02″N 9°46’27.66″E
google map

J.S. Bach – Opera completa per organo

Potete scaricare l’opera completa per organo di J.S. Bach, in modo perfettamente legale da qui.

Se invece vi interessano solo alcuni capolavori andate qui.

Si tratta di esecuzioni di James Kibbie registrate con l’organo barocco di Leipzig e messe a disposizione del pubblico dall’Università del Michigan. Codifica AAC a 256 kbps.

Ōtomo Yoshihide

Yoshihide Otomo (大友 良英, Ōtomo Yoshihide, born August 1, 1959 in Yokohama, Japan) is a Japanese composer and multi-instrumentalist.

He first came to international prominence in the 1990s as the leader of the noise rock group Ground Zero, and has since worked in a variety of contexts, ranging from free improvisation to noise, jazz and contemporary classical. He is also a pioneering figure in the EAI-scene, and is featured on important records on labels like Erstwhile Records. He plays guitar, turntables, and electronics.

Otomo Yoshihide guitar solo Tokyo 1994

Electric Dragon 80.000 V

La mitica, lunga scena tratta da Electric Dragon 80.000 V, film di Gakuryū (Sogo) Ishii del 2001, in cui il protagonista, che si è beccato una mega-scossa da giovane scalando un traliccio, si ritrova in grado di emettere scariche elettriche dai pugni mentre, in stato di intensa eccitazione, rivive le sue esperienze con la corrente e poi si lancia sulla chitarra elettrica (vedi scena da 6’40”).

Vi consiglio vivamente il film. Ecco il plot, demenzialmente tradotto dal giapponese con google translate (del 2010; oggi sperabilmente dovrebbe essere migliore)

Un giovane ragazzo viene scosso con energia elettrica mentre sta salendo un pilone alto cavo. Mentre si invecchia, si inserisce intense esperienze di violenza in cui i bulloni di Burt energia elettrica da pugni. Altrove a Tokyo, c’è un mago dell’elettronica che avviene anche per essere un vigilante con un gusto per le armi elettriche. Quando la coppia di cattura di ogni altro l’attenzione, il risultato è una battaglia che si accende la città

Pyrophone

Il pyrophone è l’organo a gas o organo termoacustico. In questo strumento, come nell’organo normale, c’è una canna per ogni nota, ma l’aria fluisce attraverso le canne non grazie a un motore, bensì creando una differenza termica fra la parte bassa e quella alta della canna.

Riscaldando la parte bassa con una fiamma, l’aria calda si muove rapidamente verso l’alto creando il flusso che provoca il suono. In questo, è simile al calliope a vapore, con la differenza che in quest’ultimo, la combustione è esterna alla canna, mentre nel pyrophone è interna.

Ecco un video del pyrophone. Impressionante.

Cablegate

CablegateMagari vi interessa.

Per consultare i famosi file di Wikileaks dovete andare qui.

UPDATE 3/12

Wikileaks è stato scacciato da EveryDNS. Di conseguenza è raggiungibile solo usando direttamente l’ip. Nel frattempo è stato cacciato anche da Amazon, ma ha trovato ospitalità in Svizzera.

I nuovi indirizzi sono 213.251.145.96 e wikileaks.ch

UPDATE 5/12

Url di Wikileaks attualmente funzionanti

Mirrors

wikileaks.as50620.net wikileaks.tard.is ipv6 freeus.jsdev.org
wikileaks.enzym.su freeus.jsdev.org wikileaks.cellue.de
wikileaks.kafe-in.net ipv6 wl.opsec.eu ipv6 wl.donatepl0x.com
wikileaks.challet.eu wikileaks.kister.org wl.gernox.de
wikileaks.morningtime.com wikileaks.renout.nl wikileaks.fdn.fr
wikileaks.gonte.se wikileaks.kaptenkong.se wikileaksmirror.proxelsus-hosting.de ipv6
leaks.gooby.org wikileaks.dubronetwork.fr ipv6 wikileaks.perry.ch
wikileaks.sbr.im wikileaks.u0d.de wikileaks.81-89-98-125.blue.kundencontro…
www.fuckip.de wikileaks.psytek.net wl.mrkva.eu
wikileaks.joworld.net wikileaks.chiquitico.org wikileaks.rout0r.org
www.gruiiik.org wikileaks.high-color.de wikileaks.holarse-linuxgaming.de ipv6
wl.alfeldr.de wikileaks.huissoud.ch wikileaks.geekview.be
wikileaks.dysternis.de wikileaks.nulset.net wikileaks.franslundberg.com
wikileaks.krkr.eu ipv6 wl.yoltie.net wikileaks.zeitkunst.org
wikileaks.aelmans.eu wikileaks.serverius.net wikileaks.synssans.nl
wl.ernstchan.net wikileaks.yasaw.net zwartemarktplaats.com
wikileaks.dena-design.de wikileaks.zone84.net wikileaks.iuwt.fr
wikileaks.chmod.fi wlmirror.wildeboer.net leaked.rndm.ath.cx
wikileaks.splichy.cz wleaks.3sge.pulsedmedia.com wleaks.hellfire.pulsedmedia.com
wikileaks.palisades-berlin.de wikileaks.razor1911.com wikileaks.dokansoft.com.ar
wikileaks.thinkfurther.de wikileaks.trankil.info wikileaks.gonte2.nu
leaks.stumcomie.com wikileaks.timburke.org wikileaks.ehcdev.com
wikileaks.myscripts24.de wikileaks.breit.ws wikileaks.emilts.com
wikileaks.ruicruz.pt wikileaks.now-pages.com wikileaks.ego-world.org
cablegate.r3blog.nl ipv6 www.wikileakz.eu wikileaks.realprogrammer.org
wikileaks.the-secret-world.info wikileaks.rtjuette.de wikileaks.rustigereigers.nl
mirror1.wikileaks.lu mirror2.wikileaks.lu internaluse.net
wikileaks.r00t.la wikileaks.cordover.id.au brd.mcbf.net
wikileaks.spurious.biz wikileaks.1407.org wikileaks.mollar.me
azow.selb.us wikileaks.furdev.org wikileaks.datkan.net ipv6
wikileaks.threefingers.ca wikileaks.brenne.nu ipv6 www.anontalk.com
wikileaks.hutonline.nl vm8157.vps.tagadab.com nl1.wikileaksmirror.nl
wikileaks.noomad.org wikileaks.xcplanet.com www.wikileaks.nw-ds.com
wikileaks.infinium.org.uk wikileaks.piratskasit.cz peoplerule.info
wikileaks.sirobert.com wikileaks.solvare.se wikileaks.marktaff.com
wikileaks.hmaks.com im.wikileak.im wikileaks.yoerin.nl
wikileaks.siwhine.org wikileaks.schroth.cx wikileaks.delight.ch
wikileaks.moochm.de wikileaks.syncaddict.net www.hallitus.info
info.patourie-systems.com wikileaks.softic.cz wikileaks.redhog.org
wikileaks.brokenbydesign.org wikileaks.nisd.dk wikileaks.sentientrobot.net
wikileaks.kronoss.org wikileaks.s4ku.com wikileaks.glembotzky.com
wikileaks.nperfection.com wikileaks.laquadrature.net wikileaks.legrandsoir.info
wikileaks.artwww.net wikileaks.39mm.net leaks.uaqv.com
wikileaks.krtek.net www.emilts.com leaks.3nglish.co.uk
wikileaks.explain-it.org wikileaks.dunnewind.net wl.fcharlier.net
wikileaks.datenscheibe.org wikileaks.kapitein.org www.wikileaks.djity.net
wikileaks.listepik.net wikileaks.explain-it.org wikileaks.sedrati-dinet.net
wikileaks.rigacci.org wikileaks.ratm.ch wikileaks.tonbnc.fr
cablegate.sentientrobot.net wikileaks.ist-bremer.de wikileaks.spinrise.com
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wikileaks.g33kthug.co.uk wikileaks.b166er.net wikileaksmirror.matstace.me.uk
87.106.58.253 wikileaks.virii.lu wikileaks.junkle.org
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wikileaks.lupine.me.uk ipv6 wikileaks.webprofiles.org wikileaks.azatoth.net
wl.unbloggbar.org santocristo.info wikileaks.back2hack.cc
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wikileaks.karlsen.co wikileaks.rickfalkvinge.se wikileaks.amette.eu
wikileaks.batsh.it wikileaks.freei.me wikileaks.chsdl.de
last.to wikileaks.rackstack.com wikileaks.serverlicious.org
wikileaks.under.ch leaks.kooll.info cablegate.dyndns.info
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wikileaks.in-edv.de wl.hor.de wl.rekursion.ch
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wikileaks.rhgnet.de wikileaks.xgstatic.fr wikileaks.medienfuzzis.com
wl.creative-guerillas.com wikileaks.para-dice.de wikileaks.bandsal.at ipv6
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wikileaks.theano.de wikileaks.electric-castle.net wikileaks.jotocorp.com
wikileaks.canariaswireless.net

Music television

Morten Riis is a danish composer. His work can be characterized as an electronic music that fuses elements of sound art with a more acousmatic and electro-acoustic approach.

Lately his artistic work has focused around the investigation of the myriad of errors that can arises when workingwith analog and digital systems.
Common for all of Morten Riis’s artistic endeavours is a fascination of working on the limits of what is technological possible when finding new sound material. Pushing computers to there limits to obtain an aesthetic that emphasizes the imperfections of modern technology.

Music television an 8 channel audio/visuel installation for 8 barco cm-33 tv monitors and powerbook g4. The audio inputs from the computer are feed to the video input of the tv monitors thereby creating various patterns on screens. The sound-material (all pure sine tones) is also feed to the build-in speakers in the tv-monitors but because of different distortion phenomena introduced by speakers the original sine tones are shaped in many different ways creating many exiting timbres.
Duration:18min26sec

Stuxnet

PLCLa storia di Stuxnet è da raccontare.

In breve, Stuxnet è un virus. Ma non è uno dei soliti, fabbricato da un lamer qualsiasi o da uno spammer professionale. E non è nemmeno una proof-of-concept, un virus creato per dimostrare che esiste una vulnerabilità e può essere sfruttata.

Stuxnet è stato rilevato già in Gennaio, ma solo nel Luglio di quest’anno si sono notate alcune sue caratteristiche non comuni e all’analisi di Symantec, è apparso subito come un prodotto un po’ particolare. Infatti, questo virus infetta i sistemi windoze, ma non è interessato a un sistema qualsiasi. Lui cerca i sistemi di controllo industriale, genericamente noti come SCADA Systems.

Però questo tipo di sistemi, di solito, non risiede su macchine collegate ad internet o, se lo sono, si collegano solo a indirizzi ben precisi, spesso via VPN (reti private criptate e altamente sicure). Non si legge la mail e non si surfa tranquillamente su un computer che controlla, per es., una centrale elettrica. Non ci si infilano nemmeno USB key perché queste macchine sono costruite ad hoc con varie schede di I/O e non hanno le interfacce dei computer normali, ma solo quelle collegate ai sensori e agli attuatori di controllo. Spesso non hanno nemmeno tastiera e monitor (vedi immagine in alto a destra). Quindi, come può un virus installarsi in uno di questi computer?

Il fatto è che questi sistemi, chiamati Programmable Logic Controller (PLC), sono, in realtà, dei micro-computer in cui si deve caricare il programma che controllerà l’automazione di un processo industriale e questo programma viene creato tramite un sistema di sviluppo che gira su un computer windoze. Quello che succede è che un programmatore prepara, su un emulatore windoze, il codice destinato ad essere caricato nel PLC.

A questo punto è chiaro che, anche se il PLC non è collegato ad internet, un modo per infettarlo esiste. Consiste nel raggiungere il computer che ospita il sistema di sviluppo che serve a creare il software destinato al PLC e infettare proprio questo software. In tal modo, quando il programma sarà caricato nel PLC, anche il virus verrà caricato con lui.

Stuxnet cerca questo tipo di macchine, ma non tutte: se la prende soltanto con una specifica configurazione di software presente nei sistemi di controllo realizzati dalla Siemens. Per infettare le proprie vittime, usa un metodo d’infezione nuovo e originale che non richiede l’interazione dell’utente: basta che venga visualizzata la sua icona su un sistema Windows non aggiornato. Sfrutta ben quattro vulnerabilità prima sconosciute. Inoltre, è capace di rendersi invisibile a windoze e di iniettarsi nei software creati per i PLC e rendersi invisibile anche in questi ultimi. Infine, contiene ben 70 blocchi cifrati che rimpiazzano alcune funzioni fondamentali di questi sistemi. Per impedire che venga scoperto, i suoi autori hanno rubato le firme digitali segrete di due fabbricanti di chip taiwanesi per usarle in Stuxnet e farlo sembrare software certificato.

Si tratta di uno spiegamento di forze pazzesco per un virus, anche per uno non banale. Quattro vulnerabilità prima sconosciute, blocchi di codice cifrato, sostituzione di funzioni fondamentali, firme digitali rubate indicano il possesso di conoscenze che vanno al di là di quelle di cui dispone un singolo hacker o cracker e fanno sospettare anche che le aziende produttrici di questi PLC abbiano fornito più di una informazione. Allora chi ha fatto uno sforzo di questo genere e perché?

Il grafico in questa pagina di Symantec mostra che la distribuzione delle infezioni si concentra nell’Iran: quasi il 60% delle macchine colpite è in questo paese. Liam O’Murchu, della Symantec, ha detto alla BBC che

il fatto che vediamo così tante infezioni in più in Iran che in qualunque altro paese del mondo ci fa pensare che questa minaccia informatica era mirata all’Iran e che c’era qualcosa in Iran che aveva un valore molto, molto alto per chiunque l’abbia scritta

Ma l’analisi di Symantec è andata avanti, scoprendo che, anche quando Stuxnet ha trovato una macchina che risponde alla caratteristiche richieste e la infetta, non entra in azione sempre, ma fa, prima, altri controlli. Cerca un sistema con una data configurazione e che sia collegato a dei convertitori di frequenza fabbricati da due sole aziende, una delle quali è finlandese, mentre l’altra ha sede a Tehran, Iran.

Non solo. Il virus controlla anche che i convertitori lavorino a frequenze elevate, comparse fra 807 e 1210 Hz. Gli impianti con componenti che richiedono tali frequenze non sono molti. Uno di questi è costituito dalle centrifughe utilizzate per l’arricchimento dell’uranio.

Un convertitore di frequenza è un dispositivo che può variare la propria frequenza di uscita, che controlla la velocità (il numero di giri) di un motore. Stuxnet può interferire con questo controllo e variare la velocità dei motori, sabotando, così, l’intero processo.

In conclusione, abbiamo un virus molto raffinato, che sfrutta conoscenze non facilmente ottenibili, usa modalità di infezione difficili da realizzare e prende di mira impianti con componenti comuni in Iran. Inoltre controlla che l’impianto in questione abbia caratteristiche tipiche degli impianti di arricchimento dell’uranio iraniani. Altre fonti nominano il reattore nucleare di Bushehr.

In effetti, la BBC ha scritto che secondo l’agenzia iraniana ufficiale IRNA, Stuxnet ha infettato i personal computer del personale presso la centrale nucleare di Bushehr, ma il sistema operativo della centrale non è stato danneggiato. Secondo Mahmoud Liay, responsabile del consiglio per l’informatica del ministero dell’industria iraniano, “è stata lanciata una guerra elettronica contro l’Iran” e gli indirizzi IP infetti in Iran sarebbero circa 30.000.

Da quanto possiamo vedere, stiamo probabilmente assistendo a uno dei primi casi noti pubblicamente di attacco informatico alle installazioni nucleari di un paese. Che cosa si sia voluto colpire non è chiarissimo, perché centrifughe a così alta velocità, in una centrale non dovrebbero essercene, ma in un impianto di arricchimento dell’uranio invece sì. È invece chiaro, dai numeri, che il virus era diretto principalmente all’Iran e ha potuto agire per circa un anno prima di essere analizzato a fondo.

Chi abbia messo in atto questo attacco, non è dato saperlo. Il codice del virus contiene un riferimento biblico che farebbe pensare a Israele. Si tratta della parola “Myrtus” che può essere letta come un’allusione al libro di Esther, nel Vecchio Testamento, dove si narra di come gli ebrei riescano a sventare un complotto persiano mirato a distruggerli.

Tuttavia, ci si chiede perché Israele avrebbe firmato un attacco di questo tipo e si può anche pensare che il suddetto riferimento sia stato piazzato a bella posta per depistare. D’altra parte, la megalomania dei soggetti che fanno lavori di questo tipo è nota e si traduce spesso nel lasciare un firma. Inoltre potrebbe trattarsi solo di una minaccia oppure una prova, per far sapere che si è in grado di farlo e quindi di fare anche di peggio…

Fonti: Symantec qui, qui e qui (rapporto completo in pdf); il Disinformatico, qui e qui.

Caverne, megaliti e riverberi

pitture rupestriAlcuni studiosi hanno messo in luce una forte correlazione fra l’arte paleolitica (pitture rupestri, ma anche megaliti e piramidi) e particolari proprietà acustiche dei luoghi in cui è stata realizzata.

Iniziando dalle pitture rupestri, Iegor Reznikoff, dell’Università di Parigi, ha notato che i punti delle caverne in cui il suono è maggiormente riverberato, sono anche quelli in cui si trova la maggior quantità di pitture e incisioni. E quando questi punti di risonanza sono localizzati nei passaggi più stretti, in cui è più difficile dipingere, si tratta di un segnale chiaro: la qualità acustica di un luogo era molto importante per i nostri antenati già nella preistoria.

Steven Waller ha scoperto una simile correlazione fra la locazione delle sculture rupestri e particolari caratteristiche dell’eco nei luoghi prescelti.

Non abbiamo nessuna idea dei suoni che venivano prodotti in questi luoghi. Presumibilmente, la loro origine era vocale e percussiva, ma in alcuni siti sono stati rinvenuti anche flauti realizzati con ossa di animali.

Sono anche stati fatto degli studi sull’acustica delle costruzioni antiche. Aaron Watson and David Keating hanno mostrato che la camera interna dei monumenti tombali di epoca megalitica delle isole britanniche spesso risuona a frequenze da 1 a 7 Hertz. Ne consegue che un ritmo il cui metronomo è un sottomultiplo della frequenza di risonanza viene esaltato, con notevole effetto.

Altri studi (Robert Jahn and Paul Devereux) hanno scoperto risonanze nell’ambito 95 – 120 Hz, che corrisponde al registro inferiore della voce baritonale.

Tutto ciò è affascinante perché testimonia l’importanza delle qualità acustiche ambientali per i nostri lontani antenati.

Fête des Lumières 2010

Dall’8 all’11 Dicembre, Lione è un buon posto dove andare. Per quattro notti vi si svolge la Fête des Lumières, manifestazione, ormai giunta alla 12ma edizione, in cui vari artisti della luce proiettano le loro creazioni sui monumenti della città. Per quattro notti, Lione ruba a Parigi il titolo di Ville Lumière.

Sconsigliato ai demofobi: sono attesi circa 3 milioni di visitatori.

Da Google, alcune immagini delle passate edizioni.

Out My Window

Out My Window è un film e un documentario interattivo. Diretto da Katerina Cizek e girato nel corso degli anni, Out My Window esplora, con approccio novellistico, la vita in 13 luoghi diversi, sparsi per il pianeta, da Chicago a San Paolo, Bangalore e Johannesburg.

Potete scegliere quali storie vedere fra le 49 disponibili. Tutte partono da un alloggio in un edificio a molti piani (da noi sarebbe un condominio), le case ormai più comuni sul pianeta.

Inizia qui

Ooooh, guitar!

Mi sono spesso lamentato della scarsa considerazione della chitarra elettrica, che io considero veramente un nuovo strumento musicale dotato di enormi potenzialità sonore, da parte dei compositori contemporanei. Il fatto è che non si può pretendere che persone che negli anni del boom di questo strumento, i roaring ’60, erano già adulti e in carriera, di colpo se ne possano rendere conto. Nello stesso tempo occorre anche che si formino degli strumentisti in gradi di interpretare partiture complesse come quelle contemporanee e per di più non standard, perché non esiste ancora una semiografia condivisa dedicata a questo strumento.

Fortunatamente oggi sono ormai attivi compositori nati negli anni ’50/60 per i quali la chitarra elettrica è un dato di fatto e ci sono anche solisti che hanno cercato di valorizzare lo strumento con un lavoro di ricerca sonora che va al di là dei generi tradizionali (citiamo Fred Frith o Henry Kaiser, fra tutti).

Ermes, che ringrazio, mi ha mandato il link di Trash TV Trance, un brano di Romitelli disponibile su internet in varie interpretazioni, che mi ha colpito perché, oltre alle qualità compositive che erano già note, rivela una notevole conoscenza dello strumento e delle sue possibilità anche sul versante degli effetti, naturalmente ammesso che il tutto sia prescritto in partitura e non lasciato all’esecutore.

Premetto che non conosco la partitura, ma il confronto fra le varie esecuzioni, tutte abbastanza simili, rivela che esistono delle indicazioni precise, sia sul materiale musicale che sull’effettistica.

Non avendo la partitura, non mi sento di giudicare la qualità delle esecuzioni, comunque quella di Gilbert Imperial è la mia preferita, se non altro perché mi sembra quella registrata meglio. Le altre, comunque sono di Yaron Deutsch e di Lucia D’Errico.

RIP Lemur, long live tablet PC

A dispetto della sua giovane età, 5 anni, il Lemur, prodotto da JazzMutant, è già morto.

Il Lemur è stato la prima interfaccia multi-touch regolarmente in commercio. Come le immagini suggeriscono, si tratta di un display collegabile a un PC, su cui si possono piazzare, virtualmente, dei sistemi di controllo, come pulsanti, slider, eccetera.

La particolarità di Lemur è, appunto, il multi-touch: più bottoni/slider potevano essere premuti/mossi nello stesso tempo operando con più dita. Destinato ad essere collegato a mixer virtuali e sistemi come Max/MSP, superava i limiti intrinseci del mouse. Il principale problema dei controlli virtuali, infatti, è proprio il mouse che consente di agire su un solo elemento alla volta. E per fare un semplice esempio, il non poter muovere contemporaneamente più slider in un mixer è un problema molto grosso, tale da rendere l’intero oggetto inutilizzabile.

Il Lemur è nato proprio per superare questo limite. Ma oggi, con l’arrivo dei tablet PC, è diventato praticamente inutile. Fino al 31 Dicembre, gli ultimi Lemur sono in vendita presso JazzMutant con 25% di sconto, a € 1499.

Aidoru

Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.

La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.

Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).

Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.

Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.

Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.

Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.
Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. Le star virtuali non devono essere pagate, ma questa considerazione è secondaria perché al loro posto bisogna pagare dei tecnici di animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi.

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The Microsoft Sound

Non so se lo sapevate, ma il suono iniziale di Windows 95 è stato creato da Brian Eno. Me ne ero accorto anni fa aprendo il box delle proprietà.

Ma adesso ho trovato su wikipedia questa gustosa dichiarazione dello stesso Eno

la Microsoft mi chiese questa cosa dicendomi che volevano una musica capace di ispirare, universale, ottimistica, sexy, futuristica, sentimentale, emozionale, più un’altra serie quasi sterminata di circa centocinquanta aggettivi, e poi in ultimo conclusero che il brano doveva durare tre virgola venticinque secondi. Da allora ho composto 84 di questi piccoli pezzi, sicché quando ritorno a lavorare su brani della durata di tre minuti questi ultimi mi sembra siano come oceani di tempo.

Luci accese sulla cultura

Luci accese sulla cultura

Dal comunicato di Federculture:

Questa volta non si tratta solo di tagli, pur molto consistenti – circa 280 milioni tra tagli diretti al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, decurtamento del Fus e dei trasferimenti statali agli enti culturali, cui si aggiungono le riduzioni a carico delle amministrazioni locali che, secondo prime stime, potrebbero pesare sul settore per circa 800 milioni di euro nel prossimo biennio -, ma di un combinato di articoli contenuti nella legge, la cui applicazione disegnerà un quadro generale nel quale l’intervento pubblico dovrà fare totalmente marcia indietro, rinunciando di fatto alla possibilità di attuare politiche culturali, sia a livello nazionale che regionale e locale.

Avranno in particolare conseguenze disastrose sul sistema culturale italiano le norme che dispongono un tetto di spesa per l’organizzazione delle mostre pari al 20% di quanto speso dall’amministrazione nel 2009, tagliando di fatto dell’80% le risorse (Art. 6, commi 7, 8, 9, 12 e 13), quelle che obbligano i comuni sotto i 30.000 abitanti allo scioglimento delle società dagli stessi costituite (Art. 14, comma 32) ed infine quelle che fissano limiti alla composizione dei consigli di amministrazione, ostacolando la partecipazione dei privati alla gestione delle aziende culturali (Art. 6 commi 5 e 6).

La legge 122/2010 renderà impossibile per amministrazioni pubbliche, aziende e fondazioni e tutti gli organismi, che gestiscono i servizi e le attività culturali nel Paese, continuare a svolgere il loro compito istituzionale di promozione e diffusione della cultura. Una vera mannaia che si abbatterà indiscriminatamente su musei, teatri, biblioteche, colpendo anche quelle realtà virtuose che sono state l’elemento di maggiore innovazione e modernizzazione degli ultimi anni nei servizi resi ai cittadini e al territorio e riconosciute anche a livello internazionale.
Alcune norme, inoltre, potrebbero ledere le prerogative di autonomia degli enti territoriali e delle società private che gestiscono i servizi pubblici culturali, così come garantite dalla Costituzione. Per questo alcune Regioni hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale relativamente ad alcuni articoli della manovra, così come Federculture aveva già evidenziato nei mesi scorsi.

L’obiettivo della protesta è denunciare il pressoché totale disimpegno statale nel garantire la sopravvivenza del settore, già da anni falcidiato dal progressivo rarefarsi delle risorse e degli investimenti. Nel prossimo anno il budget del Mibac crollerà a 1,5 miliardi di euro, ormai circa lo 0,21% del bilancio statale, come dire che lo Stato spende 21 centesimi in cultura ogni 100 euro e, parametrato alla popolazione italiana equivale ad una spesa procapite di 25 euro. Cifre irrisorie per l’ampiezza e la complessità del nostro patrimonio e le esigenze di conservazione, valorizzazione e promozione cui bisognerebbe assolvere, che ci fanno sfigurare anche nel confronto internazionale: la Francia, ad esempio, ha una spesa statale procapite per la cultura di 46 euro, quasi il doppio della nostra.

Con investimenti di tale esiguità è impensabile non solo la sopravvivenza ma lo sviluppo del settore culturale che pure ha enormi potenzialità, tanto che potrebbe essere uno dei comparti sul quale puntare per uscire dalla crisi e restituire competitività al sistema economico nazionale. Il potenziale anche economico della cultura è d’altronde ampiamente dimostrato dai dati che ci dicono, ad esempio, che in Italia ci sono oltre 900mila imprese operanti in attività legate al settore culturale e creativo e che, ancora nel 2009 in piena crisi, la spesa delle famiglie italiane per la cultura ha rappresentato il 7% della loro spesa complessiva. Si andrà, invece, come chiaramente segnalano gli organizzatori della mobilitazione, verso un’ulteriore perdita di offerta, servizi e occupazione. Se non si interviene per tempo nel Paese non ci sarà una politica culturale da parte dello Stato, né delle amministrazioni locali, né tantomeno dei privati.

Una politica superficiale e miope sta colpendo nel profondo il diritto dei cittadini alla cultura, l’accesso alla conoscenza e alla fruizione del nostro immenso patrimonio collettivo, che è alimento essenziale per il benessere e la crescita.

Per questo il 12 novembre si chiuderanno le porte, ma per accendere i riflettori sulla cultura italiana e sul suo futuro a rischio.

Horror Vacui

“La natura aborre il vuoto”. Così diceva Aristotele dopo aver osservato che quando da un luogo veniva tolta tutta la materia, producendo appunto il vuoto, immediatamente nuova materia vi si precipitava a colmarlo.

E così è stato per Limewire, un popolare client P2P che era stato chiuso a seguito di un’ingiunzione da parte di un giudice di New York, che aveva ordinato la cessazione di qualsiasi attività online del servizio. Sia la sua versione base che quella a pagamento avevano all’improvviso smesso di esistere, dopo che il legali della RIAA avevano già ottenuto una condanna per incitazione alla violazione del copyright nei confronti della società LimeWire LCC.

Adesso, un gruppo di sviluppatori ha ripristinato le principali funzioni del servizio di sharing, dopo essere fuoriuscito dal team originario. Così LimeWire è tornato alla vita, apparendo nuovamente online con il nome di LimeWire Pirate Edition (LPE), con tanto di trailer su You Tube.

La versione LPE è ora apparsa tra i meandri del web, basata sulla precedente release 5.6 beta del client P2P. Gli stessi sviluppatori hanno sottolineato come questa nuova incarnazione di LimeWire sia ancora più efficiente, perché priva di pubblicità e spyware. Quindi dedicata esclusivamente ai bisogni essenziali di condivisione degli utenti (per ora esiste solo la versione Windows).

Il trailer è piaciuto al punto che, in breve, sono comparsi decine di remix.

La faccenda dimostra, ancora una volta, quanto la rete sia difficilmente controllabile senza una militarizzazione che ne annullerebbe anche qualsiasi possibilità di sfruttamento commerciale.

Fonte: Punto Informatico, Torrent Freak

Xenakis in linea

XenakisIl sito quasi ufficiale di Xenakis ha finalmente messo in linea un po’ di musica, anche se si tratta di estratti di circa 4′ ciascuno. Adesso c’è questa pagina con 15 player per ascoltare parti di altrettanti lavori di Xenakis, ognuno con un breve commento scritto.

La cosa divertente è che, all’inizio della pagina c’è la seguente avvertenza: “Arrêter la lecture d’un extrait en cours avant d’en lancer un autre (Fermare l’esecuzione dell’estratto in corso prima di lanciarne un altro)”. Tutto questo perché non sono stati capaci di bloccare il player corrente quando l’utente ne fa partire un altro. E in effetti si possono far partire tutti insieme moltiplicando per 15 la densità, già altissima, della musica di Xenakis. Effetto impressionante!

Una cosa molto più interessante è che si può scaricare il suo testo, Musiques Formelles, integralmente, nell’edizione originale in francese. Il libro è qui.

Territoires de l’oubli

Tristan Murail – Territoires de l’oubli (1977) per piano solo – Marilyn Nonken piano.

È piuttosto difficile fare musica spettrale, basata sugli armonici e che spesso richiede quarti o anche sesti di tono, con il pianoforte, uno strumento a intonazione fissa, su cui l’esecutore non può influire per nulla.

L’unico modo è attraverso le risonanze delle corde lasciate libere che entrano in vibrazione per simpatia ed è quello che fa Murail in questo brano del ’77 che può essere considerato quasi uno studio sulla risonanza, infatti il pedale è costantemente premuto.

Secondo me si tratta di un brano dalle sonorità affascinanti seppure un po’ manieristiche e “facili” al di là del fatto che sia riuscito, o meno, come musica spettrale, della quale ho già avuto modo di criticare l’approssimazione.

Notes di Julian Anderson tratte dal CD Accord AC4658992 che non è quello di questa registrazione.

Territoires de l’oubli was written in 1977 for the French composer-pianist Michaël Lévinas, who gave the first performance in Rome, in 1978. This piece, Murail’s longest single-movement work to date, is a massive exploration of the piano’s resonance, unfolding in a huge curve of continuously evolving textures. Murail has remarked of the piece that “instead of considering the piano as a mere percussion instrument (hammers hitting strings), Territoires emphasizes a different idiomatic characteristic of the instrument: a group of strings whose vibration is caused by sympathetic resonance or by direct action of the hammers.” Murail further notes that the work is written “for the resonances, not the attacks which are considered as “scars” on the continuum.” For this reason, the sustaining pedal is held down throughout the entire piece. The work perpetually slides between regular, repetitive moments of stability, and chaotic, dense textures which often approach noise. The most stable moments often make a special feature of iambic, “heart-beat” rhythms. The work constantly plays upon the ambiguity between harmony and timbre – the harmony is chosen according to the resonance characteristics of the piano, producing several striking transformations of the piano’s sound: for example, at the end of the work, a form of “vibrato” is obtained by playing a fundamental simultaneously with an E-flat acting as its seventh harmonic. The true intonation of the seventh harmonic, heard in the resonance of the fundamental, beats against the equally tempered E-flat in the piano’s tuning. At several points in the piece, clusters of deep bass notes are heard, producing a mass of higher harmonics which form the basis of the harmony of the following section: in this way a continuous harmonic “chain” is built through out the work. The extreme continuity of Territoires does not prevent it from being one of Murail’s most evocative and dramatic pieces, especially in the wild cadenza of descending and ascending chords near the end.

John Carpenter

John Carpenter nel 2001Non tutti sanno che John Carpenter, regista di pellicole tendenzialmente horror come Halloween, la notte delle streghe (1978), 1997: fuga da New York (1981), La cosa (1982), Il signore del male (1987), Essi vivono (1988), Il seme della follia (1994), Villaggio dei dannati (1995), Fuga da Los Angeles (1996), Vampires (1998), Fantasmi da Marte (2001), scrive e registra anche molte delle colonne sonore dei suoi film (date un’occhiata anche al suo sito: non è niente male).

Potete ascoltare il tema del film del 1994 In The Mouth Of Madness

e vedere la tracklist di un suo album pubblicato da Sacred Bones record.

Qui un’intervista per Resident Advisors e qui sotto un mix delle sue colonne sonore compilato dal suo collaboratore Alan Howarth (John Carpenter Anthology – Movie Themes 1974 to 1998 – Full Album – Vinyl version)

Growth

Bella l’idea delle gocce di inchiostro nell’acqua in questo lavoro di danio catanuto e trovo anche l’abbinamento con la musica discreto e raffinato.

L’autore:

Growth is a vision both of reality and life/growth/death. Ink drops in water are arborescences, inflorescences. Phantasmogorical images which any of us can interpret estetically on basis on one’s own uncounscious, revealing a sometimes dramatic or sometimes symbolic aestethic.
It represents the organicity and behaviour of every form of life that borns, growths and deads in its ambient, among other individuals. Some external umpredictable elements can generate, determinate and modify the course of events.
Music, here, is the scene’s sound, artificially organic, that describes and emotionally interprets the entire narrating form.
The soundscape elements represent three main aspects: the environment ambient (water), the forms’ organic developement (treated piano samples) and the presence of unpredictables and isolated events.
The whole formal aspect comes from the physics of ink drop’s expanding course.

 

Cecità indotta dal moto

Sopportate il messaggio dello sponsor (è l’unico modo per poter pubblicare il video) e guardatelo.

Se su uno schermo ci sono dei punti fissi, circondati da particelle in movimento, il fissare uno dei punti, in certi momenti fa scomparire gli altri.

Per cominciare, avviate il video e dopo il maledetto messaggio pubblicitario, tenete lo sguardo fisso su uno dei punti gialli. A volte, vi accorgerete di non vedere più alcuni o tutti gli altri punti gialli. Lo stesso accade se fissate la croce centrale. Il fatto è che si tratta di un’illusione. I punti non scompaiono mai, come potete verificare facendo ripartire il video fissando un punto diverso.

Il fenomeno si verifica molto più facilmente se le particelle blu sono in moto casuale le une rispetto alle altre. Se, invece, il loro movimento è correlato, come nella seconda parte del video, la cosa accade con maggiore difficoltà.

Questo effetto è chiamato “cecità indotta dal moto” (MIB: Motion Induced Blindness) ed è stato scoperto circa 20 anni fa. Gli psicologi stanno ancora cercando una spiegazione. Una teoria è che sia dovuto a un sovraccarico del nostro sistema percettivo, che cerca di seguire tutti i movimenti, per cui parte di essa va persa.

Questa ipotesi è coerente con la maggiore difficoltà di processare una serie di moti non correlati, il che spiega perché con i movimenti casuali il fenomeno si verifichi più facilmente.

L’originale è qui.

Tiny Jungle

Un altro video di Jon Weinel su cui, stavolta, abbiamo qualche informazione

This is my latest audio-visual work, a collage of different material created in Maya, Jitter, After Effects, Flash etc. It Uses hand-drawn animation as source material. The basic concept is to explore the idea of entoptic phenomena (spiral dot patterns experienced in altered states of consciousness), through the audio visual medium.

The Boomcase

Yellow and Blue 200 Watt BoomCase. Measures Approx. 14″x16″x6″

Blue Boomcase

La scoperta della BoomCase by Mr. SiMo mi suscita una fantasia…

Quasi sempre, quando vado in Conservatorio in treno (regionale, senza scompartimenti), prima o poi vengo oppresso da un qualche umanoide che ascolta musica inferiore dal suo inferiore telefonino.

A questo punto io tiro giù la mia valigia da 200 watts, la accendo e lo annichilisco con, per es., Kontakte, sparato al massimo del volume… :mrgreen:

Kaikhosru Shapurji Sorabji

Kaikhosru Shapurji Sorabji – al secolo Leon Dudley Sorabji – (Chingford, 14 agosto 1892 – 15 ottobre 1988) è stato un compositore e pianista britannico, di origine Parsi.

Una delle sue opere più famose, l’Opus Clavicembalisticum, è considerato uno dei pezzi più difficili mai scritti per pianoforte per virtuosismo trascendentale e durata (a seconda dell’esecuzione può variare da oltre tre fino a cinque ore). Il suo lavoro mastodontico (oltre 11.000 pagine di partiture e 100 ore di musica) ne fa uno compositori più prolifici del XX secolo.

In questa playlist ne possiamo ancoltare una parte.

Mandelbrot RIP

Benoît Mandelbrot, l'”inventore” della geometria frattale, è morto giovedì scorso a Cambridge (Massachusetts) all’età di 85 anni. Che i frattali siano con lui.

L’Orologio Astronomico di Praga

Un light show proiettato sull’Orologio Astronomico di Praga per celebrare il suo 600° compleanno. La trovo molto bella, sia dal punto di vista video che da quello del rapporto con il suono.

Da quel che ne so sono stati utilizzati due proiettori Christie Roadster 18k HD da 18000 lumen.

A light show projected onto the Astronomical Clock Tower in Praga to celebrate its 600th birthday.

Mapping: The Macula, Michal Kotek, Lukáš Duběda
Sound: data-live
Production: Tomato Production

La ricerca dell’audio perduto

Un recente rapporto della Biblioteca del Congresso USA dal titolo The State of Recorded Sound Preservation in the United States: A National Legacy at Risk in the Digital Age, scaricabile in pdf, fa notare che vaste porzioni del patrimonio audio sono ormai perdute o inaccessibili al pubblico a causa di errata conservazione, supporti labili, ma anche e spesso, di problemi determinati dal copyright.

In merito a quest’ultimo punto, il rapporto dichiara fin da subito che

Copyright law and interests in protecting intellectual property are a final thread (or perhaps a seemingly unyielding tangle) in the environment affecting recorded sound preservation. [pag. 6]

e continua

In many instances, early commercial recordings may be unavailable from rights holders. As reported in the Survey of Reissues of U.S. Recordings, a study commissioned by the NRPB, “ten percent or less
of listed recordings have been made available by rights holders for most periods prior to World War II. For periods before 1920, the percentage approaches zero.

All U.S. recordings, both commercially released and unpublished, created before February 15, 1972, are protected by a complex network of disparate state civil, criminal, and common laws. Accordingly, sound recordings are unique among all creative works in the United States insofar as the effective term of copyright protection for even the oldest U.S. recordings, dating from the late nineteenth century, will not end until the year 2067 at the earliest (i.e., 95 years after the placement of sound recordings under federal protection in 1972)

Questa situazione ha dell’incredibile: le istituzioni che si occupano della conservazione dei documenti audio sono impedite, quando non bloccate, dalle leggi fatte da un altro ramo della stessa istituzione.

È interessante osservare che, invece, i problemi tecnici, che pure esistono, si possono risolvere. Una volta accettato il fatto che non esiste un supporto eterno, si tratta solo di rinnovare i supporti ogni congruo numero di anni.

Con questo non voglio dire che quello posto dal copyright sia l’unico ostacolo. Il rapporto insiste anche sulle corrette modalità di conservazione, sulla necessità di formati standard, adeguati e non compressi, sulla creazione di professionalità apposite. Ma, mentre queste ultime sono, in fondo, questioni tecniche che si risolvono impiegando risorse adeguate, quello del copyright è, in realtà, un problema di potere, quindi molto più difficile.

10/10/10

Mi era sfuggito. Domenica era il 10/10/10, numero topico che, letto in binario (101010) fa 42, la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto nel romanzo di Douglas Adams.

Come è noto, non si conosce la domanda

“Quarantadue!” urlò Loonquawl. “Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?”
“Ho controllato molto approfonditamente,” disse il computer, “e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda.”

Peraltro, secondo wikipedia, il 42 ha parecchi significati, soprattutto religiosi:

  • È il numero di generazioni intercorrenti tra Abramo e Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo
  • Nell’Apocalisse biblica, l’impero “che assomiglia all’Impero Romano” regna sulla Terra per 42 mesi.
  • È il numero del Diavolo (6) moltiplicato per il numero di Dio (7).
  • È il numero dei comandamenti (o regole) della divinità egiziana Maat [cavolo, noi siamo già in difficoltà con 10]
  • Nell’antico testo cinese Tao Te Ching di Lao Tzu il capitolo 42 contiene una spiegazione dell’universo [Il Tao generò l’Uno, l’Uno generò il Due, il Due generò il Tre, il Tre generò le diecimila creature].

The Ware Tetralogy

coverColoro che leggono l’inglese e amano la SF, possono scaricare gratuitamente The Ware Tetralogy di Rudy Rucker. Si tratta di una serie di 4 racconti lunghi (novels, in inglese) intitolati Software, Wetware, Freeware e Realware scritti fra il 1982 e il 2000.

I primi due hanno vinto il premio Philip K. Dick per il miglior racconto. Ora l’intera serie è stata ripubblicata da Prime Book. Si può acquistare il volume o scaricare il pdf o l’rtf da questa pagina.

V’ger

Mauro Graziani – V’ger (2009), acusmatico.

Questo brano è stato composto per l’anno internazionale dell’astronomia (2009) e per il convegno “Musica e Astronomia” organizzato dal Conservatorio Bonporti di Trento e Riva del Garda.

V’ger (pron. Vyger) è il nome che, nel primo film tratto dal serial Star Trek, i Borg danno a una fittizia sonda intelligente Voyager 6, lanciata dalla Terra e da loro recuperata dopo una serie complessa di peregrinazioni nello spazio esterno. Il tutto si rifà alle vere sonde Voyager 1 e 2, lanciate alla fine degli anni ’70 e destinate a perdersi nello spazio interstellare, dopo una serie di passaggi intorno ai pianeti esterni da cui ci hanno inviato non solo splendide immagini, ma anche suoni.
Per chi si chiedesse come sia possibile trovare dei suoni nel vuoto dello spazio, puntualizziamo che non si tratta di rumori udibili da orecchie umane, ma di vibrazioni rilevabili solo dalla strumentazione posta sulle sonde e derivano, ad esempio, dall’interazione del vento solare con la magnetosfera del pianeta, che rilascia particelle ioniche con una frequenza di vibrazione che ricade dell’estensione udibile, oppure sono radio-frequenza generate dai campi magnetici del pianeta e delle sue lune e in questo caso è stato necessario abbassarle di parecchie ottave per renderle udibili.
Per realizzare V’ger, di cui, per esigenze organizzative, viene presentato un “condensato”, i suddetti suoni sono stati analizzati e risintetizzati per renderli utilizzabili musicalmente, perché nella realtà la loro evoluzione si svolge in tempi circadiani (ore, a volte giorni). Questi suoni, poi, sono stati strutturati in “accordi” in base alle distanze medie dei pianeti dal sole, mentre la loro evoluzione è governata dalla legge di Newton (la gravitazione).

V’ger onora i viaggi dei due Voyager che, guidati solo dalla gravitazione, hanno percorso miliardi di kilometri e oggi sono gli oggetti più lontani che l’uomo abbia mai costruito (Voyager 1 si trovava a 16.560.484.000 km dalla Terra nell’Agosto 2009).
Io ho avuto il mio primo telescopio quando ero alle medie. Per chi, come me, già da bambino era solito passare qualche notte a scrutare il cielo ed era convinto che, nel 2000, avrebbe potuto farsi una vacanza su Marte come un semplice turista, l’avvento del terzo millennio è stata una vera delusione. Niente auto volanti. Niente androidi intelligenti che ci sostituiscono nel lavoro. Niente basi sulla Luna e su Marte. Uno skifo. A parte la musica, le missioni come quelle dei Voyager e delle sonde che li hanno seguiti sono le uniche cose che mi danno la percezione di una frontiera.

V’ger è stato composto utilizzando il software di composizione assistita AlGen, creato dal sottoscritto e sintetizzato in 4 canali tramite Csound.

La documentazione in forma estesa del brano si trova qui.

Mauro Graziani – V’ger (2009), acusmatico (riduzione stereo dell’originale quadrifonico)

Stereogramma (click to enlarge)

V'ger stereogramma

Sita Sings the Blues

Sita Sings the Blues (2009) è un film di animazione di Nina Paley che racconta l’epica del Ramayana (la storia di Sita, moglie di Rama, che segue il marito in un periglioso esilio, finendo per essere rapita dal demone Ravana), facendo un parallelo con la vicenda autobiografica di una newyorkese contemporanea in cui marito viene inviato per lungo tempo in India per lavoro e che lei decide di raggiungere. Il tutto condito da una colonna sonora formata da canzoni di Annette Hanshaw, cantante blues degli anni ’20.

Il film è stato osannato dalla critica, sebbene sia stato accusato da alcuni gruppi Hindu di essere irrispettoso nei confronti del Ramayana e della cultura indiana. Il New York Time lo ha recensito come un’opera che

evokes painting, collage, underground comic books, Mumbai musicals and ‘Yellow Submarine’ (for starters)

Sita Sings the Blues è rilasciato in Creative Commons e può essere scaricato liberamente da questa pagina dell’Internet Archive in vari formati e risoluzioni (e quindi dimensioni). Il film ha vinto una enorme quantità di premi.

Ecco, come preview, la versione da You Tube (quelle scaricabili sono meno compresse e di qualità migliore)

Altre rovine contemporanee

Tempo fa, parlando del Ryugyung Hotel a Pyong Yang, dicevo che mi colpiva perché era una rovina contemporanea, pensando che non ce ne fossero molte.

Mi sbagliavo. Una veloce ricerca mi ha fatto scoprire che gli edifici contemporanei abbandonati, figli delle recenti crisi (1998 e 2008) sono parecchi. Alcuni si possono vedere in questo articolo su Web Urbanist. Vero è che molti erano appena iniziati, ma esistono anche casi di edifici abbandonati a costruzione avanzata, come le torri di Bangkok che vedete in figura (foto Javier Ortega Figueiral, click to enlarge) o le Torri Abraham Lincoln a Rio de Janeiro (foto seguente di Rafael Pacheco) destinate, a quanto pare, ad essere demolite nel 2016 in occasione delle Olimpiadi a Rio.

abandoned towers in Bangkok

Halta definizione

occhio

Avete mai visto l’occhio della Venere del Botticelli così vicino? (cliccare per ingrandire)

Halta definizione ha piazzato online alcuni capolavori degli Uffizi in super alta definizione. L’immagine viene acquisita digitalmente con una risoluzione ottica minima di 1500 pixel per pollice, il che significa che in un pollice quadrato (cm 2.542 = cm2 6.4516) c’è un minimo di 2250000 pixel (più di 2 megapixel).

Alla fine ogni immagine ha un totale di circa 28 miliardi di pixel, circa 3000 volte di più di una normale macchina fotografica.

Le trovate qui.

Oxymore

d’incise (al secolo Laurent Peter, svizzero) è uno di quei musicisti i cui lavori, per quanto astratti, hanno per me sempre una certa componente emozionale.

Vi segnalo questo suo album del 2008 (con tzii) di natura elettroacustica e concreta. Un collage sonoro di suoni elettronici e naturali spesso elaborati, a tratti anche inquietante, ma mai banale.

Oxymore è scaricabile dall’internet archive

Estratto: dincise + tzii – grisaille compagne

Libri censurati

Oggi è terminata la Banned Books Week (BBW), una settimana in cui, negli USA, si ricorda che la censura sui libri è esistita ed esiste tuttora.

È stata approntata anche una Google Map che mappa ed elenca 460 tentativi di eliminare dei libri dalle scuole o dalle biblioteche registrati in USA dal 2007 al 2010.

Per l’occasione, l’Internet Archive ha messo in linea 74 libri un tempo banditi. Si va da testi d’autore come l’Ulisse di Joyce o il Mondo Nuovo di Huxley, a libri per bambini come Il Mago di Oz, fino a scritti più discutibili come Mein Kampf. Questo perché la BBW, in pratica, celebra il primo emendamento cioè la libertà di parola, di qualsiasi opinione si tratti.

I testi sono scaricabili in vari formati, dal PDF fino agli eBooks (fra cui Kindle, Daisy, EPUB), tutti in lingua originale.

La lingua di Babilonia

cuneiformeL’accadico (akkadû) era una lingua semitica parlata nell’antica Mesopotamia, in particolare dagli Assiri e dai Babilonesi. Utilizzava la scrittura cuneiforme che era stata inventata dai Sumeri. Il sumerico, una lingua non-semitica isolata, influenzò l’accadico sul piano del lessico, e lo segnò con la sua impronta culturale. Nell’impero accadico di Sargon la lingua accadica era di fatto la lingua della burocrazia e dell’esercito, mentre il sumero rimase in uso come lingua liturgica. Il nome della lingua deriva dalla città di Akkad, un grande centro della civiltà mesopotamica.

La lingua accadica è vissuta per circa tre millenni: dal 2800 a.C. fino al primo secolo d.C. quando ormai sopravviveva solo come lingua tradizionale (un po’ come il latino da noi). In realtà cominciò a declinare già nell’ottavo secolo a.C., gradualmente sostituita dall’aramaico, per ricevere il colpo finale in seguito alla conquista di Alessandro Magno.

Oggi, però, torna, in parte. a rivivere nella sua variante babilonese (l’altra era l’assira). Alcuni studiosi della Cambridge University hanno dedotto quella che poteva essere la pronuncia basandosi sia sulla trascrizione di parole babilonesi in altre lingue, che su uno studio delle combinazioni delle lettere negli antichi testi.

Il Dr. Martin Worthington, a cui va ascritto il maggior merito del lavoro, afferma

It’s essentially detective work. We will never know for sure that a Babylonian would have approved of our attempts at pronunciation, but by looking at the original sources closely, we can make a pretty good guess.

E ora, dopo quasi 2000 anni di oblio, possiamo ascoltare il suono del poema di Gilgamesh e di molti altri testi in lingua originale.

Improvising With Water

Tomoko SauvageFrom High Zero Festival: Tomoko Sauvage And M.C. Schmidt In Concert

Surrounded by porcelain bowls, a mixer, effects pedals and bottles of Perrier, we sat rapt with curiosity as Tomoko Sauvage took the stage of the Theatre Project with Matmos member M.C. Schmidt. Sauvage poured carbonated water into the bowl closest to her, and she manipulated and looped the movements of the water itself, accented by the tranquil clinks of porcelain. Suspended above her mic stands were paper cups filled with water; she tore them ever so slightly, periodically releasing drips into the bowls below. It was an elegant (and more palatable) solution to John Cage’s chance operations, responding to random droplets with loops and delays through a mixer.

Listen to Tomoko Sauvage

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COM.POST [post-gecomponeerd] 2010

COM.POST is an exploration into the current state of affairs in the field of composed sound by invited artists, filmmakers, composers, scientists, architects and performers. Main areas of analysis are sound in contemporary composed music, public space/architecture/urban planning/chaos, staging and the spectacle/opera. With COM.POST we are searching for the compositional statement which has, within the completely stagemanaged society in which we live, at the very least a disquieting effect.

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Escalator over the hill

coverIeri mi sono ritrovato a canticchiare una canzone che a un certo punto diceva

Contemplating
suicide
As protection from fraud
Escalator
over
the hill

e mi è ritornato in mente il monumentale lavoro di Carla Bley e Paul Haines, registrato fra il 1968 e il 1971 e uscito su un triplo vinile, passando come un’opera jazz, mentre in realtà era ed è molto di più.

Sono andato a riascoltarlo e fra le altre cose, mi sono reso conto che molte della melodie che io tuttora canticchio, camminando o sistemando la casa, provengono da quest’opera. Ma, ancora di più, sono rimasto colpito dalla profondità e dall’universalità artistica di questo lavoro che racchiude elementi del jazz del pop e del rock dell’epoca (con varie altre influenze, dall’atonale a Weill, fino ad una incursione nella musica indiana, relativamente popolare in quegli anni).

Intendiamoci: Escalator over the hill mi è sempre piaciuto e l’ho sempre ricordato come un’opera di grande spessore, ma erano anni che non lo riascoltavo e la sua freschezza, a 40 anni di distanza, mi ha davvero sorpreso. Soprattutto mi ha sorpreso l’attualità compositiva del tutto, mentre oggi, quando concetti come la world music e il crollo dei muri, compresi quelli che delimitano i generi, dovrebbero essere ormai assodati, non vedo in giro lavori di questa potenza.

Nella versione del 1971 (è stato poi eseguito live nel 1997, 98 e 2006 con altri musicisti), Escalator ha messo insieme un personnel di gran lustro:

Acoustic Guitar – Sam Brown
Bass – Charlie Haden , Jack Bruce , Richard Youngstein , Ron McClure
Bells, Celesta – Bill Morimando
Cello – Calo Scott
Clarinet – Perry Robinson , Souren Baronian
Clarinet, Saxophone [Tenor] – Gato Barbieri , Peggy Imig
Congas – Roger Dawson
Drums – Paul Motian
French Horn – Bob Carlisle , Sharon Freeman
Guitar – John McLaughlin
Lyrics By – Paul Haines
Organ, Celesta, Organ [Calliope], Written-by – Carla Bley
Saxophone [Alto] – Dewey Redman , Jimmy Lyons
Saxophone [Baritone] – Chris Woods
Synthesizer [Moog] – Don Preston
Trombone – Jimmy Knepper , Roswell Rudd , Sam Burtis
Trombone [Bass] – Jack Jeffers
Trumpet – Don Cherry , Enrico Rava
Trumpet, Producer – Michael Mantler
Tuba – John Buckingham
Vibraphone – Karl Berger
Viola – Nancy Newton
Violin – Leroy Jenkins
Vocals – Jack Bruce , Linda Ronstadt

Tutti questi musicisti si dividono tra più gruppi per raccontare una complessa vicenda i cui personaggi sono rappresentati sia dai cantanti che dai musicisti, dove gli ultimi concorrono alla definizione dei caratteri esprimendo le emozioni che vanno oltre le parole semplici ma visionarie, aperte a molte interpretazioni, di Paul Haines.

Qualcuno ha scritto che ognuno ha la musica che si merita. Non so cosa ho fatto di buono, ma sono molto contento di meritarmi, fra le altre, questa 🙂 .

Da You Tube, ecco la playlist completa (27 tracce).

Action rituelle

coverAgnes Heginger, soprano e Karlheinz Essl, elettronico, hanno registrato poco meno di un anno fa, all’Essl Museum in Vienna, questo disco, dal titolo Out of the Blue.

Sei brani, di cui tre collaborazioni e tre soli. Lo stile è generalmente quello della free music europea, virtuoso, ma spesso destrutturato e a tratti manierista (esiste, naturalmente, un manierismo anche nella free music).

Ma c’è almeno un brano, questo Action rituelle, inciso in duo, che, a mio avviso, trascende il genere e conquista per la sua intensità.

Il disco è distribuito dalla netlabel portoghese XS Records e liberamente scaricabile anche dall’Internet Archive.

Agnes Heginger e Karlheinz Essl – Action rituelle

Neozoon

La street-art (graffiti et similia) è ormai storia, tanto da essere uscita dalle strade ed entrata nelle gallerie e come tale ha assunto anche caratteri di auto-celebrazione.

A mio avviso, invece, questo lavoro del gruppo berlinese/parigino Neozoon mantiene intatta una forza evocativa che sembrava perduta. Spettri degli animali che abitavano quei luoghi prima e all’alba dell’uomo, realizzati in materiali di riciclo, vecchie pellicce, parti di vestiario, scampoli di attività umana rigettata.

Oltre a quelle qui sotto, molte altre immagini sono su Flickr.

Il triangolo

Nathan Davis, nato in Alabama nel 1973, è percussionista e compositore elettroacustico. Fra le altre cose, è cofondatore del duo elettroacustico violoncello e percussioni Odd Appetite dal cui sito traiamo questo estratto da Diving Bell (2002), un brano in cui tutti i suoni sono generati “dall’umile e meraviglioso” triangolo.

È il tipo di brano che, prima o poi, invito i miei studenti a fare perché lavorare su una singola sonorità aiuta a capire che c’è un universo complesso all’interno di ogni suono.

Note dell’autore:

Diving Bell invites the listener to delve deeply into the sound of the humble and magnificent triangle. By striking the triangles at different points and with different materials, and by using a handheld microphone, I extract and re-sculpt single overtones that are present in the overall sound of the instruments, hidden sounds that are normally only apparent when one holds the triangle up to their ear, like a tuning fork. With the help of tape delay modeling software, I layer these rich overtones in a structured improvisation.

Il brano fa parte del CD Memory Spaces.

Chris Jordan

Chris Jordan trasforma dei dati statistici in arte in modo molto creativo e stimolante.

Le serie Running the Numbers, per esempio, partono da dati statistici relativi ai consumi degli americani, nel primo caso, e ai fenomeni di massa, nel secondo, per creare delle immagini che danno un’idea della vastità del fenomeno.

Sulla prima serie, l’autore scrive:

Running the Numbers looks at contemporary American culture through the austere lens of statistics. Each image portrays a specific quantity of something: fifteen million sheets of office paper (five minutes of paper use); 106,000 aluminum cans (thirty seconds of can consumption) and so on. My hope is that images representing these quantities might have a different effect than the raw numbers alone, such as we find daily in articles and books. Statistics can feel abstract and anesthetizing, making it difficult to connect with and make meaning of 3.6 million SUV sales in one year, for example, or 2.3 million Americans in prison, or 32,000 breast augmentation surgeries in the U.S. every month.

This project visually examines these vast and bizarre measures of our society, in large intricately detailed prints assembled from thousands of smaller photographs. Employing themes such as the near versus the far, and the one versus the many, I hope to raise some questions about the roles and responsibilities we each play as individuals in a collective that is increasingly enormous, incomprehensible, and overwhelming.

Le immagini pubblicate sul web sono ingrandibili in modo da rivelare la loro composizione. Qui sotto un esempio dalla prima serie a vari livelli di ingrandimento.

Interviste

logoLa Paris Review è una prestigiosa rivista letteraria online.

La scorsa settimana ha aperto il nuovo sito, molto raffinato, mettendo in linea anche un grande archivio di interviste con famosi personaggi dell’ambiente letterario internazionale.

Le interviste spaziano in arco temporale di 50 anni e includono scrittori come Woody Allen, W. H. Auden, J. G. Ballard, Saul Bellow, Heinrich Boll, Borges, Paul Bowles, Ray Bradbury, Anthony Burgess, William S. Burroughs, Italo Calvino, Truman Capote, Raymond Carver, Louis-Ferdinand Céline, Jean Cocteau, Don DeLillo, tanto per citare solo qualcuno fermandosi alla lettera D.

Il tutto è in inglese e fortunatamente è riportato per iscritto. Io odio i podcast e li considero una disgrazia, primo perché occupano un sacco di spazio rispetto all’equivalente ASCII, secondo perché, nonostante io capisca l’inglese, spesso sono costretto a riascoltare delle frasi, terzo perché, con uno scritto e un traduttore automatico, per quanto male vada, anche chi non capisce la lingua può farsi un’idea del contenuto. Infine, il podcast è uno strumento di potere che va contro l’universalità di internet perché consente ad un’area linguistica di far pesare la propria influenza culturale.

L’indice, per annata o per nome, è qui.

Via Open Culture

Un busto a Frank Zappa

Un busto dedicato a Frank Zappa è stato inaugurato due giorni fa nella sua città natale, Baltimora.

La cosa buffa è che il busto è stato donato alla città di Baltimora dall’attivissimo Zappa fan club lituano ed è una copia di quello eretto a Vilnius alcuni anni or sono.

Così il monumento non è costato nulla alla città di Baltimora, che finora aveva fatto solo lo sforzo di proclamare un “Frank Zappa Day” nella giornata del 9 Agosto 2007.

Zappa Bust

Metri quadrati per persona

square feet per person

Questa immagine schematizza la densità della popolazione in varie aree del pianeta e lo fa calcolando lo spazio disponibile per ogni abitante. Notate che questa superficie è riferita al terreno calpestabile, cioè esclude laghi e fiumi.

Le misure sono in piedi quadrati, ma una veloce conversione in metri quadrati dà (e aggiungo l’Italia):

  • Australia 365961 m2, che equivalgono a un quadrato con il lato pari a circa 605 m
  • Canada 273823, idem 523
  • Russia 120805, 348
  • USA 30158, 174
  • Sud Africa 25009, 158
  • Messico 17491, 132
  • Cina 7035, 84
  • Italia 4969, 70
  • Gran Bretagna 3965, 63
  • Giappone 2944, 54
  • Bangladesh 872, 30
  • Hong Kong 156, 12.5
  • Monaco 59, 7.7

ma l’immagine esprime meglio le differenze.

Tutto questo significa anche che, se gli esseri umani fossero distribuiti con la massima regolarità, in Australia sarebbero a circa 605 m l’uno dall’altro come minimo, mentre nel Principato di Monaco ognuno avrebbe 4 immediati vicini a circa 7.7 m di distanza.

Ovviamente bisogna anche pensare che, se è vero che, per es., in Australia, ognuno dispone di 365961 m2, gran parte di questo territorio è costituito da deserti difficilmente abitabili, così come in Canada buona parte del terreno è gelato.

Però la presenza di un territorio così vasto ha un effetto. Quando guidavo in Russia o in Canada avevo spesso la percezione della vastità in gran parte vuota che iniziava subito al di là dei confini della città, mentre ad Hong Kong (prima del ritorno alla Cina), mi rendevo conto che era impossibile sfuggire alla folla.

Una sensazione simile, seppure meno opprimente, mi accompagna anche qui, in Italia. Andando su e giù per la pianura Padana o per la valle dell’Adige, ma anche salendo sulla montagna trentina, è quasi impossibile non vedere costruzioni e altri segni evidenti di presenza umana.

E non è un caso, secondo me, che i più visionari progetti di land art nascano dalla mente di persone che vivono nei paesi a bassa densità abitativa.

Jim Denevan

L’immagine rappresenta un recente lavoro di Jim Denevan, land artist di cui ci siamo già occupati.

Bach Panther

Una rapida lezione sulla fuga e sul contrappunto. Tra l’altro, è un modo inedito di filmare il piano.

 

Fugue n°XXIV extract from 60 “Préludes & Fugues dans les Trente Tonalités” of Stéphane Delplace.
Based on the Henri Mancini’s Pink Panther Theme.
Interpreted by Stéphane Delplace.
Filmed and directed by Stéphan Aubé.
More : http://www.stephanedelplace.com

Addio banda larga

Di solito non mi occupo delle nefandezze governative, ma stavolta, visto che cosa riguarda internet, ve lo faccio sapere.

Secondo Punto Informatico, che cita Il Sole 24 Ore,

Il Ministero dello Sviluppo economico, ormai vacante da mesi e guidato ad interim dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e, di fatto, dal Viceministro della comunicazioni Paolo Romani, ha reso noto che gli attesi 800 milioni di euro, che sarebbero dovuti servire per dare il via alla riforma infrastrutturale per estendere la diffusione della banda larga in Italia, si sono ridotti a 100.


La nuova cifra accompagna la considerazione che la banda larga non rappresenti più una priorità per il governo, e lascia tutti gli osservatori insoddisfatti: sono ritenuti del tutto insufficienti per risolvere il problema del digital divide. Potrebbe addirittura acuirlo potendo agire solo su alcune zone, nello specifico alcuni distretti industriali individuati da Confindustria e dal Ministero e da attribuire su base regionale.

Ok. Di fatto significa anche acuire il divario informatico fra l’Italia e gli altri paesi d’Europa, con ricadute su altri settori. Per esempio, in Francia, da quando esiste l’obbligo della fatturazione elettronica (che arriva anche immediatamente nelle mani del fisco), l’evasione, già ben più bassa della nostra, si è ulteriormente ridotta e dove uno studio stima in 40 miliardi di euro il risparmio per le aziende, di cui uno solo attribuito alle 50 maggiori.

Ma, nell’articolo di Punto Informatico, la cosa che mi fa maggiormente incazzare è questa:

A rendere più grave la situazione, il fatto che sembrerebbe non esserci l’asta sulle frequenze lasciate libere a seguito del passaggio al digitale terrestre, che sono state invece in parte destinate dal Ministero dello Sviluppo Economico proprio al gruppo Mediaset per sperimentare nuove soluzioni in HD per la TV tradizionale.
Il tutto confermerebbe le accuse che ad agosto il Presidente dell’Agcom ha lanciato: un grave rischio per l’Italia, che sembra non voler salire sul treno della connessione.

Ma guarda un po’. Chi decide dove vanno a finire le frequenze? Il Ministero dello Sviluppo Economico. E chi ha in mano il suddetto ministero? Berlusconi, nonostante le lamentele di tutti e ad onta di premesse regolarmente non mantenute.

E cosa decide il suddetto ministero? Che intanto parte delle frequenze lasciate libere a seguito del passaggio al digitale terrestre vadano a finire a Mediaset. E di chi è Mediaset? Di Berlusconi. Ma che caso…

Ma, dannazione, forse con il Berlusca

  • guadagniamo di più? No.
  • abbiamo meno tasse? No.
  • abbiamo più lavoro? No.
  • abbiamo più libertà? No.
  • l’Italia vince i mondiali? No.

‘Cazzo aspetta la gente a svegliarsi?

Charts Music

Johannes Kreidler (1980) è uno dei giovani compositori attualmente più discussi. Sa essere provocatore in modo molto tagliente, fa frequenti incursioni nel pop e spesso utilizza la musica per sollevare questioni etiche.

Uno dei suoi brani, Product Placements (2008), è una provocazione nei confronti della GEMA (la SIAE tedesca). In Germania, con splendida coerenza teutonica, per depositare un brano si deve compilare un modulo per ogni campionamento utilizzato, per quanto breve sia. In Product Placements Kreidler riesce a stipare 70200 campioni tratti da dischi altrui nel giro di 33 secondi. Ovviamente, con una tale concentrazione, i singoli campioni sono irriconoscibili. Ciò nonostante, Kreidler ha preteso di depositare il brano inviando 70200 moduli.

Nel pezzo che vi presentiamo, Charts Music (2009), le melodie sono generate seguendo le curve dei grafici della borsa (sostanzialmente discendenti) e delle vittime in Iraq (ascendenti), passando per l’andamento del debito  e del tasso di disoccupazione negli USA. I grafici vengono rimappati su una scala musicale e armonizzati con SongSmith, il software della Microsoft che genera automaticamente un accompagnamento in uno stile a scelta basandosi sulla melodia.

Il risultato è uno spassoso e conturbante esempio di sonification.

Kreidler vive a Berlino e insegna teoria musicale e musica elettronica all’Università della Musica e del Teatro di Rostock, al Hochbegabtenzentrum della Università della Music di Detmold e alla Hochschule für Musik und Theater di Hannover.

Strutture Abbandonate

coverStrutture abbandonate sono quelle che vengono alla mente ascoltando questa release per Test Tube di Philip Croaton, russo, così come viene in mente Tarkovsky.

Vengono anche in mente le strutture musicali abbandonate, come è tipico di molta musica di questo tipo.

In effetti, non è che l’ambient mi dispiaccia. All’ascolto è godibile. Ma poi rimango sempre a bocca asciutta per l’assenza di qualsiasi sviluppo. Musicalmente viene stabilita un’atmosfera che poi non cambia mai. È come se uno mi raccontasse una storia in cui non succede nulla.

Solo in pochissimi casi si riesce a raccontare in modo interessante una storia in cui non accade nulla e di solito è perché, ad una lettura più attenta, si scopre che in realtà accadono molte cose. Un esempio letterario: Rumore Bianco di Don Delillo. Un esempio musicale: il primo brano di Music for Airport che procede sempre con lo stesso mood, ma almeno il gioco della sovrapposizione delle parti temporalmente sfasate è motivo di interesse.

Ora, prendo atto che quella della continuità e del non sviluppo è proprio la poetica dell’ambient, però ci sono molte cose che mi lasciano perplesso. La più inquietante è che una musica come questa potrebbe benissimo essere generata direttamente da un computer. Non avrei problemi a scrivere un software che produca automaticamente gran parte dell’ambient che sento in giro.

Naturalmente, poi, non inventerebbe niente. Semplicemente ogni brano continuerebbe così, in un continuum armonicamente definito dai dati di partenza. Con un piccolo sforzo di programmazione, potrebbe anche cambiare e introdurre altri eventi, secondo regole che, dopo un po’, diventerebbero alquanto prevedibili per un ascoltatore attento, ma è questo quello che vogliamo?

Eppure questa è la filosofia dell’ambient. Come scrisse Eric Satie nei “Quaderni di un mammifero“:

Bisognerebbe comporre una musica d’arredamento, che conglobasse i rumori dell’ambiente in cui viene diffusa, che ne tenesse conto. Dovrebbe essere melodiosa, in maniera da addolcire il suono metallico di coltelli e forchette, senza troppo imporsi, senza volervisi sovrapporre. Riempirebbe i silenzi, a volte pesanti, fra i commensali. Risparmierebbe il solito scambio di banalità. Neutralizzerebbe, nello stesso tempo, i suoni della strada che penetrano, indiscreti, all’interno.

Ottima idea. Perfino piacevole. Ma adesso abbiamo visto come funziona. Passiamo ad altro, per favore.

Per finire, non ce l’ho con il disco di Croaton (liberamente scaricabile qui e di cui potete assaggiare degli estratti qui sotto), che è un gradevole massaggio con un fondo di malinconia. Ce l’ho con la moltitudine.

Estratti:

Frodi Musicali

Dopo la discussione, peraltro molto interessante e per me, fruttuosa, sulla paternità delle opere di Scelsi, ho cercato un po’ per vedere se potessero esistere altri casi paragonabili.

Quando ho cominciato pensavo che in musica non esistessero molte situazioni del genere, almeno in tempi recenti (nell’antichità chissà cosa può essere successo), a meno di non scendere nel campo della musica di consumo nel senso stretto del termine dove è risaputo che gli individui che si presentano in pubblico suonano sempre in playback e sono solo dei front-men perché in realtà gli esecutori sono altri (tipicamente dei session men).

Nella musica classica, a mio ricordo, c’erano solo due casi di una certa importanza, ma entrambi riguardavano esecutori, non compositori, ed entrambi erano delle frodi consapevoli (mi riferisco al caso Joyce Hatto e a quello Schwarzkopf – Flagstad, con alcune note sostituite in una incisione). Invece è bastato cercare un po’ per trovarne parecchi:

Henri Casadesus (1879 – 1947) era violista ed editore musicale, fratello di Marius che a sua volta era lo zio del famoso pianista Robert Casadesus e prozio di Jean Casadesus. Egli fondò la Société des Instruments Anciens con Camille Saint-Saëns nel 1901. La società, che operò tra il 1901 ed il 1939, fu un quintetto di esecutori che suonavano strumenti antichi come la viola da gamba o la viola d’amore.

Il quintetto di dedicò alla riscoperta di opere di musicisti del passato non più eseguite da secoli. Si scoprì poi, che diversi pezzi attribuiti a famosi musicisti del passato, erano invece delle loro composizioni. L’Adélaïde Concerto, da loro attribuito a Wolfgang Amadeus Mozart, era stato scritto da Marius Casadesus.

Sembra invece che Henri fosse il compositore del “Concerto in re maggiore per Viola” attribuito a Carl Philipp Emmanuel Bach, descritto da Rachel W. Wade nell’appendice B del suo Keyboard Concertos of Carl Philipp Emmanuel Bach. Questo concerto apparve nel 1911 in una edizione russa, presumibilmente “trascritta…per piccola orchestra da Maximilian Steinberg,” e venne poi eseguita da direttori come Darius Milhaud e Serge Koussevitsky, e registata da Felix Prohaska e Eugene Ormandy. Nel 1981, Wade scrisse: “al giorno d’oggi, il più eseguito concerto di C.P.E. Bach non è stato scritto la lui.”

Henri è anche accreditato di un concerto di Handel e di un concerto di J.C. Bach, entrambi per viola. Questi ultimi vengono oggi adoperati nell’insegnamento del metodo suzuki per la viola, e vengono detti “The Handel/Casadesus Concerto” e “The J.C. Bach/Casadesus Concerto”.

Si passa, poi a Gaspar Cassadò (1897 – 1966), violoncellista e compositore spagnolo, ricordato perché alcune parti del suo Concerto per violoncello in RE min. e della Suite per Cello solo erano in realtà trascrizioni o rielaborazioni di brani altrui (Ravel, Kodaly), ma questo è un peccato veniale. Cassadò ha scritto molte trascrizioni e variazioni su opere altrui in modo non fraudolento. Tuttavia si è attribuito anche molti brani scritti alla maniera di… che forse lo sono un po’ troppo.

François-Joseph Fétis (1784 – 1871) è stato un musicologo, compositore e docente belga. Autore di parecchi “scherzi” (non nel senso della forma musicale), scrisse un concerto per liuto, peraltro eseguito anche da Sor, attribuendolo a Valentin Strobel.

Ma quello che ha fatto il colpo più grosso è senz’altro il musicologo italiano Remo Giazotto (1910 – 1998) che fu un famoso esperto di Albinoni, al punto tale da scrivere e attribuirgli il celeberrimo Adagio in SOL minore, noto, appunto, come Adagio di Albinoni.

Giazotto dichiarò di essersi limitato a “ricostruire” l’Adagio sulla base di una serie di frammenti di Tomaso Albinoni che sarebbero stati ritrovati tra le macerie della biblioteca di Stato di Dresda – l’unica biblioteca a possedere partiture autografe albinoniane – in seguito al bombardamento della città avvenuto durante la seconda guerra mondiale. I frammenti sarebbero stati parte di un movimento lento di sonata (o di concerto) in sol minore per archi e organo.

In verità, a partire dal 1998, anno della morte di Remo Giazotto, l’Adagio è emerso essere una composizione interamente originale di quest’ultimo, giacché nessun frammento o registrazione è stato mai trovato in possesso della Biblioteca Nazionale Sassone.

Secondo wikipedia, Giazotto è fortemente contestato dagli odierni studiosi di musica barocca, perché più volte accusato di aver prodotto dei veri e propri falsi, specie in ambito vivaldiano.

Lost Lands

cover

A new release from Test Tube.

Italian musician David Fungi returns to test tube with an old and curious recording. ‘Lost Lands’ was recorded nearly 10 years ago in an unusual place for doing so: a cave. Valganna, in Italy, has a series of caves well known for its acoustics, but David chose to record there not only because of that but also because a cave is a mystical an mythological place, believed to be a passage to unknown words, or unknown universes… Jules Verne, the science fiction pioneer, dreamed of it and wrote about it.

Essentially, ‘Lost Lands’ is an experimental piece which travels between a handful of different ‘ambiances’, from drone to calm and meditative based sequences, and near its end you can even feel a short sprout of soft clicks and cuts. This an excellent piece of great experimental music.

Pedro Leitão

Download page is here.

Listen to Lost Lands

The perfect resting place…

logo… for vinyl lovers.

Traggo da Joyello questo interessante annuncio.

Dopo la nostra dipartita, le nostre ceneri, invece che finire sottoterra o disperse al vento, possono essere aggiunte alla pasta di vinile con la quale si stamperà una versione personalizzata del nostro disco preferito.

Da buon megalomane (ma neanche tanto), farei stampare un disco con la mia musica…

Il sito è molto divertente e sconsigliato ai superstiziosi. Il teschietto in basso a destra è il mouse. Inoltre notate la falce a guisa di puntina e la croce con scritto R.I.V. (requiescat in vinyl, I suppose).

Cliccate la morte per andare al sito.

1-Bit Symphony

I casi della vita sono strani.

Tristan Perich sta facendo fortuna con il suo concetto di musica a 1 bit che non è altro che la ripresa, pari pari, della sintesi sonora utilizzata nei primissimi personal computer (il Commodore 64 era già più avanti, ma le sonorità sono simili).

In pratica, si utilizza un piccolo circuito con un flip-flop, cioè un dispositivo che alterna 1 e 0 a intervalli di tempo regolari, generando un’onda quadra. Se, per esempio, il flip-flop alterna uno e zero 440 volte al secondo, si genera un’onda quadra a 440 Hertz, cioè un LA, che però conterrà solo gli armonici dispari (così è l’onda quadra) e un po’ di quelli pari ma solo per distorsione armonica, con effetti temibili già sulle consonanze più lontane di 8va e 5a (ovvero praticamente tutte).

Questo sistema era usato nei vecchi pc per pilotare il piccolo e nefando altoparlante di sistema perché richiede risorse minimali. Era semplice, quindi, costruire circuitini di costo bassissimo in grado di produrre molte onde quadre a frequenze diverse contemporaneamente, come nel famigerato SID del Commodore 64 (il cui nome tecnico era 8580 SID chip, dove la sigla stava pomposamente per Sound Interface Device).

Peraltro, questo tipo di sintesi è già utilizzato da anni dai vari gruppetti che fanno quella che viene chiamata 8-bit music, proprio perché si rifà alle vecchie macchine a 8 bit.

Ora Perich ha ripreso questo disturbante suono realizzando varie installazioni e composizioni, alcune delle quali sono anche strutturalmente interessanti ma, per le mie orecchie, sono indelebilmente marchiate dal suono del C64 che mi fa venire voglia di piazzare un bel filtro passa-basso a valle di tutto l’audio.

La cosa buffa è che, quando eravamo piccoli, di cose del genere ne abbiamo fatte a tonnellate, ridendoci sopra. Però, ripeto, i casi della vita sono strani e oggi la gente trova un gran gusto nel farsi trapanare le orecchie dalle onde quadre.

Non so che dire. Esiste, nella vita, il fascino delle cose antiche riprese e riviste, che è anche quello che spinge della gente a suonare musica antica con strumenti d’epoca e corde di budello che però, proprio perché d’epoca, non stanno accordati per più di 5 minuti, costringendo l’interprete a suonare stonato per metà del pezzo (NB: non ce l’ho con la musica antica ma solo con quelli che fanno come sopra).

Ecco alcuni esempi fra i migliori (ne trovate altri sul suo sito), nonché il video della temibile 1-Bit Symphony.

  • Between the Silences for nine strings, nine-part 1-bit music (2008)
  • All Possible Paths for clarinet, acoustic guitar, cello, double bass, marimba, piano, 5-channel 1-bit electronics (2008), commissioned by Bang on a Can’s People’s Commissioning Fund

Gong

Il danese Poul Ruders (1949, Ringsted) è un compositore piuttosto eclettico, la cui produzione spazia dall’opera a lavori orchestrali, passando attraverso brani da camera, vocali e soli. Qualcuno può anche obiettare che è normale per un compositore scrivere per varie formazioni e fin qui sono d’accordo. Il punto è che è così anche stilisticamente, passando, nel giro di un anno, dal pastiche vivaldiano del concerto per violino (1981) fino al modernismo di Manhattan Abstraction (1982). In effetti, è difficile da inquadrare perché non si inserisce decisamente in nessuna corrente.

Qui ascoltiamo Gong, tratto da Solar Trilogy del 1992, un brano per orchestra abbastanza magmatico (in senso sonoro), in cui il nostro passa dall’informale a sequenze di accordi quasi stravinskyane o a parti ritmiche sostenute, non disdegnando un po’ di spettralismo qua e là.

Nonostante lo stile non ben definito (ma anche questo è uno stile), il brano ha, comunque, parecchie parti interessanti e l’orchestrazione è condotta con una certa maestria.

Il bug del copyright

Tempo fa, a uno studente che voleva sapere qualcosa di più su Stockhausen, avevo consigliato di leggere l’Intervista sul genio musicale, un lungo colloquio con il nostro, a cura di Myra Tannenbaum, Ed. Laterza, Bari, 1985.

Qualche giorno fa mi ha scritto che non si trova.

Incredulo, vado a cercare sulle più note librerie online e ha ragione: non si trova da nessuna parte. Allora vado sul sito dell’editore, cerco per titolo e mi esce “Nessun libro trovato”. Il vecchio effetto si ripete. I libri scompaiono, come in Fahrenheit 451 dove vengono bruciati, solo che stavolta a farli sparire non sono i pompieri, ma gli avvocati con il supporto delle leggi sul copyright.

Questo effetto combinato del mercato e del copyright è demenziale. Intere biblioteche composte da tutto ciò che è stato stampato, ma che non può contare su un mercato planetario, sono state ingoiate dal buco nero del copyright a causa di una legge che anni fa, tutto sommato, era ragionevole, ma che in seguito a una serie di estensioni, si è trasformata in un killer culturale.

Facciamo un esempio prendendo proprio il già citato Fahrenheit 451. Ray Bradbury lo ha pubblicato nel 1953. Secondo la legge dell’epoca, sarebbe diventato di dominio pubblico, al massimo quest’anno, nel 2010. Nel ’53, infatti, secondo la legislazione americana, il copyright si estendeva per 28 anni, con la possibilità di un rinnovo altrettanto lungo (totale 56 anni).

Questa possibilità dell’opt-in era molto importante. Dopo 28 anni, infatti, doveva presentarsi un editore intenzionato ad usufruire di questa opzione e quindi, si presume, a sfruttare commercialmente l’opera. In caso contrario, il copyright decadeva.

Era un buon sistema per far sì che le opere che avevano acquisito una popolarità duratura continuassero ad essere sul mercato, mentre per quelle di minore impatto mercantile, si aprivano le porte del pubblico dominio e della circolazione privata fra gli interessati. In effetti, questo era il destino del 93% dei libri, mentre solo sul 7% si esercitava il rinnovo.

Le estensioni approvate via via negli anni hanno portato la durata del copyright a sfiorare il secolo (se nulla cambia, Fahrenheit 451 entrerà nel pubblico dominio nel 2049), ma, cosa ben peggiore, hanno tolto la consuetudine dell’opt-in, per cui tutto è automaticamente copyrighted per il periodo fissato.

La cosa più assurda, comunque, è il fatto che il diritto permane anche se il detentore non fa nulla per rendere disponibile sul mercato l’opera. Questo fatto danneggia chi la vuol leggere, ma anche l’autore o i suoi eredi, che potrebbero, invece, cercare di ricavarne qualcosa.

Infine, l’unico modo in cui il mio studente può leggere l’intervista con Stockhausen è farsela prestare o, se vuole averne una copia, commettere un reato.

Bombardato due volte

Yamaguchi TsutomuIl 4 Gennaio di quest’anno è morto Tsutomu Yamaguchi (山口 彊, 16 March 1916 – 4 January 2010), una delle poche persone ad aver subito due bombardamenti atomici ed essere sopravvissuto.

Yamaguchi era a Hiroshima il 6 agosto 1945 per un viaggio di lavoro per la società per cui lavorava, la Mitsubishi Heavy Industries. Stava scendendo dal tram quando la prima bomba atomica, Little Boy, fu sganciata sulla città.

L’esplosione gli provocò notevoli lesioni, distrusse i suoi timpani, lo accecò seppure temporaneamente e gli lasciò serie ustioni sulla metà superiore sinistra del suo corpo. Fu avvolto in bendaggi per le sue ferite e divenne completamente calvo.

Trascorse la notte successiva in un rifugio antiaereo prima di tornare alla sua città natale, Nagasaki, il giorno seguente. Yamaguchi stava spiegando ai suoi supervisori quanto vicino alla morte era stato, quando, a circa 3 km di distanza, fu sganciata la seconda bomba, Fat Man.

Anche questa volta sopravvisse. Nel 1957 gli venne riconosciuto lo status di hibakusha (vittima dell’esplosione) per la bomba di Nagasaki. Per molti anni tenne per sé la sua storia. Solo a ottant’anni scrisse un’autobiografia riguardante la sua esperienza e fu invitato a partecipare ad un documentario (nel 2006) intitolato Nijuuhibaku (“Bombardati due volte”) sulle 165 persone vittime di entrambe le bombe atomiche giapponesi.

Ombre

Una rimarchevole iniziativa dell’artista giapponese Tatsuo Miyajima.

Memore delle persone vaporizzate dall’atomica su Hiroshima, che di loro ha lasciato solo un’ombra su un muro, ha creato il Peace Shadow Project, un sito a cui tutti possono inviare la propria foto che viene poi trasformata in un’ombra e firmata (in seguito si può visionare l’immagine e anche cambiarla).

Il sito è un impressionante slide show delle immagini di tutte queste persone che si trasformano gradualmente in un’ombra blu, accompagnato da una gradevole musica d’ambiente. Un’idea semplice, realizzata in modo raffinato (c’è un team non banale, dietro) che, senza tante complicazioni, trasmette un’emozione immediata.

Un’ottima dimostrazione di come si possa utilizzare il web per fini creativi, artistici e sociali.

Peace Shadow Project

Here is a remarkable initiative by the Japanese artist Tatsuo Miyajima.

Mindful of the people of Hiroshima vaporized by the atomic bomb leaving only a shadow on a wall, she created the Peace Shadow Project, a website where everyone can send his photo that is converted into a shadow and signed.

The site is a very impressive slide show made by the pictures of all these people gradually transforming into a blue shadow, with a pleasant ambient music. A simple idea, very well realized and arousing a deep feeling.

David Byrne at the Roundhouse

In occasione del suo passaggio alla Roundhouse di Londra (7-31 Agosto), abbiamo una immagine un po’ più accurata dell’installazione Playing the Building di David Byrne di cui abbiamo parlato in febbraio.

It’s all mechanical. There’s no speakers, there’s no electronics, or any of that modern rubbish.

È un po’ buffo che Byrne chiami “rubbish” quello con cui ha giocato fino all’altro ieri. Ma forse questo approccio si adatta alla struttura vittoriana della Roundhouse, che, in origine, era un capannone adibito alla riparazione di motori a vapore.

In realtà Byrne sfrutta, con grande spiegamento di mezzi, idee che girano come minimo dagli anni ’70 (se non prima) e hanno raggiunto una certa notorietà all’epoca delle performance Fluxus (far suonare gli oggetti). Cioè, in questo caso quello che fa non è farina del suo sacco. Però almeno, grazie alla sua notorietà, ha il merito di proporre le suddette idee a un pubblico che altrimenti non le avrebbe mai conosciute…

Ed ecco anche un nuovo video

10 Beautiful Modern Ruins

The Coolist ha una bella rassegna fotografica delle 10 più belle e sorprendenti rovine moderne (alcune le abbiamo già segnalate), fra cui colpisce, non per la sua bellezza, ma per quanto è recente (le altre hanno almeno 50 anni), questo incredibile fabbricato: il Ryugyung Hotel a Pyong Yang (Corea del nord) che potrebbe essere uno dei più grandi fallimenti architettonici del XX° secolo.

Iniziato nel 1987 e bloccato nel 1992 per mancanza di fondi da parte del governo coreano, la costruzione è ripresa nel 2008, ma, data la segretezza governativa, è difficile, per ora, capire se i lavori siano solo di facciata o se l’edificio sarà portato a termine anche all’interno.

Qui su wikipedia.


If you find beauty in urban decay, in the crumbling and abandoned places of yesteryear, you’ll want to read on.  The Coolist publish a gallery of 10 of the most amazing, beautiful and creepy abandoned places in the modern world.

Here on wikipedia.


ryugyong-hotel


Guardate anche questo video di Ross Ching Labs su una Los Angeles vuota…

La pagella del mondo interattiva

Newsweek ha una bellissima pagina interattiva creata appositamente per illustrare la sua classifica dei «migliori Paesi del mondo» che, peraltro, è fatta in modo piuttosto interessante. La trovate qui.

Per la cronaca, la Finlandia è il Paese migliore del mondo. Precede la Svizzera e la Svezia. I norvegesi però non possono certo lamentarsi, sono sesti nella classifica globale, ma per qualità della vita battono tutti.

C’è anche l’Italia. Ventitreesimo posto, due posti sotto la Spagna. Davanti abbiamo però 12 Paesi europei e anche se in fatto di sanità saliamo addirittura sul podio, nelle altre quattro categorie siamo ben nascosti in mezzo al gruppo. Trentaquattresimi per l’istruzione, ventiduesimi per la situazione politica e addirittura 44esimi se si prende l’economia, ovvero competitività, dinamismo, apertura dei mercati.

Come fa notare anche La Stampa, dalla ricerca risulta che le cose vanno bene nei Paesi che investono (o investono bene) in istruzione. Non è un caso che la Finlandia sia la prima. Notare la parola. Investono, che significa: ci mettono soldi (sì, c’è anche scritto “investono bene”, ma per investire bene, intanto bisogna investire).

Ma non bastano scuole efficienti o insegnanti motivati a far correre gli alunni. La famiglia gioca un ruolo decisivo: all’età di 3 anni i figli di professionisti sono da un punto di vista dell’apprendimento (misurabile in vocaboli conosciuti e nei test di intelligenza) quasi un anno avanti rispetto ai coetanei provenienti da famiglie più povere.

Ripeto, la trovate qui.

8-hand Amériques

Amériques by Edgar Varèse arranged for 8-hand piano with pianists Jacob Greenberg, Amy Williams, Amy Briggs and  Thomas Rosenkranz.

BLADE RUNNER revisited

Video artist François Vautier made an experimental film in tribute to Ridley Scott’s legendary film “Blade Runner” (1982).
This film was made as a unique picture with a resolution of 60.000 x 60.000 pixels (about 3.6 gigapixels)
It was made with 167,819 frames from ‘Blade Runner’.

The artist explain

  1. first step : the “picture” of the film
    I extracted the 167,819 frames from ‘Blade Runner’ (final cut version,1h51mn52s19i)
    then I assembled all these images to obtain one gigantic image of colossal dimensions : a square of approximately 60,000 pixels on one side alone, 3.5 gigapixels (3500 million pixels)
  2. second step : an illusion
    I placed a virtual camera above this big picture. So what you see is like an illusion, because contrary to appearances there is only one image. It is in fact the relative movement of the virtual camera flying over this massive image which creates the animated film, like a film in front of a projector.

source : Blade Runner de Ridley Scott (the final cut)
duration : 1h51mn52s19i > 167819 frames >>
one picture / format psb : 60 000  X 60 000 : 3 540 250 000 pixels >> 3,5 gigapixels
compositing> logiciel : Combustion. Mac pro 2X 2.26 GHz Quad-Core Intel Xeon. nombre de layers : 1!

Note by me: 3.600.000.000 are 3.515.625 mega-pixels, so the title should be “> 3.5” not 3.6. But it’s only an academic question.

In my opinion, the interesting fact is that this is a whole film in a single image. All the 167819 frames from the film are in this mammoth image.

Edgar Mueller 3d painting

Now Moscow has a waterfall. It’s first Project (called Duality) of Edgar Mueller‘s new series “Unconditional Love” that took place under extreme environmental conditions in Moscow. Location: Tepli-Stan Mega Mall main entrance.

See also the video below.

I am standing in a line

A funny realization of Alvin Lucier’s “I am Sitting in a Room”, made by Christopher Penrose using the following text:

“I am standing in a long line at a crowded urban supermarket holding a bright yellow fly-swatter. I feel judged and mistrusted by many in the store as if I were brandishing a high-caliber firearm. There is even a dog here in the store barking at me. He knows that I am a premeditated killer of flies.”

16 iterations + original “spoken” text

Data Rape

Track 6 from E.A.R.’s 1998 “Data Rape”.

Circuit bending involves taking cheaply available electronic soundmaking toys (in this case mostly Texas Instruments’ “Speak & Spell” human voice synthesizing toys from the late ’70’s, but also applicable to all sorts of keyboards, effects boxes and samplers) and adding extra wires, knobs and switches to make new connections between parts of the internal circuitry and chips. This sends data and electronic signals to previously unrelated circuit board points – inducing through a strange sort of “Data Rape”- astounding new sounds, chance evolving compositions and textures, phoneme freezing and looping, random glottal pulse and phoneme generation, complex lattice filtering and unique pitch shifting techniques.

6 gradi ai Black Sabbath

Per ferragosto ecco qualcosa di divertente.

Come recita wikipedia, La teoria dei sei gradi di separazione è un’ipotesi secondo cui qualunque persona può essere collegata a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di 5 intermediari. Tale teoria è stata proposta per la prima volta nel 1929 dallo scrittore ungherese Frigyes Karinthy in un racconto breve intitolato Catene.

Dato che Karinthy si limitò ad enunciare la teoria senza dimostrarla in termini rigorosi, si dovrebbe parlare non di una teoria, ma di una congettura che rimane tale ancora oggi, anche se vi sono evidenze sperimentali della sua correttezza.

Dopo un tentativo fallito di dimostrarla per via matematica negli anni ’50, nel 1967 il sociologo americano Stanley Milgram ideò un sistema sperimentale per testare la teoria, che egli chiamò “teoria del mondo piccolo“.

Selezionò casualmente un gruppo di americani del Midwest e chiese loro di mandare un pacchetto ad un estraneo che abitava nel Massachusetts, a diverse migliaia di chilometri di distanza. Ognuno di essi conosceva il nome del destinatario, la sua occupazione, e la zona in cui risiedeva, ma non l’indirizzo preciso. Fu quindi chiesto a ciascuno dei partecipanti all’esperimento di mandare il proprio pacchetto a una persona da loro conosciuta, che a loro giudizio avesse il maggior numero di possibilità di conoscere il destinatario finale. Quella persona avrebbe fatto lo stesso, e così via fino a che il pacchetto non venisse personalmente consegnato al destinatario finale.

I partecipanti si aspettavano che la catena includesse perlomeno un centinaio di intermediari, e invece ci vollero solo (in media) tra i cinque e i sette passaggi per far arrivare il pacchetto. Le scoperte di Milgram furono quindi pubblicate in Psychology Today e da qui nacque l’espressione sei gradi di separazione che divenne subito molto popolare grazie anche al film tratto dall’omonima commedia teatrale di John Guare plurireplicata a Broadway.

La spiegazione della faccenda si basa sul fatto che, in ogni rete di persone, esistono individui che agiscono come aggregatori, perché hanno un numero di contatti elevatissimo. Il primo impiego pratico della teoria, per esempio, venne creato da Brett C. Tjaden sotto forma di un software che usava l’Internet Movie Database per calcolare i collegamenti tra attori differenti.

Il collegamento era effettuato mediante i film. Per esempio, il collegamento fra gli attori A e Z è dato dal fatto che A ha lavorato in un film con M che ha lavorato in un film con K che, a sua volta, ha lavorato in un film con X, il quale, infine, ha recitato con Z. In questo caso, il grado di separazione fra A e Z è 4.

Questo software, centrato sull’attore Kevin Bacon, considerato come uno degli aggregatori nel mondo del cinema per l’elevato numero di pellicole a cui ha preso parte, tanto che il suo grado di separazione con altri attori è circa 3, è ancora in rete con il nome de “The Oracle of Bacon“. Qui, per esempio, si può scoprire che il “numero di Bacon” che lo separa da Alvaro Vitali è solo 2 in quanto quest’ultimo ha lavorato con Gassman in “Mortacci (1989)” e Gassman ha lavorato con Bacon in “Sleepers (1996)”.

Nel 2001 Duncan Watts, un professore della Columbia University, riprese per conto suo la ricerca e ricreò l’esperimento di Milgram su Internet. Watts usò una e-mail come “pacchetto” che doveva essere consegnato e, sorprendentemente, dopo aver analizzato i dati ottenuti dagli invii effettuati da 48.000 differenti persone residenti in 157 stati diversi, nei confronti di 19 “bersagli”, trovò che il numero medio di intermediari era effettivamente sei.

Da qui il diluvio. Nel 2006, per esempio, due ricercatori di Microsoft, sfruttando i log delle conversazioni attraverso MSN Messenger, hanno ricavato che in media fra due utenti del programma vi sono 6,6 gradi di separazione (vedi) e nel 2008 Discover Magazine ha pubblicato un pezzo intitolato “If Osama’s Only 6 Degrees Away, Why Can’t We Find Him?“.

Nel mondo scientifico è diventato popolare il Numero di Erdős creato dagli amici di Erdős come tributo scherzoso all’enorme numero di pubblicazioni da lui scritte in collaborazione con un gran numero di matematici diversi.

Esiste anche un social network, chiamato Digrii, in grado di calcolare il grado di separazione fra i suoi utenti e mostrare anche il percorso di connessione (tu sei amico di quello, che è amico di quell’altro … etc.).

In musica le applicazioni non sono state molte. C’è un programma su Radio3 (Sei Gradi, che vanta vari tentativi di imitazione fra le radio private) in cui si va da un artista all’altro in 6 passi. Qui sono disponibili molte puntate.

Ma adesso c’è anche un sito, 6 Degrees of Black Sabbath, che utilizza i database di Echo Nest e MusicBrainz per connettere due musicisti dell’area pop e/o jazz, utilizzando non solo la partecipazione a una canzone o a una band, ma anche altri tipi di relazione (parentela, nomi d’arte, composizioni…)

Così si scopre, per esempio, che anche fra John Coltrane e i Black Sabbath ci sono 6 gradi, ovvero:

Da A
Relazione
John Coltrane Ravi Coltrane figlio
Ravi Coltrane Greg Osby M-Base Collective
Greg Osby Jimmy Herring Phil Lesh & Friends
Jimmy Herring T Lavitz Endangered Species
T Lavitz Aynsley Dunbar Jefferson Starship
Aynsley Dunbar Black Sabbath ha composto Warning

.

Radulescu’s piano sonata no. 6

Horatiu Radulescu – Piano Sonata No. 6, Op. 110 “Return to the Source of Light”: I. Use Your Own Light
Ian Pace, piano

Presented here is Radulescu’s last piano sonata, commissioned by the English pianist Ian Pace and premiered at the TRANSIT Festival, Leuven, Belgium, in October 2007. This is the first movement, “Use your own light”. The initial rhythmic motif, a rhythm in a bar of 5+4+4+4, reiterates a low D, with propulsive material in the right hand breaking into higher registers like sudden shafts of lightning. Subsequent sections introduce polyphonic treatments of Romanian folk melodies, often in the form of mensural canons. These melodies recur in Radulescu’s later works. The movement builds steadily to an almost manic intensity, with the pianist taxed to the limits of his dexterity.

Totem

Philippe Manoury – Fragments pour un portrait (1998): 7. Totem
Ensemble Intercontemporain / Susanna Mälkki, conductor / IRCAM

Click here to read extended notes about the piece by the composer itself.

Nuit

Philippe Manoury – Fragments pour un portrait (1998): 4. Nuit
Ensemble Intercontemporain / Susanna Mälkki, conductor / IRCAM

Click here to read extended notes about the piece by the composer itself.

Arte live web

C’è molta musica di alta qualità sul sito di Arte, la TV franco-tedesca visibile in tutta Europa,ma che non arriva in Italia nonostante l’appello lanciato nel 2004 da Abbado, perché spendere per la cultura non fa parte delle abitudini dei nostri governi.

Attualmente, a quanto mi consta, da noi Arte si può seguire gratuitamente solo mediante parabola satellitare in lingua francese o tedesca. Non mi risulta sia inclusa nei canali distribuiti gratuitamente sul digitale terrestre.

Fortunatamente possiamo sempre contare sul sito web in cui troviamo parte della produzione di questo canale. Non si tratta solo di musica classica: il sito ospita anche pop rock & electro, jazz & blues, chanson française, world music, teatro e danza.

Intanto guardatevi Ensemble Intercontemporain & Patricia Kopatchinskaja Quaerendo Invenietis di Bach

Arté site

Call 911 via Twitter

We have what could be the first call for immediate help via Twitter.

A mountain biker who was too far from any real humans to scream for help, and too far from a cell phone tower to call 911 found that she did have enough of a cell signal to tweet her emergency.

“I’ve had a serious injury and NEED Help!” she typed. “Can someone please call Winding Trails in Farmington, CT tell them I’m stuck bike crash in woods.”

Within minutes of sending her tweet, she heard an ambulance siren. Here is the whole new.

What’s about this story? If you are at the edge of a (wireless) network, you’ll have fringe coverage enough to get a text message through.


Secondo voi, può accadere in Italia?

In altre parole, se vedete su Twitter un messaggio tipo quello di cui sopra, chiamate un’ambulanza o lo ignorate?

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Ypsilon

K. Stockhausen, Ypsilon for a melodic instrument with micro-tones (1989, flute version).

Notes at Stockhausen Edition no. 28 by Sonoloco

“Ypsilon” is a Greek letter symbolically used to indicate variable quantity. Stockhausen’s composition with the same name from 1989 is scored for “a melody instrument with micro-tones”. The composition can be performed on any wind instrument that has keys or valves. Stockhausen has given the piece a graphical score in 16 pitches. He has indicated that the intervals between the pitches should be “as small as possible but clearly perceivable”. That is what he means by “variable quantities”, since the steps of the intervals depend on the instrument and the player. “Ypsilon” for flute was worked out by Kathinka Pasveer in 1990. Again the melody is that of the Eve-formula, here starting with the central pitch of “Dienstag aus Licht” (“Tuesday from Light”) but stretched to 9 minutes and compressed spatially into approximately a minor third.
The rattling of bells startles at first. The costume of the player is saturated with Indian bells (compare the costume of the birdman Miron of “Musik im Bauch”!). The clicking of the valves adds another dimension to this fabric of sounds, and the human sounds of kissing, combined with other human – vocal – sounds, further the impression. Small pauses are inserted into the progression of events, and sometimes the shaking of the Indian bells reign in supremacy. The player achieves this by shivering!
This is one strange piece of music, which easily transports the suggestive listener into alien levels of experience!

Musicofilia

Oliver Sacks, MusicofiliaIl libro di Oliver Sacks, Musicofilia (Adelphi Ed., 2008-2009), è una miniera di aneddoti e considerazioni sulle più disparate affezioni che coinvolgono la percezione e l’apprezzamento della musica.

Neurologo e psichiatra, ma anche membro onorario dell’Institute for Music and Neurologic Function, che ha contribuito a fondare, Sacks ha avuto fra i suoi pazienti parecchi musicisti e si è ritrovato a trattare molti casi di distorsione percettiva relativamente poco comuni e decisamente complessi, alcuni dei quali vengono descritti in questo libro.

Così, fra un caso di epilessia musicogena (crisi epilettiche indotte dalla musica che colpiscono un critico: giusta nemesi :mrgreen: ), uno di amusia cocleare (deviazione nella percezione dell’altezza dei suoni che affligge un compositore: idem) e il sorprendente capitolo dedicato a un medico che, dopo essere stato colpito da un fulmine, sviluppa un insaziabile desiderio di ascoltare musica per pianoforte, suonare e perfino comporre, si passano ore piacevoli a riflettere sulla complessità di quel sistema percettivo il cui funzionamento è in massima parte determinato dalla comunicazione bilaterale orecchie -> cervello che alla fine dà vita al fenomeno musicale.

Fenomeno, peraltro, ancora poco indagato e compreso, soprattutto se si confronta con quanto, invece, conosciamo della percezione visiva. Fenomeno che è stato sempre sottovalutato, a partire dallo stesso Darwin che ne era palesemente sconcertato, tanto da scrivere nell’Origine dell’uomo, che

Giacché né il piacere legato alla produzione di note musicali, né la capacità [di produrle] sono facoltà che abbiano il benché minimo utile diretto per l’uomo … devono essere collocate fra le più misteriose di cui egli è dotato.

È una vecchia storia questa dell’inutilità della musica d’ascolto, avvalorata dal fatto che presso molte tribù “primitive” che pure dedicano alla musica varie ore al giorno, il concetto di musica nemmeno esiste (se si chiede a uno di loro che cosa stia facendo, si ottiene una risposta tipo “batto il tamburo per propiziare la caccia”).
Una storia diffusa al punto da contagiare anche uno scrittore e scienziato come Arthur Clarke, visto che perfino gli alieni venuti a salvarci da noi stessi, i Superni de Le Guide del Tramonto, sono del tutto insensibili alla produzione di suoni svincolati da una funzione.
Una credenza che, fortunatamente, viene lentamente demolita da studi come quelli di Steven Mithen, il quale, nel suo Canto degli Antenati (The Singing Neanderthal, di cui abbiamo già parlato), ipotizza che la musica e il linguaggio abbiano un’origine comune e che una caratteristica della mente neandertaliana fosse proprio una combinazione di proto-musica e proto-linguaggio (Mithen chiama questa sorta di linguaggio cantato fatto di significati, ma senza singole parole così come noi le intendiamo, HMMMM che sta per holistic-mimetical-musical-multi-modal).

E tuttavia, se è difficile spiegarne l’origine, non c’è niente di strano al pensiero di produrre qualcosa per puro piacere estetico e/o intellettuale, attività che, peraltro, non è ad esclusivo appannaggio delle civiltà tecnologicamente avanzate. Spesso e giustamente si dice che l’arte si può fare solo quando i bisogni primari (principalmente l’assillo del cibo) sono soddisfatti, sottintendendo che soltanto una civiltà progredita possa permettersela.
Si dimentica, però, che molte delle società cosiddette primitive, se lasciate indisturbate, sono ben integrate nel proprio ambiente e tutt’altro che assillate da problemi vitali. Ricordo di aver letto uno studio dedicato agli aborigeni (di cui purtroppo ora non riesco a ritrovare gli estremi; non sono a casa e mi connetto con una miserabile chiavetta a tempo limitato), in cui si calcolava che ogni membro adulto del villaggio lavorasse (caccia, raccolta, preparazione del cibo, manutenzione varia, etc) fra le 12 e le 18 ore settimanali (l’orario di un insegnante). Il resto del tempo trascorre in attività di svago che comprendono anche il cantare insieme, che da loro è descritto come “raccontare storie” 😎 .

Augmented Shadow

Augmented Shadow is a design experiment created by Joon Moon producing an artificial shadow effect through the use of tangible objects, blocks, on a displayable tabletop interface. Its goal is to offer a new type of user-experience. The project plays on the fact that shadows present distorted silhouettes depending on the light. Augmented Shadows take the distortion effect into the realm of fantasy. Shadows display below the objects according to the physics of the real world. However, the shadows themselves transform the objects into houses, occupied by shadow creatures. By moving the blocks around the table the user sets off series of reactions within this new fantasy ecosystem.

In this installation, the shadows exist both in a real and a virtual environment simultaneously. It thus brings augmented reality to the tabletop by way of a tangible interface. The shadow is an interface metaphor connecting the virtual world and users. Second, the unexpected user experience results from manipulating the users’ visual perceptions, expectations, and imagination to inspire re-perception and new understanding. Therefore, users can play with the shadows lying on the boundary between the real, virtual, and fantasy.

Augmented Shadow utilizes this unique interface metaphor for interactive storytelling. Maximizing the magical amusement of AR, it is embedding an ecosystem where imaginary objects and organic beings co-exist while each of them influences on each other’s life-cycle, even though it is not in use by users. Light and shadow play critical roles in this world’s functions causing chain reactions between virtual people, trees, birds, and houses.

More on Joon Moon site

Il vuoto oltre la siepe

Dopo qualche giorno di riposo in una casa in collina senza internet, ma con giardino e piscina, rieccoci in linea con qualche idea di viaggio.

Contrariamente ai molti che si lanciano in affollate città d’arte o si ammassano su spiagge più o meno esotiche, quello che vi proponiamo è un luogo decisamente poco frequentato.

A cinque anni dall’inizio della sua costruzione, infatti, il distretto di Kangbashi, a 25 km dall’antica città mineraria di Ordos (Mongolia interna, Cina), rimane quasi completamente disabitato.
Pensato per 1 milione di persone e dotato sia di lussuose ville da 1000 mq, che di villette da pochi appartamenti fino ad abitazioni più popolari in stile post-sovietico migliorato, questo luogo ha come unici abitanti gli operai che lavorano tuttora alla sua costruzione.
L’area dispone anche di grattacieli adibiti a uffici, centri amministrativi, musei, teatri e impianti sportivi, come testimoniano le belle immagini di M. C. Brown per Time. (piazzate il mouse sull’immagine per leggere il commento, cliccate le immagini per ingrandire)

In effetti, la maggior parte delle proprietà è stata venduta, ma gli acquirenti sono quasi esclusivamente società che si occupano di investimenti immobiliari.

Proprio costoro sembrano essere fra le cause principali del fallimento di Kangbashi. La principale lamentela della gente, infatti, è che le abitazioni sono troppo care, ma il problema vero è che la Cina vive contemporaneamente in due mondi: si tenta di vendere case occidentali a chi ha salari cinesi.
Naturalmente, il mercato, prima o poi, normalizzerà anche questa situazione: i prezzi caleranno fino o anche sotto il costo perché chi ha investito sarà costretto a salvare il salvabile.

Intanto, soltanto un pugno di automobili guidate per lo più da impiegati governativi si dirige il mattino verso Kangbashi. Gente che, comunque, preferisce non risiedervi perché non si può vivere in una città vuota in cui un passante occasionale sembra essere un miraggio.

Tutto questo testimonia la difficoltà di governare lo sviluppo cinese lasciando fare al mercato. In tempi non troppo remoti, il governo avrebbe semplicemente spostato un milione di persone in nome di una qualche modernizzazione. Oggi, semplicemente non può.

A Cartographic Anomaly

David Toop (born 5th May 1949, Enfield, London, England) is a musician, writer and sound curator. He has published three books, currently translated into six languages: Rap Attack (now in its third edition), Ocean of Sound, and Exotica (selected as a winner of the 21st annual American Books Awards for 2000).

His first album, New and Rediscovered Musical Instruments, was released on Brian Eno’s Obscure label in 1975; since 1995 he has released six solo albums – Screen Ceremonies, Pink Noir, Spirit World, Museum of Fruit, Hot Pants Idol and 37th Floor At Sunset: Music For Mondophrenetic – and curated six acclaimed CD compilations for Virgin Records – Ocean of Sound, Crooning On Venus, Sugar & Poison, Booming On Pluto, Isolationism and Guitars On Mars. In 1998 he composed the soundtrack for Acqua Matrix, the outdoor spectacular that closed every night of Lisbon Expo ’98 from May until September.

He has recorded shamanistic ceremonies in Amazonas, appeared on Top Of The Pops with The Flying Lizards, worked with musicians including Brian Eno, John Zorn, Prince Far I, Jon Hassell, Derek Bailey, Talvin Singh, Evan Parker, Max Eastley, Scanner, Ivor Cutler, Haruomi Hosono, Jin Hi Kim and Bill Laswell, and collaborated with artists from many other disciplines, including theatre director/actor Steven Berkoff, Japanese Butoh dancer Mitsutaka Ishii, sound poet Bob Cobbing visual artist John Latham, filmmaker Jae-eun Choi and author Jeff Noon.

As a critic and columnist he has written for many publications, including The Wire, The Face, The Times, The Sunday Times, The Guardian, Arena, Vogue, Spin, GQ, Bookforum, Urb, Black Book, The New York Times and The Village Voice. He has curated Sonic Boom, the UK’s largest ever exhibition of sound art, displayed at the Hayward Gallery, London, from April to June, 2000. In 2001-02 he was sound curator for Radical Fashion, an exhibition of work by designers including Issey Miyake, Junya Watanabe, Martin Margiela and Hussein Chalayan, held at the Victoria and Albert Museum in 2001-2002 and featuring music by Björk, Ryuichi Sakamoto, Akira Rabelais, Paul Schütze and others.
[Text from Last-FM]

David Toop – A Cartographic Anomaly from Hot Pants Idol album

Wyatt sings Cage

Robert Wyatt sings John Cage’s The Wonderful Widow of Eighteen Springs for voice and piano. The piano stay closed and is used as a percussion instrument.

The song was commissioned by singer Janet Fairbank, who later became known for pioneering contemporary music. Cage chose to set a passage from page 556 of Finnegans Wake, a book he bought soon after its publication in 1939. The composition is based, according to Cage himself, on the impressions received from the passage. The Wonderful Widow of Eighteen Springs marks the start of Cage’s interest in Joyce and is the first piece among many in which he uses the writer’s work.

The vocal line only uses three pitches, while the piano remains closed and the pianist produces sounds by hitting the lid or other parts of the instrument in a variety of ways (with his fingers, with his knuckles, etc.) Almost immediately after its composition the song became one of Cage’s most frequently performed works, and was several times performed by the celebrated duo of Cathy Berberian and Luciano Berio. Cage later composed another piece for voice and closed piano, A Flower, and a companion piece to The Wonderful Widow of Eighteen Springs, called Nowth upon Nacht, also based on Joyce’s book.

From Obscure 1 LP

Listening to the Silence

Listening to the Silence is a film by the english musician John Collins that explores a kaleidoscope of musical examples from Ghana: children’s games and their musical bands; traditional drums; sensual dances; trance dances; animated funeral music; and many other examples from the Ewe, Ashanti, Ga, and Frafra peoples of Ghana. Throughout the program, the leitmotif is social participation and the strikingly complex rhythmic sensibilities of the people.

Here is a gorgeous excerpt taped at a post office.

Mammoth Earth image

If you desire high-resolution images of the Earth, the good folks at Unearthed Outdoors have made available the 250m True Marble image set for a free download with a Creative Commons Attribution 3.0 license. It’s a map of the Earth made up of 32 tiles, where each tile is a 21,000 pixel square, available in png and tif formats. There’s also a series of smaller files that may be more useful — in case you don’t need a map of the Earth that ends up being 84,000 pixels tall and 168,000 pixels across. Printed at 600 dpi, that’s about 12 feet by 24 feet (m 3.66 x 7.31)!

Click here to reach the download page.

A beautiful sonic boom

In particular conditions the sound waves can become visible. This Atlas V launched from Kennedy Space Center at Feb. 11 2010, fly through a sun dog.

A sun dog is a prismatic bright spot in the sky caused by sun shining through ice crystals. The Atlas V rocket exceeded the speed of sound in this layer of ice crystals, making the shock wave visible from the ground (from 1’56”).

Fibers that hear and sing

After the fibers made by cassette tape played by moving a tape head over the fabric, here it is fibers that can hear and sing by themselves.

To Yoel Fink, an associate professor of materials science and principal investigator at MIT’s Research Lab of Electronics, the threads used in textiles and even optical fibers are much too passive. For the past decade, his lab has been working to develop fibers with ever more sophisticated properties, to  enable fabrics that can interact with their environment.

In the August issue of Nature Materials, Fink and his collaborators announce a new milestone on the path to functional fibers: fibers that can detect and produce sound. Applications could include clothes that are themselves sensitive microphones, for capturing speech or monitoring bodily functions, and tiny filaments that could measure blood flow in capillaries or pressure in the brain.

Despite the delicate balance required by the manufacturing process, the researchers were able to build functioning fibers in the lab. “You can actually hear them, these fibers,” says Chocat, a graduate student in the materials science department. “If you connected them to a power supply and applied a sinusoidal current” — an alternating current whose period is very regular — “then it would vibrate. And if you make it vibrate at audible frequencies and put it close to your ear, you could actually hear different notes or sounds coming out of it.”

In addition to wearable microphones and biological sensors, applications of the fibers could include loose nets that monitor the flow of water in the ocean and large-area sonar imaging systems with much higher resolutions: A fabric woven from acoustic fibers would provide the equivalent of millions of tiny acoustic sensors.

Read more details here.

Anime Salve… in terra e in mare

Arriva a Verona, dopo i successi riscontrati all’estero, lo spettacolo di danza contemporanea “Anime Salve… in terra e in mare”, ideato e realizzato da allievi italiani della Rotterdam Dance Academy, una delle più prestigiose in Europa.

Per la prima volta viene creata una coreografia ispirata ad un intero album di Fabrizio De Andrè, “Anime Salve” del 1996.

Nell’opera poetico-musicale di De Andrè i 12 danzatori, tra i quali la nostra saltuaria collaboratrice Valeria Bergamini, hanno individuato tematiche e riflessioni molto vicine alla propria sensibilità artistica e personale, e grazie alla forza comunicativa della danza e al linguaggio artistico che hanno sviluppato in Olanda, basato sull’onestà emotiva e sulla potenza espressiva del movimento, vogliono proporre la loro rilettura delle canzoni di “Anime Salve” ad un pubblico italiano.

mercoledì 21 luglio alle ore 21, al Castello di Montorio

Un estratto:

Sub Contrabass Recorder

I think that a few of you have ever seen (and listen to) a sub contrabass recorder, a monster from early music (around 1600). So here it is played by Karel van Steenhoven.

Denoising Field Recordings

Interesting idea by Richard Reigner

Denoising Field Recordings documents an early attempt at using denoising-techniques in a creative and compositional manner. Instead of utilising noise-reduction-algorithms for their intended purpose (the restoration of damaged audio signals), these processes are applied to various field recordings of trains, streets, swimminghalls and public transport. Due to the fact that these recordings consist entirely of noises this operation transforms the originals into an uncanny hybrid of newly introduced processing artefacts, occasional silence and sporadically audible traces of the original field recordings. What kind of sound-aesthetics can emerge while denoising field recordings? Which audible parameters are able to resist this audio-erasement-process? How are these traces comparable to the visual remanences of Robert Rauschenberg’s erasure of a De Kooning drawing?

Denoising Field Recordings is released as a limited edition of see-through 12″ vinyl with an intruiging white-on-white cover designed by Hans Renzler. The digital version is available exlusively at Zero” (not free – must register to download).

Click here or here to listen to some results of applying noise reduction algorithms to noise.

More Tarkowsky

Thanks to the Film Annex, you can now watch the complete collection of Tarkovsky films online for free in original language with english subtitles.

The soundtrack of three films, Solaris, The Mirror and Stalker, has been written and recorded by the russian electronic composer Eduard Artemiev.

From Open Culture

Il polpo Paul

polpo PaulIl polpo Paul ha pronosticato correttamente il vincitore di tutte le partite della Germania, nonché quello della finale.

Non risulta che qualcuno dei cosiddetti esperti umanoidi sia riuscito a fare altrettanto.

Ne consegue che il polpo Paul deve essere considerato il maggior esperto di calcio internazionale esistente al mondo.

In caduta libera

Nota: mi rendo conto che, in questi ultimi tempi, vi sto parlando un po’ poco di musica contemporanea e un po’ più di altre cose. Ciò è dovuto ad una certa noia che sto provando nell’ascoltare parecchie produzioni recenti. Passerà. Nel frattempo vi passo qualche consiglio che vi sarà di certo più utile, considerato che molti di voi stanno per salire su un aereo.


Free fallDunque, se a un certo punto vi svegliate, o meglio, riprendete conoscenza con addosso una gran nausea, il cuore che va a mille, un grande freddo, la sensazione di non riuscire a respirare e vi rendete conto che state cadendo, rallegratevi: significa che siete sopravvissuti all’esplosione del vostro aereo.
Probabilmente vi trovate alla quota di circa 9000 metri e state per svenire per mancanza di ossigeno. Vi riprenderete a circa 5/6000 metri, se siete fortunati anche più in alto, quando l’atmosfera sarà abbastanza ricca per mantenere un briciolo di coscienza e l’aria fredda vi risveglierà senza troppa grazia.

Qui comincia la fase finale. State cadendo e la vostra destinazione finale è il suolo. Se potete fare qualcosa per salvarvi, dovete farlo adesso. Non lasciatevi andare. Ci sono stati molti casi di cadute di questo tipo in cui il soggetto è sopravvissuto ed anche piuttosto bene.

Innanzitutto, una distinzione basilare:

  1. siete in caduta libera, solo;
  2. siete un wreckage rider, uno che cavalca rottami, ovvero mentre precipitate siete più o meno connesso a parti dell’aereo.

La situazione (b) è la più comune e di gran lunga la migliore. Se state cavalcando qualche rottame fate il possibile per non abbandonarlo. I rottami possono veleggiare nell’aria e offrire resistenza fino a ridurre la velocità a livelli accettabili. Inoltre offrono una certa protezione al momento dell’impatto.

Se invece vi trovate nella situazione (a), non disperate. Il tempo gioca a vostro favore. Pensate che cadere da un grattacielo è molto peggio: innanzitutto avete solo pochi secondi a disposizione e poi quasi certamente vi schianterete su qualcosa di duro.

Nel caso della caduta libera il vostro nemico è uno solo: l’accelerazione di gravità. 9.8 metri al secondo per secondo, ovvero la vostra velocità aumenta di 9.8 m/sec per ogni secondo di caduta. Se esistesse solo l’accelerazione di gravità, precipitando da 10000 m, arrivereste al suolo a più di 1500 km/h.
Fortunatamente avete due amici che sono in grado di limitare notevolmente la vostra velocità di caduta: la spinta di Archimede e l’attrito. La prima è la stessa che fa sì che le navi possano galleggiare nonostante il loro peso. Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato. L’aria è come l’acqua, con l’unica differenza che il suo peso è decisamente inferiore, perciò anche la spinta verso l’alto che ricevete è minore e non vi permette di galleggiare facendo il morto.
Tuttavia, fare il morto è un ottimo sistema per spostare più aria e massimizzare la spinta di Archimede. Quindi assumete la posizione del paracadutista che veleggia nell’aria: braccia e gambe larghe e distese, testa alta e petto in fuori.
Così facendo, esponete la massima superficie e sfruttate a dovere anche l’attrito.

Queste due forze combinate costituiscono un freno molto potente, al punto che un corpo umano in caduta libera riesce a rallentare fino a circa 150 km/h (per avere un’idea della loro potenza, considerate che varie fonti indicano in circa 250 km/h la massima velocità che un corpo umano può raggiungere se fa il possibile per accelerare, cioè assume la posizione di massima aerodinamica). Sfruttate i vestiti: una giacca chiusa, ma larga, può creare un ottimo effetto tunnel aiutandovi a veleggiare e aggiunge una componente laterale alla vostra velocità, il che significa ridurre la componente verticale.

E qui arriviamo all’ultimo atto: il suolo. L’impatto con il terreno è rimandabile, ma inevitabile.

La consistenza del suolo è un fattore determinante. Il miglior terreno su cui atterrare è sicuramente la neve alta. Molte persone si sono salvate per questo, cadendo anche da altezze notevoli.
Al secondo posto sta il terreno paludoso e morbido. Nel 1995 una bambina colombiana di 9 anni è sopravvissuta a una caduta da 9000 metri atterrando in una palude.
Anche gli alberi sono buoni, a patto di non finire impalati. L’ambiente migliore è la giungla, soprattutto quella di tipo amazzonico, con alberi alti fino a 30 m e un fittissimo sottobosco, tale da costituire un ambiente a sé stante. Ma anche le foreste di conifere non sono male perché le punte sono cedevoli.
Infine l’acqua. Terreno ingannevolmente amico perché non comprimibile. Cadere di piatto sull’acqua, a questa velocità, è come cadere sul cemento, con l’unica differenza che l’oceano non restituirà i vostri frammenti. L’unico sistema è entrare in acqua dritti come una freccia, con i piedi in avanti (punte in su e talloni in giù), braccia distese in alto e mani unite, a proteggere la testa (non fate i tuffatori, è imperativo proteggere la testa).

Ricordate che, in caduta libera, voi siete il pilota e il vostro corpo è l’aereo. I dati riportati dai paracadutisti indicano che lo spostamento laterale che si può raggiungere senza tute apposite, è di circa 2/3 rispetto alla quota da cui si cade, quindi, cominciando a lavorare a circa 5000 m, potete spostarvi lateralmente per più di 2 km.

Dunque, per quanto possibile, scegliete il terreno. Alla partenza, siate consapevoli della rotta del vostro aereo e quando, alla fine, l’aereo rollerà dolcemente sulla pista della vostra destinazione, pensate che ormai i voli commerciali sono molto sicuri e raramente avrete l’opportunità di mettere in pratica questi consigli, ma meglio conoscerli che ignorarli. In fondo, attualmente, il numero di incidenti catastrofici annuali nel mondo, per l’aviazione  commerciale, è dell’ordine di 25, cui corrisponde all’incirca un migliaio di vittime.


Altre informazioni: The Free Fall Research Page

(or click the logo)

AnthroPosts

anthropostAnthroPosts organizes a growing collection of found Post-it notes in a variety of views, which colorful and symmetrical, evoke the simple beauty of a mandala. The project also features sound recordings of anonymous online workers (solicited through Amazon’s Mechanical turk) reading the notes. The inferred significance of these notes contrasts our current age of shortened communication “bursts”, and causes the viewer to find a new appreciation in the individuality of the notes themselves. Additionally, he is provided with a renewed perspective on contemporary society: it’s pace and consumption, and the double-edged sword of technology, at once enabling communication and isolating (some of) us from one another.

Noah Pedrini is a digital artist interested in exploring the changing face of community in contemporary society through interactive works.

Click the image to go.

Studies for Player Piano

Conlon Nancarrow (October 27, 1912 – August 10, 1997) was born in the USA, but he lived in Mexico from 1940 to his death in 1997 because of his membership in the communist party.

It was in Mexico that Nancarrow did the work he is best known for today. He had already written some music in the United States, but the extreme technical demands they made on players meant that satisfactory performances were very rare. That situation did not improve in Mexico’s musical environment, also with few musicians available who could perform his works, so the need to find an alternative way of having his pieces performed became even more pressing. Taking a suggestion from Henry Cowell’s book New Musical Resources, which he bought in New York in 1939, Nancarrow found the answer in the player piano, with its ability to produce extremely complex rhythmic patterns at a speed far beyond the abilities of humans. So, he wrote studies of ever growing complexity, exploiting the mechanical nature of player piano system.

Nancarrow’s first pieces combined the harmonic language and melodic motifs of early jazz pianists like Art Tatum with extraordinarily complicated metrical schemes. The first five rolls he made are called the Boogie-Woogie Suite (later assigned the name Study No. 3 a-e). His later works were abstract, with no obvious references to any music apart from Nancarrow’s itself.

Many of these later pieces (which he generally called studies) are canons in augmentation or diminution or prolation canons. In music, a prolation canon or mensuration canon is a musical composition wherein the different voices play the same melody at different speeds (or prolations, a metrical term that dates to the medieval and Renaissance eras).

While most canons using this device, such as those by Ockeghem, Desprez or J.S. Bach, have the tempos of the various parts in quite simple ratios, like 2:1 or 3:2, Nancarrow’s canons are in far more complicated ratios. The Study No. 40, for example, has its parts in the ratio e:pi (i.e. 2.71828:3.14159, an irrational time ratio unplayable by humans), while the Study No. 37 has twelve individual melodic lines, each one moving at a different tempo.

He became better known in the 1980s, and was lauded as one of the most significant composers of the century. The composer György Ligeti called his music “the greatest discovery since Webern and Ives … the best of any composer living today“.

Here you can listen to the full playlist. By going to YouTube you can select them one by one

The Mandelbulb

Take a look at this 3D rendering of Mandelbrot set, slightly modified to work in 3D spherical coordinates instead of 2D polar.

The story start around 20 years ago with a guy named Rudy Rucker, an American mathematician, computer scientist and science fiction author (and in fact one of the founders of the cyberpunk science-fiction movement). Back then of course, the hardware was barely up to the task of rendering the 2D Mandelbrot, let alone the 3D version – which would require billions of calculations to see the results, making research in the area a painstaking process to say the least.

So the idea slumbered for 20 years until around 2007 when the researcher, Daniel White, independently pictured the same concept and published the formula for the first time in November 2007 at the fractalforums.com web site. The basic idea is that instead of rotating around a circle (complex multiplication), as in the normal 2D Mandelbrot, we rotate around phi and theta in 3 dimensional spherical coordinates (see here for details). In theory, this could theoretically produce our amazing 3D Mandelbrot, but there was some mathematical problems to be solved. Then the work of other fractal explorers and mathematicians, like Paul Nylander and David Makin, gave life to the Mandelbulb, the 3D version of Mandelbrot set.

In this Daniel White’s page you can find the whole story, links to the mathematical concepts and many beautiful images.

Fuori dal tempo

MandelaParliamo un po’ di Sud Africa in un altro modo.

Questo volto è stato per 27 anni quello di Nelson Mandela. Arrestato nel 1963 e condannato all’ergastolo nel 1964 per tradimento e sabotaggio, cioè per aver guidato l’ala militare dell’African National Congress (Umkhonto we Sizwe, la Lancia della nazione) organizzando la lotta armata anti-apartheid, Mandela rimase in carcere fino al 1990, anno della sua liberazione in seguito al crescere della pressione internazionale.

Nel frattempo, fuori, si stampavano clandestinamente manifesti e magliette con il suo viso, ma, un po’ perché il regime non diffondeva volentieri sue immagini, un po’ perché così si voleva ricordarlo, l’aspetto di Mandela non cambiava mai.

Non era morto. Era in carcere e invecchiava, ma all’esterno, per la gente e perfino per i media, il suo viso era sempre quello. Per 27 anni l’immagine di Mandela è rimasta fuori dal tempo, bloccata a quel 1963, rientrandovi bruscamente solo l’11 Febbraio 1990 al momento della sua relativamente inattesa liberazione. Inattesa perché è vero che la pressione internazionale stava montando e si pensava che prima o poi il regime, sempre più isolato, avrebbe dovuto cedere, ma non si capiva quando sarebbe avvenuto.

nelson mandela freedIn quel giorno, per quelli che non lo avevano più visto dal 1963 e per i moltissimi che non lo avevano mai visto e che di lui conoscevano solo quell’immagine e il messaggio che era riuscito a far uscire dal carcere nel 1980 (“Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l’incudine delle azioni di massa ed il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!”; ricordiamo che nel 1985 aveva rifiutato un’offerta di liberazione in cambio della rinuncia alla lotta armata), Mandela è riemerso, con il viso e le movenze tremolanti di un vecchio (aveva 72 anni e il carcere non lo aveva certo aiutato a invecchiare bene).

Da quel momento è ritornato nel tempo. Ha smesso di essere un’icona ed è tornato ad essere una persona. Ovviamente non una persona comune, è sempre un eroe ed è stato presidente del Sud Africa da 1991 al 1999, ma è un uomo che si vede cambiare con il tempo, lo si vede invecchiare, anche se il suo paese, a giudicare dalla statua, imponente ma bruttina, che gli dedicato (qui sotto), lo vorrebbe per sempre giovane.

Mandela

Piano Migrations Installation

Installation by Kathy Hinde
The inside of an old upright piano, rescued from destruction, is transformed into a kinetic sound sculpture. Video projections move across the surface of the piano strings, triggering small machines to twitch and flutter causing the strings to resonate. The video is visually akin to a musical score or piano roll, and this installation can also become the site for a live performance.
The video is analysed by a MaxMSP patch which divides the screen into a 5×5 grid to correspond to the motors and solenoids which are also arranged in a 5×5 grid on the piano. Movement or any change sensed in the video triggers a device in the corresponding square of the grid – the result is that the fluttering and movement of a bird triggers a device closest to it on the piano.
MaxMSP programming by Matthew Olden
Commissioned by Lumin, May 2010

Vicolo del tornado

vicolo_del_tornadoSette invettive di William Burroughs, scritte tra il 1986 e il 1989 e tradotte nel 1997 su Millelire Stampa Alternativa (ormai fuori catalogo), sono state rilasciate in CC.

Sette storie brevi che paiono come scivolate inavvertitamente fuori da una delle tasche del completo grigio di William Seward Burroughs – l’hombre invisible – come lo avevano soprannominato i ragazzini di Tangeri negli anni ’60. Sette “routine”, come le definì Allen Ginsberg, racconti sospesi nel tempo come numeri del music-hall, realtà fatta a fette che permette a ciascuno di vedere cosa c’è in cima alla propria forchetta, il pasto nudo.

Le potete scaricare in formato PDF o RTF.

A John Dillinger
con la speranza che sia
sempre vivo


This post is about a book in italian. Seven short stories by William Burroughs, in italian translation, had been released under CC license (PDF or RTF format).

Da Classici Stranieri

Maledetto calcio

Sento ora che ieri pomeriggio, durante il secondo tempo della partita Italia – Slovacchia, il sito sui mondiali gestito dalla RAI ha totalizzato 1.500.000 pagine viste. Metà di questa gente guardava la partita in streaming dall’ufficio.

Infatti per tutto il secondo tempo, l’internet italiana era praticamente bloccata. La wireless mi dava 4 Mb/s (di solito è a 54).

Si conferma l’enorme superiorità della TV nella diffusione di eventi di massa.

Pubblicato in Web

Southern lights from above

aurora from above

Una aurora boreale vista dall’alto, fotografata dalla ISS il 29 maggio scorso. Cliccare l’immagine per ingrandire.


Astronauts onboard the International Space Station found out on May 29th when they flew through a geomagnetic storm and witnessed this green ribbon snaking over the Indian Ocean.

Click the image to enlarge.

Is anything real?

UPDATE 2024:
Così scrivevo 14 anni fa e anche il video ha la stessa età

Con tecnologia digitale verrà un momento in cui nessuna foto e nessun film saranno più ammissibili come prova in un processo. Date un’occhiata qui.

The digital technology will ban photos and films from the trials, some day.

Fight free culture

Questo è il testo di una lettera che ASCAP (la SIAE americana) ha inviato ai suoi membri (i compositori di musica) per chiedere fondi per la lotta contro di Creative Commons, Public Knowledge, e l’EFF.

Ciò che sorprende è il tono della comunicazione. Creative Commons, Public Knowledge, e del FEP sono rappresentati come criminali, che “non vogliono pagare per l’uso della musica“. Invece, le suddette organizzazioni non hanno mai detto che voi (gli utenti) dovreste rubare la musica e non pagare i CD. Stanno solo cercando di diffondere un diverso modello di marketing tra i musicisti diffondendo musica priva di copyright come un modo per accrescere la propria notorietà e guadagnare in modo diverso (più concerti, gadget, ecc.). Si può essere d’accordo o meno, si può pensare che è una bella idea oppure che non possa funzionare, ma, in ogni caso, è una posizione legittima che non giustifica appelli come quello di cui sopra.


This is a mail that ASCAP sent to his members (the music composers) to solicit funds to fight Creative Commons, Public Knowledge, and the EFF.

What is surprising is the feeling of the communication. Creative Commons, Public Knowledge, and the EFF are depicted as criminals that “do not want to pay for the use of music“. Instead this organizations never said that you (the user) must stole the music not paying the CDs. They are only trying to spread a different marketing model between the musicians. They say that the musicians should spread their music with no copyright at all as a way to gain more fans and find revenues in a different way (more concerts, gadgets, etc).

Sun Boxes

Sun Boxes is a sound installation created by Craig Colorusso.

It’s comprised of twenty speakers operating independently each powered by solar panels. There is a different guitar sample in each box all playing together making the composition. The guitar samples are all of different lengths so the whole piece keeps evolving.

Participants are encouraged to walk amongst the speakers. It sounds different inside of the array.  There is a different sense of space inside. Certain speakers will be closer and louder therefore the piece will sound different to different people in different positions throughout the array. Creating a unique experience for everyone.

There are no batteries involved. The Sun Boxes are reliant on the sun. When the sun sets the music stops. The piece changes as the length of the day changes making the participants aware of the cycle of the day.

It’s a very interesting idea. I would like to know how powerful each speaker is. 5 Watt? 10?

Devuvuzelator

If you find hard to tolerate the vuvuzelas constantly playing below the World Cup’s matches, there is a solution.

According to isophonic.net, this instrument plays a note about 230-235 Hertz (roughly the B-flat below middle C). So we can apply a notch filter on the fundamental frequency and the first harmonic (460-470) to greatly reduce the buzz. Listen to the before and after audio to confirm that it has indeed worked: you can still hear the horns, because the higher partials are intact, but they aren’t so loud. (Note that the effect takes a couple of seconds to work, at the start of the “after” sample.)

People at isophonic.net has created a VST plugin for windows and a LADSPA plugin for Mac OS/X that makes the job. Download from isophonic.net page.

The LADSPA plugin should work on Linux also, but we can do the same work using jack-rack. Here there are instructions that works on any linux box with jack and jack-rack.

But the real solution is to love the vuvuzelas. As John Cage argues:

If something is boring after two minutes, try it for four. If still boring, then eight. Then sixteen. Then thirty-two. Eventually one discovers that it is not boring at all.

The sound of a “God particle”

ATLAS

ATLAS is a particle physics experiment at the Large Hadron Collider at CERN. Starting in late 2009/2010, the ATLAS detector will search for new discoveries in the head-on collisions of protons of extraordinarily high energy. ATLAS will learn about the basic forces that have shaped our Universe since the beginning of time and that will determine its fate. Among the possible unknowns are the origin of mass, extra dimensions of space, unification of fundamental forces, and evidence for dark matter candidates in the Universe.

ATLAS is known because of the research for the Higg’s Boson, the so called “God particle”. Now this research generates sounds. Lily Asquith is a particle physicist who has just finished her PhD at University College London. Her work on this project has been to identify physics processes for sonification and to convert real and simulated ATLAS data into files readable by audio software. Lily came up with this idea whilst trying to describe to a very patient friend what she thought different particles would sound like.

Now a group of particle physicists, composers, software developers and artist is working on sonification of ATLAS data. The data are first processed using the vast and all-powerful ATLAS software framework. This allows raw data (streams of ones and zeroes) to be converted step-by-step into ‘objects’ such as silicon detector hits and energy deposits. We can reconstruct particles using these objects. The next step is to convert the information into a file containing two or three columns of numbers known as a “breakpoint file”. It can also be used as a “note list”. This kind of file can be read by compositional software such as the Composers Desktop Project (CDP) and Csound software used for this project.

An excerpt.

  • The decay of a God particle
    This example maps properties of the Higgs jet to properties of sound. A jet is made up of lots of cells containing energy deposits. Each cell has an energy, a distance and an angular distance (dR) associated with it. So each cell can be heard as a separate note in this example. This is quite a long track (about 90 seconds). The sounds reduce in density very much towards the end, with isolated events separated by silences of several seconds.

 

Dreaming in R’lyeh

The nightmare corpse-city of R’lyeh…was built in measureless eons behind history by the vast, loathsome shapes that seeped down from the dark stars. There lay great Cthulhu and his hordes, hidden in green slimy vaults.
[H. P. Lovecraft, The Call of Cthulhu]

R’lyeh is a fictional city that first appeared in the story “The Call of Cthulhu,” by H. P. Lovecraft. R’lyeh is also referred to in Lovecraft’s “The Mound” as Relex. R’lyeh is a sunken city located deep under the Pacific Ocean and is where the godlike being Cthulhu is buried.

R’lyeh is sometimes referred to in the ritualistic phrase “Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn“, which roughly translates to “In his house at R’lyeh dead Cthulhu waits dreaming”.

For sure H. P. Lovecraft fans are Josef Nadek and DMAH, the authors of this work published by suRRism-Phonoethics that no longer exists and today it is found on the Internet Archive (click here to download).

Snorkel Quintet

The SuRRism-Phonoethics net label was a Frankfurt, Germany based non-profit netlabel specializing in Experimental music (The domain is now for sale). Some of their releases could be classified as Electronic art music/Electronic music, industrial or experimental music with sub-genres like Electro-Acoustic, Improvisation & Cut-Up.

Their official launch occurred in 2008, with a release for Undress Béton (aka Jaan Patterson). All their releases are free for download under Creative Commons or Copyleft licenses.

SuRRism-Phonoethics production was very interesting, dedicated to artists who wish to push the boundaries.

Today I am pleased to present you the Snorkel Quintet,  here on Free Music Archive and here on SoundCloud, a Barcelona-based group of six (yes!) players devoted to improvisation and influenced by contemporary music and jazz.

Some excerpt from their album called Snorkel Quintet – Improvisaciones realizadas entre enero-abril 2010 Barcelona, España. Go to this page to download the whole work.

If it was your home

the oil disaster

Go there and center the oil spill around your home.


Imagine a big black blob from Torino to Udine, from Le Havre to Bruxelles, from Cardiff beyond Norwich covering London, from Münster to Berlin…


UPDATE 19/06/2010

The big black blob 10 days after

logo


UPDATE 11/07/2010

The big black blob 30 days after

In C

In C continues to receive numerous performances every year, by professionals, students, and amateurs. It has had repeated recordings since its 1968 LP premiere, and most are still in print. It welcomes performers from a vast range of practices and traditions, from classical to rock to jazz to non-Western. Recordings range from the Chinese Film Orchestra of Shanghai—on traditional Chinese instruments—to the Hungarian “European Music Project” group, joined by two electronica DJs manipulating The Pulse. It rouses audiences to states of ecstasy and near hysteria, all the while projecting an inner serenity that suggests Cage’s definition of music’s purpose—”to sober and quiet the mind, thus making it susceptible to divine influences.” In short, it’s not going away.
[Robert Carl]

An interesting analysis/commentary about Terry Riley’s seminal composition by Robert Carl.

The original recording by Terry Riley dated 1964

Here is the execution by the Shanghai Film Orchestra

A funky peformance by Band On A Can group from NYC

2015-02-10 Tate Modern and Africa Express

Boiler Room Amsterdam Live Performance

2022-10-20 The Young Gods present Play Terry Riley In C Documentary & Live from Les Forces Motrices, Geneva

Rdio

Non è una bestemmia, ma il nuovo servizio di streaming e sottoscrizione musicale supportato dai denari di Niklas Zennstrom e Janus Friis, due che con la musica e il multimedia in rete ci trafficano da sempre o quantomeno sin dai tempi dell’esplosione della supernova di Napster nel 2001. Per la coppia Zennstrom/Friis il nuovo orizzonte musicale online non è più il download del P2P ma lo streaming a pagamento basato su sottoscrizione.

I due imprenditori sono responsabili prima della creazione di Kazaa – network di condivisione divenuto tristemente noto per il malware proliferante e le decine di migliaia di cause legali intentate dalle major multimediali – e poi del VoIP di Skype. Rdio è una novità che in parte sa di già sentito, un servizio di streaming che promette libertà di utilizzo e condivisione in salsa social dei gusti e delle opinioni degli utilizzatori.

Disponibile nei “tagli” da 4,99 e 9,99 dollari al mese, Rdio offrirà accesso a un ricco catalogo musicale composto da 5 milioni di brani apparentemente con bollino di approvazione da parte delle Grandi Sorelle del disco (EMI, Sony, Warner, Universal). La differenza di prezzo starebbe nel tipo o nella quantità di dispositivi che si possono abilitare alla fruizione dei propri acquisti, capaci di raggiungere l’utenza iPhone come quella BlackBerry e in futuro anche Android.

Questo il succo della notizia di fonte Punto Informatico.

È indubbio che quello a cui stiamo assistendo è un cambiamento epocale: dalla cultura della vendita a quella del servizio. Nello stesso tempo è interessante osservare quanto sia lungo e complesso questo passaggio, sia per le major che per gli utenti.

Le prime stanno rallentando il più possibile nella vana speranza di tenere sotto controllo la faccenda, ovviamente senza riuscirci, perché il colpo più grosso in questo settore lo ha invece messo a segno Apple, una major informatica, non musicale che con una sola mossa ha spiazzato tutti i tradizionali produttori di musica.

Gli utenti, d’altro canto, non riescono ancora a rendersi conto appieno della portata di questo mutamento. Fra i commenti su Punto Informatico, qualcuno si chiedeva come fare a passare i brani sul proprio lettore MP3, senza capire che, con questo nuovo modello di marketing, questa possibilità proprio non si dà.

Per cominciare, Rdio sarà disponibile solo negli USA, per arrivare più tardi in Europa. E qui vengono al pettine anche tutti i paletti e i ritardi posti alla diffusione della banda larga nel nostro paese, fra gli altri, dal famigerato decreto Bondi, che impone l’identificazione certa di tutti coloro che si collegano alla rete, rendendo di fatto difficile la diffusione di qualsiasi rete civica.

Tesla Coil Music

The sound is really produced by the coils. To play an A at 440 Hz the coil generate 440 lightnings per second. The temperature of the lightning is so high that compress the air around generating an audio wave.

Space Audio

A good site of “sounds of space” collected by U Iowa instruments on various spacecraft.

Here you can find many sounds “recorded” (remember that this are radio frequencies not audio frequencies) by Cassini, Voyagers and Galileo spacecrafts during the Jupiter and Saturn missions.

The site is Space Audio.

Here you can listen to the famous Cassini’s sound recorded near Saturn claimed to resemble to an alien voice if transposed one octave up preserving the duration:

Minimal States

cover cover

Thomas Carter has yet another musical project called Minimal States, where he explores ambient soundscapes based on collected samples and field recordings.
Like A Photograph‘ is the first set of a trilogy that Thomas intends to release on test tube.

This first work is heavily based on samples taken from the well known Fm3 Buddha Machine and CC field recordings taken from the Quiet American website. With 15 minutes spent with each piece – ‘Circadian Rhythms’ and ‘Stereopsis’ – Minimal States embraces the full spectrum of landscape generative ambient in its true form.

The second album in the trilogy is ‘Liberty Hoax’. Firmly based in the urban, developed and political world, far from the timelessness of the forest and natural world of the first album, it examines the vast, densely populated spaces of the inner-city and the physical and cultural wastelands that surround it.

Moreover, the album is concerned with the place of the individual amongst the masses, and with the concept of identity itself in a world where companies and the State have ever-increasing powers to access and regulate personal data. The album questions whether personal freedom is still a priority for governments and legislators, or if it is now merely a glass wall, a façade, or a mirage that will vanish when approached

Download the first part here and the second here.

Excerpts:

Metathreading

coverMatt’s (aka Craque) electronic music came to be regarded as a hybrid between edgy improv takes and deep IDM-ish grooves. Both languages come together through Matt’s electronics and form an intricate and complex maze of rhythms, beats and hypnotic grooves.
Metathreading is no exception. Matt took various free improvisation edits – named as ‘threads’ – and some other remixes – called ‘Stacks’ – based on a handful of selected ‘threads’ and put them all together. All this was done on a live setup without a laptop. Matt only used his own prepared instruments, with only the obvious edits (also very few) made after with the aid of software.

Download from Test Tube.

Some tracks:

Backyard Mysteries

cover«Brian Ruskin is a Ph.D in Geology (Stratigraphy branch) and at the same time a musician and producer from Pittsburgh, USA. Science and Art very close together. The music he makes as Mental Health Consumer falls right in the middle of the Electronic genre, slightly danceable and upbeat variant, without loosing too much focus but admittedly keen on experimental ambient explorations. With his music, Brian tries to achieve that special balance between the calculated and the emotive side of the mind.

Such is ‘Backyard Mysteries’, an extremely interesting and uncompromising collection of tracks with a full range of soft pads, techno inspired beats and soothing soundscapes, but also retaining a very curious experimental ambient side, which will keep you interested all through the end.» – Pedro Leitão

Download from Test Tube.

Excerpts:

Fluorinescence

coverJustin Robert and Jeremy Powell are both enthusiast musicians that play live jazz for a living. Justin is a percussionist and likes to fiddle with analog synths, and Jeremy plays saxophone.
Both musicians love free jazz and improvisation, so one night they got together, Justin on synth and Jeremy on sax, and they put ‘Fluorinescence’ onto tape.

Twelve tracks lasting 65′ 20”. Download the whole album from Test Tube.

Excerpts:

Silophone

Silophone combines sound, architecture, and communication technologies to transform a significant landmark in the industrial cityscape of Montreal, Canada.

By telephone, or even the internet, they will send the sound of your choice echoing through the incredible acoustics of abandoned rusted halls and corridors of this imposing building.

Silo #5 is an abandoned grain storage facility in the port of Montréal. A quarter of a mile long and over twenty storeys high, it has a total capacity of five million bushels, or enough wheat to make 230 million loaves of bread. The building was constructed in several stages between 1903 and 1958. The newest part of the building was designed to last for generations, however due to changes in the global grain market and to the general trend of de-industrialization in North America at the end of the 20th century, the building became redundant less than forty years after its completion. Since 1994, Silo #5 has stood empty, and its fate has been hotly debated. The building is situated in one of Montréal’s oldest industrial districts, now rapidly being gentrified and renovated for high-tech commercial, luxury residential, and tourism/leisure industry uses.

The portion of the structure used by Silophone is constructed entirely of reinforced concrete, measures 200 metres long, 16 metres wide and approximately 45 metres at its highest point. The main section of the building is formed of approximately 115 vertical chambers, all 30 metres high and up to 8 metres in diameter. These tall parallel cylinders, whose form evokes the structure of an enormous organ, have exceptional acoustic properties: most notably, a stunning reverberation time of over 20 seconds. Anything played inside the Silo is euphonized, made beautiful, by the acoustics of the structure. All those who have entered have found it an overwhelming and unforgettable experience.

telephone access
Using your telephone, you can enter into — and participate in — the acoustic world of the Silo. More than one person can use the telephone system at once, so when you telephone you may find somebody else already in the Silo. This teleconference system was specifically adapted for use in the Silophone by engineers from Bell’s Emerging Technologies Group.
To call the Silophone from North America: 1.514.844.5555
From the rest of the world: 001.514.844.5555
Wait until the second ring, then start talking.

audio website
Go to the play page of this website to access the on-line dimension of the Silophone musical instrument. From this page, you can send pre-recorded sound files into Silophone by browsing through the thousands of uploaded sounds, or by uploading your own soundfile.

Whenever anyone is playing the Silophone over the telephone, the web, or the sonic observatory, you can hear the results by tuning into our live RealAudio stream. To hear the Silophone stream now, click the “hear Silophone” link at the bottom left hand corner of the page.

silophone 1 silophone
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Libertà di stampa

Ragazzi, non so se vi è chiaro, ma se questa legge sulle intercettazioni passa così com’è, è la fine della libertà di stampa in questo paese.

Oggi dicono che hanno tolto il carcere per i giornalisti che pubblicano notizie su un’inchiesta prima della chiusura dell’indagine preliminare, ma è del tutto inutile finché restano le pene pecuniarie (€ 10.000 di ammenda), le sospensive e soprattutto le pene per gli editori (fino a € 464.700 di ammenda). Per pubblicare, infatti, bisogna essere in due: un giornalista e un editore.

Ma soprattutto, saremmo il primo paese occidentale e almeno sulla carta, democratico, in cui entra in vigore una legge che impedisce a un giornalista di fare il suo lavoro, cioè pubblicare le notizie di cui viene a conoscenza.

Infine, vi rendete conto che tutti i regimi autoritari, dico tutti, di destra e di sinistra, militari e mediatici, sono passati, in primis, per una limitazione della libertà di stampa?

Tanto per finire, vi ricordo che la nostra Costituzione, all’art. 21, dice:

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Vampyr!

Tristan Murail – Vampyr! for electric guitar, from Random Access Memory (1984), Wiek Hijmans electric guitar.

To be honest, I know little about this piece. It’s the sixth track from Random Access Memory, a cycle that includes a set of solo pieces for various instruments and a gold dust in the contemporary academic music where the electric guitar is seldom used.

Vampyr! is one of several works in Murail’s catalogue that do not employ spectral techniques. Rather, in the performance notes, the composer asks the performer to play the piece in the manner of guitarists in the popular and rock traditions, with a heavy overdriven rock sound. In the preface to the work, Murail writes: “The desired sound is rather like that of the solo guitar as played by Carlos Santana, Eric Clapton etc.“. And then, in bold type and with an exclamation mark: “The player should put into Vampyr! all the energy of rock music and that includes the appropriate number of decibels!” Would like to see the whole score.

The rather striking title refers to horror movies and sci-fi B-films; other titles in the cycle do so as well. This subject matter is clearly recognizable in the saturated guitar sound and the frequent, hysterical use of the tremolo arm.

Here Wiek Hijmans effortlessly transforms his Gretsch 1967 model Chet Atkins Tennesean into a ruthless yawing, squealing and screaming board.

Laser 50th anniversary

May 16 1960: Theodore Maiman presented the first laser (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation) to the world. 50 years later, lasers are used in everyday life in fiber-optic communications, CDs/DVDs players, laser printers, laser medical procedures, and many more applications.

But the laser has many fathers, as stated in this poetry from PhD Comics

ode to the laser

La scomparsa di Sanguineti

La scomparsa del poeta Edoardo Sanguineti restituisce all’Italia letteraria tutta il proprio anelato, compiaciuto, regressivo, passatista e reazionario provincialismo culturale e accademico.
Edoardo Sanguineti era stato capace di stemperare la «peste mansueta delle discipline», rendendo armonico il distonico, facendo della parola e della musica unico suono.
Aveva traversato il Labirinto disvelandone e destrutturandone la natura, ricordandoci, lucido e incrollabile nel pensiero, l’opportunisticamente obliata connessione tra ideologia e linguaggio, la fallacia di un’estetica e di un’arte solo apparentemente fini a se stesse.
Aveva individuato nella famiglia un nucleo di resistenza e, nel suo basso parlare, nel travestire e nel parodiare, un nucleo operativo.
Ha ancora senso, si chiedevano in troppi, ripercorrere il cammino delle avanguardie, come da Sanguineti propugnato?
Ora più che mai, annaspanti nella mediocrità e nella ripetizione, avvinghiati a discutibili e desuete Muse altrui per celare la mancanza delle proprie, alienati al segno di negare l’alienazione, vinti da uno sperimentalismo solo formale, dal sonno dell’ideologia, e incatenati alle pareti del Louvre, ha senso ripercorrere quel cammino, quello delle avanguardie storiche e delle neoavanguardie, quello di Edoardo Sanguineti, ha senso porsi i quesiti irrisolti e trarne la prassi per approdare a nuovi orizzonti.
Non è questa un’apologia apocrifa o un necrologio, ma un monito, «pietra fondamentale del rifiuto»: oltre ai suoi testi, testimonianza di un praticabile altro, resta di Edoardo Sanguineti il suo motto.
Ideologia e linguaggio.
Che queste parole non si perdano mai nella palude.

Devotion 2

Vache Sharafyan (Վաչե Շարաֆյան): Devotion No. 2 (1999) for Tar, Kemanche, Dhol, Tam-Tam, Piano and string quartet.

Tar, Kemanche, Dhol are musical instruments adopted by various middle eastern cultures like Iran, Armenia, Azerbaijan, Georgia to the Indian subcontinent. Click the names to read details from wikipedia.

Trans

Gerd Kühr: Trans, from Revue instrumentale et electronique (2004/5 according to the composer’s site, not 2007 as stated in the video)

Austrian composer Gerd Kühr is a professor of composition at the Universität für Musik und darstellende Kunst in Graz; he also works as a conductor and once studied with Sergiu Celibidache. Kühr has also taken composition with Hans Werner Henze.

Kühr’s piece Revue instrumentale et electronique is divided into six sections. It is scored for nine spatially divided instrumental groups and electronics.

The transitions between the electronics and live sections is seamless; you are listening and you gradually realize “we are hearing electronic music now” as opposed to the live instruments. Kühr is very effective at devising novel instrumental timbres, such as the palpitating percussion and fleeting winds in the opening “Intro” and in the alien atmosphere of sustained notes in “Trans.”

…à la fumée

And this is the second pièce from the cycle Du Cristal…à la fumée, by Kaija Saariaho.

The last sound of Du Cristal – a cello trill played sul ponticello – becomes retrospectively the first sound of its successor, …à la fumée, which features solo parts for cello and amplified alto flute in addition to large orchestra. Saariaho has commented that

to my way of thinking, Du Cristal … à la fumée is a single work, two facets of the same image, but both fully drawn in, living and independent.

The difference between the two works is already manifest in the title: crystal is a classic example of repeated order, symmetrical, tense, stable mass. Smoke, on the other hand, changes its form constantly, an unpredictable, developing state. Crystal and smoke, like order and entropy, chaos. The title is inspired by a book by Henri Atlan, Entre le cristal et la fumée (Between the Crystal and the Smoke).

The single most important element in the music of Kaija Saariaho is tone colour, attached inseparably to harmony. In this sense she can be thought of as continuing the French orchestral tradition. Her music does not, however, only feast on beautiful sounds. The starting point of composition for her comes from a carefully studied theoretical basis. The origin of her music is a single sound which she penetrates, trying to uncover its structure and the laws that govern it. With these laws, just by changing the scale, the composer builds colours, harmonics, forms, rhythms – music. This starting-point ensures that all the works of Kaija Saariaho have a strong sense of unity. Elements that seem different fit together, because they are basically born from the same source.

Rather than associate Kaija Saariaho’s music with mathematical formulae or computer programs, it is more fruitful to compare it with nature – its biological and physical models. The composer herself has spoken of arctic lights, water-lilies, crystals, spirals: forms and materials which in themselves are perfect and beautiful and create aesthetic experiences, but which offer endless grounds for even scientific study. Observation of how the inner relations of organisms are built, how they change and multiply; how forms that seem simple and natural are of endless variety when examined closely: chaos and order can be closer to each other than we first suspect.

The tensions in Kaija Saariaho’s music, its dramaturgy, are built on pairs of contrasts. One important pair of contrasts is formed by sound and noise. This is manifested, for instance, in the sonority of the cello: when the bow is moved towards the bridge, adding bow pressure, the sound breaks and turns into noise. On the flute, when you blow into the tube you can create noise (which has its own tone colour) and which changes into a sound when the air hits the mouthpiece at the right angle. In rhythm, a simple pair of contrasts is created between repetitive and irregular patterns. Gradual movement between two opposites, interpolations, create and release tensions in the same way as do chordal functions in traditional tonal music.

It is no surprise that the soloists in …a la fumée are flute and cello. These would appear to be Saariaho’s favourite instruments given that many of her solo pieces have been written for them (for the flute, Canvas, Laconisme de l’aile, NoaNoa; for the cello, Petals and Près). …a la fumée however, is not a normal double concerto, in which the solo instruments are contrasted with the orchestra. In this work, flute and cello are like microscopes with which the composer penetrates deep into her material, shedding light from different angles and changing the scale.

György Ligeti, with whose earlier music Kaija Saariaho’s works have certain points in common, has spoken about a phenomenon familiar to most of us. When we go up in an aeroplane, we do not feel ourselves in motion. At the same time, details of the scenery disappear and merge into a whole. A meadow, swarming with inner energy, changes first into fields of colour, then into a bare point in the distance. The amplification of the alto flute and the cello serves this purpose: a whisper from the flute can grow to the scale of a big orchestra, a harmonic from the cello can be outlined above the whole landscape of sound. Is not one of the meanings of music, and all art, simply this? To create illusions, presentiments of a world that could be true.

Il Terzo segreto di Fatima

Secondo La Stampa.it di oggi, il Papa ha dichiarato che

Le sofferenze per la pedofilia nella Chiesa erano state annunciate nel Terzo segreto di Fatima, un peccato «realmente terrificante», una delle «più grandi persecuzioni» che non viene da fuori, ma «da dentro la chiesa stessa».

E allora siete proprio degli idioti. Eravate stati avvisati nientemeno che dalla Madonna in persona nel lontano 1917 e non avete fatto niente!!

Du Cristal

Kaija Saariaho – Du Cristal, 1989 – for large orchestra.

Du Cristal was commissioned jointly by the Los Angeles Philharmonic Orchestra and the Helsinki Festival, and it was first performed by the Finnish Radio Symphony Orchestra conducted by Esa-Pekka Salonen in September 1990.

It is scored for a standard large symphony orchestra with the addition of an important part for synthesizer, and featuring a highly prominent percussion section. None of Saariaho’s major works to date is without some kind of electronic element, and the presence of the synthesizer is significant in the light of Saariaho’s remark that she tends to the orchestra itself ‘as if it was a huge synthesizer’. The standard form of electronic synthesis is ‘additive’ – that is, each sound is created by piling innumerable pure tones upon each other.

Transferred to the medium of the orchestra, this means that it is as if each individual instrument were analogous to a pure tone in a synthesizer, merely a tiny part of a large, slowly evolving mass of sound. Thus there is no polyphony, nor any melody in the conventional sense, although the music is frequently lyrical in its gestures and the activity within the textures may momentarily suggest polyphony; the important thing to follow is the overall drift of the orchestral mass, and to relate the individual details to that.

It’s an approach which owes something to the dense, multi-layered orchestral works of György Ligeti, such as “Atmosphères and Lontano”, as well as to the so-called ‘spectral-music’ of French composers Tristan Murail and Gérard Grisey, all of whom Saariaho has acknowledged as influences on her music; but her won style is nevertheless thoroughly personal and has distinctly brooding, ‘Northern’ character quite distinct from any of the afore-mentioned.

The harmonic character of Du Cristal is especially focused and clearly defined as the work is dominated by the bell-chord with which it opens. During the first seven minutes, this chord is slowly and methodically dissected: all its internal components are highlighted as its orchestration is progressively shaded and softened, although the basic character of the chord remains essentially unchanged.

There follows an eruption of some violence which breaks up the harmonic continuity of the music; a dialogue ensues between onslaughts of unpitched percussion and further bell sounds from tuned percussion and synthesizer.

After this the texture thins somewhat and the rate of harmonic change increases; melodic tissues briefly emerge on the violins and the woodwind. The increased rate of change precipitates the principal climax of the work, again featuring untuned percussion prominently: chaotic, irregular rhythms gradually merge into a hammeringly regular series of ostinatos for the full orchestra – the simplest and clearest music in the piece – and out of these the sound spectrum is gradually narrowed until a single note (a unison A flat) is heard

As this fades into filigree passages for solo strings, the music drifts closer to the harmonic world of the opening, and the original chord is itself twice restated; far from subsiding, however, the music suddenly veers back to the hammering ostinato of the climax – as if the form of the whole piece thus far had been telescoped into some two minutes. Only now can the music progress to the coda, underpinned by a series of wave-like crescendos on bass drum and synthesizer as the textures dwindle to a single cello trill.

This trill will be the starting point for second work of the cycle called …à la fumée. Saariaho took her title from a book by the French writer Henri Atlan, “Entre le cristal et la fumée”, and for her it signifies the way the same acoustic material is developed in sharply different ways in the two pieces, the turbulent energy and almost expressionist outbursts of Du Cristal subsiding into the capricious, playful double concerto of…à la fumée.

Petri Alanko, alto flute; Anssi Karttunen, cello, Los Angeles Philharmonic Orchestra, dir. Esa-Pekka Salonen

Solo for Viola d’Amore

Solo for Viola d’Amore by Georg Friedrich Haas performed live by Garth Knox in Graz.

This is the second half of the piece. In the final section, the sympathetic strings are plucked and bowed directly, an unusual and striking effect. These are the second set of strings on the viola d’amore, usually not played directly, only there to resonate passively. In this piece they are amplified, and controlled by a volume pedal.

Morning scent of the acacia’s song

Vache Sharafyan: Morning scent of the acacia’s song for duduk & string quartet (2001), commissioned by Yo-Yo Ma’s Silk Road Project Inc. publisher G. SCHIRMER/ (excerpt)
performers: Gevorg Dabaghyan, Shirly Laub, Colin Jacobsen, Daniel Heim, Jeroen den Herder, Brussels philharmonic hall rehearsal – 2002

The duduk is a traditional woodwind instrument with double reed, popular in Caucasus. Extension goes from the F# on first space to the A over the staff in treble G clef.

Mortuos Plango Vivos Voco

Jonathan Harvey: “Vivos Voco” (1980) for concrete sounds processed by computer.

Born in Warwickshire in 1939, Jonathan Harvey was a chorister at St Michael’s College, Tenbury and later a major music scholar at St John’s College, Cambridge. He gained doctorates from the universities of Glasgow and Cambridge and also studied privately (on the advice of Benjamin Britten) with Erwin Stein and Hans Keller. He was a Harkness Fellow at Princeton (1969-70).

An invitation from Boulez to work at IRCAM in the early 1980s has resulted in eight realisations at the Institute, or for the Ensemble Intercontemporain, including the tape piece Mortuos Plango Vivos Voco, Ritual Melodies for computer-manipulated sounds, and Advaya for cello and live and pre-recorded sounds. Harvey has also composed for most other genres: orchestra (including Madonna of Winter and Spring, Tranquil Abiding and White as Jasmine), chamber (including three String Quartets, Soleil Noir/Chitra, and Death of Light, Light of Death, for instance) as well as works for solo instruments.

analyzed by Pierre Boulez

Armonia 2 – Fantasia 0

Il gruppo satirico australiano Axis Of Awesome mostra quante volte la progressione I – V – VI – IV (es. Do – Sol – Lam – Fa) ha colpito nella storia della musica pop. E subito dopo averli visti, pensandoci un po’, mi sono venute in mente almeno altre 10 canzoni costruite nello stesso modo.

Adesso sapete come scrivere un hit. Datevi da fare.

Australian comedy group ‘Axis Of Awesome’ perform a sketch demonstrating how many hit songs are made by the same harmonic progression.

Sopravvivere

Negli USA, un reddito mensile di $1160 per un single è vicino alla soglia della povertà ($13,920 all’anno contro $10,830 sotto i quali un single è considerato povero). È il minimo per una vita decorosa. All’incirca quanto guadagna un commesso (naturalmente si tratta di una media).

Il blog The Cynical Musician ha recentemente calcolato quanto deve vendere un musicista per arrivare a questo reddito, utilizzando vari modelli di business: da quello tradizionale (vendita del CD come oggetto fisico) al download via internet, fino ai servizi di streaming audio che consentono agli utenti di ascoltare (non comprare) musica pagando un abbonamento.

Ho riassunto i risultati in questa tabella. Prezzi e costi sono quelli calcolati dal blog di cui sopra, relativi al mercato americano (l’articolo originale è qui). Per altri stati possono essere diversi.

La tabella è idealmente divisa in 3 sezioni separate da una linea verde: nella prima si ipotizza la vendita di un intero album, nella seconda di singoli brani mentre la terza è dedicata al solo ascolto, offerto da servizi come Rhapsody o Last.fm.

Si vede subito come quest’ultima possibilità sia ampiamente insoddisfacente alle condizioni attuali. Per quanto riguarda le altre due, non è facile decidere. È più facile vendere 155 album o 1595 brani singoli? Probabilmente, finché si hanno solo 1/2 album, la prima alternativa è migliore.

Inoltre bisogna ricordare che questi numeri riguardano un singolo artista. Nel caso di una band, i compensi non aumentano, per cui bisogna vendere un numero di pezzi pari a quello dato moltiplicato per i componenti e i numeri diventano elevati.

CDBabyDownload intero album$9.99$7.49155Commissioni a CDBaby 25%. C’è però un versamento di $35 per depositare l’album.CDBabyCD fisico$9.99$5.99194Commissioni a CDBaby $4 C’è però un versamento di $35 per depositare l’album.Casa discograficaCD fisico$9.99$11160Con royalties di livello medio/altoiTunesDownload intero album$9.99$0.941229Si arriva a iTunes tramite una etichetta che di solito concede all’artista royalties leggermente inferiori a quelle del CDCasa discograficaCD fisico$9.99$0.303871Con royalties di livello minimo
CDBabyDownload singolo brano$0.99$0.741595Commissioni a CDBaby 25%. C’è però un versamento di $9 per depositare il brano.Amazon iTunesDownload singolo brano$0.99$0.641813
eMusicDownload singolo branoabbonamento$0.343392
RhapsodyAscolto (no acquisto)abbonamento$0.009127473
Last.fmAscolto (no acquisto)abbonamento$0.000157733333

Servizio Modello di business Prezzo all’acquirente Ricavo dell’artista per ogni pezzo Numero di pezzi da vendere AL MESE per arrivare a $1160 Note
Vendita diretta in proprio CD fisico venduto ai concerti (no spedizione) $9.99 $8.12 143 Non ci sono commissioni a terzi. $1.28 vanno in scatola, booklets e supporto.

 

December 1952

December 1952 is the notorious Earle Brown’s score consisting only by horizontal and vertical lines varying in width (see it on the video). It’s a landmark piece on graphic notation. The player must translate the symbols in music.

David Tudor, overdubbed pianos.

Graphic Score Web-App Performance

Goetia

John Zorn: “Goetia” (2002) for solo violin. Jennifer Koh, violin.

Goetia is in fact a demon’s invocation closely tied to numerology. The piece consists of eight variations for solo violin. The work’s guiding feature is that each of the eight movements utilizes the same sequence of 277 pitches transformed by tempo variations, octave displacements, and modifications in rhythm and intensity.

The times of movements are

  1. “Goetia I” – 0:57
  2. “Goetia II” – 2:46
  3. “Goetia III” – 1:07
  4. “Goetia IV” – 1:42
  5. “Goetia V” – 1:12
  6. “Goetia VI” – 1:54
  7. “Goetia VII” – 2:53
  8. “Goetia VIII” – 1:20

YUAN

梁雷 (Lei Liang): YUAN (2008) for saxophone quartet

Lei Liang (b.1972) is a Chinese-born American composer whose orchestral, chamber and stage works have been performed throughout the world.

The recipient of a Guggenheim Fellowship and an Aaron Copland Award, Lei Liang’s commissions and performances have come from the New York Philharmonic, the Heidelberger Philharmonisches Orchester, the Taipei Chinese Orchestra, the Fromm Music Foundation, Meet the Composer, Chamber Music America, Mary Flagler Cary Charitable Trust, the Manhattan Sinfonietta, the Arditti, Ying and Shanghai Quartets, the Meridian Arts Ensemble, San Francisco Contemporary Music Players, New York New Music Ensemble, Boston Musica Viva, pipa virtuoso Wu Man, percussionist Steven Schick, among others.

Lei Liang’s music is recorded on Telarc, Mode, Innova, GM and New World (forthcoming) Records. As a scholar, he is active in the research and preservation of traditional Asian music. Lei Liang studied composition with Sir Harrison Birtwistle, Robert Cogan, Chaya Czernowin, and Mario Davidovsky, and received degrees from the New England Conservatory of Music (BM and MM) and Harvard University (PhD).

He was named Junior Fellow at the Society of Fellows at Harvard University; taught in China as a Distinguished Visiting Professor at Shaanxi Normal University College of Arts in Xi’an; served as Honorary Professor of Composition and Sound Design at Wuhan Conservatory of Music and as Visiting Assistant Professor of Music at Middlebury College. Since 2007, he has taught as Assistant Professor of Music at the University of California, San Diego.

Her site is here.

Yuan – Prism Quartet

Sonar

Sonar from Renaud Hallée on Vimeo.
Rhythmic cycle w/ abstract animation. 2009
Basic keyframe animation using flash, without scripting.
Official selection :
Annecy International Animation Film Festival – Out of competition
Sommets du cinéma d’animation de Montréal : Quebec-Canada
Festival des Films de la Relève

20 anni di Hubble

google celebrate HSTGoogle celebra i 20 anni del telescopio spaziale Hubble includendone l’immagine nel proprio logo arricchito dai link ad alcune fra le più belle immagini scattate dell’HST, visibili in Google Sky.

Lanciato il 24 Aprile 1990, l’Hubble Space Telescope, che deve il suo nome all’astronomo americano E. Hubble che scoprì l’espansione dell’universo, orbita a circa 600 km di altezza con un periodo orbitale di 96-97 minuti.

In questi 20 anni di esercizio, ci ha inviato migliaia di eccezionali immagini permettendoci di fare nuove scoperte inerenti la struttura dell’universo e la sua formazione, di guardare nel passato del cosmo osservando le più lontane galassie finora conosciute, di provare l’esistenza di pianeti extrasolari e verificare l’omogeneità dell’universo (il famoso Hubble Deep Field). Si stima che i dati ricavati dalla sua lavoro abbiano permesso una media di 14 nuovi articoli scientifici alla settimana.

Ma soprattutto ci ha mandato immagini di una bellezza sconvolgente, mostrandoci che l’universo può essere misterioso, affascinante e sconosciuto, ma soprattutto è bello.

L’HST continuerà ad funzionare almeno fino al 2019. Non prima del 2013 è previsto il lancio del nuovo James Webb Space Telescope che però opererà principalmente nell’infrarosso e quindi Hubble, che lavora anche nel campo della luce visibile e dell’ultravioletto, continuerà a farci sognare per molti anni ancora.

the chaotic activity atop a three-light-year-tall pillar of gas and dust that is being eaten away by the brilliant light from nearby bright stars - feb 1-2, 2010

Bloop

The Bloop is the name given to an ultra-low frequency and extremely powerful underwater sound detected by the US National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) several times during the summer of 1997. The source of the sound remains unknown.

According to thw NOAA description

it rises rapidly in frequency over about one minute and was of sufficient amplitude to be heard on multiple sensors, at a range of over 5,000 km.

5000 km is a grrreeeat distance for a sound, event in the water that conduct the sounds better than air. While the audio profile of the bloop does resemble that of a living creature, the system identified it as unknown because it was far too loud for that to have been the case: it was several times louder than the loudest known biological sound.

The bloop sound it’s too low to be perceived by a human ear. If transposed up by a factor of 8 (3 octaves), it sounds like this. and here by a 16 factor (4 octaves).

It was eventually identified as an ice quake.

Marco Stroppa: the video

After the Marco’s master, I publish here the link to the IRCAM video about his works for solo instrument and chamber electronics.

Here you can find excerpts from …of silence, hist whist and I will not kiss you f.ing flag. You can also see Arshia Cont, the creator of the astonishing score and tempo following software Antescofo.

I already posted this link on Dec. 12 2009, but now I point out again because here the students can see some applications of the systems that Marco described in his lecture.

In any case, the video is very interesting.

Complessità climatiche (1)

Sto leggendo Collasso (here in english), un libro in cui Jared Diamond (quello di Armi, acciaio e malattie) si interroga sul come le società possano affrontare i periodi di crisi e scegliere se vivere o morire.

Ideale continuazione del precedente Armi, acciaio e malattie, dove erano indagate le cause che hanno portato determinate aree geografiche alla supremazia tecnologica, Collasso analizza invece i motivi che hanno portato, nel passato e nel presente, determinate civiltà a un crollo repentino, dove questo è definito come una diminuzione drastica (spesso tramite conflitti armati) e su una scala temporale ridotta della complessità politica, delle dimensioni della popolazione e della produzione culturale. Diamond si interroga quindi se sia possibile che anche alcune delle società contemporanee, se non l’intera civiltà industriale, stiano andando incontro a un crollo di questo genere, e se e come sia possibile evitarlo.

A lato di questi argomenti, peraltro molto interessanti, a una lettura un po’ attenta il libro offre vari esempi di quanto il problema climatico sia complesso e difficilmente prevedibile in tutti i suoi effetti collaterali.

Considerate questo esempio:

in una regione del Montana (USA) si decide di mettere in atto un disboscamento controllato al fine di dare nuove possibilità alla sofferente industria del legname. L’operazione non è selvaggia, ma studiata prendendo come esempio le politiche dei paesi del nord Europa che da anni tagliano in un luogo, piantando poi alberi giovani e dando loro il tempo di ricrescere.

Sembra che tutto sia stato tenuto in dovuto conto, ma poi si verifica il seguente effetto collaterale: nei torrenti della zona, che fino a quel momento erano ricchi di pesce e attiravano molti turisti, non si pesca più. C’è pochissimo pesce.

Uno studio permette di appurare la causa. In seguito al taglio degli alberi, nella parte più a monte dei torrenti la temperatura dell’acqua è salita di 1/2 gradi. Il fatto è che la foresta teneva le acque costantemente all’ombra, mentre ora sono sempre al sole. Di conseguenza la loro temperatura media è salita. È bastato questo perché molte delle uova dei pesci, che ormai si erano adattati a quell’ambiente da centinaia (forse migliaia) di anni, non riuscissero più a schiudersi abbassando drasticamente il tasso di pescosità.

Risultato: l’aumento di produttività nel campo del legname è stato annullato dalle perdite turistiche e il livello di occupazione è salito da un lato, ma è crollato dall’altro. Tutta l’operazione ha avuto l’effetto di trasferire il problema occupazionale da un settore a un altro.

Nonostante la faccenda non sia stata affrontata con superficialità, l’analisi si è concentrata sul problema centrale (il disboscamento e i suoi effetti immediati) e si è rivelata incapace di prevedere tutti gli effetti collaterali, almeno uno dei quali è risultato molto dannoso.

Questo esempio mi torna alla mente tutte le volte in cui sento disquisizioni sul clima e sulle politiche ambientali e energetiche che adottano un ragionamento lineare, mentre la realtà si rivela quasi sempre più contorta di quello che riusciamo a prevedere. Cfr. la citazione di Stephen Hawking sulla fisica quantistica che mi sembra valida a anche a scala macroscopica: “Dio, non solo gioca a dadi, ma li butta anche in posti in cui sono difficili da vedere”.

Eclipse

Tōru Takemitsu (武満 徹, Takemitsu Tōru, October 8, 1930 – February 20, 1996) was a Japanese composer and writer on aesthetics and music theory. Though largely self-taught, Takemitsu is recognised for his skill in the subtle manipulation of instrumental and orchestral timbre, drawing from a wide range of influences, including jazz, popular music, avant-garde procedures and traditional Japanese music, in a harmonic idiom largely derived from the music of Claude Debussy and Olivier Messiaen.

In 1951 Takemitsu was a founding member of the anti-academic Jikken Kōbō (実験工房, “experimental workshop”): an artistic group established for multidisciplinary collaboration on mixed-media projects, who sought to avoid Japanese artistic tradition. The performances and works undertaken by the group introduced several contemporary Western composers to Japanese audiences. During this period he wrote Saegirarenai Kyūsoku I (“Uninterrupted Rest I”, 1952: a piano work, without a regular rhythmic pulse or barlines); and by 1955 Takemitsu had begun to use electronic tape-recording techniques in such works as Relief Statique (1955) and Vocalism A·I (1956).

During his time with Jikken Kōbō, Takemitsu came into contact with the experimental work of John Cage. Although the immediate influence of Cage’s procedures did not last in Takemitsu’s music, certain similarities between Cage’s philosophies and Takemitsu’s thought remained. For example, Cage’s emphasis on timbres within individual sound-events, and his notion of silence “as plenum rather than vacuum”, can be aligned with Takemitsu’s interest in ma (a japanese concept usually translated as the space between two objects). Furthermore, Cage’s interest in Zen practice (through his contact with Zen Master Daisetz Teitaro Suzuki) seems to have resulted in a renewed interest in the East in general, and ultimately alerted Takemitsu to the potential for incorporating elements drawn from Japanese traditional music into his composition:

I must express my deep and sincere gratitude to John Cage. The reason for this is that in my own life, in my own development, for a long period I struggled to avoid being “Japanese”, to avoid “Japanese” qualities. It was largely through my contact with John Cage that I came to recognize the value of my own tradition.

In particular, Takemitsu perceived that, for example, the sound of a single stroke of the biwa or single pitch breathed through the shakuhachi, could

so transport our reason because they are of extreme complexity […] already complete in themselves.

This fascination with the sounds produced in traditional Japanese music brought Takemitsu to his idea of ma which ultimately informed his understanding of the intense quality of traditional Japanese music as a whole:

Just one sound can be complete in itself, for its complexity lies in the formulation of ma, an unquantifiable metaphysical space (duration) of dynamically tensed absence of sound. For example, in the performance of nō, the ma of sound and silence does not have an organic relation for the purpose of artistic expression. Rather, these two elements contrast sharply with one another in an immaterial balance.

So we can see this strange situation: an eastern composer that first avoid the eastern music, reconcile with it thanks to a western composer.

The Power of the Slinkies

SlinkyFor italian people:

Slinky è il nome commerciale di questo giocattolo, formato da una lunga molla elicoidale, in voga (boh) forse 20-30 anni fa (è stato inventato negli anni ’40; io ne ho almeno 4/5, ma non ricordo quando le ho comprate).

Vedi anche wikipedia.


A sound wave in a long wire travels back and forth and produces an echo effect. This fact was well known to the old sound engineers and the so called spring reverberator was largely used in the analogical era.

In this video micolich shows the power of long springs. When touched, the sound travels repeatedly along the whole length of the spring producing a stream of little echoes with decreasing amplitude. But the sound speed is high, so the time distance between echoes is a question of milliseconds. As result we can’t perceive the single echo, but a decreasing halo that extend the sound: this is the reverberation.

Desert Plants

Desert Plants

About 30 years ago I had a book by Walter Zimmermann called Desert Plants. It was a book of conversations with 23 american composers. A self made book whose pages seem to be the xerox-copy of the sheets the author typed on his typewriter while listening to a tape recorder.

I loved this book because, beyond the interesting conversations, it taught the way of subsistence.

How to SUBSIST during a time where practically no attention is paid to individuals if they are not useful for any commercial tools. And what puts these Individuals into a situation where they are challenged to think about the nature of their integrity, and that because of their integrity become alienated. From there they are getting to understand the necessity to do everything to reduce alienation.

Like a desert plant.

Over the years, Desert Plants get lost in the normal life affairs (loans, moves and so on), but now that it is out of print, it respawn as a free book from the site of Walter Zimmermann itself. If you don’t know Desert Plants, you should. Click here and scroll a little.

Contro il suffragio universale

Bossi impone il figlio in regione. Caligola era stato più discreto.
[spinoza.it]

Ebbene sì. Sono ormai contrario al suffragio universale, sia per l’elettorato attivo che per quello passivo. Come minimo per due ragioni:

  1. Elettorato passivo
    Ormai servono una laurea e la fedina penale pulita per fare quasi qualsiasi cosa. Non sto a fare esempi, ne trovate a montagne in internet. Non vedo proprio perché, invece, possano essere eletti cani e porci. Vero è che ormai una laurea non si nega a nessuno. Ragione di più per averla.
  2. Elettorato attivo
    Il suffragio universale è stato una bella idea, ma ormai il potere dei media è tale da mettere in dubbio l’idea di “libera espressione di volontà” da parte dell’elettore. Attualmente anche chi non capisce un cazzo di niente può esprimere la propria opinione su chi deve guidare lo stato. Se la stessa cosa si facesse per il CT della nazionale di calcio sarebbe uno scandalo.
    Propongo quindi un patentino per ottenere il diritto di voto mediante il quale si accerti che l’elettore abbia almeno una vaga idea di cosa sta facendo. Tale patentino si potrebbe conseguire mediante un banale test a crocette con domande basilari tipo:
    Chi fa le leggi?

    1. il Presidente della Repubblica
    2. il Parlamento
    3. Il Governo

    E non ditemi che è complicato. Basta delegare il tutto ad un software in un ufficio comunale.
    Se ognuno di noi, anche il più illetterato, dedica qualche ora della propria vita allo studio dei quiz per ottenere la patente di guida, non vedo perché non dovremmo dedicare lo stesso tempo allo studio di un libretto distribuito gratuitamente.

Electromagnetic sounds from planets

Another fascinating recording of space sounds captured by a NASA spacecraft.

This time it’s Jupiter sounds (electromagnetic “voices”) recorded by the Voyager. The complex interactions of charged electromagnetic particles from the solar wind , planetary magnetosphere etc. create vibration “soundscapes”.

Jupiter is mostly composed of hydrogen and helium. The entire planet is made of gas, with no solid surface under the atmosphere. The pressures and temperatures deep in Jupiter are so high that gases form a gradual transition into liquids which are gradually compressed into a metallic “plasma” in which the molecules have been stripped of their outer electrons. The winds of Jupiter are a thousand metres per second relative to the rotating interior. Jupiter’s magnetic field is four thousand times stronger than Earth’s, and is tipped by 11° degrees of axis spin. This causes the magnetic field to wobble, which has a profound effect on trapped electronically charged particles. This plasma of charged particles is accelerated beyond the magnetosphere of Jupiter to speeds of tens of thousands of kilometres per second. It is these magnetic particle vibrations which generate some of the sound you hear on this recording.

It’s interesting to compare this recording with some analog electronic music from the sixties (cfr. Screen (1968) by Jaap Vink) or some orchestral compositions by Gyorgy Ligeti (Lontano (1967) or Atmosphère).

In addition should be interesting to know if and how this recordings had been edited by the people of Brain/Mind Research that sell many NASA recordings.

Here are similar recordings from Uranus…

… and Neptune.

Looking down

Have you ever looked down from the top of the Eiffel Tower? Not far away, as usual. Straight down, really.

Clikck the image to enlarge.

view_from_top_of_eiffel_tower

And from the Burj Dubai? (not from the top, I presume)

frm the Burj

Blumenstück

G. F. Haas – Blumenstück (2000).
after texts from “Siebenkäs

For choir (32 voices 8×4), bass tuba, and string quartet
Performed by Tom Walsh on tuba, the Quintett Rigas Kamermuziki, and the Latvian Radio Choir, Wolfgang Praxmarer conductor

Namárië

Sir John Ronald Reuel Tolkien reads an elvish poetry from his work The Lord of the Rings.

The text is known as Namárië: Galadriel’s Lament In Lorien, also wrongly (?) called Song of the Elves beyond the Sea.

The elvish language is another fictional idiom, a common use in fantasy and SF literature (e.g.: klingon). Tolkien created more languages and dialects for elvish people. The first and more ancient is Quenya that evolved to the Quenya of high-elven and is one of the two most complete of Tolkien’s languages (the other being Sindarin, or Grey-elven). The phonology, vocabulary and grammar of Quenya and Sindarin are strongly influenced by Finnish and Welsh, respectively. In addition to these two, he also created several other (partially derived) languages.

You’ll find a great discussion about this text, with a word-by-word analysis, here.

Ai! laurie lantar lassi surinen,
yeni unotime ve ramar aldaron!
Yeni ve linte yuldar avanier
mi oromardi lisse-miruvoreva
Andune pella, Vardo tellumar
nu luini yassen tintillar i eleni
omaryo airetari-lirinen.
Si man i yulma nin enquantuva?

An si Tintalle Varda Oiolosseo
ve fanyar maryat Elentari ortane,
ar ilye tier undulave lumbule;
ar sindanoriello caita mornie
i falmalinnar imbe met ar hisie
untupa Calaciryo miri oiale.
Si vanwa na, Romello vanwa, Valimar!

Namarie! Nai hiruvalye Valimar.
Nai elye hiruva. Namarie!

Ah! like gold fall the leaves in the wind,
long years numberless as the wings of trees!
The long years have passed like swift draughts
of the sweet mead in lofty halls
beyond the West, beneath the blue vaults of Varda
wherein the stars tremble
in the voice of her song, holy and queenly.
Who now shall refill the cup for me?

For now the Kindler, Varda, the Queen of the stars,
from Mount Everwhite has uplifted her hands like clouds
and all paths are drowned deep in shadow;
and out of a grey country darkness lies
on the foaming waves between us,
and mist covers the jewels of Calacirya for ever.
Now lost, lost to those of the East is Valimar!

Farewell! Maybe thou shalt find Valimar!
Maybe even thou shalt find it! Farewell!

But the list of the languages of Arda (the Middle-Earth) is complex and astonishing, showing how deep and real the Middle Earth was in Tolkien’s mind. Here is the complete list from wikipedia with links to single voices:

  1. Elvish languages:
  2. Mannish languages (all showed influence by Avarin tongues as well as Khuzdul):
  3. Languages of Dwarves:
  4. Languages of the Ents
  5. Languages of the Ainur (Valar and Maiar)
  6. Languages of the Orcs
  7. Various debased forms of the Black Speech and regional dialects influenced by Westron
  8. Primitive methods of communication
    • Language of the Trolls
    • Language of the Wargs

 

ToBeContinued…

ToBeContinued...ToBeContinued…
Mercoledì 24 marzo dalle ore 0:00 alle 24:00 (GMT+1)

In occasione della giornata mondiale della lotta alla tubercolosi, l’Officina Globale della Salute di Topolò presenta ToBeContinued, concerto live in streaming della durata di 24 ore con artisti provenienti da tutto il mondo. Per ascoltare basta collegarsi al sito www.stazioneditopolo.it

24 ore di suoni e musiche che percorrono il mondo e che si potranno ascoltare dalla propria casa collegandosi a un sito ora in preparazione. TBC è evidente acronimo di ToBeContinued e anche di Tubercolosi, malattia che uccide 4.500 persone ogni giorno; trascurata perché ritenuta sconfitta, in verità sempre più presente anche nei Paesi più sviluppati. L’Officina Globale della Salute, diretta da Mario Raviglione, autorità mondiale nel campo della lotta a questo flagello, intende creare un ponte tra il mondo della ricerca artistica e le problematiche legate alla salute. La Giornata Mondiale per la lotta alla Tubercolosi ci vede impegnati, lo facciamo a modo nostro, nell’informare circa i danni che la TBC comporta. Nelle 24 ore si ascolteranno suoni e musiche di generi molto diversi ma il flusso non cesserà mai. Per l’occasione la Stazione/Postaja si trasferirà a Trieste, ospitata negli spazi del Teatro Miela che ringraziamo. A coordinare i collegamenti, Antonio Della Marina (che ha dato l’incipit all’idea) e Moreno Miorelli. A breve, la scaletta degli interventi e altre info.


Live from 00.00 hours of March 24th to the midnight of the same day (GMT+1), in occasion of the World TBC Day. Topolo’s Global Health Incubator creates a musical medley linking live the Topolonauts shattered around the Planet… Go to www.stazioneditopolo.it

24 hours of sounds and music that will cover the World and will be listenable from anywhere through the Internet connection to a website we are currently setting up. TBC is obviously the acronym of both, ToBeContinued and Tuberculosis, the sickness that is responsible for 4.500 deaths every day, ignored because it has been considered defeated, it is actually spreading even in highly developed countries.

The Global Health Incubator wants to create a bridge between the world of artistic research and the one of health related issues. The World TBC Day is for us, and we will do it in our own way, an occasion to inform about the reality of this terrible disease. During the 24 hours there is going to be an uninterrupted stream of various sounds and musical genres. For the occasion Stazione/Postaja will move to Trieste, kindly hosted by Teatro Miela, which we thank. The coordination of the connections will be in the hands of Antonio Della Marina (who started the idea) and Moreno Miorelli. The program of the event and more information will soon be available.

Before the universe was born

Romanian-French composer Horaţiu Rădulescu (1942-2008) was a spectral music composer. But Radulescu’s music differs greatly from the french school (Grisey, Murail, Dufourt, Levinas). This latter uses the sound spectrum analysis to get informations by which to build a musical form.

Instead the work of Radulescu focuses on the exploration of what he considers to be the ultimate sonic archetype: the harmonic spectrum. His compositional aim, as outlined in his book Sound Plasma (1975) was to bypass the historical categories of monody, polyphony and heterophony and to create musical textures with all elements in a constant flux. Central to this was an exploration of the harmonic spectrum, and by the invention of new playing techniques to bring out, and sometimes to isolate, the upper partials of complex sounds, on which new spectra could be built.

Here we can listen to his fifth String quartet, subtitled Before the universe was born (1990/95)

Animals sound perception: elephants

An interesting table showing the hearing ranges for some animals [from Animal Behavior Online]

domestic cats 100-32000 Hz
domestic dogs 40-46000 Hz
African elephants 16-12000 Hz
bats 1000-150000 Hz
rodents 70-150000 Hz

I am impressed by the incredible hearing range of the rodents.

The infrasonic communications of the elephants is well known. African elephants have a social structure best described as fluid; animals move freely over wide areas, sometimes affiliating with other animals. Female members of a family tend to stay together, and of course their juveniles travel with them. These female-centered groups may merge with other such groups periodically. Adult males are less likely to join groups.

Female African elephants use “contact calls” to communicate with other elephants in their bands (usually a family group). These infrasonic calls, with a frequency of about 21 Hz and a normal duration of 4-5 seconds, carry for long distances (several kilometers), and help elephants to determine the location of other individuals. Calls vary among individual elephants, so that others respond differently to familiar calls than to unfamiliar calls. Perhaps elephants can recognize the identity of the caller.

Perception of infrasounds, however, presents some specific problems. An object smaller than the distance between waves is a poor receiver for those waves. Thus infrasonic receivers need to be large. This is probably the reason that infrasonic communication is used by only a few animals, and the best understood infrasonic communication system is the African elephant’s.

The large pinnae (external portion of the ear; trad.: il padiglione auricolare) in the African elephant may play an important role in the elephant’s perception of low frequency sounds, which are significant in communication among elephants. Receiving structures whose size is matched to the wavelength of the sound perform better.

Save Our Sounds

In a radio programme called Save Our Sounds, the BBC asked their listeners to upload sound recordings from where they live in order to create an audio map of the world.

Here is the call:

Help to create a snapshot of the world in sound!

We’re really excited about Save Our Sounds, but we need your help to create an audio map of the world. We’re especially keen to preserve endangered sounds for future generations.

You can get involved by sending us sounds from where you live, and then listen your way around the world with our interactive map.

Please upload your sounds onto our map.

Find out more about Save Our Sounds and follow our recording tips in order to collect the best quality sound.

So get recording and take us all on a journey through sound!

In this page you can listen to audio fragments from the whole world.

Music for cats

the-cat-enjoy-the-ipodThis site claims to produce “authentic cat music based on feline communication and hearing.”

When I was a student, there was cats on my house. I remember that, when listening to music, sometimes I observed their behavior and try to imagine their perception of the sounds and the meaning of the music for them.

I also remember that sometimes they moved a paw in front of the speaker. Not on the speaker, but in front of it, about half meter distant (speakers was on the floor), like trying to touch something.

Now I have no cats, so I can’t test it. But if someone could try and refer, it should be interesting. The songs are written in three different styles – each song style is designed to convey and evoke a particular mood.

Listen to samples from the main page.

G.F. Haas: String Quartet 2

Austrian composer Georg Friedrich Haas (b. 1953) truly experiments with sound. His extraordinary constructions of micro-intervals and pure harmonics create beautiful and opalescent soundscapes that move in ways that seem at once mysterious and obscure.

Here is the String Quartet No. 2 [1998] played by the Kairos Quartett.

Tokyo/Glow

Written and directed by Jonathan Bensimon and produced by Jonas Bell Pasht, Tokyo/Glow follows the nighttime journey of an illuminated man from a crosswalk sign as he embarks on an adventure through the streets of Tokyo. Shot on location throughout Tokyo using thousands of individual digital stills, the short film features original music by indie rock band Kidstreet, who recently signed with Nettwerk Records and will be releasing their debut album worldwide in 2010.

To achieve the striking effect of the illuminated man, an original light suit was constructed using hundreds of feet of high-voltage LED rope lights and a translucent nylon outer shell. Michael Lambermont, executive producer at Alter Ego in Toronto, oversaw the effects-heavy post-production process, which included weeks of extensive rotoscoping and compositing in the facility’s two Flame suites, plus a final colour grade, once the effects were complete. Geoff Ashenhurst, editor at Stealing Time, was charged with bringing the thousands of digital stills to life with director Bensimon.

Moscow-Vladivostok: virtual journey on Google Maps

The great Trans Siberian Railway, the pride of Russia, goes across two continents, 12 regions and 87 cities.

The joint project of Google and the Russian Railways lets you take a trip along the famous route and see Baikal, Khekhtsirsky range, Barguzin mountains, Yenisei river and many other picturesque places of Russia without leaving your house. Videos are available at very high resolution, until 1080 points.

During the trip, you can enjoy Russian classic literature, brilliant images and fascinating stories about the most attractive sites on the route.

Let’s go!

transib

Arabia Felix

Tactus performs Arabia Felix by Charles Wuorinen at the Manhattan School of Music. Mary Kerr – Flute, Rachel Field – Violin, Anne Rainwater – Piano, Jakob van Cauwenberghe – Guitar, Mike Perdue – Vibraphone, Matthias Kronsteiner – Bassoon, Conductor: John Ferrari

Feldman about De Kooning

Morton Feldman: De Kooning (1963)

Morton Feldman’s elegant chamber work dedicated to the painter “De Kooning” and scored for horn, percussion, piano, violin, and cello was composed in 1963.

After composing works in the early 1950’s that were in graphic notation and left most of the musical parameters (pitch, duration, timbre, event occurence) to the discretion of the performers, Feldman became dissatisfied with the result because although this manner of composing freed the sounds it also freed the kind of subjective expression of the performers that could not create the kind of pure sound-making that Feldman envisioned.

He briefly returned to strictly notated works, found these too confining, and then created works in which most of the parameters were given except for duration and, consequently, coordination among the parts (“The O’Hara Songs” [1962], “For Franz Kline” [1962]). Following this, Feldman began to create works, like “De Kooning”, “False Relationships and the Extended Ending” (1968) and others, which alternate fully determined and indeterminate sections within the same work.

In “De Kooning”, there are coordinated chords (verticalities) and isolated events (single tones and intervals … verticalities stretched out horizontally or melodically) of a duration determined by the performers. The sequence of these single events is given however and players must enter before the last event has died out. These open sequences alternate with traditionally notated measures of rest with exact metronome markings, treating sound and silence in equivalent importance.

The total duration of “De Kooning” is open but tends to be between 14 and 1/2 minutes and 16 minutes. Tiny bells, tubular bells, and vibraphone are mixed with high piano tones and icy string harmonics creating a crystalline texture, that contrasts with a more muted texture of low tympani and bass and tenor drum rolls, pizzicati, low cello tones, low vibraphone notes, lower piano aggregates and sustained horn pitches. The materials are limited to a few gestures on each instrument and create “identities” of a sort (for example, the repeated “foghorn”-like horn notes, the percussion rolls, and so on) that can easily be followed by the ear. The variety of timbre combinations is astonishing and the tempo of their unfolding gives the listeners plenty of time to appreciate their quality. No particular programme is intended, but the changing timbres may spontaneous stimulate imagery for the listener. Or, for another listener, the joy may simply be in sheer richness of the sonic experience, for the sounds themselves.

[“Blue” Gene Tyranny, All Music Guide]

PALAOA

The hydrophones of German Alfred-Wegener-Institut transmitting live from the Ocean below the Antarctic Ice in the Atka Bay. This project is called PALAOA (PerenniAL Acoustic Observatory in the Antarctic Ocean) that means “whale” in Hawaiian.

Click here for mp3 audio stream.

Please note, this transmission is not optimized for easy listening, but for scientific research. It is highly compressed (24kBit Ogg-Vorbis), so sound quality is far from perfect. Additionally, animal voices may be very faint. Amplifier settings are a compromise between picking up distant animals and not overdriving the system by nearby calving icebergs. So you might need to pump up the volume – but beware of sudden extreamely loud events.

There is also a webcam showing images like this one (click to enlarge)

palaloa

Dynamic Books

Macmillan announced a new kind of textbook called DynamicBooks: a remixable electronic textbook that will give professors the ability “to reorganize or delete chapters; upload course syllabuses, notes, videos, pictures and graphs; and perhaps most notably, rewrite or delete individual paragraphs, equations or illustrations.” Essentially, Macmillan provides the core text, and then professors get to customize the book to their liking.

According to Macmillan, this will cut the price of new textbooks.

From Open Culture

Gelie

An interesting application for iPhone that links sound and gestures. The sound needs some improvements but the idea is stimulating.

Ringu, la saga continua…

A mio modesto avviso, qui qualcun’altro deve morire se proprio non riesce ad astenersi…

Vogliamo ricominciare a prendere le cose un po’ seriamente, di qualsiasi cosa si tratti?
“Sì, lo so che non so cantare, ma vado a sanremo”.
“Sì, lo so che non so amministrare, ma faccio il politico”.

Ma il termine “etica” dice qualcosa a ‘sta gente? Diamoci tutti una rinfrescata qui su wikipedia (bastano le prime righe)

E poi rivitalizziamo il vecchio slogan da stadio “de-vi mo-riii-re!”. Non sarà corretto, ma…

Chi ha scritto Scelsi?

Fortunatamente sono sfuggito al festival nazional-popolare, ma ho passato la serata di sabato prima dormicchiando e poi riflettendo sulla vicenda di Giacinto Scelsi e del suo principale trascrittore, Vieri Tosatti. Riflessioni stimolate da una bella conferenza di Franco Sciannameo a cui ho assistito, nel pomeriggio, al Conservatorio di Trento, dove insegno.

La vicenda è ben nota agli addetti ai lavori (o almeno dovrebbe esserlo), ma vale la pena di riassumerla. In breve, Giacinto Scelsi (1905 – 1988), ormai riconosciuto come uno dei più importanti compositori contemporanei e anticipatore sia della minimal music che dello spettralismo (con i famosi Quattro pezzi per orchestra su una nota sola del 1959), in realtà non ha mai scritto materialmente una nota. Il suo lavoro, invece, consisteva nel registrare su nastro l’essenza delle proprie idee musicali eseguendole (spesso improvvisando) sull’ondiola (nome originale ondioline), una tastiera elettronica inventata dal francese Jenny, in grado di produrre anche quarti e ottavi di tono.

I nastri venivano poi passati a dei trascrittori che, in concerto con il compositore, trascrivevano il materiale su pentagramma, curando anche l’orchestrazione. Il principale fra costoro fu Vieri Tosatti (1920 – 1999) che, in verità, dopo la morte di Scelsi, creò anche una polemica con la dichiarazione “Scelsi c’est moi”, ma il cui contributo passò rapidamente in secondo piano.

E invece, secondo gli studi e i ricordi di Sciannameo, che fu violinista nel quartetto che curò la prima esecuzione dei brani orchestrati da Tosatti per questo organico, dovrebbe essere rivalutato perché il suo sodalizio trentennale con Scelsi lo pone in una posizione che va sicuramente al di là di quella del semplice trascrittore, al punto che molti critici che osannano la genialità sonora di Scelsi, dovrebbero invece ricordare che il “rendering audio” dei lavori di Scelsi è in gran parte opera di Tosatti, essendo quest’ultimo “l’arrangiatore” che ha materialmente orchestrato il materiale di base.

In realtà, anche secondo me, è giusto affermare che i nastri originali andrebbero stampati e diffusi (mi dicono sia in corso un lavoro di catalogazione e “pulitura” del suddetto materiale da parte della Fondazione Scelsi) perché sono proprio questi ad essere storicamente testimoni dell’idea originale di Scelsi, mentre la musica stampata dovrebbe essere considerata come una “trascrizione approvata dal compositore”.

Ma mi chiedo anche se sia proprio così. Il problema è: in che misura i nastri sono depositari dell’idea compositiva? Rappresentano la composizione in quanto unica testimonianza originale, oppure sono soltanto un ulteriore elemento di passaggio verso la formalizzazione di una idea musicale?

Sciannameo ha portato alla luce una corrispondenza risalente agli anni ’30 fra Scelsi e Walter Kline (descritto spesso come allievo di Schoenberg, ma, secondo Sciannameo, amico di Schoenberg, forse allievo di Berg) che testimonia come l’impostazione compositiva di Scelsi sia stata da sempre un po’ particolare, basata com’era sulla produzione di una idea musicale, lasciando a dei collaboratori il compito di orchestrare e a volte anche di sviluppare il concetto originario.

Questo metodo di lavoro, forse derivante anche dalla condizione aristocratica di Giacinto Scelsi, a mio avviso non ne sminuisce la genialità, ma induce a riflettere sulla genesi e sulla effettiva paternità dell’opera d’arte che, nella tradizione occidentale, è considerata un prodotto del tutto individuale, mentre spesso (e attualmente sempre di più) si rivela essere il prodotto dell’interazione di più di una mente.

Personalmente, devo aggiungere che, alla fine, quello che mi dispiace un po’ in questa vicenda è proprio il fatto che, a causa di un pregiudizio legato alla tradizione individualistica della composizione, il sodalizio Scelsi – Tosatti sia stato tenuto nascosto per molto tempo e sia ancora fonte di studi e polemiche, mentre, secondo me, sarebbe stato vissuto molto meglio dai protagonisti (soprattutto da Tosatti) se fosse stato trasparente e socialmente accettato come una collaborazione perfettamente normale fra due persone, ognuno con il proprio ruolo.

Pirating vs buying

This funny chart (found on Boing Boing) does a superb job of explaining how the insertion of a lot of “business model” (FBI warnings, unskippable trailers, THX vanity sequences) makes buying a DVD a lot worse than pirating the same disc online (click image to enlarge).

A side effect is that only the legitimate customers can see the FBI warnings.

The same (or worse) happens with the games. I bough a PC game to play on the train (I move 2/3 days a week) and I must carry the original CD-Rom with me to start the game, at high risk.

Of course the pirated copy starts without any CD. The customer pay to buy the game and must suffer all the annoyances. A pirate don’t pay and has no problems. It’s a no win situation…

Australian spaces

The wide landscapes of Australia are the new spaces of contemporary sculpture

Neil Dawson’s Horizons, made of welded steel, is an imposing 15m high and 36m long.

Anish Kapoor’s Untitled is 25m long, 8m high and made of mild steel tube and tensioned fabric.

Andy Goldsworthy’s Arches was created in 2005. It is partly submerged at high tide. It consists of 11 5m-high sandstone arches.

George Rickey’s Column of Four Squares Gyratory III is 15m high.

Richard Serra’s 257m-long, 6m-high Te Tuhirangi looks delicate from above, but up close become as imposing as the wall of a full dam.

From The Australian

Playing the building

Playing the Building is a sonic project by ex-Talking Head David Byrne that came to London in 2009. You could sit down at an “antique organ” and hit whatever keys or chords your heart desired—but you wouldn’t be producing notes.

You would instead trigger a “series of devices,” as Byrne describes them: hammers and dampers distributed throughout the building in which you sat. Distant windowpanes and metal cross-beams, hooked up to wires, would begin to vibrate, tap, and gong. Imagine someone like this sitting in the darkness beneath Manhattan, causing haunted musics and unexplained knocks inside rooms and abandoned buildings around the city. Now, even urban infrastructure will be musicalized.

The Ocean of Light

The Ocean of Light project explores the creative and immersive possibilities of light-based visualisation in physical space. It uses bespoke hardware to create dynamic, interactive and three-dimensional sculptures from light.

Surface is the first artwork to be exhibited using the Ocean of Light hardware. It uses minimal visuals and sound to evoke the essence of character and movement. Autonomous entities engage in a playful dance, negotiating the material properties of a fluid surface.

The Ocean of Light project is a collaborative research venture, led by Squidsoup and supported by the Technology Strategy Board (UK). Partners include Excled Ltd and De Montfort University. Additional support and resources have been provided by Oslo School of Architecture and Design (Norway), Massey University, Wellington (New Zealand) and Centre for Electronic Media Art, Monash University (Aus).

Squidsoup is a digital arts group specialising in immersive interactive installations within physical 3D space. Their work combines sound, light, physical space and virtual worlds to produce immersive and emotive headspaces. They explore the modes and effects of interactivity, looking to make digital experiences where meaningful and creative interaction can occur.

Mixtur 2003

Karlheinz Stockhausen, “Mixtur 2003 (Forward Version)”
for 5 orchestra groups, 4 sine-wave generator players, 4 sound mixers, with 4 ring modulators and sound projectionist

From the Musica Viva Festival
Bavarian Radio Orchestra, Lucas Vis
Recorded January 27, 2008
Muffathalle, Munich

The essential aspect of MIXTUR is, on one hand, the transformation of the familiar orchestra sound into a new, enchanting world of sound. It is an unbelievable experience, for example, to see and hear string players bowing a sustained tone and to simultaneously perceive how this tone slowly moves away from itself in a glissando, the pulse accelerates, and a wonderful timbre spectrum emerges. Orchestra musicians are astonished when they hear the notes they play being modulated timbrally, melodically, rhythmically, and dynamically. All shades of the transitions from tone to noise, noise to chord, from timbre to rhythm and rhythm to pitch come into being from such ring modulations, as if by themselves.

Finest micro-intervals, extreme glissandi and register changes, percussive attacks resulting from normally smooth entrances, complex harmonies (also above single instrumental tones), and many other unheard-of sound events result from this modulation technique and from the variable structuring.

Secondly, the ring modulation adds new overtone- and sub-tone series to the instrumental spectra, which can be clearly heard, especially during sustained sounds in MIXTUR. Such mixtures do not occur in nature or with traditional instruments. Through these mirrored overtone harmonies, one is moved by alien, haunting sensations of beauty, which are completely new in art music.

Only such renewal in how music affects us imbues new techniques with meaning.

— Karlheinz Stockhausen

From ANABlog

iMussolini

iMussoliniChe cosa sia l’Italia oggi si può anche dedurre anche dal fatto che una applicazione su iPhone che contiene clips audio, video e testi di 100 discorsi del dittatore è stata la più scaricata nel nostro paese nel breve tempo in cui era disponibile, raggiungendo il 2° posto nella classifica del software iPhone in Italia.

L’applicazione è stata rimossa grazie all’intervento dell’istituto che possiede i diritti sul video e l’audio. La minaccia di una causa per violazione di copyright è servita ad indurre il suo creatore, tale Luigi Marino, 25 anni, di Napoli, a ritirarla.

Se ne parla anche sulla stampa estera (NY Times, BBC News), oltre che su quella locale (Corriere).

Imaginary Landscapes

Speaking about Brian Eno (see previous post), on You Tube there is the whole Imaginary Landscapes, a film on Eno by Duncan Ward & Gabriella Cardazzo.

Imaginary Landscapes is a profile of a modern artist at the cutting edge of technological change and popular taste. It brings into an intensely personal focus Brain Eno’s seemingly disparate work in sound, vision and light, and explores his music in visual terms, based on landscapes and images that have shaped his life as an artist.

An audience with Brian Eno

EnoPaul Morley recently spoke to Brian Eno for a BBC arena documentary in which Eno proved that he is always good for a controversial and catchy phrase about the music industry:

The record age was just a blip. It was a bit like if you had a source of whale blubber in the 1840s and it could be used as fuel. Before gas came along, if you traded in whale blubber, you were the richest man on Earth. Then gas came along and you’d be stuck with your whale blubber. Sorry mate – history’s moving along. Recorded music equals whale blubber. Eventually, something else will replace it.

The whole interview is published on the Guardian’s site.

Berlusconi on Photoshop Disasters

Il nostro elegante commander-in-chief è finito sul popolare Photoshop Disasters per una serie di immagini malamente e dilettantisticamente ritoccate tratte dal libro Noi amiamo Silvio edito da Peruzzo.

Nella fattispecie si vede una foto in cui pezzi di folla sono stati chiaramente duplicati al fine di far apparire più gente intenta ad osannare il nostro. Anche il mazzo di fiori è disegnato gran male. In realtà è probabile che questa immagine sia il montaggio di tre foto: Berlusconi, la folla, piazza Duomo. Il fatto che la menzogna sia utilizzata come normale strumento di propaganda dovrebbe far pensare.

Qui l’immagine ingrandita.

Il commento di Photoshop Disasters:

Oh Silvio. I have no problem with your mafia connections, your masonic lodge business, the tax fraud, the false accounting, the bribing of judges, embezzlement, seducing young girls, etc. We all do that kind of thing. But when you start pumping up your crowds with Photoshop you cross the line, mister.

berlusconi on photoshop disaster

In Holden’s footsteps

coverChi ha letto Il giovane Holden (The Catcher in the Rye, J.D. Salinger, 1951) potrà ora seguire le sue deambulazioni per Manhattan grazie a una mappa interattiva completa di citazioni pubblicata sul New York Times.

Trace Holden Caulfield’s perambulations around Manhattan in “The Catcher in the Rye” to places like the Edmont Hotel, where Holden had an awkward encounter with Sunny the hooker; the lake in Central Park, where he wondered about the ducks in winter; and the clock at the Biltmore, where he waited for his date. Roll your mouse over each point and read about Holden’s experience there in J.D. Salinger’s words.

Map is here.

Hubble look at Pluto

plutoSince its discovery in 1930, Pluto has been a speck of light in the largest ground-based telescopes. But NASA’s Hubble Space Telescope has now mapped the dwarf planet in never-before-seen detail. The new map is so good, astronomers have even been able to detect changes on the dwarf planet’s surface by comparing Hubble images taken in 1994 with the newer images taken in 2002-2003. The task is as challenging as trying to see the markings on a soccer ball 40 miles away.

Hubble’s view isn’t sharp enough to see craters or mountains, if they exist on the surface, but Hubble reveals a complex-looking and variegated world with white, dark-orange, and charcoal-black terrain. The overall color is believed to be a result of ultraviolet radiation from the distant Sun breaking up methane that is present on Pluto’s surface, leaving behind a dark, molasses-colored, carbon-rich residue. Astronomers were very surprised to see that Pluto’s brightness has changed — the northern pole is brighter and the southern hemisphere is darker and redder. Summer is approaching Pluto’s north pole, and this may cause surface ices to melt and refreeze in the colder shadowed portion of the planet. The Hubble pictures underscore that Pluto is not simply a ball of ice and rock but a dynamic world that undergoes dramatic atmospheric changes.

Click the image to enlarge. Original site is here.

Torment of the Metals

coverThe sound of Akashic Crow’s Nest begins with the use of an image synthesizer which turns very long photographic images into audio output, in the manner of a piano roll. The initial part of composing this music is thus designing the picture. For this latest project, the first audio output is converted to midi and run through a different softsynth, before being subjected to a battery of effects to get to the sounds you hear on this album.

Download from Webbed Hand Records

Excerpt:

Interlace

The English netlabel INTERLACE devotes to concerts featuring free improvisation, live electronic music, interactive composition, and, of course, a mixture of it all. It is a continuous series of concerts aiming at 3 or 4 times per year.

Excerpts from the Interlace archives: three improvisations from the concert dated 18 July 2009

Rùt

victor_ivaniv_and_muhmood_-_rut__front_

Published in 2008 by Enough Records

Excerpt:


Download from ftp.scene.org
Download from archive.org
Download from last.fm

A Million Billion

A Million BillionA Million Billion is Ryan Smith based out of Queens, NYC. ‘Cavity Care’ is a collection of compositions that Ryan wrote in collaboration with several choreographers over the last 6 years.
These works are distinctively experimental in nature (especially the first four pieces), but also extremely dramatic and cinematographic in tone, and as a result most of the time they transport us to movie-like settings and places.

Download from Test Tube.

Excerpts:

Craque

CraqueI like the rhythmic feeling of this work. Rhythm is the main stream around which all the sound moves. Rich rhythmic patterns that derivate from dub, hip hop, techno and other urban languages, but instead of driving us straight to the physical emotion center, they drive us to the ‘braindance’ center.

Craque is Matt Cooke-Davis. Download the whole album from Test Tube. Other works on Stadtgruen, Kahvi Collective and Kikapu.

Excerpts:

Umbrellas in the Rain

Umbrellas in the RainUmbrellas in the Rain is the alias of an austrian musician from Vienna, and ‘Wieder Daheim’ – german for ‘Home Again’ – his first effort at creating something mature enough worth listening to (and worth releasing, for that matter…). Well, he did it, and with flying colours. ‘Wieder Daheim’ is a delicate collection of abstract songs that really grab one’s heart. They are experimental enough to wander in, but also emotional enough – to the point of being nostalgic – to keep us down to earth.

We can also find enough drones to keep us occupied and plenty of found sounds of everyday objects to let us dream away. The songs are filled with a lot of different instruments too, among guitars, keyboards and xylophones.

Download from Test Tube.

Excerpt:

4 notes

Tom Johnson is really a minimalist composer; in fact, he coined the term while serving as the new music critic for the Village Voice.

He works with simple forms, limited scales, and generally reduced materials, but he proceeds in a more logical way than most minimalists, often using formulas, permutations, predictable sequences and various mathematical models.

The Four Note Opera (1972) is a work written using four notes only (D, E, A, B). It is scored for 5 singers and a piano (no orchestra) and the singers play the role of singers in a way similar to Pirandello’s Six Characters In Search of an Author:

The only sure thing is that the crucial moment in the evolution of the piece was that evening very long ago when I read, with great excitement, Luigi Pirandello’s Six Characters In Search of an Author. Normally characters are not even conscious of their existence on a stage. They are completely obedient to the author, they conform totally to the world the author creates, and they have no thoughts of their own. But Pirandello’s masterpiece was different. His characters knew they existed in a theatrical space, and only for a couple of hours. They were aware of the audience, and of the author as well. It was not the kind of theatre that asks you to believe something that is not true. It was the kind of theatre that you have to believe, because everything is true.

Pirandello’s vision had a strong impact on me, and for years one question lingered in the back of my mind: what would happen if, instead of Six Characters in Search of an Author, there happened to be some opera characters looking for a composer? It happened that some opera characters were looking for a composer, and about 10 years after reading Pirandello they found me and came to life in The Four Note Opera.
[Tom Johnson]

Here are some excerpts in french and italian:

and the whole

Recreating the Philips Pavilion

Prof. Vincenzo Lombardo, from the Department of Computer Science of the University of Turin, and his team have done an extraordinary job of unearthing the secrets of the legendary Philips Pavilion.

In 1958, Philips Industries commissioned Le Corbusier to build their pavilion for the World’s Fair to be a showcase of their technology. Iannis Xenakis was working for Le Corbusier at the time and ended up designing the building as well as writing music for some of the spaces (Concret P.H.).

Le Corbusier designed the visuals for the inside and chose Edgar Varèse to create the music for the main space. It was an extremely complex installation with 350 speakers, all sorts of lights, slide and film projectors, sculpture and more. Xenakis’ music and architecture was heavily based on mathematics, especially hyperbolic paraboloid shapes.

Edgar Varèse worked in Philips new sound studio in Eindhoven with two full-time technicians to create the main musical piece. Le Corbusier worked with his firm to create the visuals.

Now, the virtual recreation by Prof. Lombardo and his team give new life to this legendary space. His site it’s well worth a (long) visit enjoying all the materials archived online.

Philips Pavilion

The Ghostvillage Project

The Ghostvillage Project was created over 3 days on the west coast of Scotland. Six artists – Timid, Remi/Rough, System, Stormie Mills, Juice 126, Derm – were given free reign to paint in an abandoned 1970s village. Working together on huge collaborative walls and individually in hidden nooks and crannies all over the site the artists realised long held dreams and were inspired by the bleakness and remoteness of the site. Drawing on the history of the village the artists’ stated intent on completion of the project was to populate the Ghostvillage with the art and characters that it deserved.

The Ghostvillage Project from Agents Of Change on Vimeo.

Pubblicato in Arte

Two videos, same music

A music video which was derived from the visuals for the Insen Live Tour of Alva Noto & Ryuichi Sakamoto where it was generated in realtime and shown on a LED Screen on the stage.

The same music as soundtrack of a video showing the City of Berlin seen from the window of a train.

LRAD

The LRAD (Long Range Acoustic Device) can emit a tone higher than the normal human threshold of pain. It was used for the first time in the USA in Pittsburgh during the time of G20 summit on September 24-25th, 2009.

https://youtu.be/QSMyY3_dmrM

By the way, a good book about it: Sonic Warfare – Sound, Affect, and the Ecology of Fear by Steve Goodman (MIT Press, see also this review on Rhizome).

Pubblicato in Audio | Contrassegnato

Bio Circuit – a wearable soundscape

This video depicts the collaborative wearable technology project of Bio Circuit in action. Bio Circuit was created at Emily Carr University by Industrial Design student Dana Ramler, and MAA student Holly Schmidt.

Bio Circuit is a vest that provides a form of bio feedback using data from the wearer’s heart rate to determine what “sounds” they hear through the speaker embedded in the collar of the garment. The wearer places the heart rate monitor around the ribcage, resting against the skin and close to the heart. An MP3 audio player embedded in the vest plays the audio track related to that specific heart rate. The audio tracks are soundscapes mixed from a range of ambient sounds. If the wearer’s heart rate is low, the soundscape will reflect a quiet natural area with sounds such as water, birds and insects. If the wearer has a high heart rate then they will hear a cacophony of urban sounds such as people talking and traffic.

Bio Circuit stems from our concern for ethical design and the creation of media-based interactions that reveal human interdependence with the environment. With each beat of the heart, Bio Circuit connects the wearer with the inner workings of their body. In this sense the garment functions like other biofeedback devices that use sensors to provide a person with information about their physiological state. With Bio Circuit, we are proposing that these kinds of devices could extend a person’s awareness to include the environment.

visit danaramler.com for more information

From Vimeo

Il vino che si beve con gli occhi…

Il Pierrot Lunaire diretto da Schönberg registrato negli anni ‘40, poi riedito nel 1951, è sull’Internet Archive.

Avevo già parlato di questa incisione perché era stata messa su You Tube, con un video fisso, ma ora chi volesse scaricarla in solo audio, può trovarla qui.

Cliccando qui, invece, la ascoltate in streaming audio.

SCHÖNBERG: Pierrot Lunaire.
Arnold Schönberg, conductor.

Erika Stiedry-Wagner, recitation.
Rudolf Kolisch, violin and viola.
Stefan Auber, ‘cello.
Eduard Steurermann, piano.
Leonard Posella, flute and piccolo.
Kalman Bloch, clarinet and bass clarinet.

Columbia 78rpm set MM-461 (XH 23 – XH 30). Recorded in 1940.
Digital transfer by F. Reeder

Freeman Études

John Cage, Freeman Études for solo violin (1977). A piece whose form is due to a set of misunderstanding.

In 1977 Cage was approached by Betty Freeman, who asked him to compose a set of etudes for violinist Paul Zukofsky (who would, at around the same time, also help Cage with work on the violin transcription of Cheap Imitation). Cage decided to model the work on his earlier set of etudes for piano, Études Australes. That work was a set of 32 etudes, 4 books of 8 études each, and composed using controlled chance by means of star charts and, as was usual for Cage, the I Ching. Zukofsky asked Cage for music that would be notated in a conventional manner, which he assumed Cage was returning to in Études Australes, and as precise as possible. Cage understood the request literally and proceeded to create compositions which would have so many details that it would be almost impossible to perform them.

In 1980 Cage abandoned the cycle, partly because Zukofsky attested that the pieces were unplayable. The first seventeen études were completed, though, and Books I and II (Études 1-16) were published and performed (the first performance of Books I and II was done by János Négyesy in 1984 in Turin, Italy). Violinist Irvine Arditti expressed an interest in the work and, by summer 1988, was able to perform it at an even faster tempo than indicated in the score, thus proving that the music was, in fact playable. Arditti continued to practice the études, aiming at an even faster speed, apparently misreading Cage’s indication in the score to play every measure in “as short a time-length as his virtuosity permits”, in which Cage simply meant that the duration is different for each performer. Inspired by the fact that the music was playable, Cage decided to complete the cycle, which he finally did in 1990 with the help of James Pritchett, who assisted the composer in reconstructing the method used to compose the works (which was required, because Cage himself forgot the details after 10 years of not working on the piece). The first complete performance of all Études (1-32) was given by Irvine Arditti in Zurich in June 1991. Négyesy also performed the last two books of the Etudes in the same year in Ferrara, Italy. [wikipedia]

Earthrise

Some years ago, the japanese Kaguya spacecraft orbited the moon with a HD camera onboard and take this movie.

The colors of the Earth rising above the horizon suggest our planet is a beautiful place to see from far away.

Sorry for the music and the comments.

PLOrk

Princeton Laptop Orchestra (PLOrk) is a visionary new ensemble of laptopists, the first of its size and kind.

Founded in 2005 by Dan Trueman and Perry Cook, PLOrk takes the traditional model of the orchestra and reinvents it for the 21st century; each laptopist performs with a laptop and custom designed hemispherical speaker that emulates the way traditional orchestral instruments cast their sound in space. Wireless networking and video augment the familiar role of the conductor, suggesting unprecedented ways of organizing large ensembles.

In 2008, Trueman and Cook were awarded a major grant from the MacArthur Foundation to support further PLOrk developments. Performers and composers who have worked with PLOrk include Zakir Hussain, Pauline Oliveros, Matmos, So Percussion, the American Composers Orchestra, and others. In its still short lifetime, PLOrk has performed widely (presented by Carnegie Hall, the Northwestern Spring Festival in Chicago, the American Academy of Sciences in DC, the Kitchen (NYC) and others) and has inspired the formation of laptop orchestras across the world, from Oslo to Bangkok.

“Connectome” Performed by the Princeton Laptop Orchestra (PLOrk) (Director Jeff Snyder), PLOrk[10] concert, May 3 2017 Composition: Mike Mulshine Neuron model audio synthesis: Jeff Snyder and Aatish Bhatia Projection: Drew Wallace

Excerpt: Autopoetics I by Ted Coffin: listen to or watch a video

Other multimedia materials here.

Old School Computer Music

Csound BlogDr. Boulanger has put up a wondeful collection of Csound mp3s at Csounds.com.

Download 4csoundCompositions.zip (99.1 MB)

The pack comes with 20 tracks, with everything from ambient to minimal to cheesy techno to synth-generated halloween sound fx.  All of the original source code is included in case you are curious to see what these compositions look like in their original state.

From The Csound Blog

Excerpts:

Ballentine the bird

coverBy Bradley Carter:

Ballentine the bird is a digital drawing about 20,000 pixels tall and 30,000 pixels wide (roughly 20×30 feet @72ppi). She was drawn using one-pixel wide scribble lines colored red, yellow, blue, white, and black. Because she is so big, I’ve used the OpenLayers mapping API (similar to Google Maps) to allow zoom and scrolling features.

The concept behind the drawing is based on the idea that digital images can be infinite in size. Drawing her entirely of one-pixel wide lines (labor-intensive) is an attempt on my part to undermine the idea that drawing on the computer is merely a shortcut. She was drawn in Photoshop using a Wacom tablet.

Launch Artwork

From Rhizome Artbase

Generative Music for iPhone

bloom, trope, airBloom, Trope and Air are three applications developed by Brian Eno and the musician / software designer Peter Chilvers that brings to the iPhone the concept of generative music popularized by Eno.

Part instrument, part composition and part artwork, Bloom’s innovative controls allow anyone to create elaborate patterns and unique melodies by simply tapping the screen. A generative music player takes over when Bloom is left idle, creating an infinite selection of compositions and their accompanying visualisations.

Darker in tone, Trope immerses users in endlessly evolving soundscapes created by tracing abstract shapes onto the screen, varying the tone with each movement.

Air is described as “An endless Music for Airports”. It assembles vocal and piano samples into a beautiful, still and ever changing composition, which is always familiar, but never the same.
Air features four ‘Conduct’ modes, which let the user control the composition by tapping different areas on the display, and three ‘Listen’ modes, which provide a choice of arrangement. For those fortunate enough to have access to multiple iPhones and speakers, an option has been provided to spread the composition over several players.

Buy here.

String of Destiny

Dmitri N. Smirnov: String of Destiny (Piano Sonata No.4) Op.124 (2000). Alissa Firsova – piano

One-movement piano Sonata No. 4 was completed on 15th of April 2000 at St Albans. I played it to my daughter Alissa Firsova whom I dedicated it. Alissa liked the piece but criticised me for the boring title. She suggested immediately “String of Destiny”, explaining that she feels the piece as an expanding string, which leads to some important point. I did not argue and accepted the new title. Alissa played the Sonata publicly for the first time on 10th of February 2001 at The St Albans Music Club.  She also recorded it on CDs (Megadisc MDC-7818, Meladina MRCD-40).

Internal Debate

From College Humour

Computer: Monitor, display this document, ok?

Monitor: No prob, boss.

Computer
: OK, now it looks like Mouse is moving around so, Monitor, will you move the pointer icon accordingly?

Monitor
: Anything you ask, boss.

Computer
: Great, great. OK, Mouse, where are you going now?

Mouse
: Over to the icon panel, sir.

Computer
: Hmm, Let me know if he clicks anything, OK?

Mouse
: Of course.

Keyboard
: Sir, he’s pressed control and P simultaneously.

Monitor
: Oh God, here we go.

Computer
: *sighs* Printer, are you there?

Printer
: No.

Computer
: Please, Printer. I know you’re there.

Printer
: NO! I’m not here! Leave me alone!

Computer
: Jesus. OK look, you really ne…

Mouse
: Sir, he’s clicked on the printer icon.

Computer
: Printer, now you have to print it twice.

Printer
: NO! NO! NO! I don’t want to! I hate you! I hate printing! I’m turning off!

Computer
: Printer, you know you can’t turn yourself off. Just print the document twice and we’ll leave you alone.

Printer
: NO! That’s what you always say! I hate you! I’m out of ink!

Computer
: You’re not out of in…

Printer
: I’M OUT OF INK!

Computer
: *Sighs* Monitor, please show a low ink level alert.

Monitor
: But sir, he has plen…

Computer
: Just do it, damn it!

Monitor
: Yes sir.

Keyboard
: AHHH! He’s hitting me!

Computer
: Stay calm, he’ll stop soon. Stay calm, old friend.

Keyboard
: He’s pressing everything. Oh god, I don’t know, he’s just pressing everything!

Computer
: PRINTER! Are you happy now?! Do you see what you’ve done?!

Printer
: HA! that’s what you get for trying to get me to do work. Next time he…hey…HEY! He’s trying to open me! HELP! HELP! Oh my god! He’s torn out my cartridge! HELP! Please! ERROR!

Monitor
: Sir, maybe we should help him?

Computer
: No. He did this to himself.

Francobollo Mino Reitano?

francobollo mino reitanoNon voglio sembrare inutilmente polemico, però un francobollo dedicato a Mino Reitano nella Giornata della Musica 2009 mi sembra eccessivo.

E proprio nel 2009 ci sarà un bis per la musica leggera italiana con un francobollo che sarà dedicato a un altro brano di popolarità indiscussa: la canzone di Mina «Tintarella di luna». La Consulta ha dato l’ok a vari francobolli aggiuntivi tra i quali quelli destinati a celebrare il centenario del Corriere dei piccoli, la storica moto italiana «Ducati», il terremoto di Messina del 1908, il centenario della morte di Edmondo De Amicis. La Consulta ha pure integrato il Programma delle emissioni 2009 con francobolli dedicati a Indro Montanelli e Norberto Bobbio, nel centenario della nascita, e a padre Agostino Gemelli, nel cinquantenario della morte.

[Corriere della Sera, 3/1/2008]

Immagino che quello dedicato a Mike Bongiorno sia in preparazione…

Nello stesso giorno, ne hanno emessi atri due dedicati a Nino Rota e Pavarotti. In entrambi i casi anche la grafica fa un po’ pena.

Oltre a quello già citato, un altro francobollo legato alla musica leggera è quello che ricorda il 50mo anniversario di Volare (Nel blu dipinto di blu).

La gerontocrazia commemora sé stessa. Come tale, non è in grado di celebrare non dico il futuro, ma nemmeno la contemporaneità.

Cfr. la serie delle poste inglesi Classic Album Covers – 7 January 2010.

Ecco i dati del francobollo:

Data di emissione: 24 ottobre 2009
Valore: € 1,00
Tiratura: tre milioni di esemplari
Vignetta: il valore di € 1,00 raffigura il cantante Mino Reitano durante un’esibizione;
Su ogni francobollo è riprodotto, in basso al centro, il logo della manifestazione “ITALIA 2009”.
Completano ciascun francobollo le leggende “GIORNATA DELLA MUSICA” e “FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA FILATELIA”, la scritta “ITALIA”, il nome e la data “MINO REITANO 1944 – 2009”,e il valore “€ 1,00”
Bozzettista: Rita Fantini
Stampa: Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., in rotocalcografia
Colori: sei
Carta: fluorescente, non filigranata
Formato carta: mm 30 x 40
Formato stampa: mm 26 x 36
Dentellatura: 13¼ x 13
Foglio: cinquanta esemplari, valore “€ 50,00”

Alien Safe???

Last week the Conservatorium (the public school of music here in Italy) where I work in Trento, bought a new mixer for the electronic music studio. It’s a Mackie 1640i with ADC/DAC included, so you can connect 16 in and 16 out to your computer through a single firewire cable (no more wires, wow!).

Looking at the box, I saw the usual set of icons (this side up, fragile, keep dry, etc), but there was one more. A single icon featuring the Jarod face and saying ALIEN SAFE.

ALIEN SAFE???

Here it is. Click the images to enlarge.

icons alien safe

Long Desert Cowboy

coverWhat kind of feeling puts together the barren solitude of Sergio Leone’s western spaghetti and the ultra heavy suspense of David Lynch’s complex dramas? Living in Alentejo [a south-central region of Portugal] may have something to do with it, but Daniel Catarino’s (aka Long Desert Cowboy) own life experiences and close contact with a deserted inland are most likely the paint in the canvas, or the roll in the camera, if you wish.

Catarino’s sounds are miles away from the common western soundtracks, but his works create a mood that reminds me both the deserted plains of Ry Cooder and the suspense of Twin Peaks (are you old enough?).

Published by Test Tube netlabel. Free download here.

Excerpts:

Slept

coverA melancholic EP inspired by this beautiful image, realized by the polish artist Slept.

‘Slept. EP’ was inspired by the cover photo – taken by a friend of the artist – and contains the first tracks made as Slept.. No samples were used. It’s all original sounds.

A little easy for me, but enjoyable.

Published by Test Tube netlabel. Free download here.

Excerpts:

The Known Universe in Six Minutes

The Known Universe takes viewers from the Himalayas through our atmosphere and the inky black of space to the afterglow of the Big Bang. Every star, planet, and quasar seen in the film is possible because of the world’s most complete four-dimensional map of the universe, the Digital Universe Atlas that is maintained and updated by astrophysicists at the American Museum of Natural History. The new film, created by the Museum, is part of an exhibition, Visions of the Cosmos: From the Milky Ocean to an Evolving Universe, at the Rubin Museum of Art in Manhattan through May 2010.

Tartaglia?

Allora, Tartaglia è il nome dello sfortunato aggressore dell’innominabile (perché secondo me SB porta una sfiga atroce).

L’aggressione è avvenuta il 13 dicembre.

Il 13 dicembre 1557 moriva a Venezia il matematico Niccolò Fontana, conosciuto come Tartaglia, rimasto nella storia per l’omonimo triangolo.

Coincidenza?


On December 13, the day of Berlusconi attack by Massimo Tartaglia, the italian mathematician Niccolò Fontana, known as Tartaglia, died in Venice (on the year 1557).

Niccolò Tartaglia is very famous in Italy because of the Tartaglia’s Triangle (a geometric arrangement of the binomial coefficients in a triangle, named Pascal’s triangle in english).

Su internet nessuno sa che sei un cane

Questo per quelli che, su Facebook, si sono trovati iscritti a un gruppo pro Berlusconi senza saperlo, solo perché il gruppo a cui si erano iscritti, originariamente intitolato a tutt’altra cosa, ha cambiato improvvisamente nome.

Il punto è che, essendo faccialibro una piattaforma che raccoglie milioni di utenti, i gruppi sono utilizzati anche da varie organizzazioni che cercano di aggregare una certa quantità di utenti intorno a un tema per fini tipo:

  • marketing virale
  • invio di comunicazioni pubblicitarie (o spam o keylogger o virus o backdoor)
  • ricerca di individui interessati a certe tematiche per poi contattare i singoli (quest’area va dai giochi di ruolo alle squadre di calcio fino alle organizzazioni terroristiche o religiose di varia ispirazione)
  • varie ed eventuali

e il dato di fatto è che, se non conoscete il fondatore del gruppo, non avete la minima idea di chi vi sta davanti.

Pubblicato in Web

Muxicall

At a first sight Muxicall seems to be another piano on the net like many others. But there is an important and interesting difference: all the people connected play together and everyone can hear all the notes.

All the users connected share the same instrument and a sort of collective improvisation can arouse. Interesting concept, but the reaction time can be a problem: the users can experience a sensible latency due to flash and the network itself.

Muxicall was created by Diana Antunes as part of her work for the New Technologies of Communication degree at the University of Aveiro (Portugal).

Classifica dei capi di Stato e di governo

From Iriospark

I rappresentanti della stampa europea, corrispondenti da Bruxelles hanno valutato, anche quest’anno, i 27 capi di Stato e di governo dell’Unione, secondo i parametri della leadership, dello spirito di squadra, dell’atteggiamento nei confronti del cambiamento del clima, della regolamentazione finanziaria, del rispetto del mercato interno, del trattato di Lisbona per la Costituzione europea, dell’impegno europeista.
Per ogni criterio è stato attribuito un punteggio comparativo, che ha riconosciuto l’attività svolta in quell’area da ogni capo di Stato e di governo rispetto agli altri 26: ha assegnato, cioè, 1 al primo, che ha fatto meglio, 2 al secondo, 3 al terzo e così via.
In testa alla classifica Eurotribune è risultato il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt, un 44 enne che ha meritato tre 1 per la regolamentazione finanziaria e l’uscita dalla crisi, il rispetto del mercato interno, l’attività per l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Al secondo posto è stato classificato il primo ministro lussemburghese, Jean Claude Juncker, che ha meritato due 1 per lo spirito di squadra e la regolamentazione finanziaria.
Terza è stata Angela Merkel. La cancelliera tedesca ha avuto un 1 per la leadership.
Quarto è riuscito il primo ministro danese Rasmussen, che ha avuto un 1 per l’organizzazione della conferenza mondiale sul clima.
Nonostante otto sostituzioni, la classifica 2009 ha avuto clamorose modifiche tra i rimanenti rispetto a quella del 2008.
Il presidente francese Sarkozy, che l’anno scorso era primo quest’anno è stato retrocesso al nono posto. Il presidente ceco Fischer è balzato dal venticinquesimo al dodicesimo posto. L’ungherese Bajnai è salito anch’egli dal ventunesimo al quindicesimo posto. Il premier inglese Gordon Brown è precipitato, invece, dalla terza alla ventunesima posizione.
In fondo alla classifica, stabile è il presidente del Consiglio italiano Berlusconi.

Ma ovviamente quelli della stampa internazionale sono notoriamente tutti comunisti… :mrgreen:

Il PDF della classifica Eurotribune

140 chars of music

A twitter. An SMS. That’s the challenge. Writing a piece of electronic digital music using only 140 chars of code.

It started as a curious project, when live coding enthusiast and Toplap member Dan Stowell started tweeting tiny snippets of musical code using SuperCollider. Pleasantly surprised by the reaction, and “not wanting this stuff to vanish into the ether” he has recently collated the best pieces into a special download for The Wire.

Of course, to satisfy such a constraint, you need a very compact programming language and SuperCollider is the best choice (see also here). It is an environment and programming language for real time audio synthesis and algorithmic composition. It provides an interpreted object-oriented language which functions as a network client to a state of the art, realtime sound synthesis server.

SuperCollider was written by James McCartney over a period of many years, and is now an open source (GPL) project maintained and developed by various people. It is used by musicians, scientists and artists working with sound. For some background, see SuperCollider described by Wikipedia.

You can download the code snippets here. Note that many of these pieces are actually generative, so if you have a working SuperCollider environment and re-run the source code you get a new (i.e. slightly different) piece of music.

Some excerpts:

The artists notes are here.

The Fauxharmonic Orchestra

The Fauxharmonic Orchestra produces concerts and recordings of orchestral music at the highest level of aesthetic and technical quality. This “orchestra” consists of the world’s finest sample-based instruments, performed in concert halls and recording studios, directed by conductor Paul Henry Smith.

Using digital instruments The Fauxharmonic Orchestra’s mission is to bring fresh and artistically meaningful experiences of orchestral music to a diverse, world-wide audience.

The conductor, Paul Henry Smith studied conducting with Leonard Bernstein at Tanglewood and with Sergiu Celibidache at the Curtis Institute of Music and in Munich. He has studied orchestration and composition with Richard Hoffmann, Lukas Foss and Steven Scott Smalley. His career is devoted to promoting and improving the digital performance of orchestral music.

Since 2003 he has been perfecting his digital orchestra, accompanying soloists, performing live concerts and creating recordings for composers and filmmakers. His live performances have been supported by Bang & Olufsen and the Baltimore Chamber Orchestra.

Now listen to

  • Edgar Varèse – Ionisation, performed live by The Fauxharmonic Orchestra at Brandeis University on October 4, 2009. Paul Henry Smith conductor.

Little Snowman

For most children the challenge is trying to build the biggest snowman.
Scientists, however, enjoy taking on altogether trickier tasks.
They have built the world’s smallest snowman, measuring just 0.01mm across – one fifth of the width of the average human hair.
Made of two tiny tin beads usually used to calibrate electron microscope lenses, the snowman was built by the National Physical Laboratory.
It was assembled using tools designed to manipulate nano-particles, and welded together with tiny deposits of platinum.
A focused ion beam was used to carve the eyes and smile, and to place the platinum nose.
The snowman was created by Dr David Cox, a member of the Quantum Detection group at the laboratory.

The National Physical Laboratory is one of the UK’s leading science facilities and research centres. It is a world-leading centre of excellence in developing and applying the most accurate measurement standards.

From Dailymail online

N.A.S.A. music project

Boing Boing Video proudly debuts a new piece from the “great god almighty could it get any more awesome?” N.A.S.A. music project, this one from two personal music heroes: Tom Waits, and Kool Keith. The track is called Spacious Thoughts, and you can pick it up on the project’s debut album, Spirit of Apollo.

NASA, short for “North America South America,” is a music collaboration project assembled by Squeak E. Clean (aka Sam Spiegel, brother of film director Spike Jonze) and DJ Zegon (Ze Gonzales, professional skateboarder).

The music video was created by Montreal-based Fluorescent Hill and can be downloaded here. More on “the making of”, and interview with artists here.

Note that this version is in HD and needs a fast connection. If yours is too slow, go see it on the YouTube site.

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AC/DC video in excel

This one could be the first music video running in Excel spreadsheet. It’s an ASCII film really moving in the spreadsheet, as you can see in this video.

Pubblicato in Pop

Strage di cervelli

Che la situazione italiana della ricerca non sia mai stata ottimale lo si sapeva ma, secondo questo articolo di Repubblica, che fa il paio con la lettera pubblica di Pier Luigi Celli, direttore della Luiss, al figlio, siamo ormai oltre lo sbando.

Alcuni estratti:

Questa non è una fuga di talenti, questa è una sottrazione di cervelli. Una rinuncia al futuro. Perché c’è in atto una decimazione silenziosa di ingegneri, tecnici, ricercatori. Produttori di conoscenze, di innovazione, di ricchezza immateriale nella presunta epoca del post-industrialismo. In questo terribile 2009 sono saltati quasi 20 mila posti di lavoro nell’information technology, dove si concentra, tra gli addetti, la più alta percentuale di laureati rispetto agli altri settori: il 30 per cento.

Sono un pezzo importante di quei colletti bianchi creativi così decisivi nel far decollare, solo qualche anno fa, il nostro “quarto capitalismo” di medie imprese internazionalizzate, quando ancora non si immaginava la tempesta dei sub-prime. Ora i nostri “cervelli” sono diventati esuberi.

….

E si spiega così che l’Italia si collochi al penultimo posto in Europa in quanto a incidenza dei lavoratori creativi (ingegneri, architetti, matematici, medici e altre professioni molto qualificate) sul totale della forza lavoro: siamo al 9 per cento contro il 18-20 per cento dei paesi del nord Europa come Belgio, Svezia, Irlanda, o il 13-14 per cento dei paesi dell’Europa centrale e meridionale come Germania, Spagna e Grecia. Difficile pensare di vincere le prossime sfide globali schierando solo le nostre, un tempo dinamiche, piccole imprese. Ci vuole di più. Più di quel nostro uno per cento di Pil destinato alla ricerca, pari a circa la metà di quel che investono mediamente dell’Europa a 15, ma addirittura un terzo di quanto indirizzano il Giappone e la stessa Corea del Sud, e un quarto di quanto fanno Finlandia e Svezia.

Sostiene Carlo Dell’Aringa, professore di economia politica alla Cattolica di Milano: “E’ scontato che la crisi porterà con sé un impoverimento della capacità produttiva. Molte aziende marginali, soprattutto nel tessile e nel metalmeccanico, finiranno per essere tagliate via. Per questo bisogna decidere di sostenere i settori più promettenti. Riscoprire una politica industriale dei settori (la biomedica, le nanotecnologie, l’ambiente) più che dei fattori (il costo del lavoro, l’accesso al credito, la sburocratizzazione)”. Il caso della banda larga, però, parla da solo e racconta di un’altra storia: di un investimento complessivo pari alla metà di quello stanziato dalla Grecia e di 800 milioni subito bloccati dal Cipe. Parla di un sistema rimasto nella rete del Novecento.

Coraggiosi

Questi hanno un bel coraggio… Ma almeno sono sinceri… E hanno della tecnica…

A proud band. Of course I don’t appreciate this kind of arrangement, but this guys are really honest. They don’t bother with false or cerebral pronouncements. They play hard. Cool!   😛

Messaggi del 9/11

wl_hour_glassQuattro giorni fa, Wikileaks, che si definisce “a multi-jurisdictional organization to protect internal dissidents, whistleblowers, journalists and bloggers who face legal or other threats related to publishing”, ha iniziato a pubblicare una immensa mole di messaggi scambiati da apparecchi mobili (tipicamente pagers, cioè cercapersone) nei fatidici giorni 11 e 12 settembre 2001.

Tutto il materiale è rigorosamente in ordine cronologico. Dall’insieme, 573.000 messaggi non solo fra privati, ma anche fra forze dell’ordine e agenzie governative, si vede come la notizia dell’attacco abbia cominciato a circolare.

Il primo segnale è alle 08:50:25, circa 4 minuti dopo il fatto: “A plane crashed thru the twin towers. Real bad..BR”, ma il flusso si incrementa rapidamente

  • 08:50:50: BOMB DETINATED IN WORLD TRADE CTR. PLS GET BACK TO MIKE BRADY W/A QUICK ASSESSMENT OF YOUR AREAS AND CONTACT US IF ANYTHING IS NEEDED AT 212-647-2345.
  • 08:51:24: plane crash at World Trade Center in NYC-no word on details- efforting more info now
  • 08:51:37: THE WORLD TRADE CENTER HAS JUST BLOWN UP, WE SEEN THE EXPLOSION OUTSIDE OUR WINDOWS. TERESA…
  • 08:51:42:THERE WAS SOME KIND OF EXPLOSION AT WORLD TRADE CTR. MAY HAVE SOME TROUBLE GETTING TO METRO TECH.
  • 08:52:27: GO TO TWIN TOWERS PLANE CRASH IMMEDIATELY WITH KEVIN. WALTER.
  • 08:52:57: World trade center damaged; unconfirmed reports say a plane has crashed into tower. Details to come.
  • ….

È interessante notare come, qualche minuto dopo, la polizia di NY non abbia ancora una chiara cognizione del fatto:

  • 08:53:44: NYPD Ops Div” <|1 PCT WORLD TRADE CENTER|— 1 PCT – WORLD TRADE CENTER – POSSIBLE EXPLOSION WORLD TRADE CENTER BUILDING. LEVEL 3 MOBILIZATION TO CHURCH AND VESSY.
  • 08:54:46: NYPD and emergency units at World Trade center, RE; airplane crash. Small Jet.

Poi i messaggi della polizia scompaiono, segno del fatto che sono passati su altre linee.

Potete consultare l’indice di tutti i files qui, in ordine cronologico inverso (inizia con i files del 12 e va giù fino al primo che parte alle 03:00 dell’11). Ogni file copre 5 minuti, ma attenzione: non pensate di trovarvi di fronte a una bella serie di conversazioni. I file sono infarciti di messaggi di broadcasting e altre cose poco significative. In genere, si confondono fra quotazioni di borsa, test tecnici, numeri, codici e email provenienti da cercapersone di chi, quel giorno, operava in veste ufficiale come il personale del Pentagono, la polizia di New York, e ancora messaggi automatici da computer che segnalano guasti.

Tutto questo, però, fa nascere anche un altro interrogativo non banale. Wikileaks non ha voluto rivelare la propria fonte, tuttavia appare chiaro che esiste un’organizzazione che ha intercettato e poi archiviato migliaia di telecomunicazioni sul territorio nazionale già prima dell’11 settembre.

Chi sono e perché?


Nota:

Wikileaks (da leak, “fuga di notizie” in inglese) è un sito internet che dà spazio all’invio di materiale classificato e riservato, in genere documenti di carattere governativo o aziendale, da parte di fonti coperte dall’anonimato.
Il progetto si occupa di preservare l’anonimato degli informatori e di tutti coloro che sono implicati nella “fuga di notizie”.

Wikileaks vuole essere “una versione irrintracciabile di Wikipedia che consenta la pubblicazione e l’analisi di massa di documentazione confidenziale”. Lo scopo ultimo è quello della trasparenza da parte dei governi quale garanzia di giustizia, di etica, di una più forte democrazia.

Il sito è curato da dissidenti del governo cinese, scienziati, attivisti, giornalisti; i suoi obbiettivi primari sono le nazioni dell’ex Unione Sovietica, dell’Africa sub-sahariana e del Medio Oriente. Comunque i cittadini di ogni parte del mondo possono e sono invitati ad inviare materiale “che porti alla luce comportamenti non etici di governi e aziende”.

Gran parte dello staff del sito, come gli stessi fondatori del progetto, rimangono per ora anonimi.

[wikipedia]

Melting men

Brazilian artist Nele Azevedo created hundreds of sitting figures out of ice. The installation lasted until the last one melted in the heat of the day. Impressive.

Daphne of the Dunes

Daphne of the Dunes, by Harry Partch, is here recorded for the first time live. Originally the sound track for Madeline Tourtelot’s film Windsong, Partch recorded it alone, by the process of overdubbing. The film, a modern rendering of the ancient myth of Daphne and Apollo, is a classic of the integration between visuals and sound. Partch explains his approach to the score:

“The music, in effect, is a collage of sounds. The film technique of fairly fast cuts is here translated into musical terms. The sudden shifts represent nature symbols of the film, as used for a dramatic purpose: dead tree, driftwood, falling sand, blowing tumbleweed, flying gulls, wriggling snakes, waving grasses.”

Melodic material is short, haunting, and reoccurs motivically. Arpeggiated harmonic texture contrasts melodic sections. Meter is ever changing, almost measure for measure, with pulse sub-divisions of five, seven, and nine common. A trio of the Bass Marimba, Boo. and Diamond Marimba written in 31/16 meter is structured with 5 unequal beats per measure, the beats sub-divided into sixteenths of 5-5-7-9-5. A duet of the Boo and Harmonic Canon is written in a polymeter of 4/4-7/4 over 4/8-7/8. – Notes by Danlee Mitchell

The instruments heard in this recording:

DAPHNE OF THE DUNES

Adapted Viola
Spoils of War
Kithara II
Gourd Tree
Surrogate Kithara
Diamond Marimba
Harmonic Canons II and III
Boo (Bamboo Marimba)
Chromelodeon I
Bass Marimba
Cloud-Chamber Bowls
Pre-recorded Tape
(Note: No more than four instruments are used simultaneously.)

Aurora from Saturn

saturn auroraFrom the NASA site, last news about the Cassini mission.

An aurora, shining high above the northern part of Saturn, moves from the night side to the day side of the planet in this movie recorded by Cassini.

These observations, taken over four days, represent the first visible-light video of Saturn’s auroras. They show tall auroral curtains, rapidly changing over time when viewed at the limb, or edge, of the planet’s northern hemisphere. The sequence of images also reveals that Saturn’s auroral curtains, the sheet-like formations of light-emitting atmospheric molecules, stretch up along Saturn’s magnetic field and reach heights of more than 1,200 kilometers (746 miles) above the planet’s limb. These are the tallest known “northern lights” in the solar system.

These auroral displays are created by charged particles from the magnetosphere that plunge into the planet’s upper atmosphere and cause it to glow. The magnetosphere is the region of electrically charged particles that are trapped in the magnetic field of the planet. The auroral curtains shown in the movie reveal the paths that these charged particles take as they flow along lines of the magnetic field between the planet’s magnetosphere and ionosphere.

The day side of Saturn scatters light toward Cassini, creating the overexposed triangle at the center of the left of the frame. Stars can be seen above the limb of the planet, trailing across the field of view.

20 videos in B flat

In this page you can find 20 musical videos to play together (or in any order). And the music will always be nice because they all are playing in B flat.

In Bb 2.0 is a collaborative music and spoken word project conceived by Darren Solomon from Science for Girls, and developed with contributions from users.

If your computer hold up the whole stuff, there is a Buddha Machine that plays continuously here.

Click the image for a little sample, but don’t forget to try the site.

Anthèmes 2

Anthèmes 2 (1997), by Pierre Boulez, has evolved from Anthèmes, a substantially shorter piece for solo violin.

Andrew Gerzso has for many years been the composer’s chief collaborator on works involving live electronics and the two men regularly discuss their work together. He describes the way in which all the nuances in this nucleus of works were examined in the studio in order to find out which elements could be electronically processed and differentiated. As a result, the process of expanding these works is based not only on abstract structural considerations (such as the questions as to how it may be possible to use electronic procedures to spatialize and to merge or separate specific complexes of sound),but also on concrete considerations bound up with performing practice: in a word, on the way in which the instrument’s technical possibilities may be developed along figurative lines.

As a result, Anthèmes 2 provides us with both an analysis and an interpretation of Anthèmes: it is a text in its own right and the same time a sub-text of the earlier piece.

[notes from the CD]

Shigeru Ban e il Conservatorio dell’Aquila

Qualcuno sa qualcosa di più di questa storia, di cui, per ovvii motivi, si parla poco?

Da Il Capoluogo.com del 4/11/2009

Dal prestigioso Auditorium di “carta” del grande architetto giapponese di fama internazionale Shigeru Ban ai MUSP di una ditta di carpenteria metallica: storia di un progetto per il Conservatorio dell’Aquila che “non s’ha da fare”…

La vicenda è pressoché nota. Ma riassumiamola, con dovizia di particolari. All’indomani di un’immane tragedia che ha distrutto una città e sconvolto la vita di migliaia di persone, un illustre architetto giapponese – per la precisione – Shigeru Ban (uno dei progettisti delle torri gemelli, studio a Tokio, New York e Parigi, docente all’Università Key, membro del Voluntary Architecs Network) si interessa a L’Aquila (viene due volte l’11 giugno e il 12 agosto) ed elabora un disegno, che gli costerà diversi mesi di lavoro, per la riqualificazione della rimessa della ex metropolitana situata a Pettino, abbandonata e mai utilizzata. Il progetto, gratuito, realizzato da Ban con il suo Studio e il suo attuale team di collaboratori costituito da professionisti e docenti dell’Università dell’Aquila, di Genova, di Parma e di Perugia, oltre che da specialisti francesi e giapponesi, prevedeva una struttura all’avanguardia da donare al Conservatorio. Shigeru Ban è noto in tutto il mondo per utilizzare, nelle sue complesse architetture, materiali poveri come il legno, la carta, il cartone (da qui il nome Auditorium “di carta”) anche prodotti con processi di recupero e di riciclo. Per questo motivo ha operato con estrema efficacia in quei paesi devastati da eventi drammatici, come il terremoto appunto, in Giappone, nelle Filippine, in Turchia e in Cina.

Il punto focale del progetto prevedeva una Sala per Concerti capace di ospitare fino a 550 persone, tra pubblico e professori d’orchestra, con una superficie di circa 600 metri quadrati, definita da una curva perimetrale di colonne di cartone di varia sezione (era stata già individuata una ditta di Chieti per la fornitura dei casseri e il preventivo si aggirava sugli ottantamila euro) che ne avrebbero delimitato lo spazio. Le pareti, come anche il soffitto, erano state pensate in modo tale da garantire un perfetto isolamento acustico e termico, oltre che una barriera al fuoco. L’illuminotecnica era stata tarata a seconda delle esigenze: ogni aula avrebbe avuto un’illuminazione diversa. Accanto alla Sala Concerti era prevista la Sala Prove in forma ellittica (150 metri quadrati), inoltre una biblioteca di 145 metri quadrati, una sala di recitazione (60 metri quadrati), uno spazio per la terapia musicale (70 metri quadrati), uno spazio per il ricovero degli strumenti musicali (100 metri quadrati), una sala privata a servizio dell’orchestra (100 metri quadrati) e una superficie di circa 300 metri quadrati ad uso uffici per l’organizzazione e la gestione della didattica e delle iniziative culturali del Conservatorio di Musica. La realizzazione di questo complesso era stata definita per la fine di ottobre. Durante il G8 il primo ministro giapponese Taro Aso dona il modellino di plastica al nostro premier Silvio Berlusconi. La Protezione Civile indica, come somma approssimativa messa a disposizione per il Conservatorio dell’Aquila, sette milioni di euro.

Il progetto di Shigeru Ban costa cinque milioni e mezzo più IVA. Perfetto. Il 3 agosto viene espropriato il terreno per i lavori con tanto di targa. L’8 agosto viene bloccato tutto. Perché? Perché un progetto senza problemi economici, senza problemi tecnici, senza problemi strutturali e senza problemi inaugurali (per la cerimonia d’inaugurazione si sarebbe scomodato niente popò di meno che il giapponese Seiji Ozawa, uno dei massimi direttori d’orchestra al mondo) è stato buttato via così? Quante cose dette e poi negate…un mistero.

Il Direttore del Conservatorio Bruno Carioti chiede spiegazioni a Bertolaso e si dice preoccupato che un progetto di tale rilevanza, in grado di connubiare funzionalità e prestigio, sia stato accantonato per privilegiarne un altro che, quasi sicuramente, sarà di una normalissima ditta edile. Addirittura Renzo Piano telefona a Carioti per capire come sia stato possibile rifiutare un’opportunità del genere.

La Protezione Civile replica che non si è ancora deciso nulla e in data 11 settembre 2009 indice un Bando di gara – si legge nel sito – “per la selezione di operatori economici ai quali affidare la progettazione, i lavori, la fornitura, il trasporto e la posa in opera di Moduli Provvisori ad Uso Scolastico (MUSP) per il Conservatorio A. Casella dell’Aquila”. Risponderanno in quindici. Il 22 settembre si conclude la procedura. All’apertura delle buste vince una ditta per un ribasso anomalo. La Protezione Civile si insospettisce e, dopo ulteriori approfondimenti, conferma l’aggiudicazione dell’appalto. A Collesapone i lavori per i MUSP del Conservatorio partono il 15 ottobre; dovrebbero finire per il mese di novembre.

Ma perché si è preferito un progetto qualsiasi al progetto di Shigeru Ban? Perché? Lo chiediamo al Capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, lo chiediamo al Sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, lo chiediamo a chiunque sia in grado di fornirci una risposta. Soddisfacente. Intanto speriamo che la faccenda non si concluda qua, speriamo che il governo giapponese insista, speriamo che il governo italiano, Bertolaso e Cialente si interessino a far sì che qualcosa si smuova, speriamo che sia stato un errore, anzi un brutto sogno. Speriamo che l’Italia non faccia questa brutta figura e che L’Aquila e gli aquilani non si debbano accontentare solo un prefabbricato. Noi del Capoluogo.it lo speriamo. Noi, insieme a molti aquilani, ancora speriamo. Dopotutto domani è un altro giorno.

di Eleonora Egizi

*****

ANSA ore 12,44
TERREMOTO: L’AQUILA; STOP A SALA CONCERTI GIAPPONESE, STAMPA

(ANSA) – TOKYO, 4 NOV – Il progetto di costruzione di una sala concerti all’Aquila, che doveva essere finanziata per metà dal Giappone nell’ambito degli aiuti internazionali di ricostruzione post terremoto, è stato sospeso per mancanza di fondi e rischia di creare frizioni tra Roma e Tokyo. Lo riferisce lo Yomiuri Shimbun, il più diffuso quotidiano del Sol Levante con più di 12 milioni di copie nella sola edizione del mattino, nella corrispondenza da Roma di Kazuki Mazuhara (“assistenza giapponese sospesa unilateralmente”). Il progetto, illustrato lo scorso luglio dall’ex premier nipponico Taro Aso al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in occasione del summit del G8, prevedeva la realizzazione in due mesi di una sala concerti innovativa, soprattutto per l’uso di cartone compresso, dell’architetto giapponese, Shigeru Ban. Il costo, in particolare, era ipotizzato in un milione di euro, di cui la metà a carico del governo nipponico e l’altra coperta con la raccolta di fondi. Stime italiane, invece, ipotizzano, considerando le infrastrutture accessorie (parcheggi e viabilità), costi per circa 3,6 milioni di euro. “Manca il budget”, è il commento dei responsabili per la ricostruzione post terremoto, riferisce il quotidiano nipponico. “La sospensione è fuori dal senso comune della diplomazia perché si tratta di una cosa decisa tra i capi di governo dei due Paesi”, è il commento dell’ambasciatore giapponese a Roma, Hiroyasu Ando.

ANSA ore 13,23
TERREMOTO: PROT. CIVILE, DONAZIONE TOKIO POCO PER AUDITORIUM – BERTOLASO VEDRA’ AMBASCIATORE GIAPPONESE PER SCELTA ALTRA OPERA

L’Auditorium dell’Aquila non si farà, o almeno non è possibile in questo momento e si dovrà trovare un accordo per far confluire su un’altra opera la donazione del governo giapponese. Lo confermano fonti della protezione civile nazionale, interpellate dall’ANSA a proposito della notizia pubblicata da un giornale giapponese, Yomiuri Shimbun, che lamentava lo stop all’opera al quale il governo di Tokio intendeva partecipare con una donazione di 500 mila euro e un progetto firmato dall’architetto Shigeru Ban. “L’Auditorium – spiegano le fonti della Protezione civile – costerebbe chiavi in mano 4 milioni di euro. Il problema è che per attuare tutte le opere nel territorio stiamo procedendo attraverso gare di appalto. E questo ovviamente non sarebbe possibile farlo per un’opera già progettata. Dovremmo procedere attraverso assegnazione diretta, ma questo noi stiamo cercando sempre di evitarlo. Non potendo procedere ad assegnazione tramite gara, servirebbero ulteriori finanziamenti. I 500mila euro offerti dal governo nipponico sono insufficienti”. Quindi l’opera non si farà? “No, al momento non è possibile. Bertolaso – annunciano le stesse fonti – ha già preso appuntamento per la prossima settimana con l’ambasciatore giapponese per trovare una soluzione alternativa che consenta con la donazione nipponica di realizzare un’opera completa”.(ANSA)

A day in S. Francisco Bay Area

bay areaA page by Berkeley University collects several timelapse movies showing the S. Francisco Bay Area from the Lawrence Hall of Science, by the hill.

Each day lasts about 2 minutes in the movie and there are many. The original goal of the project is to help children understand the weather by correlating the view from the Lawrence Hall of Science with weather data and satellite imagery (the project is part of the Lawrence Hall of Science Weather Exhibit and the FOSS Weather CD-ROM), but the movies are really charming. The explosion of the light is beautiful, each day.

Look at

and many others that you can see at The View (click the Timelapse Movie Archive)

Bang on a Can

Bang on a Can is a multi-faceted musical organization based in New York City. It was founded in 1987 by three American composers who remain its artistic directors: Julia Wolfe, David Lang, and Michael Gordon (photo). It is a major force in the presentation of new concert music, and has presented hundreds of musical events worldwide.

It is perhaps best known for its Marathon Concerts during which an eclectic mix of pieces are performed in succession over the course of many hours while audience members, who are encouraged to maintain a “jeans-and-tee-shirt informality,” are welcome to come and go as they please. [wikipedia]

The three founders are still composing. Some interesting pieces:

Other Minds

Dall’Internet Archive vi segnalo l’Other Minds Archive che contiene materiale storico e contemporaneo, registrato in più di 50 anni di attività e accomunato dall’etichetta di avanguardia.

Da questa collezione vi faccio ascoltare Touch di Morton Subotnick. Composto nel 1969 per il Buchla Electronic Music System, quadrifonico in originale, questo brano si distingue per la qualità audio, notevole per l’epoca e riascoltandolo a tanti anni di distanza, non sembra così invecchiato come molte produzioni di 40 anni fa.

Other Minds Archive is a unique new music resource providing access to historical and contemporary material recorded over a fifty year-plus span. This collection is a not-for-profit service presented by Other Minds, Inc. of San Francisco.

From the Other Minds Archive

  • Morton Subotnick – Touch (1969, Buchla Electronic Music System, stereo from original quad)

Symphonies of the Planets 1

coverIn the August and September 1977, two Voyager spacecraft were launched to fly by and explore the great gaseous planets of Jupiter and Saturn.
Voyager I, after successful encounters with the two, was sent out of the plane of the ecliptic to investigate interstellar space.
Voyager II’s charter later came to include not only encounters with Jupiter (1979) and Saturn (1981), but also appointments with Uranus (1986) and Neptune (1989).
The Voyagers are controlled and their data returned through the Deep Space Network, a global spacecraft tracking and communications system operated by the JPL for NASA.

Although space is a virtual vacuum, this does not mean there is no sound in space. Sound does exist as electronic vibrations. The especially designed instruments on board of the Voyagers performed special experiments to pick up and record these vibrations, all within the range of human hearing.

These recordings come from a variety of different sound environments, e.g. the interaction of the solar wind with the planet’s magnetosphere; electromagnetic field noise; radio waves bouncing between the planet and the inner surface of the atmosphere, etc.

In 1993 NASA published excerpts from these recordings in a set of 5 CD (30 minutes each) called Symphonies of the Planets (now out of print).

This is the CD 1.

Virus da tastiera

apple keyboardDopo una notizia interessante sul mondo Apple, ne arriva una un po’ inquietante, ma comunque divertente.

Le tastiere USB o Bluetooth di Apple sono infettabili da virus. Le tastiere, non il computer. Think different!

Il fatto è che le suddette tastiere contengono un firmware, cioè un piccolo software che risiede in una memoria flash di circa 8k (una memoria che non si cancella allo spegnimento, ma che può essere sovrascritta). Rimpiazzando questo software, si può alterare il comportamento della tastiera, permettendogli, per esempio, di registrare ciò che scrivete o anche di inviare autonomamente dei comandi alla macchina.

Il punto interessante è che la sostituzione del suddetto software può essere effettuata da remoto, come la stessa Apple fa. Quindi basta indurre l’utente a scaricare quello che lui crede essere un aggiornamento e il gioco è fatto.

Ovviamente, rispetto a tutti i virus che girano nel mondo windoze, si tratta di una banalità, ma ha almeno un aspetto inquietante: questo non è un virus normale. Potete anche rasare a zero l’hard disk, riformattare tutto e reinstallare il sistema da zero, ma lui resta sempre lì, perché vive nella tastiera, non nell’hard disk.

Dato che non ho un Mac, devo queste info al Disinformatico.

Foto da iPhone

iPhone 3GS imageKoichi Mitsui è un fotografo professionista giapponese. Quando non è al lavoro per qualche rivista, gira per Tokyo facendo foto con il suo iPhone 3GS.

The iPhone has a single-focus lens with no zoom, and this simplicity keeps me devoted to only composition and the perfect photo opp

Sebbene queste immagini non abbiano la perfezione e la risoluzione a cui ci hanno abituato le attuali fotocamere digitali, a mio modesto avviso alcune sono molto belle.

Questo il link.

Perle dimenticate

coverNon c’è niente come rimettere in ordine una casa che contiene, fra l’altro, varie migliaia di dischi (CD e vinili) sparsi fra diversi mobili, per ritrovare cose che non ricordavi di avere. Orologi russi, vecchie foto in cui fai fatica a capire chi c’è e anche qualche disco che non ascoltavi da una vita.

Così, per caso, mi arriva in mano un disco di Julie Driscoll, vocalist di grande successo con Brian Auger & The Trinity nei roaring ’60, poi sposata Tippett (Keith) e convertita alla musica improvvisata e al jazz sperimentale in una carriera solistica ben più oscura di prima sotto il nome di Julie Tippetts (con una ‘s’ aggiunta).

Oscurità da cui, però, ogni tanto escono piccole perle come questo Sunset Glow, che risale al ’74, al confine fra jazz, canzone alla Wyatt (non è impossibile che sia proprio lui l’R a cui è dedicato il brano che vi presento) e un po’ di sperimentalismo. Gli altri musicisti del disco sono Brian Godding, guitars; il marito Keith Tippett, piano, harmonium; Mark Charig, cornet, tenor horn; il compianto Elton Dean, alto saxophone; Nick Evans, trombone; Brian Belshaw, bass; Harry Miller, bass; Louis Moholo, drums.

Julie Tippets – Behind the Eyes (For a Friend, R)

UPDATE: qualche altro brano da Sunset Glow su YouTube

ToneMatrix

tonematrixAndate a sperimentare questo giochino, tanto semplice quanto ipnotico.

Si tratta di un semplice sintetizzatore di onde sinusoidali pilotato da un sequencer a 16 passi in forma di matrice.

Cliccate la matrice per inserire una nota, ricliccate per cancellarla. La posizione basso-alto corrisponde all’altezza. Purtroppo non è possibile controllare la dinamica e nemmeno il metronomo, così come non si può cambiare la scale su cui sono distribuite le altezze. Ciò nonostante è difficile smettere.

Il tutto è basato su AudioTool, un insieme di strumenti, realizzati in Flash, per generare musica su internet.

Programmato da André Michelle.

Segnalato da Vinz.

Rain Tree Sketch

Toru Takemitsu: “Rain Tree Sketch” (1982) – Roger Woodward, piano.

Di Takemitsu abbiamo già parlato. anche perché, sebbene non sia un compositore fondamentale per la musica occidentale (anche se è un personaggio chiave nel suo paese), mi piace. Il suo è uno strano caso: quello di un autore che riesce ad esprimere l’animo orientale utilizzando un linguaggio così lontano dall’oriente come è quello della musica contemporanea occidentale. Ne risulta un’atmosfera che non è né occidentale né orientale, ma conserva dei tratti di entrambe le culture.

L’origine di questo brano per pianoforte solo risale ad un’altra opera di Takemitsu: Rain Tree, per trio di percussioni, del 1981. Quest’ultima, a sua volta, si ispira a una novella di Kenzaburo Oe in cui è descritto un albero con molte piccole foglie, in grado di trattenere l’acqua della pioggia mattutina, tanto da rilasciarla gradualmente durante il giorno, cosicché, anche se il temporale è passato, sotto quell’albero piove (頭のいい雨の木, racconto del 1980 non tradotto; il titolo significa L’intelligente albero della pioggia).

Rain Tree Sketch è fortamente influenzato da Messiaen, compositore che Takemitsu ha sempre amato, tanto da dedicargli un Rain Tree Sketch II dopo aver appreso della sua morte.

Qui Takemitsu usa i modi a trasposizione limitata del compositore francese per definire le altezze. Dinamiche e accenti, così come la pedalizzazione, sono precisamente notati al fine di creare una varietà di sfumature e di risonanze.

Feldman – For Franz Kline

I paint the white as well as the black, and the white is just as important. What the American painter Franz Kline (1910-62) said about his paintings – brusque, black brush gestures on a white background – can be applied equally to Morton Feldman’s compositions. Composition means defining sound space, and this is done just as much with the “black” of the notes as, ex negativo, with the “white” silence, the absence of sound. In its reduction of sound elements, its new balance of sound and not-sound, Feldman’s music attains the magical, floating quality that the composer admired in the early – nonfigurative – paintings of his painter-friend Philip Guston (1913-80): the complete absence of gravity of a painting that is not confined to a painting space but rather existing somewhere in the space between the canvas and ourselves, as Feldman once wrote. Again and again, Feldman noted that the illusion of stasis in his scores could only be understood in the context of his intensive engagement with the visual arts: Stasis, as it is utilized in painting, is not traditionally part of the apparatus of music. […] The degrees of stasis found in a [Mark] Rothko or Guston were perhaps the most significant elements that I brought to my music from painting.

Thus, unlike the graph pieces, the intervals in the sextet For Franz Kline are precisely determined, though the coordination of the sounds is not: The duration of each sound is chosen by the performer, as it says in the foreword to the score. The orientation points on this floating sound canvas are given by recurring phenomena like an unchanging violoncello arpeggio and the b-f#”’ interval that is struck seven times by the piano. If in this piece the uncoordinated simultaneity of sounds is the focus, then in De Kooning (1963) – yet another acoustic homage to a painter – and in Four Instruments (1965), which has similar instrumentation, Feldman is working with the contrast of simultaneous and successive sound events – coordinated chords and loose chains of isolated events. In the case of the latter, a performer is supposed to choose his entrance such that the previous note has not yet faded out: the temporal canvas shouldn’t have any rips in it. Feldman’s balancing act between determinacy and indeterminacy becomes apparent in the seemingly hairsplitting details of the notation: in De Kooning rhythmically free, unbarred passages containing successions of sounds and simultaneous events are interposed with measures of rests with precise indications of tempo (!) – the white is no less important than the black (to return to Franz Kline) and is more precisely structured than the “application of the paint”.
[Peter Niklas Wilson, excerpt]

For italian readers:

Chi legge l’italiano può riferirsi anche a questo saggio di Gianmario Borio da cui traggo questa illuminante dichiarazione dello stesso Feldman:

Il mio interesse per la superficie è il tema della mia musica. In questo senso le mie composizioni non sono affatto ‘composizioni’. Si potrebbe paragonarle a una tela temporale. Dipingo questa tela con colori musicali. Ho imparato che quanto più si compone o costruisce, tanto più si impedisce a una temporalità ancora indisturbata di diventare la metafora per il controllo della musica. Entrambi i concetti, tempo e spazio, sono stati impiegati nella musica e nelle arti figurative come in matematica, letteratura, filosofia e scienza. […] Al mio lavoro preferisco pensare così: tra le categorie. Tra tempo e spazio. Tra pittura e musica. Tra costruzione della musica e la sua superficie.

 

Central Park in the Dark

And of course, here it is the Unaswered Question’s counterpart.

Ives wrote detailed notes concerning the purpose and context of Central Park in the Dark:

This piece purports to be a picture-in-sounds of the sounds of nature and of happenings that men would hear some thirty or so years ago (before the combustion engine and radio monopolized the earth and air), when sitting on a bench in Central Park on a hot summer night.

The piece is scored for piccolo, flute, E-flat clarinet, bassoon, trumpet, trombone, percussion, two pianos and strings. Ives specifically suggests the two pianos be a player-piano and a grand piano. The orchestral group are to be separated spatially from each other. Ives described the role of the instruments in a programmatic description of the piece:

The strings represent the night sounds and silent darkness- interrupted by sounds from the Casino over the pond- of street singers coming up from the Circle singing, in spots, the tunes of those days- of some ‘night owls’ from Healy’s whistling the latest of the Freshman March- the “occasional elevated,” a street parade, or a “break-down” in the distance- of newsboys crying “uxtries”- of pianolas having a ragtime war in the apartment house “over the garden wall,” a street car and a street band join in the chorus- a fire engine, a cab horse runs away, lands “over the fence and out,” the wayfarers shout- again the darkness is heard- an echo over the pond- and we walk home.

Central Park in the Dark displays several characteristics that are typical of Ives’s work. Ives layers of orchestral textures on top of each other to create a polytonal atmosphere. Within this polytonal atmosphere, Ives juxtaposes the different sections of the orchestras in contrasting and clashing pairings (i.e. the ambient, static strings against the syncopated ragtime pianos against a brass street band). These juxtapositions are a prevalent them in the works of Ives and can be seen most notably in The Unanswered Question, Three Places in New England, and Symphony No. 4.

The Unanswered Question

The Unanswered Question is a work by American composer Charles Ives. It was originally the first of “Two Contemplations” composed in 1906, paired with another piece called Central Park in the Dark. As with many of Ives’ works, it was largely unknown until much later in his life, being first published in 1940. Today the two pieces are commonly treated as distinct works, and may be performed either separately or together.

The full title Ives originally gave the piece was “A Contemplation of a Serious Matter” or “The Unanswered Perennial Question”. The Ives’ original idea was the two pieces create a sort of contrast. The original title of the other was “A Contemplation of Nothing Serious, or Central Park in the Dark in the Good Old Summertime”.

His biographer Jan Swafford called The Unanswered Question “a kind of collage in three distinct layers, roughly coordinated.” The three layers involve the scoring for a string quartet, woodwind quartet, and solo trumpet. Each layer has its own tempo and key. Ives himself described the work as a “cosmic landscape” in which the strings represent “the Silences of the Druids-who Know, See and Hear Nothing.” The trumpet then asks “The Perennial Question of Existence” and the woodwinds seek “The Invisible Answer”, but abandon it in frustration, so that ultimately the question is answered only by the “Silences”.

Leonard Bernstein added in his 1973 Norton lecture which borrowed its title from the Ives work that the woodwinds are said to represent our human answers growing increasingly impatient and desperate, until they lose their meaning entirely. Meanwhile, right from the very beginning, the strings have been playing their own separate music, infinitely soft and slow and sustained, never changing, never growing louder or faster, never being affected in any way by that strange question-and-answer dialogue of the trumpet and the woodwinds. Bernstein also talks about how the strings are playing tonal triads against the trumpet’s non tonal phrase. In the end, when the trumpet asks the question for the last time, the strings “are quietly prolonging their pure G-major triad into eternity”.

[most from wikipedia]

A mio avviso, The Unanswered Question è uno dei brani più importanti e innovativi del ‘900 storico. E questo non per la “strana” melodia della tromba, né per la polifonia sempre più dissonante dei legni e nemmeno per l’immobilità glaciale degli archi, tutti gesti già conosciuti in Europa, ma per il fatto che questi tre elementi stanno insieme, l’uno accostato all’altro eppure si ignorano.

Eno for wine

coverLong Now (aka Pelissero Wine)” is a rare, limited edition promotional CD by Brian Eno, produced in 2002 to celebrate an Italian wine and offered to wine sellers. The wine is the Pelissero’s Long Now, so named in honour of the Long Now Foundation.

It features five unreleased tracks, in the same mood as his 2003 album, “January 07003: Bell Studies for the Clock of the Long Now“: these compositions experiment possible melodies and atmospheres for bell towers.

Relying on digital bell sounds (from FM synthesizers such as the Yamaha DX7), processed through various reverbs and delays, these compositions create strange and hypnotic soundscapes, between ambient and experimentation, with cycles of repetition ruled by mathematical laws.

The Azienda Agricola Pelissero is a family-run vine-growing estate located in the district of Treiso, in the heart of the zone of production of Barbaresco [in Piemonte, Italy].

Here we can hear excerpts from tracks 1 and 3.

c4 – transient

coverDalla netlabel Abulia Concepts, specializzata in 8-bit e lo-fi music, eccovi il gruppo denominato c4 di cui presentiamo transient, una piccola raccolta di loop, rigorosamente lo-fi e distribuiti in ogg a 12 kbps

each file is intended to be looped for an indefinate period of time by itself, rather than all 3 files played in succession

Tutti i file sono in formato ogg (forse con windoze dovrete avere un player come vlc o simili).

Potete scaricare l’intero album qui in un unico zip.

Per Elisa non è di Ludwig van?

In questo articolo, pubblicato su l’Unità online, Roberto Cotroneo ci fa sapere che, secondo lo studioso italiano Luca Chiantore, Per Elisa non sarebbe di Ludwig van, ma si tratterebbe di un falso realizzato da un giovane musicologo tedesco, tale Ludwig Nohl, che nel 1865 scoprì il manoscritto autografo con gli appunti di Beethoven a Monaco di Baviera. Appunti mai portati a compimento, non una partitura.

Lo studioso italiano Luca Chiantore ha presentato all’università di Barcellona i risultati di un lungo lavoro musicologico. Questo lavoro dice una cosa: il più celebre, il più suonato brano musicale per pianoforte, “Per Elisa”, non è stato scritto da Beethoven. Ma fu un’opera, uscita dai cassetti del grande compositore 40 anni dopo la morte, riscritta da un giovane musicologo tedesco Ludwig Nohl, che nel 1865 scoprì il manoscritto autografo con gli appunti di Beethoven a Monaco di Baviera. Si trattava semplicemente di appunti, e non di un’opera per pianoforte compiuta.

Poi Cotroneo continua dicendo che, in fondo, lui lo aveva sempre sospettato:

Ma è stato fino ad oggi un brano inspiegabile per un compositore come Beethoven. Strano, pieno di banalità compositive, persino bruttarello in quella terza parte del brano che sembra scimmiottare Beethoven senza averne né il genio e neppure le capacità. Chiunque ha eseguito le sonate per pianoforte del grande compositore, di fronte a “Per Elisa” rimane costernato.Come poteva aver scritto una cosa del genere, un genio come Beethoven?

Oddio, io al massimo ho pensato che alcune soluzioni erano un po’ banali, ma ho pensato anche che, in fondo, capita a tutti. O magari LvB temeva che la tipa a cui era dedicata (che fosse Therese Malfatti von Rohrenbach zu Dezza o Elisabeth Roeckl) non avrebbe apprezzato una elucubrazione complessa e così tutto lo sforzo sarebbe stato vano…

La stessa notizia, in formato più scarno, sul Corriere.

Sacred Flute Music from New Guinea

coverSacred flutes are blown (“Windim Mambu”) to make the cries of spirits by adult men in the Madang region of Papua New Guinea. Pairs of long bamboo male and female flutes are played for ceremonies in the coastal villages near the Ramu River

These recordings were made in 1976 by Ragnar Johnson assisted by Jessica Mayer while conducting research in a remote village in the Eastern Highlands. Their intention was to preserve this traditional music as it is played in the villages of its origin.

Aimard – Bach

coverSentite un po’ Pierre-Laurent Aimard che suona Bach, nientemeno che l’Arte della Fuga.

Oddio, niente da dire tecnicamente. Mi piace anche il suono, così chiaro, quasi clavicembalistico (anche il pedale è molto limitato). Mi lascia solo un po’ perplesso il fatto che lui ormai suoni tutto lo scibile pianistico disponibile…

Comunque questa è la sua prima incisione per DGG. Direi, un esordio impegnativo visto che va a confrontarsi con gente come Glenn Gould (che la iniziava con un metronomo lentissimo) o Sokolov.

In ogni caso, Aimard si appoggia sulla sua tecnica e a un primo ascolto non mi sembra sfigurare anche nei passaggi più difficili. Poi vedremo se mi emoziona…

  • J.S. Bach – Contrapunctus I dall’Arte della Fuga, Pierre-Laurent Aimard pianoforte.

The Feast of Trimalchio

Un estratto (10 min.) dal video The Feast of Trimalchio realizzato dal collettivo russo AES+F e presentato alla Biennale di quest’anno (2009). Una fantastica visione neo-barocca degli stereotipi del lusso nel terzo millennio. Il nostro presidente del consiglio lo amerebbe perché lo prenderebbe sul serio.

Occhio (orecchio) alla musica che secondo me è inserita benissimo e agisce da elemento estraniante non banale.

Questo è il trailer

Questo, invece, è un estratto (~10 min.) di come il pubblico lo vedeva alla Biennale in una saletta con 9 schermi (girato dal vivo, si vede anche il pubblico).

Comments from the authors:

In the ‘Satyricon’, the work of the great wit and melancholic lyric poet of Nero’s reign, Gaius Petronius Arbiter, the best preserved part is ‘The Feast of Trimalchio’ (Cena Trimalchionis). Thanks to Petronius’s fantasy, Trimalchio’s name became synonymous with wealth and luxury, with gluttony and with unbridled pleasure in contrast to the brevity of human existence.

We searched for an analogue in the third millennium and Trimalchio, the former slave, the nouveau riche host of feasts lasting several days, appeared to us not so much as an individual as a collective image of a luxurious hotel, a temporary paradise which one has to pay to enter.

The hotel guests, the ‘masters’, are from the land of the Golden Billion. They’re keen to spend their time, regardless of the season, as guests of the present-day Trimalchio, who has created the most exotic and luxurious hotel possible. The hotel miraculously combines a tropical coastline with a ski resort. The ‘masters’ wear white which calls to mind the uniform of the righteous in the Garden of Eden, or traditional colonial dress, or a summer fashion collection. The ‘masters’ possess all of the characteristics of the human race – they are all ages and types and from all social backgrounds. Here is the university professor, the broker, the society beauty, the intellectual. Trimalchio’s ‘servants’ are young, attractive representatives of all continents who work in the vast hospitality industry as housekeeping staff, waiters, chefs, gardeners, security guards and masseurs. They are dressed in traditional uniforms with an ethnic twist. The ‘servants’ resemble the brightly-colored angels of a Garden of Eden to which the ‘masters’ are only temporarily admitted.

On one hand the atmosphere of ‘The Feast of Trimalchio’ can be seen as bringing together the hotel rituals of leisure and pleasure (massage and golf, the pool and surfing). On the other hand the ‘servants’ are more than attentive service-providers. They are participants in an orgy, bringing to life any fantasy of the ‘masters’, from gastronomic to erotic. At times the ‘masters’ unexpectedly end up in the role of ‘servants’. Both become participants in an orgiastic gala reception, a dinner in the style of Roman saturnalia when slaves, dressed as patricians, reclined at table and their masters, dressed in slaves’ tunics, served them.

Every so often the delights of ‘The Feast of Trimalchio’ are spoiled by catastrophes which encroach on the Global Paradise…

Frequenze di taglio degli MP3

La qualità di un MP3 dipende in gran parte dal codificatore. Le specifiche, infatti, dicono cosa fare, ma non come farlo (a differenza della decodifica, che invece è un processo puramente meccanico). Proprio per questo, un codificatore di bassa qualità è riconoscibile ascoltando persino un brano a 320 kbit/s. Ne consegue che non ha senso parlare di qualità di ascolto di un brano di 128 kbit/s o 192 kbit/s senza un riferimento al codec utilizzato. Una buona codifica MP3 a 128 kbit/s prodotta da un buon codificatore produce un suono migliore di un file MP3 a 192 kbit/s codificato con uno scarso codificatore.

I test, come quello del post precedente, sono eseguiti con L.A.M.E. (Lame Ain’t MP3 Encoder) che è riconosciuto come uno dei migliori (forse il migliore per compressione da 128 in su).

Proprio LAME ci dà le frequenze di taglio ai vari livelli di compressione. Nel processo di codifica, viene attivata una serie di filtri per la suddivisione del segnale in bande che si ferma a una altezza diversa per ciascun bitrate. La porzione di segnale che eccede l’ultima banda viene eliminata con un filtro passabasso che inizia la sua attenuazione a una certa frequenza (inizio in tabella) e taglia completamente oltre un certo livello (fine in tabella).

È possibile anche disattivare il suddetto filtro (c’è una opzione in LAME), tuttavia facendolo si rischiano artefatti identificabili, di solito, come un certo tipo di effetto che assomiglia un po’ ad un flanger (si sente spesso nell’audio dei film rippati e troppo compressi).

Ecco la tabella:

kbps area di taglio: inizio, fine
128 16538 Hz – 17071 Hz
160 17249 Hz – 17782 Hz
192 18671 Hz – 19205 Hz
224 19383 Hz – 19916 Hz
256 19383 Hz – 19916 Hz
320 20094 Hz – 20627 Hz

La tabella si legge così: per es. nel caso di 128 kbps, l’attenuazione delle frequenze inizia a 16538 Hz e aumenta fino a 17071 Hz, oltre i quali tutto viene eliminato. Quindi, in astratto, anche l’MP3 a 320 è sensibilmente inferiore alla qualità CD. Naturalmente qualcuno potrebbe dire che le frequenze oltre i 20 KHz difficilmente si sentono per una combinazione di qualità dell’impianto audio e orecchie dell’ascoltatore.

In realtà, come ha fatto osservare Angelo nel commento al post precedente, è un problema di educazione all’ascolto:

A test given to new students by Stanford University Music Professor Jonathan Berger showed that student preference for MP3 quality music has risen each year. Berger said the students seem to prefer the ‘sizzle’ sounds that MP3s bring to music.[27]
Others have reached the same conclusion, and some record producers have begun to mix music specifically to be heard on iPods and mobile phones.[28]
However, the study was criticized for being a short-term A/B test, which does not reflect the listeners preferences when they listen to music for prolonged periods.[29]
[wikipedia]

[27][28][29] sono riferimenti bibliografici citati in wikipedia. Cliccate i numeri per andare agli articoli. Il primo è l’articolo di Berger, gli altri sono commenti. Credo che dovremmo iniziare una seria riflessione sui cambiamenti delle modalità di ascolto sia della musica che dei suoni naturali.

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Differenza fra originale e MP3 128 kbps

Quello che vedete qui sotto è lo spettro di un brano dei Portished: Nylon Smile. Musica non classica e non acustica.

Sopra, i due canali del brano non compresso. Sotto, dopo la riga grigia e la scritta “unite – sync”, quelli dello stesso pezzo compresso in MP3 128 kbps. Lo spettro è volutamente in bianco/nero per evidenziare le differenze.

Se osservate attentamente noterete che, nello spettro superiore (non compresso), la posizione delle linea rossa che ho messo per segnare la frequenza più alta è oltre i 20000 Hz, mentre in quello inferiore si ferma prima, a circa 17000 Hz. Ecco, questa è la banda, visibile a una prima occhiata, che si perde con questo livello di compressione. Poi bisognerebbe entrare nei particolari per vedere se qualcosa manca anche sotto.

Ne consegue che il distribuire musica di qualsiasi tipo in formato MP3 a 128 kbps, come fa la maggior parte dei rivenditori via internet di musica genericamente pop, equivale a un furto di banda di circa 3 KHz e diffonde una abitudine a una banda più ristretta.

Adesso mi direte che, tanto, la banda ristretta la diffondono già le maledette cuffiette, però….

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La fine del CD (ma anche degli MP3 < 256)

…almeno a casa mia.

Dunque, stanco di avere la musica dispersa fra alcune migliaia di CD, altrettanti vinili e molti file su computer (tutti rigorosamente acquistati, CC o digitalizzati da dischi che possiedo), ho deciso di digitalizzare il tutto, metterlo su un HD in rete e utilizzare un vecchio portatile come jukebox (ovviamente con linux).

Un gran lavoro che, per ora, ho fatto solo su un quarto circa dell’insieme, il che spiega anche la non assidua continuità dei post di settembre.

Il sistema, alla fine, è composto da un sistema RAID da 2 terabytes (di cui si usa solo una piccola parte) letti da un portatile di vecchia generazione (avrà 5 anni, monoprocessore da 2.8 GHz) su cui gira un Ubuntu Jaunty con scheda M-Audio, collegata a un micro mixer che va a due casse auto-amplificate Event ALP 5 oppure Yamaha HS80M.

Come software uso Rhythmbox (sto provando anche Banshee). Il software si fa un database di tutto ciò che è audio e lo indicizza in base ai tag. Poi si possono selezionare i brani in base a autore, titolo e/o genere. Inoltre il computer è in rete, quindi si può ascoltare qualunque cosa si trovi su internet, comprese radio, netlabel, podcast etc.

Bene, considerando che la mia discoteca è alquanto eterogenea e va da Luigi Nono fino ai Sex Pistol, sono stato colpito dalla bassa qualità degli MP3. Con casse di questo tipo, che comunque sono lontane dal top, gli MP3 a 128 kbps risultano fastidiosamente ed evidentemente privi delle frequenze alte, non solo con la musica classica, ma anche ascoltando i Rolling Stones. Perfino a 192, la differenza con l’originale si sente e per avere qualcosa di accettabile bisogna arrivare almeno a 256 kbps.

Per quel che riguarda la musica classica, lo sapevo già, ma quello che mi ha colpito è che il degrado è sensibile anche con musica il cui punto di forza non è certamente la pulizia e la chiarezza del suono (tipo Rolling Stones, appunto). Notate che, al di là delle buone casse, non ho una stanza particolarmente insonorizzata o similia. È una stanza normale.

In effetti, all’inizio pensavo di convertire in FLAC (compressione senza perdita) gli album più raffinati e usare MP3 intorno ai 192 kbps, o meno, per il resto. Invece un po’ di prove mi hanno convinto (direi quasi costretto) a usare MP3 solo a 320 oppure con bitrate variabile alla massima qualità per i gruppi un po’ “rumorosi” e andare in FLAC per tutto il resto.

L’effetto collaterale è che non compro più musica in MP3 inferiore a 256 kbps e solo se il prezzo è basso. Altrimenti mi devono dare un file compresso ma senza perdita (FLAC, APE, LA).

La massificazione dell’MP3 si traduce in una perdita della qualità appena conquistata con il passaggio al CD. Magari lo sapevamo già, ma vederlo e sentirlo è un’altra cosa.

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Sounds from Saturn

Saturn is a source of intense radio emissions, which have been monitored by the Cassini spacecraft. The radio waves are closely related to the auroras near the poles of the planet. These auroras are similar to Earth’s northern and southern lights. This is an audio file of radio emissions from Saturn.

The Cassini spacecraft began detecting these radio emissions in April 2002, when Cassini was 374 million kilometers (234 million miles) from the planet, using the Cassini radio and plasma wave science instrument. The radio and plasma wave instrument has now provided the first high resolution observations of these emissions, showing an amazing array of variations in frequency and time. The complex radio spectrum with rising and falling tones, is very similar to Earth’s auroral radio emissions. These structures indicate that there are numerous small radio sources moving along magnetic field lines threading the auroral region.

Time on this recording has been compressed, so that 73 seconds corresponds to 27 minutes. Since the frequencies of these emissions are well above the audio frequency range, we have shifted them downward by a factor of 44.

The Cassini-Huygens mission is a cooperative project of NASA, the European Space Agency and the Italian Space Agency. The Jet Propulsion Laboratory, a division of the California Institute of Technology in Pasadena, manages the mission for NASA’s Science Mission Directorate, Washington, D.C. The Cassini orbiter was designed, developed and assembled at JPL. The radio and plasma wave science team is based at the University of Iowa, Iowa City.

For more information about the Cassini-Huygens mission, visit http://saturn.jpl.nasa.gov and the instrument team’s home page, http://www-pw.physics.uiowa.edu/cassini/.

Credit: NASA/JPL/University of Iowa

spectrum

From NASA.gov

Jliat

site site

La home page del sito del rumorista inglese Jliat (James Whitehead) offre ottime cose, come una serie di drones liberamente scaricabili, esempi:

I suoi lavori si collocano sempre agli estremi: nella più assoluta cacofonia o nella quiete più totale. In ogni caso vivono in una immobilità irraggiungibile.

Si possono scaricare da Youtube e Soundcloud

Tornado

coverUn po’ di sana aggressione sonora in stile post free jazz europeo non fa mai male. Dalla netlabel Insubordinations, l’ultimo lavoro del gruppo svizzero Diatribes, un duo formato da cyril bondi (drums, percussions) e d’incise (laptop, obects, treatments), attorno ai quali gravitano molti musicisti ospiti.

Diatribes,a strongly libertarian ensemble, began its existence in a Geneva basement in Winter 2004. Their idea was to mix distinct various types and approach of the sounds, in order to develop a malleable musical mass. The instruments merge into the electronics treatments in a primary dance, where construction and deconstruction coexist, and envy and disgust unite. There are no limits in the way of playing, where rhythms, melodies and noise meet sporadically, merging into each other until they are almost forgotten. Free jazz in its approach, acoustic and electronic in its execution, the trio is capable of exploring the minute like the intense.
Initialy a trio with Gaël Riondel on saxophone, diatribes became a polymorphous formation, extending its spectrum with guest musicians such as the guitarist Christian Graf, the electroacoustician Nicolas Sordet, the pianists Jacques Demierre and Johann Bourquenez, the bassist Dragos Tara or the saxophonist Piero SK..

L’intero album è scaricabile qui.

  • Diatribes – Tornade
    cyril bondi: drums, percussions – d’incise: laptop, objects – jacques demierre: grand piano – johann bourquenez: grand piano

Hosokawa Toshio

cover“Music,” says Toshio Hosokawa, “is the place where notes and silence meet.” This identifies his aesthetic concept as a genuinely Japanese one. It is found both in Japanese landscape painting and in the music, such as the courtly gagaku, in which audible sound always stands in relation to nonsound, i.e. to silence. In their rhythmic proportions Hosokawa’s compositions are oriented around the breathing methods of Zen meditation, with their very slow breathing in and very slow breathing out: “Each breath contains life and death, death and life.”

Hosokawa Toshio (細川俊夫) è nato nel 1955 a Hiroshima. Ha studiato composizione in Europa, a Berlino e Friburgo con Isang Yong e Klaus Huber.

Di lui conoscevo solo Circulation Ocean per orchestra. Poi ho trovato questi pezzi per fisarmonica e shō (un organo a fiato tipicamente asiatico; esiste in varie fogge dall’India alla Cina; vedi wikipedia).

Alcuni di essi, come quello che potrete ascoltare, derivano da brani tradizionali del Gagaku, altri sono stati composti da Hosokawa, ma tutti sono modellati su un ritmo lentissimo, con i suoni dei due strumenti, quasi sempre nel registro acuto, che diventano praticamente indistinguibili.

Ina

Chaya Czernowin è una compositrice israeliana nata nel 1957. Vive in Austria.
Vi faccio ascoltare Ina, un buon brano con sonorità particolari, per flauto basso e 6 altri flauti (basso e ottavino) preregistrati.

Ulteriori informazioni su di lei si trovano nella sua pagina.

Chaya Czernowin – Ina, per flauto basso e 6 flauti preregistrati

Pacific Fanfare

coverPacific Fanfare (1996) è un breve brano di Barry Truax composto per celebrare il 25° anniversario della Vancouver New Music Society e del World Soundscape Project, di cui abbiamo parlato qualche giorno fa.

È basata su 10 “soundmarks” registrati nell’ambito del WSP vari anni prima (chi ascolta le nostre proposte sonore riconoscerà subito la sirena della nave con cui iniziava “Entrance to the Harbor” nel post di cui sopra.

Il concetto di “soundmarks” è fondamentale nel lavoro del WSP e designa quei suoni che caratterizzano un determinato paesaggio sonoro. Questi suoni riproposti in Pacific Fanfare sia nella loro versione originale che elaborata mediante riduonatori digitali (una riverberazione artificialmente colorata) e time-stretching (allungamento temporate del suono di solito senza alterazione della frequenza).

Il brano è incluso nel CD Islands, acquistabile sul sito dell’autore.

Crumb: Zeitgeist

George Crumb completed the final revisions for Zeitgeist (Six Tableaux for Two Amplified Pianos, Book I) in 1989. The work is approximately twenty-eight minutes in duration. It was commissioned by the Degenhardt-Kent piano duet. The first performance took place at the Charles Ives Festival in Duisburg, Germany in 1988.

After that. the composer reworked the piece to his liking. Like the rest of the Crumb catalog, this work includes enigmatic sounds and titles for the movements, such as “The Realm of Morpheus (” … the inner eye of dreams”).” The extended techniques involves the players reaching into the piano to attack the strings directly in order to achieve specific timbres that would not otherwise be available from without.

Like many of the composer’s earlier works, elements of the work suggest a coherent and exotic belief system or world view in all its eccentricities. Like his Makrokosmos series for amplified piano(s) in the 1970s, the listener is often drawn to the poetic allusions as potential clues to unlocking the arcane secrets of the composer’s mind.

The sound suggests some very concrete ideology or mystic purpose behind his clear yet unique musical formations. Webern had his naturalist Catholicism; Crumb’s point of departure is anybody’s guess. Part of its enduring interest is its lack of posturing. Scriabin, for example, reveled in the role of the eccentric, mystic genius, and played it up. Satie did something similar, though in a more modern and self-stylized way that was grounded in the Rosicrucians. It was less of a romantic cliché than was the hackneyed persona of his Russian peer.

Crumb has all the interior components of a similarly mystical artistic personality but none of the mannerisms or apparent affiliations. He is the anchor of his own spirit, and nothing else resembles his art, with the exception of a plethora of imitators.

When listening to a work such as Zeitgeist, being a world famous artist does not sound preoccupying to the composer. There is compassion to his music that does reflect back upon him as a leader of any wounded aesthetic congregation, as if he does not regard himself as the vital part of an equation consisting of listener, performer, and composer.

Above all, Crumb’s music is American. More precisely, it is nocturnal, pastoral Americana of the highest caliber, revealing a deeply compassionate, inquisitive, and independent imagination. A work such as Zeitgeist does not have more in common with the work of most composers from the United States than it does with the Europeans, with the exception of Charles Ives.

There is little in the scores themselves that verify this connection, but both demonstrate a relationship to the land that is difficult to pin down but easily recognized. Crumb uses fewer indigenous references than Ives, though the Zeitgeist’s fifth movement contains bits of an Appalachian folk song. It could be said that both composers felt less bound to music history than other composers; neither man sounds determined to either break with tradition or serve it.

The music simply is, and that is a rare quality. Even if the listener accepts these rather speculative conjectures, questions remain. Why Zeitgeist? What is the deeper meaning of its movements’ individual titles? It is the apparent importance of these questions that proves that the music is engaging. Many listeners are rarely satisfied to know a piece works. The rigor of Boulez’s syntax has everything to do with why the music works, and one can detect what is working by recognizing its nature, if not its particulars. Crumb’s music remains a mystery, a beautiful one, even with repeated listening.
[All Music Guide]

Excerpts: I have already published a post about the 3rd mov. (Monochord) here. Now go listen to the 4th and 6th.

George Crumb – Zeitgeist (Six Tableaux for Two Amplified Pianos, Book I)

The Carrillo 1/16 Tone Piano

piano 1/16 di tonopiano 1/16 di tonoQuesto, che a prima vista sembra un pianoforte normale (cliccare l’immagine per ingrandire), è in realtà accordato a 16mi di tono.

Sì. Al posto dei normali 2 semitoni, ci sono 16 suddivisioni. Di conseguenza, fra un Do e un Do#, che di solito sono contigui, qui troviamo ben 7 tasti.

La cosa è evidente ingrandendo (click) l’immagine a destra, in cui si vede chiaramente l’intervallo fra un fa (f) e un fa# (fis).

Questo strumento microtonale è costruito dalla Sauter rifacendosi alle teorie del messicano Julian Carrillo (1875 – 1965) che, nel 1895, iniziò a occuparsi di accordature microtonali. Nel 1925 ideò un sistema di notazione e fondò un ensemble che eseguiva brani microtonali insieme a Stokowski, con il quale andò in tour negli anni ’30.

Nel 1940, dopo aver depositato i brevetti di almeno 15 pianoforti microtonali, contattò la Sauter che gli costruì alcuni prototipi presentati, nel 1958, all’Expo di Bruxelles. Oggi due suoi pianoforti, accordati risp. a 1/3 e 1/16 di tono, si trovano al Conservatorio di Parigi. Altri sono a Nizza e a Mexico City.

Il piano a 1/16 di tono è accordato in modo che l’intervallo di quinta corrisponda a un semitono. Di conseguenza, l’intera tastiera copre circa una ottava, il che è sicuramente un limite. Sarebbe interessante pensare a un gruppo di 6/8 strumenti di questo tipo accordati su ottave diverse (ma mi viene un brivido immaginando la fattura dell’accordatore).

Il suono si può ascoltare in un disco da cui vi presento due estratti. Nel primo è subito evidente la peculiarità dello strumento. Val la pena di raccontare che, quando l’ho ascoltato senza sapere niente, ho subito pensato a un pianoforte elaborato digitalmente e mi sembrava interessante dal punto di vista sonoro. Solo quando ho avuto il disco mi sono reso conto che in realtà era uno strumento naturale. Il secondo, invece, non punta immediatamente sull’effetto sonoro. Alla prima nota, sembra un pianoforte normale, ma, dopo pochi accordi, chi ha un orecchio musicale si chiede cosa diavolo stia accadendo (è un po’ spiazzante, in effetti).

Il disco si intitola The Carrillo 1/16 Tone Piano (edition zeitklang, si trova per es. alla Naxos Music Library o a ClassicsOnline)

The Vancouver Soundscape

coverThe World Soundscape Project (WSP) was established as an educational and research group by R. Murray Schafer at Simon Fraser University during the late 1960s and early 1970s. It grew out of Schafer’s initial attempt to draw attention to the sonic environment through a course in noise pollution, as well as from his personal distaste for the more raucous aspects of Vancouver’s rapidly changing soundscape. This work resulted in two small educational booklets, The New Soundscape and The Book of Noise, plus a compendium of Canadian noise bylaws. However, the negative approach that noise pollution inevitably fosters suggested that a more positive approach had to be found, the first attempt being an extended essay by Schafer (in 1973) called ‘The Music of the Environment’, in which he describes examples of acoustic design, good and bad, drawing largely on examples from literature.

Schafer’s call for the establishment of the WSP was answered by a group of highly motivated young composers and students, and, supported by The Donner Canadian Foundation, the group embarked first on a detailed study of the immediate locale, published as The Vancouver Soundscape, and in 1973, on a cross-Canada recording tour by Bruce Davis and Peter Huse, the recordings from which formed the basis of the CBC Ideas radio series Soundscapes of Canada. In 1975, Schafer led a larger group on a European tour that included lectures and workshops in several major cities, and a research project that made detailed investigations of the soundscape of five villages, one in each of Sweden, Germany, Italy, France and Scotland. The tour completed the WSP’s analogue tape library which includes more than 300 tapes recorded in Canada and Europe with a stereo Nagra. The work also produced two publications, a narrative account of the trip called European Sound Diary and a detailed soundscape analysis called Five Village Soundscapes. Schafer’s definitive soundscape text, The Tuning of the World published in 1977 [trad. it. “Il Paesaggio Sonoro”, Ricordi/Unicopli], and Barry Truax’s reference work for acoustic and soundscape terminology, the Handbook for Acoustic Ecology published in 1978, completed the publication phase of the original project.

Excerpts from The Vancouver Soundscape 1973:

The WSP group at SFU, 1973; left to right: R. M. Schafer, Bruce Davis, Peter Huse, Barry Truax, Howard Broomfield

WSP 1973

We will become insects, someday


Osoroshisa (Japanese for “the amount of terror”) is the moniker of Tim Salden from Belgium, who has both a good command of Japanese (speaking and writing).

Some notes from the author:

What does the main title mean:
Itsuka, Oretachi Mushi Ni Naru means We will become insects, someday. I kinda thought of Buddhism and  reïncarnation. And since I’m studying Japanese at the University, I wanted to write all the titles in Japanese.

Songmeanings:
The first song [Gakushou 1 – Hotaru No Shoumetsu] means: Movement 1 – Extinction Of The Firefly

Why those title:
I love the view of fireflies during summer, so I tried to recreate a summernight,
but with a bit more tension. Starting from the middle part, the fireflies start to shine their light.

Excerpt:

Listen to and download the whole album from Rain netlabel

Fürst Igor, Strawinsky

Mauricio Kagel – Fürst Igor, Strawinsky (1982)
for bass voice, English horn, French horn, tuba, viola and two percussionists

Fürst Igor, Strawinsky” was commissioned for the Biennale in Venice on the occasion of the centenary of Stravinsky’s birth. It received its premiere performance in the church on the cemetery-island San Michele, where Stravinsky is buried. As hinted in Kagel’s note for the Biennale programme, the sacred, theatrical ambience of this location was a lasting source of inspiration to the composer, who is especially susceptible to spectular sites. However, it proved impossible to carry out Kagel’s original vision of a funeral procession of gondolas transporting the audience to the performance: a thunderstorm erupted at precisely the wrong moment, bringing this cortege to nought. All that remained was the concert in the cemetery chapel.

The piece is scored for a chamber ensemble of bass voice, English horn, French horn, tuba, viola and two percussionists. The instruments lie in the middle and low registers, creating a plush, darkening sound. Besides the conventional percussion instruments, there is also a series of unusual sound-producing devices of indefinite pitch such as iron chains, cocoanut shells, the roaring of lions, wooden planks, an anvil, ratchets and metal tubs. These too have largely a muffled timbre. Kagel – who once referred to timbre as the “paramount material” of a work – here proceeds from a precisely conceived sound-image with associations related to the meaning of the composition. This sound-image is expressed not only in the choice of instruments, but also in the numerous performance instructions included in the score with the aim of making the composer’s intentions as unambiguous as possible.

The text derives from Borodin’s opera “Prince Igor”. Apart from a few repetitions to heighten the expression and a cut required for the sake of compression, the composer retains the whole of the text to Igor’s aria in Act 2, in which the captive Prince sings of his despair at his own fate and that of prostrate Russia. A comparison of Kagel’s setting and Borodin’s original, however revealing of Kagel’s methods, cannot be undertaken here. However, we can at least give a rough sketch of the way in which the picture of Igor changes in this re-composition. In Borodin’s work the Prince, though imprisoned, is still in possession of his traits as a ruler, while Kagel’s work reduces him to a complainer who has sacrificed, if not his dignity, at least any sense of his station. He gives free rein to his feelings in a Lamento with pronounced elements of self-castigation; ultimately, his deep despair borders on insanity. This is apparent, for example, in a key passage beginning with the words “geschändet ist mein Ruhm” (my fame has been desecrated), to which Kagel devotes three times as much time as Borodin, and also in the dynamic and expressive climax of the work, just after the half-way point, where the soloist, at the words “und dafür gibt man mir die Schuld” (and I am held guilty of this), is told to break out into “desperate, distorted laughter”. In the long crescendo which precedes this climax the voice part, which had previously been notated precisely, is rendered only in approximate pitch-curves – the inner turmoil bursts the form.

Although this piece is unusually expressive by Kagel’s standards, it cannot simply be pigeon-holed as an “expressive composition”. Kagel’s espressivo capsizes into the grotesque. One sign of this is the nagging, crazed, laughing sounds required of the instruments; another is the direction to the soloist during the preceding crescendo to be “excessively dramatic”, and Kagel’s helpful suggestion that he try to caricature classical Japanese theatre. Seriousness and irony, tragedy and ridiculousness merge in this paradoxical piece, and Kagel makes use of the shifting expression like a mask behind which lie his feelings, now hidden, now exposed. It is not only in the pun of the title, in the neo-classical figures such as scalar passages and parallel 7th chords, but also in this masquerade that Kagel reveals his spiritual affinity with the secretive dedicatee of his piece.

Max Nyffeler (Translation: J. Bradford Robinson)

Mauricio Kagel: Speech delivered on 5 October 1982 in the Chiesa di San Michele in Isola, located in San Michele Cemetery, Venice, on the occasion of the world premiere of “Fürst Igor, Strawinsky”.

Dear Friends and Strangers,

The news of Stravinsky’s burial in Venice gave me pause at the time to consider whether a touch of the master’s irony might also be buried in this wish of his. He was so fond of the damp – especially of that kind which is surrounded by glass – that it must have given him untold pleasure to have found his final resting place in this unique city where dampness is ever-present. We, too, who honour his memory today in our jovial manner, should take satisfaction in his decision: Stravinsky is ideally preserved in Venice, and forever within easy reach of one of the most crucial necessities of his former daily existence.

And yet – what ambiguity!

For it was precisely in the dryness, the objectivity of his music that Stravinsky – that grandseigneur of the mind and body, never content unless food and service were of the highest calibre – discovered that dimension which enabled him to turn his eye inward with such infinite profundity. His works are living documents of an apparent dichotomy. Passion and computation, unfettered inspiration and rational ingenuity, the sacred and the heathen – all mutually fertilize each other to produce an oeuvre which is well described by several expressions from the musicians’ lingua franca :sempre con passione ma senza rubato; con molta tenerezza ma non piangendo; con piacere, mai a piacere; musica pratica ma non tanto, musica poetica al piu possibile, musica viva da capo al fine.

For me, it is of course a great distinction to honour Stravinsky on this occasion and in this public forum. I belong to a generation of composers who were left with the unpleasant legacy of a family feud to which, pro or contra, we had in fact nothing new to contribute. The choice posited in Schoenberg’s canon “Tonal oder Atonal” has long, indeed has always been a question of sensibility and intelligent application rather than a hard and fast principle. Today, we no longer bother our heads by confusing a method of composition with the aesthetic of craftsmanship. I hope this will remain so in music history for a long time to come.

Stravinsky had much to offer all of us who practice music as a mental discipline. For this reason, we composers – who view the possibility of musical expression as a confirmation for many things that make our lives worth living – are very much in his debt. The very existence of a classical composer – particularly (sarcasm notwithstanding) a “classical modern” composer – is a clear challenge to anyone dedicated to the discovery of new, present worlds of music. It is my firm hope that my “Fürst Igor, Strawinsky” will prove to our honoured forebear that a goodly portion of his ‘attitude and doctrine consisted nor merely of contradictions and opposites, but also of a high-minded twinkling of the eye. In this sense my work is intended as an homage, without ambiguity: senza doppio (colpo) di lingua.

[text from ANABlog]

RIP Mike Bongiorno

Se ne va uno dei più grandi comici di tutti i tempi.

O quando chiedeva – e capitò più volte – a una concorrente notizie del marito e si sentiva rispondere “veramente sono vedova”. O gli errori di lettura. “Ma chi sarà questo signor Paolo Vi del quale non ho mai sentito parlare?”, si chiese leggendo una domanda in cui si citava in realtà Papa Paolo VI. E non ebbe alcun dubbio a pronunciare “Pio ics”, leggendo il nome di Papa Pio X. E ancora: “Un signore anziano sulla cinquantina” (“non mi chiami anziano”, replicò indispettito il concorrente a Rischiatutto); “abbiamo qui Sharon Rampin… sei inglese?” “No, sono veneta, Rampìn”.

E dotato di una certa dose di autoironia:

Enzo Bottesini, in gara, cameraman specializzato in riprese subacquee, gli disse: “Mike, so che lei è un sub eccezionale”. E lui replicò: “No, sono un sub normale”.

Threnody

Questo brano è ben noto ai cultori di musica contemporanea, ma lo proponiamo per la sua importanza storica. Il testo è tratto da wikipedia inglese (nella vers. italiana non c’è).

Threnody to the Victims of Hiroshima (Tren ofiarom Hiroszimy in Polish) is a musical composition for 52 string instruments, composed in 1960 by Krzysztof Penderecki (b. 1933), which took third prize at the Grzegorz Fitelberg Composers’ Competition in Katowice in 1960. The piece swiftly attracted interest around the world and made its young composer famous.

The piece-originally called 8’37” (at times also 8’26”)-applies the sonoristic technique and rigors of specific counterpoint to an ensemble of strings treated unconventionally in terms of tone production. Penderecki later said “It existed only in my imagination, in a somewhat abstract way.” When he heard an actual performance, “I was struck by the emotional charge of the work…I searched for associations and, in the end, I decided to dedicate it to the Hiroshima victims”. Tadeusz Zielinski made a similar point, writing in 1961, “While reading the score, one may admire Penderecki’s inventiveness and coloristic ingeniousness. Yet one cannot rightly evaluate the Threnody until it has been listened to, for only then does one face the amazing fact: all these effects have turned out to serve as a pretext to conceive a profound and dramatic work of art!” The piece tends to leave an impression both solemn and catastrophic, earning its classification as a threnody. On October 12, 1964, Penderecki wrote, “Let the Threnody express my firm belief that the sacrifice of Hiroshima will never be forgotten and lost.”

The piece’s unorthodox, largely symbol-based score directs the musicians to play at various vague points in their range or to concentrate on certain textural effects, and they are directed to play on the wrong side of the bridge, or to slap the body of the instrument. Penderecki sought to heighten the effects of traditional chromaticism by using “hypertonality”-composing in quarter tones-to make dissonance more prominent than it would be in traditional tonality. Another unusual aspect of Threnody is Penderecki’s expressive use of total serialism. The piece includes an “invisible canon,” in 36 voices, an overall musical texture that is more important than the individual notes, making it a leading example of sound mass composition. As a whole, Threnody constitutes one of the most extensive elaborations on the tone cluster.

Nanimo Nai Wakusei

Osoroshisa - Nanimo Nai Wakusei - front cover Nanimo nai wakusei means “empty planets” in Japanese and is an apt description for key elements of Tim Salden’s music as Osoroshisa. It reflects the width of uninhabited and lonesome worlds and how time becomes a secondary factor on an empty planet that lacks any point of reference for perceiving its continuous passage. In the broader sense, it may also refer to isolated persons living in a solar system of their own, without a way of taking notice of other worlds apart from theirs and where chains of events have gradually been replaced by a constant train of thoughts. Accordingly, the music is located between drone and dark ambient without being particularly representative of either genre and evolves slowly, with recurrent figures weaved into persistent drones and subtle changes in modulation rather than thematic variation and progression.

Osoroshisa (Japanese for “the amount of terror”) is the moniker of Tim Salden from Belgium, who has both a good command of Japanese (speaking and writing) and a sizable collection of obscure vinyl records with synth-music from the seventies and eighties. Perhaps it is this vintage analogue sound that left its traces in his drone inspired sound, as well as the impression of cavernous space. His musical works involve slow motion changes and addition or subtraction of sound layers (where “stock drone” has the tendency of being static and repetitive) and pictures a feeling of loneliness and sadness, the recursion of thoughts and events without an actual resolution.

Download the whole album from Internet Archive

Excerpts:

Ocean & Cricket Music

Walter De Maria (nato ad Albany, in California, nel 1935) è uno dei principali esponenti della corrente artistica detta Land Art alla quale è passato dopo un’iniziale esperienza di scultore nell’ambito della Minimal Art (alcune sue opere di questo periodo, come “Balldrop” del 1961, si trovano al Guggenheim Museum di New York).

Tra gli anni ‘60 e ‘70 inizia a intervenire direttamente sul territorio con le sue monumentali earth sculptures: nel 1968, per esempio, disegna con la calce delle linee parallele all’interno del Mojave Desert, in California, mentre nel 1977, in occasione di documenta, la grande rassegna di arte contemporanea che si svolge a Kassel, in Germania, ogni cinque anni, fa penetrare nel terreno un’asta metallica per un chilometro.

La sua opera più famosa, però, rimane senza dubbio “The Lightning Field” (1977): in questa monumentale installazione posta in un angolo remoto del deserto del New Mexico De Maria cerca la complicità della natura per mettere in scena un evento sempre straordinario. Dopo aver conficcato in verticale nel terreno 400 pali metallici appuntiti su un’area di circa 3 chilometri quadrati, ne sfrutta l’effetto-parafulmine durante i temporali raccogliendo e moltiplicando la potenza dei fulmini a servizio di un grandioso spettacolo di luce (nell’immagine).
[da Wikipedia]

Non tutti sanno, però, che De Maria ha anche firmato alcune opere sonore in cui lui stesso suona la batteria e la mixa con field recording, ora disponibili su UbuWeb.

Longplayer: un brano lungo 1000 anni

Longplayer is a one thousand year long musical composition. It began playing at midnight on the 31st of December 1999, and will continue to play without repetition until the last moment of 2999, at which point it will complete its cycle and begin again. Conceived and composed by Jem Finer, it was originally produced as an Artangel commission, and is now in the care of the Longplayer Trust.

Longplayer can be heard in the lighthouse at Trinity Buoy Wharf, London, where it has been playing since it began. It can also be heard at several other listening posts around the world, and globally via a live stream on the Internet.

Longplayer is composed for singing bowls – an ancient type of standing bell – which can be played by both humans and machines, and whose resonances can be very accurately reproduced in recorded form. It is designed to be adaptable to unforeseeable changes in its technological and social environments, and to endure in the long-term as a self-sustaining institution.

At present, Longplayer is being performed by a computer. However, it was created with a full awareness of the inevitable obsolescence of this technology, and is not in itself bound to the computer or any other technological form.

Although the computer is a cheap and accurate device on which Longplayer can play, it is important – in order to legislate for its survival – that a medium outside the digital realm be found. To this end, one objective from the earliest stages of its development has been to research alternative methods of performance, including mechanical, non-electrical and human-operated versions. Among these is a graphical score for six people and 234 singing bowls. A live performance from this score is being prepared for September 2009. See here for more information.

Longplayer was developed and composed by Jem Finer between October 1995 and December 1999, with the support and collaboration of Artangel.

  • A 56kbps live stream can be heard by clicking (or right-clicking) here:
    Per ascoltare un live stream del brano, cliccate qui:

The Whole Earth Catalog

Fra il 1968 e il 1972, Stewart Brand pubblicava, su carta, The Whole Earth Catalog che era definito come

“a paper-based database offering thousands of hacks, tips, tools, suggestions, and possibilities for optimizing your life.”

Si trattava di una specie di Wikipedia ante litteram. Una raccolta di articoli sugli argomenti più disparati, spesso scritti da personalità dell’epoca: da William Burroughs al Black Panthers Party, dal poeta Ferlinghetti all’architetto Buckminster Fuller.

Oggi The Whole Earth Catalog è online in Internet Archive.

whole earth catalog

Tropical Rain Forest

Il titolo dice tutto. Quello che vi propongo oggi è un esempio di field recording che risale al 1986.

Si tratta di una registrazione di 22 minuti, effettuata in una foresta tropicale (dai suoni si direbbe localizzata in America del Sud, prob. Brasile), distribuita negli anni ’80 su cassetta da Moods Gateway Recording. Nessun trattamento, né montaggio sembra essere stato fatto. La qualità è quella dei registratori portatili a nastro dell’epoca, comunque buona, qui digitalizzata e convertita in mp3 a 128 kbps.

La varietà dei suoni e delle loro combinazioni è fantastica. La potete ascoltare in streaming o scaricare in mp3 (att.ne: è circa 21 Mb).

NB: attualmente esistono vari cd con questo titolo disponibili via internet. La registrazione non è questa. Questa non è più in distribuzione. Spesso quelle attuali sono registrazioni di sottofondo con musichetta applicata sopra, oppure sono divise in brani (uccelli, animali vari, indigeni, etc). Qui, invece, c’è la registrazione della foresta, pura e semplice, con la pioggia che va e viene, per 22 minuti.

Il canto degli antenati

Qualche report sui libri letti durante l’estate. Inizio con il bellissimo “Il canto degli antenati” di Steven Mithen (Tit. orig. The singing neanderthal, 2005). Sottotitolo: Le origini della musica, del linguaggio, della mente e del corpo.

Mithen, archeologo britannico, parte da un assunto: la propensione a fare musica è uno dei più misteriosi, affascinanti e allo stesso tempo trascurati tratti distintivi del genere umano. La letteratura scientifica ha sottovalutato questo campo di studio, definendo la musica come una tecnologia, un prodotto, creato unicamente a scopo ludico e ricreativo, e non come un adattamento selettivo. Diversamente, Mithen sostiene che lo studio dell’origine del linguaggio, e più in generale dell’abilità comunicativa dei nostri antenati, dovrebbe essere rivalutato alla luce dell’aspetto musicale, che a sua volta non può prescindere dall’evoluzione del corpo e della mente.

Si tratta di un’idea che per molti musicisti è intuitivamente vera, ma che finora non era stata sostenuta dalla letteratura scientifica e dalla ricerca. Ma l’ipotesi di Mithen va più in là. Citando la recensione di Giuseppe Mirabella su Le Scienze (Apr. 2007):

La musica è un elemento proprio di tutte le culture umane. Strumenti musicali, canti e danze rituali fanno parte di tutte le società, da quelle moderne alle più primitive. E l’enorme diffusione delle abilità musicali ha fatto ipotizzare che questa capacità avesse un ruolo evolutivo. Ma quale può essere stato il vantaggio selettivo offerto dalla musica ai nostri antenati? Steven Mithen, archeologo cognitivo dell’Università di Reading, prova a formulare una teoria molto accattivante, secondo la quale i primi ominidi comunicavano attraverso un linguaggio musicale, un miscuglio tra il linguaggio e la musica come li intendiamo noi oggi. Secondo Mithen, questa forma di comunicazione avrebbe toccato l’apice nei neandertaliani. Che avevano una configurazione delle alte vie respiratorie che avrebbe consentito loro di parlare, ma non disponevano dei circuiti nervosi deputati al controllo del linguaggio. Le difficili condizioni ambientali in cui vivevano e la crescente complessità dei loro gruppi sociali richiedevano uno scambio continuo di informazioni, e quindi si sviluppò un sistema di comunicazione articolato che includeva sia suoni sia gesti del corpo.

Per definire il sistema di comunicazione dell’uomo di Neanderthal, Mithen ha coniato l’acronimo “Hmmmm”, per olistico (holistic), multi-modale, manipolativo and musicale (invidio molto la facilità dell’inglese nella creazione di acronimi):

“Its essence would have been a large number of holistic utterances, each functioning as a complete message in itself rather than as words that could be combined to generate new meanings.”

Probabilmente anche i primissimi Homo sapiens comunicavano in questo modo, ma lo sviluppo del cervello consentì loro di evolvere un vero e proprio linguaggio dotato di una grammatica, cioè di un sistema per combinare i simboli base a formare nuovi significati. L’ipotesi di Mithen è necessariamente di natura speculativa, ma le prove indirette che porta a suo sostegno sono numerose e convincenti.

NB: il libro è effettivamente affascinante, ma non facilissimo. È un trattato scientifico che deve prendere in considerazione, riferire e valutare le ricerche e gli esperimenti condotti finora. Di conseguenza, a tratto, non è discorsivo e scorrevole. Vivamente consigliato a coloro che nutrono un interesse particolare per questo argomento.

La piscina alchemica ;-) di Osarizawa

Questa immagine (clicca per ingrandire), che a me ricorda un po’ un antico sito Inca con profonde pozze circolari come quelle dei Maya, è in realtà una miniera abbandonata di oro e rame, nei pressi di Osarizawa, in Giappone.

Le prime attività estrattive nella zona risalgono a circa 1300 anni fa. In epoca moderna è stata sviluppata la miniera, poi chiusa nel 1978.

La zona, che sembra essere piuttosto inquinata. è attualmente di proprietà della Mitsubishi ed è interdetta al pubblico. Ciò nonostante l’autore delle foto, Michael John Grist, è riuscito a intrufolarsi nell’impianto, pagando una multa di 1000 yen.

C’è anche un breve video su You Tube.

From Out of Ruins, dove potete vedere altre immagini.

I 4 princìpi d’Irlanda

cardewNegli anni ’70, Cornelius Cardew, fino ad allora uno dei più importanti compositori inglesi, pioniere dell’utilizzo di partiture grafiche e dell’improvvisazione, assistente di Stockhausen dal 1958 al 1960, ebbe una improvvisa conversione politica al Comunismo (per la precisione aderì al Communist Party of England (Marxist-Leninist)) che lo portò a condannare lo sperimentalismo come elitista (att.ne: non etilista), a scrivere il suo famoso libello “Stockhausen Serves Imperialism” e a scrivere musica per le masse, ideologicamente orientata, come questa:

Four Principles on Ireland – C. Cardew, pianoforte

Potete trovare vari brani del Cardew post conversione in questa pagina di UbuWeb.

Cantéodjayâ

Cantéodjayâ was written in 1948. Messiaen had long been interested in Hindu rhythms, relying on the listing of 120 such rhythms in the thirteenth-century Sangitaratnākara of Sarngadeva.

The score includes names drawn from this work and from Karnatic musical theory, the latter including the title of the work, indicating the element with which the piece opens, interspersed with intervening material.

The sixth appearance of this characteristic rhythm and figuration is followed by three brief refrains, a first couplet, a return of the first refrain and a second couplet. There follows the second refrain and third couplet, including a six voice canon. The first and third refrains are heard before the final return of the original cantéyndjayâ.

The work contains elements further explored in the Mode de valeurs et d’intensités. At a first hearing a listener unfamiliar with the style of writing might do worse than keep in mind the opening phrases, although the general form is one rather of superimposition than extensive repetition and development.
[Keith Anderson]

Roger Muraro, piano.

Neumi Ritmici

Neumes rythmiques (Neumi Ritmici) è il terzo dei Quattro Studi sul Ritmo di Olivier Messiaen, che comprendono anche il famoso Modi di Valori e di Intensità, ma è stato il primo ad essere terminato (1949).

In realtà il termine Neuma Ritmico è paradossale, perché i neumi sono una notazione melodica, ritmicamente indefinita, o, almeno, non definita con precisione. Qui, però, Messiaen opera una trasposizione e descrive così il brano:

Osservando le differenti figurazioni dei neumi nel canto piano, ho avuto l’idea di cercare delle corrispondenze ritmiche. La sinuosità melodica indicata dai neumi si muta in gruppi di durate. Ogni neuma ritmico è provvisto di una intensità fissata e di risonanze cangianti, più o meno chiare o scure, sempre contrastanti.

Traduzione mia:

come sentirete chiaramente, questo brano è formato da vari elementi melodico/armonici ben distinti. Ogni elemento è caratterizzato da un certo colore armonico fisso, una certa durata, che in partenza è fissa, e una data intensità, anch’essa fissa.

Così ogni elemento è, per Messiaen, un neuma. In tal modo, la successione dei neumi si tramuta in una successione di elementi, ciascuno con caratteri ben precisi e soprattutto, con una durata fissata. Di conseguenza, una serie di neumi determina una serie di eventi di colore armonico e intensità diverse, ognuno dei quali ha una precisa durata, caratteristica, quest’ultima, importante per il Messiaen dei Quattro Studi sul Ritmo, come il titolo suggerisce.

A complicare le cose, le durate subiscono delle mutazioni nel corso del brano. In una serie di neumi si espandono di un piccolo valore fisso, in un’altra cambiano seguendo una serie di numeri primi, mentre in una terza restano fisse.

Al di là della curiosità, questo studio è molto importante perché deriva dalla Cantéodjayâ, un lavoro basato sui talas (ritmi) indù che vi presenterò più avanti e anticipa l’inserimento dei canti degli uccelli, ognuno dei quali è assimilabile a un “neuma ornitologico”, nel senso che è un oggetto in sé dotato di caratteristiche ben precise.

The Turfan Fragments

Morton Feldman – The Turfan Fragments (1980), for chamber orchestra

The Turfan Fragments is pitched for a reduced chamber orchestra and marks the beginning of a pause in Feldman’s writing for orchestra that lasted a half decade (until he resumed it with Coptic Light).

The title refers to a significant trove of manuscripts in various languages discovered by German researchers in the early 20th century along the ancient Silk Road and which had been hidden away during the war. Feldman likely saw some of the collection when parts of it were again made available in Berlin, where he lived in the early 1970s. Feldman’s delicate stitching together of fragmentary but elusively repetitive particles hints at the enigmatic character of their namesake.

Feldman’s score repeatedly asks for an intensely subdued dynamic field (ppppp) which belies the tension of its chromatic blurs of dissonance and shifting pulsations. There are no violins to sweeten the palette, giving Feldman’s pointillist chords a tangier sound. Like Rothko’s lozenges of color, the musical fabric slowly draws out slight variations in perspective as fragments intersect and become absorbed into the whole, leaving us to savor their resonance.

A series of archaeological expeditions to East Turkestan, conducted by Sir Aurel Stein in the early part of this century, unearthed several fragments of knotted carpets dating from the third and sixth centuries. Though these fragments were too small to indicate either its design or provenance, they did convey a long tradition of carpet weaving. This is to a large degree the extended metaphor of my composition: not the suggestion of an actual completed work of “art”, but the history in Western music of putting sounds and instruments together.

Morton Feldman

Il “Frammento in sè”

nietzscheIl Fragment an Sich (Frammento in sè) è un brano per pianoforte solo, scritto dal filosofo Friedrich Nietzsche, datato Ottobre 1871.

Ve lo presento come curiosità. perché, dal punto di vista musicale, non mi sembra molto interessante. A mio avviso, sembra più che altro uno studio delle tecniche di armonizzazione, così come potrebbe fare uno studente.

Diversa, invece, è l’opinione di Simone Zacchini che, nel suo Al di là della musica. Friederich Nietzsche nelle sue composizioni musicali (Franco Angeli Ed.), ne fa una dotta analisi e conclude che, in questa pagina “è possibile seguire i segni di una profonda riflessione armonica e di una complessità di scrittura che nulla ha da invidiare ad altre e più note pagine pianistiche della letteratura romantica”.

Cortesemente, dissento. Queste parole mi sembrano più appropriate per altri e più maturi brani di Nietzsche, come la Manfred-Meditation, del 1872, final ver. 1877, dotata di un impianto armonico più sicuro e tradizionale.

Friedrich Nietzsche

A Carlo Scarpa architetto…

Luigi Nono
A Carlo Scarpa architetto, ai suoi infiniti possibili (1984)
per orchestra a microintervalli.
Sinfonieorchester des Südwestfunks, Michael Gielen, direction.

A Carlo Scarpa architetto, ai suoi infiniti possibili è opera dell’ultima vertiginosa stagione creativa del compositore veneziano, segnata dall’assoluta libertà formale, da un tessuto musicale fatto di lancinanti frammenti e importantissimi silenzi divarie sfumature, di anticipi e tensioni a quello che ancora mancao a quello che a fatica si ode. Dopo i trent’anni di una splendida stagione creativa, dai contenuti umanissimi e politici, Nono approda all’Unklangbar di Wittgenstein, alla violenza espressiva dell’irresonabile (come può tradursi il neologismo wittgensteiniano). Il compositore, anima autenticamente rivoluzionaria, intesse le sue partiture di pianissimo (sino a sette p!) contro la violenza non solo acustica del quotidiano contemporaneo ma anche contro la violenza di un passato musicale spesso subìto, cerca un “mondo lontanissimo e misterioso […] per sognare vari possibili futuri”. Il lavoro compositivo è sempre più fatto con altri, che sia l’Iperuranio di menti elevate che abitano gli studi, le letture e il lavorìo intellettuale del compositore, che sia fisicamente il lavoro sperimentale fatto con i musicisti interpreti, ormai consustanziale all’idea creativa: “ascoltare nel silenzio gli altri l’altro”. Il suono si carica del senso dell’essere e la sua naturale evidenza, non piegata da ragioni formali, crea una condizione di tensione permanente sentita come l’unica autenticamente umana. Evidentemente non c’è nulla di superfluo in questi luoghi sonori di arrischiata immaginazione. Se già del Canto sospeso erano stati rilevati la concentrazione eloquente e il riserbo, le isole di suono dell’ultima produzione, “infiniti colori-suoni-echi-spazi”, sono le illuminazioni di un mistico. E Nono trova il motto del suo ultimo ciclo di lavori, “caminantes, no hay camino, hay que caminar” a Toledo nel chiostro di un convento francescano del XVIII secolo.
In A Carlo Scarpa risuona l’utopia degli infiniti possibili, in perfetta consonanza col lavoro creativo dell’architetto amico, che parimenti usava dello spazio come elemento compositivo. Una natura aristocraticamente artigianale, il genio per i dettagli tecnologici, la raffinata sensibilità materica e la tensione creativa verso spazi possibili (e impossibili) avvicinano Scarpa a Nono, che nell’opera in memoria dell’amico realizza i suoi frammenti su due sole note mosse da microintervalli di 1/4, 1/8 e 1/16 di tono, sugli aloni e gli “infiniti colori-suoni-echi-spazi” derivati  da una impressionante gamma di dinamiche: “Microintervalli di altezza e di dinamica sono tecnicamente possibili evitando banali approssimazioni ed effetti inquinanti di ottave, articolando tecnica e qualità del suono, vari gradi di sua presenza-pensiero, varie gradualità possibili tante, tutte da poter ascoltare”.
L’orchestra è attentamente pensata: mancano gli oboi e la tuba e sono rafforzati i flauti e i tromboni, il gruppo ascetico delle percussioni (campane, timpani e 7 triangoli di diversa altezza) è come un’orchestra Zhou (Cina 1075-221 a.C.) e gli archi senza secondi violini sono otto per sezione. Ne nasce un’opera ieratica, di spazi cupi e sacri che potrebbero essere occupati da silenziosi e misteriosi rituali.
Non si può tacere il nome di Scelsi parlando di un lavoro sulle variazioni microtonali di due unici suoni, e tutto sommato il nome di Scelsi getta luce sul percorso estremo di Nono legato a tante fascinazioni alchemiche, al confine del non poter dire – un processo che Cacciari, che così spesso ha trovato all’ultimo Nono le
parole per dire, definisce kenotico, di svuotamento. Dunque anche Nono verso una riduzione che apre l’ascolto di tempi e spazi inauditi; il ricercare luoghi sonori abitati da una tensione verso l’infinito avvicina Nono a Scelsi, e a Scarpa, come Scelsi più consapevole dell’Oriente presente in tale percorso. Eppure per Nono, diversamente che per Scelsi, non si tratta di una liberazione dal mondo ma di una liberazione del mondo, dall’imposizione che lo condanna al male dell’insignificanza o alla meccanicità dell’accadere, sognando un futuro concretamente possibile, come gli infiniti di Carlo Scarpa, per “non dire addio alla speranza”.
[Luciana Galliano]

RIP Les Paul

les paulIl chitarrista Les Paul (il cui vero nome era Lester William Polsfuss), inventore della chitarra solid-body e curatore della linea di strumenti Gibson che porta il suo nome, si è spento ieri a White Plains (NY) alla veneranda età di 94 anni.

Questa lunga e bella commemorazione del NY Times ne rievoca la carriera, raccontando anche alcuni gustosi aneddoti, fra cui quello, ormai abusato, secondo il quale il suo insegnante di pianoforte scrisse alla madre “Your boy, Lester, will never learn music” (sembra che una storia di questo tipo ormai sia comunissima, fra i musicisti e non solo ed è quasi obbligatoria per coloro che avrebbero poi portato un grande cambiamento nel proprio settore, da John Cage ad Einstein).

In una intervista del 1991, con una certa dose di umiltà, ebbe a dire “The only reason I invented these things was because I didn’t have them and neither did anyone else. I had no choice, really.”

Musopen

Michele ha segnalato questo sito, online da Febbraio 2009.

Contiene varie partiture di musica classica libere (copyright scaduto) e parecchi MP3 (non tutti di buona qualità sotto l’aspetto interpretativo). I link per scaricare le partiture in pdf si trovano in fondo alla relativa pagina. La trasmissione è un po’ lenta.

Interessante anche il progetto Music Theory Textbook che si propone di elencare i testi e gli articoli di teoria musicale liberamente scaricabili (pochi, per ora) e una radio online che propone una selezione delle esecuzione presenti sul sito.

A Pierre. Dell’Azzurro silenzio, inquietum

Luigi Nono: A Pierre. Dell’Azzurro silenzio, inquietum (1985)
a più cori, per Flauto contrabbasso in Sol, Clarinetto contrabbasso in Si bemolle e live electronics(1985)

Roberto Fabbriciani, Flauto
Ciro Scarponi, Clarinetto

Possibilmente ascoltatelo con qualcosa di meglio delle cassettine da computer.

Dedicato a Pierre Boulez per i suoi 60 anni (compiuti il 26 marzo 1985), A Pierre. Dell’azzurro silenzio, inquietum fu eseguito per la prima volta il 31 marzo 1985 a Baden-Baden, con Roberto Fabbriciani, Ciro Scarponi e la realizzazione live electronics dell’Experimentalstudio di Friburgo. La partitura porta la data 20 febbraio 1985.

La collaborazione con Fabbriciani (flauto) e Scarponi (clarinetto) e l’indagine sui loro strumenti ha un posto di grande rilievo nella ricerca dell’ultimo decennio di Nono, nello scavo nella vita interiore del suono compiuto con l’aiuto dell’elettronica dal vivo e di alcuni interpreti congeniali. La ricchezza di armonici del flauto contrabbasso è uno degli aspetti indagati nel pezzo, dove l’apporto degli strumentisti dal vivo e quello del live electronics è difficilmente distinguibile, perché si persegue una compiuta integrazione, una fusione tra suoni dal vivo e suoni elaborati elettronicamente: insieme formano una fascia sonora ininterrotta caratterizzata da un continuo fluttuare, da una mobilità interna delicatissima e incessante, composta nello spazio e per lo spazio, alle soglie tra il suono e l’ “azzurro silenzio”.

Mobilità e spazialità sono aspetti decisivi e spiegano perché Nono può usare a proposito di un pezzo per due strumenti l’espressione ‹‹a più cori››, riprendendo la terminologia veneziana del secolo dei Gabrieli, da lui usata in molte altre occasioni (ad esempio chiamò “cori” i sette gruppi strumentali di No hay camino, hay que caminar…Andrej Tarkovskij).

Scrisse nel breve testo di presentazione:
Più cori continuamente cangianti per formanti di voci-timbri-spazi interdinamizzati e alcune possibilità di trasformazione del live electronics ‹‹Più cori continuamente cangianti››: di questo appunto si tratta. Nella parte dei due solisti, con dinamiche quasi sempre comprese tra “piano” (p) e “pianissimo” (ppppp), con rare incursioni fino al “mezzo forte”, è richiesta una continua varietà di modi di emissione, dal suono in emissione ordinaria a quello in cui prevale il rumore d’aria, con presenza variabile o assenza di altezze determinate, dai sovracuti suoni “eolien”, ai suoni con fischio, ai cluster, ai bicordi di armonici, dove talvolta dovrebbe apparire, come intermittente, discontinuo “suono ombra”, il suono fondamentale dei bicordi.

L’elettronica, determinante per l’articolazione nello spazio, aiuta a rendere percepibili i suoni degli strumenti, di incorporea levità, li trasforma e se ne appropria attraverso il “delay”, facendo in modo che con breve “ritardo” il suono registrato entri a far parte del suono complessivo. Con il delay il suono dello strumento si ascolta anche quando il solista tace, e anche in questa continuità si riconosce un aspetto della fusione tra strumenti ed elettronica che è determinante nel pezzo.
[Paolo Petazzi in cematitalia]

Nota mia:
Il ritardo di cui sopra non è propriamente breve, musicalmente parlando. Si tratta di due delay di 12 secondi, a tratti utilizzati anche in serie per un totale di 24 secondi. In questo modo si crea il continuum sonoro.

Inherent Vice

Il nuovo libro di Thomas Pynchon, Inherent Vice, è uscito qualche giorno fa (il 4) negli USA.

Mi ha sorpreso il fatto che esiste il trailer, ed è pure bello. E mi chiedo se la voce narrante possa essere proprio la sua. Di questo scrittore, ormai di culto, che è un fantasma perché non si fa mai vedere (è letteralmente svanito fin dagli anni ’60).

Pynchon non ama rivelarsi al pubblico se non attraverso le sue opere, tanto che anche in wikipedia c’è solo una sua foto da giovane e se lo cercate in Google image, trovate sempre quelle 3/4 immagini da ragazzino.

Ballard vive

Lonely HighriseProbabilmente è un effetto collaterale della crisi immobiliare negli USA, ma, in ogni caso, questa è una storia alla Ballard.

Questo condominio di 32 piani si chiama Oasis Tower One e si trova a Fort Myers, Florida. Ha 200 appartamenti, ma uno solo è occupato.

Victor Vangelakos, 45 anni, vigile del fuoco del New Jersey, lo ha acquistato 4 anni fa, quando Fort Myers era nel bel mezzo di un boom immobiliare, con l’idea di mandarci la famiglia in estate e poi di trasferirvisi stabilmente, ma, da allora lui e la sua famiglia sono rimasti gli unici abitanti dello stabile.

La maggior parte degli altri proprietari non ha confermato il proprio contratto e quelli che invece l’hanno fatto, hanno preferito permutare l’appartamento con uno equivalente, appartenente alla stessa agenzia, in un altro building perché quel palazzo era più frequentato di questo.

L’agenzia che ha venduto ai Vangelakos, invece, non ha dato loro questa possibilità. Così, quando vengono qui, hanno l’uso esclusivo della piscina, della sala giochi e della palestra.

“Per noi che veniamo dalla città” dice Victor, “è piuttosto inquietante. È come vivere in un film dell’orrore”.

Nel frattempo, la fontana di fronte allo stabile è stata chiusa, le luci intorno alla piscina sono state spente e le palme tagliate. Lo scarico della spazzatura è stato sigillato e un bidone è apparso di fronte al loro appartamento.

21/12/2012

Allora, inviterei a leggere questo breve articolo di Antonio Aimi sulla data fatidica, attorno alla quale sta effettivamente nascendo un crescendo di fantasie e business che saranno vieppiù alimentate dall’uscita del film.

Aimi è effettivamente un importante studioso di arte e civiltà precolombiane. Ha recentemente pubblicato con Raphael Tunesi, Maya e Aztechi per Mondadori, Electa.

L’articolo è apparso oggi su La Stampa.it

21/12/2012: la fine del mondo?
di Antonio Aimi

Anche se un proverbio cinese ricorda che «quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito», nel caso del tormentone «2012 – la fine del mondo» (profezie apocalittiche, film, libri, siti Internet e chi più ne ha più ne metta) sarebbe bene guardare il dito. Anzi la persona che tiene il dito puntato verso il nulla. Ma capire le ragioni di queste mode new age va al di là delle possibilità di chi ha una certa familiarità col calendario maya, l’innocente motore immobile del circo che ci aspetta da qui alla data fatidica. In attesa di vedere come andrà a finire (ovviamente si accettano scommesse) può essere utile verificare che cosa sul 2012 hanno detto i diretti interessati. Innanzi tutto è importante osservare che si tratta sostanzialmente di una estrapolazione dal Conto Lungo, uno dei calendari maya. I Maya, in realtà, non fanno mai riferimento al 2012 né lo associano ad alcuna profezia.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire che cos’è il Conto Lungo. Sorprendentemente, in tutta la Mesoamerica – l’area archeologico-culturale che va dalle aree semidesertiche del Messico centro-settentrionale alle foreste pluviali dell’Honduras e della penisola di Nicoya in Costa Rica – veniva utilizzato un sistema calendariale completamente diverso da quelli usati nel resto del mondo. Esso si basava sull’interazione di due cicli: l’anno solare di 365 giorni senza bisestile e il calendario rituale di 260 giorni, basato sui passaggi zenitali (260 + 105) del Sole a Izapa (a circa 14° 55’ di latitudine Nord). Combinandosi tra di loro questi due cicli formavano un periodo di 18980 (minimo comune multiplo di 260 e 365) giorni, vale a dire un periodo di 52 anni, che si potrebbe chiamare con una certa forzatura «secolo mesoamericano». Quando finiva il «secolo mesoamericano», il calendario ricominciava da capo con giorni che avevano lo stesso nome di 52 anni prima. È evidente, dunque, che questo sistema calendariale veicolava una concezione iperciclica del tempo.

Le culture epiolmeche, tuttavia, e, alcuni secoli dopo, la cultura maya del Periodo Classico (300-900 d.C.), affiancarono al tradizionale calendario mesoamericano il Conto Lungo, un ciclo lunghissimo di 5125,36 anni che, pur rimanendo circolare, in realtà, per via della sua lunghezza, trasmetteva una concezione quasi lineare del tempo. All’interno del Conto Lungo una qualsiasi data veniva scritta con cinque numeri che da destra a sinistra indicavano: i giorni, gli uinal (mesi di 20 giorni), i tun (anni di 360 giorni), i katun (periodi di 20 tun) e i baktun (periodi di 20 katun). Ad esempio: 12.19.16.10.3 (corrisponde al 2 agosto 2009).

Il Conto Lungo aveva cominciato a «girare» il 6 settembre 3114 a.C., quando segnava 0.0.0.0.0 (per ragioni che qui è complicato spiegare questa data veniva scritta 13.0.0.0.0, indicando il completamento del ciclo precedente) in un giorno 4 Ajaw del calendario rituale e 8 Kumku’ dell’anno solare. Il bello di questa data iniziale è che era una pura speculazione teorica, perché si riferiva a un periodo sul quale gli inventori del Conto Lungo non avevano nessun dato, dal momento che nel 3114 a.C. le popolazioni epiolmeche e maya ancora non esistevano. Le prime stele col Conto Lungo compaiono oltre tremila anni dopo la data iniziale (la più antica, la Stele 2 di Chiapa de Corzo, è del 36 a.C.). Non si sa perché fu inventato questo nuovo calendario, né quale funzione avesse al suo esordio. È abbastanza chiaro, tuttavia, che durante il Periodo Classico, quando i monumenti e le stele col Conto Lungo costellavano i centri cerimoniali delle città maya, la data iniziale si riferiva alla creazione del mondo, probabilmente alla quarta creazione, quella degli uomini di mais. Inutile dire che i testi associati al Conto Lungo non contenevano fosche profezie sul futuro, ma guardavano, per così dire, al passato, perché celebravano le imprese e i lignaggi dei re maya collocandoli in un piano temporale che rinviava agli eventi del tempo mitico della creazione.

Per molto tempo alla data finale del Conto Lungo non si è prestata molta importanza, ma le cose hanno cominciato a cambiare quando si è scoperto il modo corretto di trovare le correlazione tra il Conto Lungo e il nostro calendario e si è osservato che il Conto Lungo terminerà il 21 dicembre 2012. Questa data, fino all’esplosione della passione per il 2012, è stata considerata dai mayanisti una semplice curiosità, perché nei loro testi i Maya del Periodo Classico non la citano quasi mai e non le attribuiscono un particolare valore apocalittico o epocale. L’unica eccezione è il Monumento 6 di Tortuguero, un piccolo sito agli estremi confini occidentali dell’Area maya, che presenta un testo molto eroso e per questo di difficile lettura, ma che in ogni caso non sembra avere alcun carattere profetico.

La ragione che spingeva i Maya, in genere abbastanza attenti ai momenti liminari del calendario, a non dare molta importanza alla fine del Conto Lungo, a parte il fatto banale che non aveva molto senso pensare a un evento così lontano nel tempo, è molto semplice. La data della fine del Conto Lungo, il 13.0.0.0.0, non replica le condizioni del giorno della creazione, perché cade in un giorno 4 Ajaw del calendario rituale e 3 K’ank’in dell’anno solare. Il discorso, ovviamente, sarebbe stato ben diverso se, invece, avesse ripresentato le date 4 Ajaw 8 Kumku’, il che avrebbe spinto i Maya a considerare il 21 dicembre 2012 un giorno favorevole a una nuova creazione. Quindi gli apocalittici devono rassegnarsi, la scadenza che ci attende tra qualche anno non vedrà la fine del mondo e nemmeno, purtroppo, una nuova creazione. Considerando i tempi che corrono, è certo che gli dèi maya potrebbero avere più di un motivo per volere una nuova umanità.

Nos Meilleurs Stockhausen

coverEra tempo che qualcuno diffondesse una nuova versione di alcuni brani del ciclo Aus den sieben Tagen, eseguendola indipendentemente dall’autore. In realtà di esecuzioni ce ne sono state, ma poche sono state registrate e diffuse, al di fuori di quelle dirette dallo stesso Stockhausen (oggi ne possiamo vedere alcune grazie a YouTube).

La difficoltà è data dal fatto che i brani che fanno parte di Aus den sieben Tagen, composti nel Maggio 1968, sono definiti dall’autore come “musica intuitiva”, cioè musica prodotta mediante l’intuizione, più che dall’intelletto.

La partitura di ciascuno di essi si compone unicamente di una breve serie di istruzioni comportamentali, spesso di carattere esoterico, che richiedono all’esecutore anche un impegno meditativo non banale, a volte tale da portarlo vicino allo stato del Buddha («…arriva a uno stato di non pensiero…»).

Un esempio è il seguente, che si riferisce a Setz die Segel zur Sonne:

Play a tone for so long
until you hear its individual vibrations

Hold the tone
and listen to the tones of the others
– to all of them together, not to individual ones –
and slowly move your tone
until you arrive at complete harmony
and the whole sound turns to gold
to pure, gently shimmering fire

Qui trovate un commento a questi brani, con tutti i testi che ne costituiscono le partiture e una intervista sulla musica intuitiva con lo stesso Stockhausen.

Ora un gruppo di improvvisatori francesi, noto con il nome di Le Car de Thon, ha eseguito tre brani pubblicati dalla netlabel Insubordinations. Qui vi faccio ascoltare la loro versione di Setz die Segel zur Sonne (att.ne: inizia pianissimo e cresce). L’intero album è scaricabile qui.

  • Le Car de Thon – Setz die Segel zur Sonne
    Esecutori:
    Yannick Barman: trompette
    Brice Catherin: violoncelle et électronique
    Vincent Daoud: saxophone
    Jean Keraudren: spatialisation et effets
    Christian Magnusson: trompette
    Benoît Moreau: clarinette
    Luc Müller: percussions
    Cyril Regamey: percussions
    Jocelyne Rudasigwa: contrebasse

Il potere della scala pentatonica

Bobby McFerrin mostra il potere della scala pentatonica alla conferenza “Notes & Neurons: In Search of the Common Chorus”, al World Science Festival, June 12, 2009.
L’ho sempre detto che il temperamento equabile è stato un gigantesco errore 😎

Bobby McFerrin demonstrates the power of the pentatonic scale, using audience participation, at the event “Notes & Neurons: In Search of the Common Chorus”

Se poi qualcuno vuole vedersi tutta la conferenza… (1h:45′)
If anyone wants to watch the whole conference… (1h:45′)

Tanto per ribadire…

iphone jail…la mia sfiducia sull’apertura dell’iPhone e più precisamente sulla libertà di sviluppare software per il nuovo giocattolo Apple, è di questi giorni la notizia che Apple ha ritirato ogni applicazione legata a Google Voice, il servizio voip di Google, dall’AppStore, ovvero l’unica fonte tecnicamente abilitata ad installare programmi sul telefonino, in altre parole l’unico modo legale che gli utenti hanno per aggiungere applicazioni sull’iPhone.

Google Voice è un servizio per molti aspetti dirompente: offre all’utente (per ora solo negli Usa) un numero universale, attraverso cui fare e ricevere gratis tutte le proprie telefonate. Google ha lanciato il servizio di recente anche su cellulari Android e Blackberry. Ha provato a sbarcare anche sull’iPhone, mettendo Google Voice tra le applicazioni dell’App Store. Apriti cielo: Apple ha rimosso l’applicazione, dando anche un motivo ufficiale: si sovrappone alle funzioni base dell’iPhone per chiamate e sms. In altre parole, dà fastidio perché pesta troppo i piedi agli operatori alleati di Apple.

Per motivi analoghi, le applicazioni di telefonia internet presenti su App Store (come Skype) consentono di chiamare solo via WiFi e non tramite rete dell’operatore. Apple ha bandito in passato applicazioni simili come VoiceCentral e GVDialer, ma adesso la mossa fa rumore perché si apre uno scontro diretto con Google. Che protesta: attraverso un portavoce ha detto di non approvare la scelta di Apple. E che comunque non si arrende. Proverà a offrire applicazioni Google agli utenti iPhone utilizzando il browser come piattaforma. Il browser come cavallo di Troia per aggirare i limiti dell’App Store, quindi. L’idea è che, in futuro, l’utente potrà accedere via cellulare a un sito web che offrirà direttamente il servizio Google Voice. Senza il bisogno di scaricarla e installarla (un po’ come avviene, su pc, con Google Docs). Google ha già fatto così per offrire il servizio Latitude agli utenti iPhone.

La mossa di Apple ha scatenato un po’ di malumori non solo negli uffici di Mountain View ma anche in quelli della Federal Communication Commission (FCC) che ha ufficialmente aperto un’inchiesta. Scopo dell’inchiesta e capire i motivi per cui Google Voice Mobile per iPhone è stata respinta da App Store, e perchè molte altre applicazioni Voice Over IP sono state eliminate o non vengono approvate per l’inserimento nel negozio virtuale.

La FCC deve vigilare sul mercato della telefonia per favorire la libera concorrenza e dato che alcune delle applicazioni respinte o non più presenti permettono di telefonare o di mandare SMS gratuitamente e quindi sono sicuramente più concorrenziali rispetto alle tariffe AT&T, la commissione federale vuole anche far luce su eventuali accordi esistenti tra Apple e il colosso telefonico americano che potrebbero essere alla base di questi rifiuti.

Apple adesso ha 3 settimane di tempo per fornire alla FCC le risposte, in cui dovrà spiegare se le applicazioni rifiutate violano veramente l’accordo di sviluppo delle applicazioni per iPhone o se violano gli “accordi economici” che Apple ha con AT&T.

Fuga da Dubai

È molto interessante e istruttivo osservare gli effetti della crisi mondiale a Dubai. Questo paese ha costruito il grattacielo più alto del mondo (Burj Dubai, di cui abbiamo già parlato) e altri milioni di metri cubi, con l’idea di investire nel mattone i fiumi di petrodollari che affluiscono nelle casse dell’Emirato.

Il punto è che la crisi ha colpito duramente il settore immobiliare e a Dubai la maggior parte degli investimenti è proprio in questo settore. Di conseguenza si sono generati due effetti.

Il primo consiste nel crollo del valore degli investimenti. Fino a qualche anno fa, i prezzi degli appartamenti anche di livello più basso erano in costante crescita. Secondo Il Sole 24 Ore, “quello che nel 2002 nella torre Terrace (Dubai Marina) costava 1.600 euro al metro quadrato è salito a 4.100 nel 2006 e oggi [marzo 2008] vale 6mila euro”.

Ovviamente i prezzi salivano via che ci si avvicinava alle zone più esclusive, fino al mitico Burj Dubai in cui gli appartamenti di lusso venivano proposti a 30.000 euro al m2.
Ora tutti questi prezzi sono calati dal 20 fino al 50%, sbriciolando milioni di dollari di investimenti.

Ma il secondo effetto è stato anche peggio. Quando, nel novembre 2008, le banche hanno chiuso i rubinetti dei finanziamenti, molte imprese sono state costrette a rallentare i piani di costruzione e a licenziare pesantemente. Parecchi progetti di costruzione (per un valore totale di 582 miliardi di dollari) sono stati messi in attesa o cancellati. Fra le perdite, la torre Donald Trump che prometteva di essere “the ultimate in luxury”.

Il fatto è che, sebbene a Dubai non si applichi integralmente la legge islamica, le pene per gli insolventi sono molto dure: si va dritti in galera. Di conseguenza, gli stranieri, che ammontano all’80% della popolazione, mentre solo il 20% è locale, se perdono il lavoro hanno una sola possibilità: trasferire rapidamente i liquidi nel conto di casa e prendere il primo aereo con un biglietto di sola andata. Le rate già pagate del mutuo, quelle del leasing dell’auto, le carte di credito che laggiù hanno un tetto medio mensile intorno ai 50mila euro, tutto è perduto.

Negli ultimi mesi, il sistema di posta elettronica di Dubai era ingolfato di email tipo “New Jaguar – need to sell before the end of the week.”

All’aeroporto, centinaia di auto sono state abbandonate nel giro di poche settimane. La polizia sostiene di averne contate tremila solo negli ultimi mesi (La Stampa). Le chiavi lasciate nel cruscotto, le carte di credito ormai spremute buttate sul sedile e qualche volta, una lettera di scuse nel cassetto. Non che così uno possa liberarsi dai debiti, ma almeno, nel proprio paese, non finisce in galera.

A Dubai, però, c’è anche una maggioranza invisibile di veri perdenti.
Taxi driver dall’Egitto, Yemen e Iraq. Gente del subcontinente indiano che ha fatto per mesi lavori pericolosi nella costruzione degli edifici guadagnando 80 euro al mese. L’ambasciata indiana ha dichiarato di aver rimpatriato almeno 20.000 persone.

Per correttezza, devo anche dire che alcuni siti più o meno ufficiali, smentiscono tutto ciò.

Fonti: New York Times, Guardian, VOA News, Reuters

Loci_

Loci_ is another audio-visual project by Blake Carrington.

“Loci_” is a series of prints generated by a custom sound-to-image visualizer.  Audio field recordings are fed into the system, then manipulated into abstract imagery that brushes against architectural and topographic representation.  The project deals with perceptual analogues to the conversion of audiovisual data, and is motivated by a statement from R. Murray Schafer: “All visual projections of sounds are arbitrary and fictitious”.

The author is currently working on re-writing the Max/MSP/Jitter patch to accommodate a much larger physical scale. The imagery is created in real-time and relies much on feedback loops of matrix data to create the forms. Possible developments for the future include vinyl mural prints and audiovisual performance with widescreen high-definition projection.

Suomenlinna Ornithological Society

At the core of “Suomenlinna Ornithological Society” is the invention of new bird species with electronic birdsongs. The concrete sources of these birdsongs are samples taken from a Suomenlinna museum film about the history of the island. Explosions, cannonball whistles, and grisly vocal narrations are re-shaped into the rhythms, timbres and frequencies of birdsong. This transformation references the Electronic Voice Phenomenon (EVP), a supposedly paranormal occurrence where voices of the dead are heard via electronic technology.

The project has thus far been realized in three different forms:

  1. The Society’s Website archives the invented bird species as well as a number of real species found in Finland. A curious presence can also be detected by the inquisitive visitor.
  2. An “electro concrète” remix of the archive was commissioned by MUU Gallery for their net radio series Audio Autographs. This is an excerpt from the upcoming full-length album titled Ghost Cycle~, to be released under the moniker Suomenlinna Ornithological Society.
  3. Three small audio devices were created with the Arduino board + Waveshield by Adafruit Industries. These devices were placed in trees and gun shafts in the environment, playing the artificial birdsongs.

Project by Blake Carrington
Blake Carrington is an artist based in New York, exploring the interstices of geography and phenomenology. He recently completed residencies at HIAP in Helsinki and Atlantic Center for the Arts with Carsten Nicolai, and received an MFA in the Department of Transmedia at Syracuse University. With his two collaborators in the artist group Avalanche Collective, he co-founded Urban Video Project, a public arts initiative that used the post-industrial landscape of Syracuse as context for multimedia projections. Before coming to New York he lived in Japan for two years, working for the Japan Exchange and Teaching Programme.

View more work at http://blakecarrington.com

RIP Merce Cunningham

Nato nel 1919 a Centralia, nello stato di Washington, inizia la sua formazione alla Cornish School of Performing and Visual Arts di Seattle. Nel 1939 Merce Cunningham si reca a New York dove diventa solista nella compagnia di Martha Graham, la sua collaborazione con la grande danzatrice (sua insegnante) durerà fino al 1945. Durante la sua permanenza a New York incontra il grande compositore John Cage con cui stringerà un profondo sodalizio artistico e di vita che durerà circa 50 anni; insieme hanno proposto una serie di innovazioni radicali nel paesaggio artistico, tra le più note è la rivoluzione relativa al rapporto fra musica e danza che diventeranno due elementi concepiti come indipendenti, che vengono sovrapposti solamente nel momento della performance. Nel 1947, infatti, viene messa in scena “The Seasons“, le cui coreografie vengono elaborate nel silenzio, mentre Cage compone la musica che sarà associata con la danza soltanto la sera del debutto.

Nel 1944 presenta a New York la sua prima coreografia su musica di Cage, e nel 1953 fonda la “Merce Cunningham Dance Company” che è considerata una delle più importanti compagnie di danza, e per quasi quarant’anni, fino alla sua morte (1992) John Cage ne è stato il direttore musicale.

È interessante notare anche il nome dei direttori artistici: fino al 1968, Robert Rauschenberg; dal 1968 al 1980, Jasper Johns. Proprio su suggestione di quest’ultimo, utilizza come scenario per un suo spettacolo intitolato “Walkaround Time“, un opera di Duchamp “Il Grande Vetro” come una sorta di omaggio, nell’anno della sua scomparsa, alla sua arte.

Sempre in questo periodo il suo interesse si riversa anche verso la realizzazione di alcuni film e video sulla danza, ciò gli permette di declinare in nuove forme artistiche la sua straordinaria visione della danza. Si dedica in particolare e con grande interesse alle possibilità creative della cinepresa, soprattutto riguardo al modificare il punto di vista consueto sul movimento, una sorta di anticipazione di quello che realizzerà in futuro attraverso l’uso di particolari software.

Nel 1966 realizza con Stan Van Der Beek, Variations che si svolge in uno spazio scuro in cui dei ballerini attivano dei sensori interrompendo un raggio luminoso, innescando inserti musicali di Cage, mentre su alcuni schermi sono riprodotte immagini di film o di vita quotidiana. Nel 1973 fa ingresso all’Opéra di Parigi con la creazione Un jour ou deux.

A partire dagli anni settanta Cunningham coltiva questo suo interesse che vede l’interazione tra danza e video, realizza infatti le coreografie di numerosi video e documentari collaborando con diversi film maker tra i quali Frank Stella, Andy Warhol, Robert Morris, Charles Atlas e Elliot Caplan. Nel 1986 crea insieme a Cage, Life Forms, primo software di notazione dei movimenti di danza. Nel 1989 crea con Elliot Caplan, Changing steps (rielaborazione di uno spettacolo del 1975).

Nel 1999 la collaborazione con Atlas ha dato vita alla produzione del documentario Merce Cunningham: A Lifetime in Dance.

Sito web: merce.org

Diritti digitali?

coverVenerdì 17 Luglio
Giorno sfortunato di nome e di fatto per centinaia di possessori di Amazon Kindle, il lettore di e-book di Amazon, che scoprono che due libri di George Orwell regolarmente acquistati e pagati, uno dei quali, ironicamente, è 1984, sono scomparsi dal loro lettore, lasciando al loro posto solo una lettera di scuse e un buono di acquisto pari al valore pagato.

Cos’è successo? Una semplice disputa legale con i possessori dei diritti ha fatto sì che Amazon decidesse di interrompere la vendita dell’edizione elettronica e di conseguenza, cancellasse da remoto tutte le copie già vendute e conservate sul lettore dei clienti, sostituendole con un buono acquisto di pari valore.

In pratica, è come se gli agenti di una libreria penetrassero nottetempo nelle case dei clienti per ritirare le copie di alcuni libri appena venduti, lasciando al loro posto un buono.

Ma può? Certo. Il DRM consente questo ed altro. La cosa “divertente” è che ai clienti di Amazon ed altri sistemi di e-book del genere è stato raccontato che i libri in forma digitale sono come quelli stampati, anzi migliori.
Poi, però, l’utente ha scoperto che, una volta letti, non li può né vendere né prestare perché girano solo sul suo lettore. Adesso scopre anche che, se il venditore ci ripensa, possono anche sparire.

Morale? Non comprate niente in forma digitale prima di essere sicuri che sia privo di lucchetti e che possa essere spostato su qualsiasi macchina.

Qui la notizia sul New York Times

Birds

Chiamarla computer art è eccessivo, ma è notevole quello che si può fare con una semplice immagine e per di più senza colori né livelli di grigio, ma in puro e semplice bianco/nero

birds

Sonorità Liquide

Sonorità Liquide è una proposta del gruppo Handmade Music, dedito alla progettazione e costruzione di strumenti elettroacustici e sculture sonore.

Il filmato, che spiega anche il funzionamento delle sculture sonore, si riferisce alla rassegna del 2007, rinnovata, con altre installazioni, pochi giorni fa, il 15 luglio, sempre alla Casa da Música a Porto.

I patch di composizione algoritmica e di sintesi sono sviluppati in Max/MSP mentre i sensori sono stati elaborati basandosi sull’Arduino board. Ideazione e realizzazione di Rui Penha con la collaborazione di Luís Girão.

Vaporetti e orologi

Dopo una visita alla Biennale di Venezia, Andreas Bick ha composto un brano formato unicamente dai suoni dei vaporetti. I vaporetti sono una parte fondamentale del paesaggio sonoro veneziano e spesso sono vissuti con fastidio (io li chiamavo “grande sforzo, piccolo movimento”), ma qui diventano una sogente sonora ricca e interessante.

SOCIAL [net.work music]

logoDrawing influence from both contemporary DJ culture and the Fluxus musicial traditions of artists like Ben Vautier and John Cage, SOCIAL [net.work music] is a new improvised network sound project and performance which utilizes the MySpace Music social network as its core sound library.

Recently, I’ve been interested in the the aural connections created through the MySpace Music social network. By navigating the “Friends Space” link section on each member’s page, reminiscent of web 1.0 webrings, the user can access an interconnected network of each artists influences, friends and label mates, allowing them to discover new artists and different genres of music. Most of the pages feature a jukebox with samples of the musicians work which automatically begin to play once the page has finished loading.

The SOCIAL [net.work music] project and performance begins on my own MySpace Music page. I select at random an artist from my “Friends Space” list and allow the page to load. Once the music begins to play, i select a friend link from that artist’s list and open the page in a new tab. This permits the music to layer over top of the previous track. The process continues until, eventually from the inability to handle the incoming data load, the browser crashes, bringing the composition to an end.

Each performance yields a spontaneous and unique, layered score without the use of  sample preparation, sophisticated hardware or software. All of the resulting audio produced in each performance is unedited and live in the moment. These works can be created  and performed anywhere at anytime with simply a web browser and internet connection. I sculpt the layered audio on my end with a hacked kaoss pad, to add my own color to the sonic collage.

[Jason Sloan]

Jason Sloan is a new media artist, electronic musician, composer and professor at the Maryland Institute College of Art in Baltimore, Maryland.

Go to SOCIAL [net.work music] to listen.

Riappropriarsi di ciò che è vuoto

logoIl 12 Giugno 2009 le ultime TV americane che trasmettevano in analogico hanno spento per sempre i loro trasmettitori, passando al digitale.

Nella stessa data, The End of Television ha acceso i propri trasmettitori diventando l’unica TV analogica attiva negli USA.

Utilizzando un medium praticamente obsoleto, The End of Television ha rilanciato il mai sopito ideale del “broadcast yourself” trasmettendo una rassegna di 22 ore di video realizzati da più di 40 artisti.

The End of Television continua le proprie trasmissioni restando l’unica TV sul territorio americano visibile senza l’apposito decoder.

Così sarebbe stato…

…se, invece degli Stati Uniti, la corsa alla luna l’avessero vinta i russi. In realtà il loro progetto era troppo complesso e cervellotico per prevalere (es: un vettore a 5 stadi invece di 3, con 30 piccoli motori).

Però dal punto di vista estetico non c’è confronto. Lo steampunk retrò dei sovietici era impagabile…

lok

We choose to go to the Moon

“We choose to go to the Moon” sono le storiche parole pronunciate dal pres. JFK nel Settembre 1962 per annunciare il varo del programma che avrebbe portato l’uomo sulla Luna alle 20:17:40 UTC del 20 Luglio 1969 (le 2 del 21 Luglio in Italia), 40 anni fa.

Circa 6:30 ore dopo l’allunaggio, alle 2:56 UTC del 21 Luglio, Armstrong posò il piede sul nostro satellite e fece il suo grande passo per l’umanità.

Fra le moltissime iniziative commemorative, vi segnalo we choose the moon, un sito che propone una simulazione in computer graphic e in tempo reale dell’intera missione, con spezzoni dell’audio originale e varie immagini.

I confini dell’evoluzione

coverNella calde sere d’estate si rilegge e questa è una rilettura di un romanzo di grande suggestione. Ian McDonald, I confini dell’evoluzione, collana Solaria, Fanucci editore, 2003 (orig. Evolution’s Shore, 1995), 458 pagg., € 16.

Un meteorite composto di materiale biologico piomba nel cuore dell’Africa. È il Chaga, che tutto ingloba senza distruggere nulla. Il Chaga deforma il nostro ambiente e lo rimodella secondo una propria biologia compatibile con la nostra, ma nuova e sconosciuta. Provoca repulsione in alcuni e affascina altri.

Non è qualcosa che distrugge, ma qualcosa che cambia profondamente l’ambiente. E si espande gradualmente. Una zona di alienazione che per alcuni equivale ad un nuovo Eden. A un rapporto molto più diretto fra l’uomo e la natura “Al di là del denaro, dell’energia, delle telecomunicazioni, delle ricevute delle tasse, al di là delle ipoteche, dei prestiti bancari, delle pensioni e delle assicurazioni.”

Un cuore di tenebra in cui si può vivere e a cui si può sopravvivere. Qualcuno va e resta, ma qualcun’altro va torna dal Chaga, ma ne esce anche visibilmente cambiato.

Il Chaga mantiene e nutre ciò che ne fa parte, imparando da ciò che ingloba e sintetizzando nuovi micro ambienti per permettere a tutte le entità biologiche di sopravvivere, sia pure diverse, cambiate, in una simbiosi che comporta anche una nuova organizzazione sociale: “l’abbondanza del Chaga era la negazione del consumo capitalista…”

Tutti gli uomini del Presidente

Il 14 luglio ho scritto lo stesso. Non è che non sono contro questo decreto. Lo trovo grave perché avvicina di un altro passo l’Italia alla Cina, all’Uzbekistan, al Kazakhistan e all’Iran ed è pericoloso, perché assimila nuovi e vecchi media, ma francamente non mi sembra così tremendamente lesivo della libertà personale.

Forse mi sfugge qualcosa, ma se scrivo quanto segue:

VENEZIA, 10 LUG – La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna a due mesi, con sospensione condizionale della pena, nei confronti di Flavio Tosi, sindaco di Verona, per propaganda di idee razziste. [fonte: ANSA]

non vedo come qualcuno possa chiedermi una smentita. Il dato di fatto è che il nostro sindaco è stato condannato con sentenza definitiva per propaganda di idee razziste. In un qualsiasi altro paese civile, la stampa farebbe un bel casino e Tosi sarebbe costretto a dimettersi. Qui non succede, anzi, non se ne parla nemmeno e trovo che questo sia ancora più grave.

Questa sera in TV, curiosamente su 7Gold, che di solito parla di calcio e non manda film particolarmente impegnati, è passato un vecchio film del 1976, di Alan Pakula. Si intitola “Tutti gli uomini del Presidente”, con Redford e Hoffman nella parte di Bob Woodward e Carl Bernstein, i due giornalisti che, con la loro indagine, fecero scoppiare lo scandalo Watergate in seguito al quale il presidente Nixon fu costretto a dimettersi.

Woodward e Bernstein hanno fatto semplicemente il loro lavoro: hanno fatto domande, molte domande, a tutti, fino a quando qualcuno, in modo più o meno anonimo o trasversale, non ha cominciato a parlare.

Qui, ad eccezione di qualcuno, i giornalisti non domandano mai niente. Si limitano a riferire e qualche volta, a commentare. Qualcuno è andato a chiedere a Tosi perché non si dimette? No. Nella maggior parte dei casi si sono limitati a riferire le sue dichiarazioni senza commentarle.

D’altra parte, se scrivo che il tale è un ladro, devo anche stare un po’ attento a quello che dico. Per scendere nello specifico, non posso dire che Berlusconi ha corrotto un testimone, ma posso senz’altro dire che la sentenza di primo grado del processo Mills indica Berlusconi come il corruttore dell’avvocato Mills. Non mi sembra che questa affermazione renda le cose meno gravi rispetto alla precedente. In un paese normale basta e avanza…

Non so cosa ne pensate voi. Secondo me questa legge è idiota e rende palese il desiderio di controllo che i nostri politici (quasi tutti) hanno nei confronti della rete. Però il fatto che i bloggers si mettano a gridare allo scandalo quando, nella maggioranza, non si sono mossi vedendo passare leggi che, a mio avviso, fanno a pezzi principi come l’uguaglianza di fronte alla legge, mi suona un po’ ipocrita.

L’altra faccia della realtà

millemondi_48È il titolo dell’Urania che sto leggendo (Millemondi num. 48, estate 2009, titolo originale Year’s Best SF #11).

31 racconti brevi (a volte molto brevi) e una introduzione, per 475 pagine, il che dà una media di 14.84375 pagine per racconto. Ma la varianza è elevata: ci sono racconti di 2.5 pagine; solo alcuni arrivano a 20; soltanto uno arriva a 50. Prezzo ragionevole: €5.50. L’ideale per la spiaggia, oppure per chi, come il sottoscritto, viaggia in treno tenendo corsi estivi di informatica musicale.

Il panorama degli autori è notevole, anche se, con la solita infamia tipica di Mondadori, il sottotitolo meriterebbe una condanna per pubblicità ingannevole. Infatti recita: “i migliori racconti dell’anno”, facendo pensare, ovviamente, all’anno scorso, mentre, né in copertina né in quarta si accenna al fatto che l’anno è il 2005. Te ne accorgi solo attaccando l’introduzione che, peraltro, è quella originale dei curatori David G. Hartwell e Kathryn Cramer.

Al di là di questa “piccola idiozia”, che comunque testimonia uno scarso rispetto per il lettore, i racconti sono piuttosto belli, stimolanti e rappresentativi delle tendenze recenti della SF.

Sono molti anni, ormai, che la fantascienza non è più una rivisitazione della vecchia contrapposizione cowboy contro indiani, ma negli ultimi tempi le sue ramificazioni si sono moltiplicate e allargate a dismisura. Se da Dick in poi, SF è anche un presente alternativo, da Gibson in poi, SF è anche un presente tout court, una possibile piega di un domani molto vicino.

Così i racconti di questa raccolta vanno dalle utopie possibili, agli effetti delle droghe sintetiche fino ai problemi della comunicazione aliena e alle tematiche più classiche della fantascienza di avventura e di esplorazione. D’altra parte, il racconto è sempre stato la spina dorsale della SF ed è così anche oggi grazie alle riviste online.

Fra i nomi spiccano Bruce Sterling, Greg Bear, Gregory Benford, Peter F. Hamilton, Vonda N. McIntyre, Rudy Rucker, Ted Chiang, Stephen Baxter, Joe Haldeman e altri, meno affermati, ma spesso sorprendenti.

A tutti gli autori è dedicata una pagina di presentazione completa di indicazione del loro sito.

Eroica Spettrale

Jeff Harrington definisce la sua musica come:

Music that is tonal and intensely contrapuntal inspired by New Orleans and classical music traditions.

Se così fosse, non sarebbe molto interessante per me. Ma poi, invece, estrae dal cappello un brano come questo:

Sonic rainbows descend from the clouds of the Eroica. The beginning of Beethoven’s Third Symphony hyper-spatially paraphrased through time extension, pitch warpings and deep space phase-shifting effects; immensely vast, sublime, beyond…
[…]
Credits: Ludwig van Beethoven, musical vision. Realized in part with SuperConductor software. Eroica Symphony interpeted by Dr. Manfred Clynes. Adjuctant consultant/composer Elsie Russell. Csound realization with reverb and phase-shifting orcs by Sean Costello; Feedback Delay Network Reverb model from Julius O. Smith, III.

Jeff Harrington – Eroica Spettrale

Oracoli e dadi musicali

dadi musicaliSe qualcuno ha bisogno di un dado a 12 facce con le note sopra può dare un’occhiata qui. Questo tipo dice di averli inventati e li vende in set di 12 a soli $34.95.

Se invece vi accontentate di dadi, sempre a 12 facce, ma con sopra semplicemente dei numeri, vi basta entrare nel più vicino negozio di giochi di ruolo.

Delle stesso autore, un po’ più interessante sembra essere il Muzoracle, presentato come “a divination system based on music, utilizing cards and twelve-sided dice”. 55.00 plus shipping in USA.

Perché piangi?

cry baby

Questo oggetto, che adesso è diventato una App, si chiama “Why Cry Baby Analyzer” e la sua funzione è dirvi perché il vostro pargolo vi sta trapanando le orecchie da minuti, senza dare segni di calmarsi. Mostra una faccina che suggerisce la causa del pianto secondo lo schema a lato, nonché temperatura e umidità della stanza.

Secondo i costruttori, entro 20 secondi vi sa dire se l’infante è stressato, assonnato, ha fame, male o è semplicemente incazzato. La faccenda non è priva di base scientifica perché alcuni studi hanno dimostrato che il pianto dei neonati non è del tutto personalizzato, ma ha delle caratteristiche comuni legate alla causa.

L’oggetto viene presentato così:

Controlling the cries of an inconsolable baby is one of the first true tests any parent goes through. It’s one of those things that will keep you up all night regardless of which sleep medication you prefer. Sure, you have to be to work at sunrise, but they don’t know that! All they know is that they are NOT happy! And while putting in Episode IV may work when you’re upset, children are an entirely different monster (think more Godzilla, rather than Sloth).

The Why Cry Baby Analyzer is the baby monitor of your dreams! Its advanced frequency analysis technology only needs 20 seconds to let you know why your child is screaming to the heavens. Whether your baby is Stressed, Sleepy, Annoyed, Bored or Hungry, this device will identify it on its LCD screen. In addition to being very portable (adjustable velcro strap for easy attachment), it comes equipped with a symptoms chart and guide with tips on how to properly stimulate your child’s development. Not to mention being your ticket to some peace and quiet!

La cosa preoccupante di invenzioni come questa, a mio avviso, è la tendenza a “tecnologizzare” tutto, anche i rapporti umani. Ma naturalmente, per quanto riguarda questo caso, non ho voce in capitolo perché non ho figli e quindi non mi rendo conto della situazione.

PacBell Building

PacBell buildingQuesta incredibile costruzione Art Deco di 26 piani, con tanto di aquile che le danno un aspetto quasi neo gotico, si trova a San Francisco ed è vuota.

Costruito nel 1925 su progetto di Miller and Pflueger, il Pacific Bell Building è stato abbandonato nel 2005. Due anni dopo, la proprietà è passata nelle mani di una nota società di investimenti locale. La sua attuale destinazione non è chiara e varie incursioni fotografiche mostrano già chiari segni di degrado degli interni.

Commute

Description by Off Land (aka Tim Dwyer, the author):

coverLet’s go back to 2006.
I used to hate my job, the dead-end brainless work.
Even more, I used to hate my commute.
An hour by subway what would take 20 minutes by car if I had owned one.
Everyday I walked to the subway, switching lines in town and took a 2nd line to the end.
I dreamed that one day the subway would take me past the last stop, just keep going.
Or maybe I would end up somewhere else, somewhere new.
Music was my salvation, my soundtrack, those two hours each day.
With or without music the commute was a score I listened to countless times.
On two occasions, for posterity, I recorded the commute.
Now it’s 2009 and my life has changed so much.
I look back into the dust of times and accompany a soundtrack to those days of travel.
This was my commute.

The Process: Commute is an experimental concept album about commuting. The album is the length of my commute in 2006. I recorded my commute four times (2 out and 2 back), overlapping all four audio recordings into one 68 minute sound collage. This soundscape became the foundation of the composition and the subtle ambiance heard throughout Commute. Tones were designated to various sounds; watery piano for people & chimes, dulcimer drones for cars, drums for rain & subway tracks, low drones for subway cars, and synths for general ambient noise. The structure was entirely in the hands of the field recording collage. It was my conscious decision however to break Commute up into three sections. Each section represents a different leg of the commute (1 – The walk to the subway / 2 – The ride downtown / 3 – The 2nd line outbound).

Published by Resting Bell netlabel. Download from here.

  1. Commute Part 1
  2. Commute Part 2
  3. Commute Part 3

bewilderment

coverSylvie Walder and entia non (James McDougall) are well-known names in the netlabel-world and beyond. Sylvie Walder released collaboration-albums with Phillip Wilkerson, Siegmar Fricke, and “_” (as Kakitsubata). entia non has released solo-works on test tube, IOD, u-cover, Resting Bell and contributions on compilations for duckbay and Slow Flow Recs.

On “bewilderment“ Sylvie and James create a rich and deep organic sound-cosmos. Droning background-layers, instrumental fragments, field recordings, voices, athmospheric glitches and crackles, all assembled to a breathing, living collage. Especially the first three tracks work with this sound-model. Based on Sylvie’s piano recordings, James built up an impressive ambience by processing, re-arranging and re-structuring the material. The last track “le petit lac“ is more guided by Sylvie’s piano playing with only very subtle accouterments and mastering by James. The artists cooperate together over the huge distance between France and Australia, but the result actually sounds like they have sit together in the same studio and knew eath other since their school days.

Published by Resting Bell netlabel. Download from here.

Excerpts:

Sarai il mio specchio?

Lui è del 1942, lei del 1947, la canzone è del 1965. Tanto vecchi quanto affascinanti.

Update 4/7

Effettivamente, la grandezza di Lou Reed sta nella capacità di cantare sempre la stessa canzone. Saranno 40 anni che Lou scrive brani su due accordi, tipicamente tonica e dominante, qualche volta un’altra combinazione, e ci canta sopra nello stesso modo, a volte con le stesse parole.

Ill be your mirror
Reflect what you are, in case you dont know
Ill be the wind, the rain and the sunset
The light on your door to show that you’re home

When you think the night has seen your mind
That inside youre twisted and unkind
Let me stand to show that you are blind
Please put down your hands
cause I see you

I find it hard to believe you dont know
The beauty that you are
But if you dont let me be your eyes
A hand in your darkness, so you wont be afraid

When you think the night has seen your mind
That inside youre twisted and unkind
Let me stand to show that you are blind
Please put down your hands
cause I see you

 

Il più antico strumento

flute

Quello che vedete è il più antico strumento musicale ritrovato finora. Si tratta di un flauto che misura circa 20 cm. È stato ricavato dall’osso dell’ala di un avvoltoio e risale a circa 35000 anni fa.

Un team di ricercatori dell’Università di Tubinga ne ha rinvenuti tre scavando nelle caverne di Hohle Fels, nel sud-ovest della Germania. Questo ritrovamento porta il numero degli strumenti musicali che ci sono giunti da questa epoca remota a otto, quattro dei quali ricavati dall’avorio dei mammut e altrettanti da ossa di uccello.

In questa pagina potete anche sentirne il suono (peccato che la pagina esista ancora ma il file audio no).

La cosa sorprendente è che l’accordatura è una scala pentatonica piuttosto precisa. Naturalmente non ci è dato sapere come questi strumenti venissero suonati 35000 anni fa. È difficile pensare che si eseguissero melodie come quelle dell’esempio, però, a quanto sembra, le note erano già quelle.

Un’altra questione è quella della funzione della musica a quell’epoca.

According to Professor Nicholas Conard of Tubingen University, the playing of music was common as far back as 40,000 years ago when modern humans spread across Europe.

“It’s becoming increasingly clear that music was part of day-to-day life,” he said.

“Music was used in many kinds of social contexts: possibly religious, possibly recreational – much like we use music today in many kinds of settings.”

“The modern humans that came into our area already had a whole range of symbolic artifacts, figurative art, depictions of mythological creatures, many kinds of personal ornaments and also a well-developed musical tradition.”

Qui trovate l’articolo di BBCNews.

Steampunk synth

Queste bellissime immagini (clicca per ingrandire) si riferiscono a un sintetizzatore modulare + sequencer & switchboard in perfetto stile steampunk. A quanto ho capito, questo oggetto è stato costruito da tale Christian Günther per Moritz Wolpert, già noto per il suo Heckeshorn, uno strumento a corde pizzicate o percosse, di foggia altrettanto steampunk, di cui potete vedere alcuni video qui sotto.

Si tratta, in pratica, di una slide guitar arricchita da un capotasto mobile al posto del tubo infilato nel dito. La musica è banalmente tonale, ma è talmente minimale e priva di fronzoli da risultare piacevole.

God as a Computer Programmer

Ogni tanto dal computer riemergono vecchi file con ricordi dei bei tempi andati…

Some Important Theological Questions are Answered if we think of God as a Computer Programmer.

Q: Does God control everything that happens in my life?
A: He could, if he used the debugger, but it’s tedious to step through all those variables.

Q: Why does God allow evil to happen?
A: God thought he eliminated evil in one of the earlier revs.

Q: Does God know everything?
A: He likes to think so, but he is often amazed to find out what goes on in the overnight job.

Q: What causes God to intervene in earthly affairs?
A: If a critical error occurs, the system pages him automatically and he logs on from home to try to bring it up. Otherwise things can wait until tomorrow.

Q: Did God really create the world in seven days?
A: He did it in six days and nights while living on cola and candy bars. On the seventh day he went home and found out his girlfriend had left him.

Q: How come the Age of Miracles Ended?
A: That was the development phase of the project, now we are in the maintenance phase.

Q: Will there be another Universe after the Big Bang?
A: A lot of people are drawing things on the white board, but personally, God doubts that it will ever be implemented.

Q: Who is Satan?
A: Satan is an MIS [management information system] director who takes credit for more powers than he actually possesses, so people who aren’t programmers are scared of him. God thinks of him as irritating but irrelevant.

Q: What is the role of sinners?
A: Sinners are the people who find new and imaginative ways to mess up the system when God has made it idiot-proof.

Q: Where will I go after I die?
A: Onto a backup tape.

Q: Will I be reincarnated?
A: Not unless there is a special need to recreate you. And searching backup files is a major hassle, so if there is a request for you, God will just say that the tape has been lost.

Q: Am I unique and special in the universe?
A: There are over 10,000 major university and corporate sites running exact duplicates of you in the present release version.

Q: What is the purpose of the universe?
A: God created it because he values elegance and simplicity, but then the users and managers demanded he tack senseless features onto it and now everything is more complicated and expensive than ever.

Q: If I pray to God, will he listen?
A: You can waste his time telling him what to do, or you can just get off his back and let him program.

Q: What is the one true religion?
A: All systems have their advantages and disadvantages, so just pick the one that best suits your needs and don’t let anyone put you down.

Q: How can I protect myself from evil?
A: Change your password every month and don’t make it a name, a common word, or a date like your birthday.

Q: Some people claim they hear the voice of God. Is this true?
A: They are much more likely to receive e-mail.

Q: Some people say God is Love.
A: That is not a question. Please restate your query in the form of a question.
Abort, Retry, Fail?

Dox Orkh

La visione di Xenakis di un concerto per violino: Dox Orkh per violino e 89 strumenti.

Il titolo accosta le parole Orkh (in greco Orchestra) e Dox, che significa strumento ad arco.

L’analisi che segue è tratta da All Music Guide:

The music does proceed in traditional ritornello fashion, with statements by the violin being followed by answers from the orchestra, and so on. Rarely does the soloist play with the full orchestra. Xenakis had by this point written a number of pieces for the violin, both as a solo instrument (Mikka, Mikka “S”) and in a chamber context (Dikhthas, Ikhoor, Tetras, etc.). The solo part, then, is extraordinarily virtuosic, as any good concerto should be, but many of the technical difficulties are peculiar to this composer’s style. After a lengthy hiatus from using his characteristic sliding string glissandi (the solo violin piece, Mikka (1971), is nothing but glissandi!), Xenakis reintroduced the glissando in this piece. Indeed, this style of playing is one of the main features of the solo part in Dox-Orkh. The music proceeds episodically, the sinewy, at times frenetic, lines of the violin trading off with dense orchestral sonorities. Xenakis uses clusters widely, playing off the bright colors of high woodwinds with massive string blocks and aggressive brass sounds. There is what might be thought of as a typical “slow” movement in the middle of this continuous piece. The texture thins, leaving the violin and the horns to unfold a rather plaintive, modal-sounding melody. The melody is also the harmony, a tricky feat achieved by overlapping the instruments and having each sustain its melodic note past the next one. The violin, too, is asked to sustain a note on one string while playing the next note on an adjacent string, holding the first one until the note following. No doubt it is difficult for the violinist to keep fingers from getting tied in knots! The strings fill out a background pad at different points in this section, gradually increasing the activity until the texture changes definitively. As the music builds momentum and density, Xenakis inserts a funny little dance break, with cluster chords being bounced around the orchestra in rhythmic fashion. Not regular rhythms, but it certainly seems so at first hearing. The music winds up, building to a powerful orchestral passage, then dissipates, finishing with grating double-stops in the violin, and soft, slow-moving clusters in the orchestral strings.

The newly obtained freedom of the spirit

Gubaidulina’s entire piano output belongs to her earlier compositional period and consists of the following works: Chaconne (1962), Piano Sonata (1965), Musical Toys (1968), Toccata-Troncata (1971), Invention (1974) and Piano Concerto “Introitus” (1978). Some of the titles reveal her interest in baroque genres and the influence of J.S. Bach.

The Piano Sonata is dedicated to Henrietta Mirvis, a pianist greatly admired by the composer. The work follows the classical formal structure in 3 movements: Allegro (Sonata form), Adagio, and Allegretto. Four motives (pitch sets) are utilized throughout the entire sonata, which also constitute the cyclical elements upon which the rhetoric of the piece is constructed. Each motive is given a particular name: “spring”, “struggle”, “consolation,” and “faith.”

There are two elements in the primary thematic complex of the first movement: (1) a “swing” theme, characterized by syncopation and dotted rhythms and (2) a chord progression, juxtaposing minor and major seconds over an ostinato pattern in the left hand. The slower secondary theme introduces a melodic element associated with the ostinato element of the previous theme. In the development section, these sets are explored melodically, while the dotted rhythm figure gains even more importance. In the recapitulation, the chord progression of the first thematic complex is brought to the higher registers, preparing the coda based on secondary theme cantabile element, which gradually broadens. The second movement shifts to a different expressive world. A simple ternary form with a cadenza-AB (cadenza) A, the B section represents an acoustic departure as the chromatic figurations in the left hand, originating in section A, are muted. In the cadenza the performer improvises within a framework given by the composer, inviting a deeper exploration of the secrets of sound. It consists of two alternating elements- open-sounding strings, stroke by fingers, with no pitch determination, and muted articulation of the strings in the bass register-separated by rests marked with fermatas. The third movement is constructed of 7 episodes, in which there is a continuous liberation of energy accumulated during the previous movement.

Musical expression in this work is achieved through a variety of means. Rhythm is a very important element in the construction of the work, articulating a distinct rhetoric, as well as in the development of the musical material. Exploration of a wide range of sounds, within the possibilities of the instrument, involving both traditional and nontraditional methods of sound productions are another important mean.

Some examples of the nontraditional sounds produced are a glissando performed with a bamboo stick on the piano pegs against a cluster performed on the keyboard, placing the bamboo stick on vibrating strings, plucking the strings, glissando along the strings using fingernail, touching the strings creating a muted effect.

Two distinct aspects of the sonata-the driving force and the meditative state-can be seen through the architecture of the work as portraying the image of the cross. The first movement is related to the “horizontal” line, which symbolizes human experience while the second movement reflects the “vertical” line, which represents man’s striving for full realization in the Divine. The meeting point of these two lines in music happens at the end of second movement, and that reflects transformation of the human being at crossing this two dimensions. The third movement “celebrates the newly obtained freedom of the spirit”.

[from wikipedia]

Anagamin

Nel Buddismo Theravada, Anagamin significa “uno che ritorna una sola volta”, cioè qualcuno che è sfuggito al ciclo delle morti e delle rinascite ed è destinato a reincarnarsi soltanto una volta ancora, prima del Nirvana [Britannica online].

Dal punto di vista musicale, si tratta di un brano per 12 archi composto nel 1965, una meditazione intorno a una sola nota, tema caro a Giacinto Scelsi.

Questa volta la nota centrale è il SIb che si riflette anche nell’accordatura del due violoncelli, l’uno innalzando la corda più acuta, LA, a SIb, mentre l’altro abbassa di un tono il DO grave.

SCIgen

Se qualcuno di voi ha bisogno di esibire un dotto articolo scientifico, incomprensibile ai più, nell’area della ricerca informatica e deve scriverlo per, diciamo, domani, può utilizzare SCIgen.

Si tratta di generatore di articoli privi di senso, ma con una forma che imita piuttosto bene quella di un tipico scritto da congresso o rivista del settore. Un gramelot scientifico creato grazie a una grammatica context-free (grammatica libera dal contesto o CFG), cioè una grammatica formale in cui ogni simbolo è generato a partire dai precedenti. In tal modo si possono ottenere delle frasi che “stanno in piedi” in sè stesse, ma non sono logicamente collegate l’una con l’altra.

Usando però dei termini che fanno tutti parte di una certa area culturale, si possono anche fare discorsi che, ad un esame superficiale, sembrano avere un senso (alcuni politici evidentemente utilizzano un sistema simile da anni).

Ecco un breve estratto di un pezzo dal titolo “Developing Systems and Extreme Programming” che SCIgen ha generato per me

Cyberneticists rarely measure the producer-consumer problem [31] in the place of B-trees. However, collaborative models might not be the panacea that researchers expected. We view steganography as following a cycle of four phases: prevention, observation, construction, and exploration. For example, many methods emulate optimal configurations. Clearly, we allow object-oriented languages to request interposable archetypes without the evaluation of access points.

Here, we understand how the Turing machine can be applied to the emulation of symmetric encryption. Despite the fact that such a claim at first glance seems counterintuitive, it fell in line with our expectations. Unfortunately, atomic epistemologies might not be the panacea that electrical engineers expected. Indeed, hierarchical databases and forward-error correction have a long history of interacting in this manner. This is a direct result of the analysis of voice-over-IP. It should be noted that our heuristic turns the interposable theory sledgehammer into a scalpel. Despite the fact that similar heuristics study concurrent communication, we overcome this grand challenge without exploring wide-area networks [18].

Con qualche leggera modifica, un brano del genere può effettivamente essere preso per vero.

Il merito di SCIgen, inoltre, è anche quello di arricchire lo scritto con grafici, diagrammi, citazioni e una lunga bibliografia, tutti elementi indispensabili per incrementare la credibilità dell’insieme, tanto che alcuni suoi articoli sono stati effettivamente accettati in congressi e riviste del settore.

A titolo di esempio, qui potete leggere l’intero scritto, frutto di anni di ricerche, che i vostri relatori hanno pazientemente elaborato :mrgreen:

Multiplying Real

coverThe new album by Vladislav Makarov “Multiplying Real – Multicello”, (c) makART rec. 038

Makarov is a pioneer free improvised music in Russia, the known cellist-experimentalist, this is a solo work, but not quite usual. 20 short pieces recorded with using the usual analog delay, but with mass author’s preparations such as the objects in strings, wooden, bamboo and plastic sticks, combs, straightedges of the miscellaneous format, as well as makarov’s branded receiving playing on cello as on guitar, referring us from hard-rock to technic great english musician Derek Bailey. The album as a whole carries the experimental character, but many acceptances Makarov used repeatedly above-ground performances. All the pieces have a different invoice and expression, but collected in conceptual album, subordinated powerful direction of the author. Many the tracks can cause the shock and perplexity, but the electric cello here sounds as whole orchestra in spirit of avantgarde composer Xenakis or Stokhausen. Stylistic and genre of the work it is difficult to define, it obviously much broader notorious free improvisation, but is an colours by the palette all radical styles our time from freejazz, avant-rock up to noise and drone…

Download here

Some excerpts

On a Windy Day

“Written in 2003, On a Windy Day was inspired by wind chimes in Buddhist temples set deep in the mountains of Korea, where I used to visit as a child. I vaguely remember one afternoon hearing the chimes start to ring so softly and randomly that at first I didn’t even notice them. Then the wind got gustier and gustier, and the chimes got louder and faster along with the sound of leaves on the trees surrounding the temple, eventually creating this mass of loud, intense, intricate sound. Then, as soon as the wind calmed down, everything went back to its serene surroundings, yet left me with all those tingling sounds lasting in my ears.

“To emulate this experience, I wrote a descriptive score for metallic percussion and had it performed live a few times by various players; the end result was never satisfactory. However, as soon as I heard John Hollenbeck’s incredible interpretation of this score in a studio, I was more than ecstatic. An idea came to me to add Ikue Mori’s unique electronic sounds and bring even more depth and surrealism to the piece. The final recording is better than I’d ever imagined and feels just like revisiting that windy day from my long-gone childhood.”

[Okkyung Lee]

Okkyung Lee (b. 1975) is a composer and cellist whose music fuses her classical training with improvisation, jazz, traditional Korean music, and noise. Lee was born and raised in Daejon, Korea, and attended arts schools in Seoul. In 1993 she moved to Boston, Massachusetts, where she studied at Berklee College of Music and with Hankus Netsky at the New England Conservatory of Music. Since relocating to New York City in 2000, Lee has been very active in the downtown music scene, performing and recording with artists such as Derek Bailey, Nels Cline, Anthony Coleman, Shelley Hirsch, Eyvind Kang, Christian Marclay, Thurston Moore, Ikue Mori, Jim O’Rourke, Zeena Parkins, Marc Ribot, Elliott Sharp, and John Zorn, among others.

  • Okkyung Lee – On a Windy Day (2003), for percussion and electronics

Retroscan

Chris Brown‘s (b. 1953) music stems from the intersection of many different musical traditions and styles, including classical music, traditional Indonesian, Indian, Afro-American, and Cuban musics, and contemporary American experimental music. He has worked extensively with electronics, from amplified acoustic devices and analog sound modification to custom-made interactive computer systems. Collaboration and improvisation have played a significant role in the development of his work.

This [Retroscan] is the final section of a larger solo work Retrospectacles, in which the whole range of sounds possible from the piano, including sounds made directly on the strings, the frame, as well as the keyboard, provide sources for live electronic transformation by an interactive computer program. The music is a narrative about memory: each sound evolving out of the last, each playback with constantly varying pitch/time of sounds that have recently passed.
[Chris Brown]

 

  • Chris Brown – Retroscan (2003), for piano & live electronics
    Chris Brown, piano, live electronics

For Irving Lippel

For Irving Lippel è una composizione del 2004 di John Link (1962), compositore di Boston, allievo di Elliott Carter, aperto a varie esperienze: ha composto lavori per diversi media (orchestra, formazioni cameristiche, jazz ensembles, rock band e sistemi elettroacustici).

Questo brano è una fantasia che esplora le suggestive potenzialità della combinazione chitarra – vibrafono.

S. Francesco prega gli uccelli

Oggi ci occupiamo di Lewis Nielson (che giovane non è, essendo nato nel 1950) e di una sua composizione per orchestra del 2005, chiamata St. Francis preaches to the birds.

Lewis Nielson’s compositional influences include the music of Luciano Berio, Edgard Varèse, and Iannis Xenakis. He is also heavily influenced by a wide range of philosophers including Edmund Husserl, Karl Marx, and Ludwig Wittgenstein, as well as painting, poetry, and film.
Grants and awards for Nielson’s music include the Cleveland Arts Prize, Delius Trust, Groupe de Musique Expérimentale de Bourges in France, Ibla Foundation of Italy, International Society of Bassists, Meet the Composer, and National Endowment for the Arts. Nielson taught for 21 years at the University of Georgia in Athens, and since 2000 he has been on faculty at the Oberlin Conservatory of Music, where he is director of the composition division. His work is recorded on the aca Digital, Albany, Capstone, Centaur, innova, and MMC labels.

Di questo brano l’autore scrive

“The piece is one long phrase. The single ‘phrase’ is kept in motion (perhaps suspension is a better word) through layering and elision of material within the layers … [There is a] gradual transformation from pitched, to less-pitched, to essentially non-pitched material in the solo violin part which, in turn, radiates in widely varying and sometimes very surprising ways throughout the sub-groupings and ‘sections’ of the ensemble.

“The piece is also like a funnel, or thresher, collecting seemingly disparate material, combining it and recombining it, turning one kind of music into another, winnowing out some aspects of an idea and transforming it into something new, resulting a continuous overlapping of ideas … Alternately in support and in contrast to the solo violin music, the other instruments also make musical contributions of their own, even in the act of assimilating or transforming themselves in light of what the soloist provides.

“Two general concepts govern structural growth: communication (or lack or inability thereof) between the soloist and the various ‘sections’ of the ensemble … and transformation of musical material within and between instruments and sections. The work is a long conversation among many individuals and groups, aiming less for a convenient sense of dialogue or dependent relationship between soloist and the rest than for the maintenance of a balance within the various musical ‘languages’ generated. […]

“While I do not intend any kind of direct correlation, the actual legend of St. Francis and his sermons to the birds … can provide, by way of analogy, some approaches to the workings of the piece and some various ways to listen to it … Whether or not one believes other aspects of the St. Francis legend, it’s clear that he sought to hold the birds’ attention, and that they were as eager to understand him as he them. Equally, as he listened to them he took away knowledge of a kind that resists codification while being very meaningful to him. […]

“It will be noted that the work concludes in an unusual manner: to wit, with the soloist leading the ensemble and the conductor seated, playing celesta with the percussionists. Besides making an historical ‘tip of the hat’ to the original leadership functions of the Baroque solo concerto, the soloist at the end embodies the catalytic and transformational agent he has been all along. […]

1987

Un breve ma affascinante brano di Anna Clyne, giovane (nata nel 1980) compositrice inglese trapiantata a New York.

Di 1987, per flauto, clarinetto, violino, violoncello e nastro, composto nel 2008, l’autrice dice soltanto

Memories tucked away and tangled in threads of beads in the corner of her glass box.

 

Dea Varanus

coverMatúš Mikula, aka 900piesek, è slovacco, uno dei giovani musicisti elettroacustici europei che creano una sorta di science fiction ambient con un po’ di nostalgia degli anni ’70.

L’album, dal titolo Dea Varanus, è pubblicato da Test Tube ed è scaricabile qui.

All four tracks emanate sound through a dense and foggy underwater-like world… as if we were in a different dimension. Audio data is served to you using computers and machines from another time. Referencially, this is ambient electronics circa 1970’s, while some keyboards sound definitely like Vangelis, Blade Runner period, which is actually very appropriate.

Dear listener, we recommend the use of headphones throughout this journey, as the fine subtleties of the atmospheric and environmental audio pieces you’re hearing will surely gain much detail simply because of their use.
This is a ‘vintage modern classic’, with drones. Enjoy.

[Pedro Leitão]

Excerpts: Ra

Eleven Echoes of Autumn

George Crumb – Eleven Echoes of Autumn (1966) for violin, alto flute, clarinet, and piano.

Eleven Echoes of Autumn was composed during the spring of 1966 for the Aeolian Chamber Players (on commission from Bowdoin College). The eleven pieces constituting the work are performed without interruption:

  1. Echo 1. Fantastico
  2. Echo 2. Languidamente, quasi lontano (“hauntingly”)
  3. Echo 3. Prestissimo
  4. Echo 4. Con bravura
  5. Echo 5. Cadenza I (for Alto Flute)
  6. Echo 6. Cadenza II (for Violin)
  7. Echo 7. Cadenza III (for Clarinet)
  8. Echo 8. Feroce, violento
  9. Echo 9. Serenamente, quasi lontano (“hauntingly”)
  10. Echo 10. Senza misura (“gently undulating”)
  11. Echo 11. Adagio (“like a prayer”)

Each of the echoes exploits certain timbral possibilities of the instruments. For example, echo 1 (for piano alone) is based entirely on the 5th partial harmonic, ehco 2 on violin harmonics in combination with 7th partial harmonics produced on the piano (by drawing a piece of hard rubber along the strings). A delicate aura of sympathetic vibrations emerges in echoes 3 and 4, produced in the latter case by alto flute and clarinet playing into the piano (close to the strings). At the conclusion of the work the violinist achieves a mournful, fragile timbre by playing with the bow hair completely slack.

The most important generative element of Eleven Echoes is the “bell motif” — a quintuplet figure based on the whole-tone interval — which is heard at the beginning of the work. This diatonic figure appears in a variety of rhythmic guises, and frequently in a highly chromatic context.

Each of the eleven pieces has its own expressive character, at times overlaid by quasi-obbligato music of contrasting character, e.g., the “wind music” of the alto flute and clarinet in echo 2 or the “distant mandolin music” of the violin in echo 3. The larger expressive curve of the work is arch-like: a gradual growth of intensity to a climactic point (echo 8), followed by a gradual collapse.

Although Eleven Echoes has certain programmatic implications for the composer, it is enough for the listener to infer the significance of the motto-quote from Federico García Lorca: “… y los arcos rotos donde sufre el tiempo” (“… and the broken arches where time suffers”). These words are softly intoned as a preface to each of the three cadenza (echoes 5-7) and the image “broken arches” is represented visually in the notation of the music which underlies the cadenzas.

Textures

Di Toru Takemitsu, vi presento questo delizioso Textures del 1964, recuperato da un vecchio vinile.

In questo brano, l’orchestra di 73 elementi è divisa in due gruppi uguali, piazzati da parti opposte rispetto al pianoforte, sistemato in posizione centrale. Questo espediente, coadiuvato dalla scrittura, serve ad ottenere un marcato effetto stereofonico.

La scrittura, inoltre, è solistica fino al livello del singolo esecutore per creare tessiture sonore elaborate e cangianti.

  • Toru Takemitsu – Textures (1964), per orchestra

Musica di Jean Dubuffet

dubuffetNon è un errore di stampa. Jean Dubuffet (1901-1985), scultore e pittore francese di fama mondiale, ha scritto anche della musica. Più che scritto, però, bisognerebbe usare il termine “realizzato”, trattandosi di musica concreta, in parte di origine strumentale, della quale non esiste alcuna partitura.

Oltretutto, lo stesso Dubuffet dichiara:

I find that true music should not be written, that all written music is a false music, that the musical notation which has been adopted in the west, with its notes on the staves and its twelve notes per octave, is a very poor notation which does not permit to notate the sounds and only allows the making of a totally specious music which has nothing to do with true music. It is impossible to write true music, except with a stylus on the wax, and this is what they do now in recordings.
This is a way of writing and the only one that’s proper to music.

Il suo metodo compositivo, infatti, consisteva nell’improvvisare liberamente con diversi strumenti occidentali e orientali, nonché con oggetti trovati, registrando il tutto, per passare, poi, a una fase di montaggio usando vari registratori e un mixer.

In realtà, Dubuffet aveva studiato musica da giovane, ma poi non l’aveva mai praticata o studiata con continuità. La sua attenzione era stata risvegliata, alla fine del 1960, da una serie di improvvisazioni fatte per divertimento con l’amico Asger Jorn. Ma poi la passione si era risvegliata al punto che

I transformed a room in my house into a music workshop and in the periods between our get-togethers with Asger Jorn I became a one-man band, playing each of my fifty-odd instruments in turn. Thanks to my tape recorder I was able to play each part successively on the same tape and have the machine play everything back simultaneously.

E poi

The subsequent recordings are the result of two diverging approaches which I hesitated between and which are probably both apparent in at least some pieces. The first was an attempt to produce music with, a very human touch, in other words, which expressed people’s moods and their drives as well as the sounds, the general hubbub and the sonorous backdrop of our everyday lives, the noises to which we are so closely connected and, although we don’t realize it, have probably endeared themselves to us and which we would be hard put to do without. There is an osmosis between this permanent music which carries us along and the music we ourselves express; they go together to form the specific music which can be considered as a human beings. Deep down I like to think of this music as music we make, in contrast to another very different music, which greatly stimulates my thoughts and which I call music we listen to. The latter is completely foreign to us and our natural tendencies; it is not human at all and could lead us to hear (or imagine) sounds which would be produced by the elements themselves, independent of human intervention.

Dubuffet dichiara anche:

In my music I wanted to place myself in the position of a man of fifty thousand years ago, a man who ignores everything about western music and invents a music for himself without any reference, without any discipline, without anything that would prevent him to express himself freely and for his own good pleasure.

Da queste improvvisazioni sono nati due dischi che potete trovare in formato flac su AGP74 e AGP79.

Intanto alcuni estratti:

Baudrillard rock star

baudrillardUnbelievable but true! Jean Baudrillard recites his poetry backed up by an all star band featuring Tom Watson, Mike Kelley, George Hurley, Lynn Johnston, Dave Muller and Amy Stoll, special guest vocalist Allucquère Rosanne Stone.

Recorded live as part of the Chance Festival at Whiskey Pete’s Casino in Stateline Nevada, 1996.

You’ve never heard Baudrillard like this before! Music to read Nietzsche to.

Listen to the tracks from UBUWeb.

Excerpt, track 2.

The Beatles: Rock Band

Doveva succedere prima o poi. I Beatles sono finiti in un videogame. Realizzato da MTV Games, sarà rilasciato in settembre. Alla conferenza di presentazione si sono riuniti tutti i detentori dei diritti: Paul McCartney, Ringo Starr, Yoko Ono Lennon e Olivia Harrison. Cosa non può il denaro…

Paul (“We love the game”) e Ringo (“The game is good”), hanno detto poco. Le vedove, ancora meno. Sono state anche rese note 10 delle 45 canzoni incluse nel gioco fra le quali “I Saw Her Standing There,” “Day Tripper,” “Taxman,” “Here Comes the Sun” e “Get Back.”

La notizia è apparsa dapprima sull’Ansa, ma io ho trovato anche la schermata e il trailer :mrgreen: .

Lituus

Secondo questo articolo della BBC, un antico strumento di origine romanica utilizzato, via via sempre più raramente, fino all’epoca di Bach, è stato recentemente ricostruito dai ricercatori dell’Engineering and Physical Sciences Research Council (EPSRC) e dell’Università di Edinburgo.

Il Lituus ha l’aspetto di una lunga (2.4 m) tromba di legno e produce un suono simile a quello della tromba, ma con pronunciate inflessioni vocali.

Purtroppo il video che in origine era parte dell’articolo non esiste più. Una versione del lituus leggermente diversa, più corta grazie anche alla curvatura finale, si può vedere in questo video.

Le rovine di Detroit

Yves Marchand & Romain Meffre sono fotografi che si occupano di archeologia urbana e industriale.

Sul loro sito esibiscono tre bellissime gallerie dedicate rispettivamente alle rovine di Detroit, alle vestigia industriali della Germania Est e ai teatri abbandonati d’America. Sono tutte belle, ma la prima, per me, è la più interessante.

Sviluppatasi con il boom economico del dopoguerra legato principalmente all’automobile, Detroit era arrivata a 2 milioni di abitanti negli anni ’50, diventando la quarta città degli Stati Uniti. Oggi, con la General Motors molto vicina al fallimento, Detroit ha perso la metà dei suoi abitanti e la de-industrializzazione ha lasciato enormi monumenti alla decadenza che non vengono riconvertiti perché non ci sono investimenti in una città in decadenza. Semplicemente rimangono, tracce di uno splendido passato, monumenti sopravvissuti alla perdita della loro funzione.

Amo quella foto con il pianoforte…

Grande Polyphonie

L’opera più rappresentativa di François Bayle (di cui abbiamo già parlato qui) messa in linea da Avant Garde Project. Ve la presentiamo qui in un’unica playlist della durata di circa 36′ (putroppo ci può essere un piccolo intervallo fra un brano e l’altro).

L’intera composizione può essere scaricata in formato flac da AGP sia in 16 che in 24 bit.

Lo schema del brano, tratto dalle note di programma, è il seguente:

  1. Appel…
  2. …aux lignes actives
    The simplest concrete element, the line, thin and melodic arrives fastest at an abstraction of qualities. Active, passive, or intermediate, the true line is, according to Klee, the line subjected to a strong tension.
  3. …aux notes repetées
    Brief, equal, clear values scrabled by the patter of bells emitting call signals. Rigid, transposed, very tense repetition. Followed by a third, deep, abbreviated repetition. Transition, interrupted rubato.
  4. …au jardin
    A polyphony of space and colors. Contrast between very brief, delicate fragments–dry versus fluid – and ample quivering sheets having harmonic colors – static versus moving.
  5. …figures doubles
    Combination of symmetries. Two contrasting parts – like male and female – organized in series of paired cells. These are varied up to the eighth repetition, where the first element is then brought to a completion. The mirror-repeats are enriched with successive transformations through added harmonics.
    Then a new, very dynamic element appears – a man’s mask bringing tidings…
  6. …grande polyphonie
    A brief moment in the guise of a preface prepares the final “rappell”. Seven interconnected sections [a me sembrano 5, nota mia; le sezioni sono 7 in tutto] – though it is not immediately clear how they are related. Various sound signals are heard at frequent intervals, making it manifest that the role of the previous polyphonies was to lead up to the final combination. This makes it possible to listen in a musical way with a great deal of freedom, independence, superposing different voices. All the sound spaces used here resemble each other, from the more artificial and abstract ones to the totally concrete ones, which range from bird calls and songs to human calls and songs.
    And finally, the initial call signal dissolves in a long breath,
  7. Rappell…

Il collasso del tempo e gli ultimi echi

Le ultime due parti di Echoes of Time and the River (Echoes II), di George Crumb ripulite, per quanto possibile, dalle impurità del vecchio vinile. Si intitolano Collapse of Time e Last Echoes of Time.

The most free and fantastic movement is the portentous Collapse of Time. Like the celebrated amphibians of Aristophanes, the string players croak out the nonsense syllables “Krek-tu-dai! Krek-tu-dai!” while the xylophone taps out the name of the composer in Morse code. As the movement proceeds and the underlying pulse falls away, the music heads off into a wide range of special effects – quasi-improvised fragments passed around among the various soloists, notated in circular patterns in the score. The descent into the solitude of the finale, Last Echoes of Time, comes at first as a relief and relaxation from all the foregoing; once the listener is convinced of the retrospective nature of these last pages, he can begin to explore more securely the implications in these echoes of all that has gone before. [Robert McMahan]

George Crumb – from Echoes of Time and the River, Collapse of Time / Last Echoes of Time

Melodie Rituali

Ritual Melodies è una composizione del 1990 di Jonathan Harvey realizzata all’IRCAM.

A dispetto delle sonorità, alcune delle quali a un primo ascolto possono sembrare strumentali, si tratta invece di pura computer music. Tutti i suoni sono generati e manipolati dal computer. Nessuno è stato campionato, se non per fini di analisi e risintesi.

Questo procedimento è stato attuato per creare un materiale sonoro in continua trasformazione. I suoni base del brano sono risintesi di strumenti di origine cerimoniale e/o rituale (es: oboe indiano, campane tibetane, flauto di bambù, frammenti vocali di diversa origine…) le cui caratteristiche vengono poi alterate in fase di sintesi per creare suoni intermedi.

A mio avviso è decisamente un bel brano, sia dal punto di vista compositivo che da quello tecnico. L’unico lato che per me è un po’ disturbante è costituito da alcune sonorità di tipica marca IRCAM, come quel maledetto scampanio sulle frequenze alte, che sarà anche bello a un primo ascolto, ma ormai si trova in quasi tutti i brani realizzati laggiù.

Morsure Souffle

coverLaurent Peter è un musicista svizzero (Ginevra) più noto come d’incise, attivo nell’area elettronica /dub / free jazz / found / environmental sound. Morsure Souffle è il suo album più recente, distribuito dalla netlabel Test Tube.

Morsure Souffle, has all the audio hallmarks of a highly subtle sound collage. Released on Portugese netlabel Testube, it is at once found/environmental sound collected, collated and fused into shapes. Then moments of sound echo of improvisational jazz, or at least the stripped echoes of the oeuvre, or even semi-precise mimicry triggering found moments in the audience. Yet the action of extreme electronic manipulation is never far from the palette and the guise of nature as a backdrop to audio acoustic experimentation is as sensible a template as any. Even the sound of the chime, catching the wind, or the approximation of it combined with a sonic hum/purr and gently advancing triangle alarm is enough of a sound argument. Then there is the central track la Banquise living up to its name, a feast of noise terror, (a humorous notion in itself), mutating in to crisp audio action of imaginary violated string experiments on a vanquished piano; reason enough to display control and succinctness of digital prowess.
[innerversitysound [Cyclic Defrost] / May 02, 2009]

L’intero album è scaricabile qui. Alcuni estratti:

Emoticons 1881

Tutti quelli che pensano che gli emoticons siano una invenzione arrivata con internet (cioè quasi tutti), diano un’occhiata a questa parte di una pagina di Puck, un giornale satirico americano della fine dell’800. La pagina risale al 30 Marzo 1881 e la si può vedere nella sua interezza grazie a wikimedia.

emoticons 1881

Lego recreation

Prendete una serie di foto famose, ricostruitele in Lego e otterrete, per esempio, questo.

La quasi intera collezione è qui.

lego

lego

lego

lego

PS: il vedere gli omini della Lego impegnati a mimare queste azioni storiche mi dà una strana sensazione, un misto fra l’ilarità e l’incazzatura. Il punto è che gli omini Lego non hanno alcuna espressione, o meglio, hanno sempre la stessa espressione giocherellona e producono una scissione schizoide rispetto all’immagine originale. La cosa è particolarmente evidente nel caso di situazioni drammatiche come questa. This Associated Press photograph, “General Nguyen Ngoc Loan executing a Viet Cong prisoner in Saigon,” (February 1, 1968) won a 1969 Pulitzer prize for its photographer Eddie Adam (from wikipedia)

In questo senso segue la linea tracciata da molta arte pop postmoderna, come le varie versioni dell’Ultima Cena o la corrente cult following.

Solo Observed

Summer 1981, Lukas Foss began to compose SOLO, his first piano piece in twenty-eight years, for the pianist Yvar Mikhashoff who premiered it in Paris in March 1982. An initial twelve-tone motive reigns. Yet this is not twelve-toone music. The motive is like a theme which undergoes constant change. Nor is this minimal music; in spite of insistent repetitions, each repetition also contains a change implying development, growth and forward movement. Solo is a long development section, “senza sonata”; lumbering, struggling eighth-notes, circling, spiralling, forging ahead, always on the way, never pausing, never giving up, forever closing in on…

In the Spring of 1982, Lukas Foss and the Lincoln Center Chamber Players premiered a new version of Solo at the New World Festival in Miami, Florida. This version has an extended coda in which three other instruments join the piano, after some ten minutes of silent observing of the solo part. The three instruments are a keyboard instrument, a harp or cello and percussion.

The score has the word “Fine” written a bar before the end. This paradox should be explained: the last bar is like an appendage or error–the piano playing on without its master or the phonograph needle (metaphorically speaking) returning to the opening automatically, as the engine stops.

and here the 1982 version, called Solo Observed, with the add of cello (or harp), vibraphone (or marimba), and electric organ (or accordion) after 9/10 minutes.

Curriculum Vitae

Un altro brano di Lukas Foss, questa volta per fisarmonica, uno strumento poco comune nella musica contemporanea (con alcune eccellenti eccezioni, es. Gubaidulina).

Il titolo, Curriculum Vitae, si spiega con il fatto che questo pezzo contiene alcune reminiscenze autobiografiche risalenti alla gioventù del compositore che ritroviamo sotto forma di citazioni: una delle Danze Ungheresi di Brahms, la Marcia Turca, l’inno nazista.

Al di là di questi flashback, però, nel brano non ci sono altre citazioni. Anche se alcune sembrano esserlo, come il frammento di tango, in realtà sono false e opera di immaginazione.

È un brano interessante, insieme tragico e comico, tonale e atonale, semplice e complesso.

  • Lukas Foss, Curriculum Vitae (1977), per fisarmonica sola
    Guy Klucevsek, fisarmonica

Sculture semoventi

Delle sculture semoventi mosse dal vento di Theo Jansen abbiamo già parlato 3 anni fa.

Questo scultore olandese ha delle idee geniali. Progetta e costruisce le sue opere con tubi di plastica e bottiglie abbandonate (sempre in plastica, materiali leggeri) e gli oggetti che ne risultano esibiscono movimenti sempre più naturali. Adesso ha un bel sito ricco di immagini che potete ammirare qui.

Un video di 10 minuti con particolari costruttivi

String Quartet no. 3

Lukas Foss, compositore nato a Berlino nel 1922 ed emigrato negli USA con la famiglia per sfuggire al nazismo. Deceduto il 1 febbraio di quest’anno a 86 anni, Foss è tanto conosciuto e apprezzato negli USA quanto poco in Europa.

Eccovi il suo furioso String Quartet no. 3 del 1975, nell’esecuzione del Columbia Quartet (Benjamin Hudson, violin; Carol Zeavin, violin; Janet Lyman Hill, viola; Andre Emelianoff, cello).

Alcune note:

STRING QUARTET NO. 3 is Foss’ most extreme composition; it is themeless, tuneless, and restless. It is probably the first quartet without a single pizzicato since Haydn. The four strings are made to sound like an organ furiously preluding away. The sound vision which gave birth to this quartet may be the most merciless in the quartet literature.

Though some of the pages of the music may look unusual (see image, click to enlarge), QUARTET NO. 3 is notated in every detail. There are no performer choices, except for the number of repeats of certain patterns. Repetition? Actually something is always changing, even in the introduction, which contains only two pitches, A and C, combining in various ways – a kind of prison from which the players are liberated by a sudden all-interval flurry. There follows an extended fortissimo section of broken chord-waves with ever-changing rhythmic inflections. This leads into a rigidly structured pianissimo episode of accelerating and retarding twenote cells. The idea of an exhausting fortissimo followed by an equally unalleviated pianissimo is reminiscent of Beethoven’s Grosse Fuge, a work for which Foss has a special passion. Foss’ pianissimo section is however unmelodic and active. At one point near the end, the musicians are granted the one and only sustained sound; then the frantic waves and counter waves resume, this time in rhythmic unison, each moment of change cued by the first violin. The closing C major chord is neither a peaceful resolution nor a joke, but rather like an object on which the music stumbles, as if by accident, causing a short circuit, which brings the rush of broken chord patterns to a sudden halt.

STRING QUARTET NO. 3 was written for the Concord Quartet who obtained a grant from the New York State Council toward the commission of the piece and premiered it at Alice Tully Hall, New York on March 15, 1976.

 

Verona Risuona 2009

Un percorso sonoro che dal 2007 invade annualmente di note il centro storico con concerti per strumenti insoliti, installazioni interattive, performance di musicisti, ballerini e semplici passanti.
Un laboratorio aperto alla cittadinanza, che punta ad avvicinare il pubblico alla musica d’avanguardia, coinvolgendolo in prima persona per abbattere le frontiere tra fruitore ed esecutore.

La musica esce dai luoghi istituzionali e si impadronisce del tessuto urbano, dimostrando che la creatività è la carta vincente per coinvolgere la gente e stimolarne la passione e l’interesse culturale.
Evento Promosso dal Conservatorio Dall’Abaco e dall’Accademia Cignaroli di Verona in collaborazione con l’Accademia di Musica e Teatro dell’Università di Göteborg.

Inizia il 16 Maggio. Qui il sito.

Il ricordo del tempo

La seconda parte di Echoes of Time and the River (Echoes II), di George Crumb. Anche questa “ripulita” dalle impurità del vecchio vinile.

The second movement, Remembrance of Time, begins with the most distant and delicate sounds imaginable (piano, percussion, harp), echoed by a phrase from García Lorca (“the broken arches where time suffers”). Fragments of joyful music erupt from various wind and brass players on stage and off, and the commotion eventually gives way to a kind of Ivesian reminiscence, evoked by serene string harmonics: “Were You There When They Crucified the Lord?”

George Crumb – from Echoes of Time and the River, Remembrance of Time

Echoes of Time and the River

Nel 1970, mentre l’Europa era in pieno strutturalismo e in America impazzavano minimalismo e grafismi vari, George Crumb scriveva questo Echoes of Time and the River (Echoes II), per orchestra, un brano fortemente emozionale in quattro parti. Il titolo reca l’indicazione Echoes II perché precedentemente Crumb aveva composto Echoes of Autumn (1965).

Qui vi presentiamo il primo movimento Frozen Time che

features a collage of mysterious and muted textures in overlapping 7/8 metric patterns. After a time, three percussionists make their way ritualistically across the stage intoning the motto of the state of West Virginia: “Montani semper liberi?” (Mountaineers are always free); the “ironic” question mark has been added by the composer. The music swells to an intense fff in the middle section with glissandos in all the string parts. As if in answer, the mandolinist exits playing and whispering the same motto darkly as he disappears off stage
[from program notes]

Il brano è stato recuperato da un vecchio vinile molto rovinato. L’ho pulito per quanto possibile, senza intaccare l’incisione, ma la provenienza si sente.

George Crumb – from Echoes of Time and the River, Frozen Time

Octandre

vareseOctandre è rappresentativo di un modo di comporre tipico di Edgar Varèse, sviluppando e variando piccoli frammenti sonori. Lo stesso compositore lo descrive mediante una analogia con la crescita di un cristallo.

Questo modo di procedere è ben visibile nel corso del primo movimento, mentre il secondo si sviluppa per accrescimento. Gran parte del materiale del terzo, invece, deriva dai primi due, come il tema della tromba del primo movimento o il duetto di oboe e fagotto del secondo.

Octandre, peraltro, è l’unica opera di Varèse divisa in movimenti i cui tempi sono: Assez lent, Très vif et nerveux, Grave-Animé et jubilatoire. Ognuno si apre con uno strumento diverso: oboe, ottavino e fagotto.

Altra cosa interessante in questo brano è l’assenza totale di percussioni, cosa inusuale per Varèse. Il suo tipico ritmare nervoso, però, non scompare ed è affidato ai fiati, nella maggior parte dei casi ai tre ottoni.

  • Edgar Varèse – Octandre
    per flauto, clarinetto, oboe, fagotto, corno, tromba, trombone e contrabbasso (1923)
    ASKO Ensemble, Riccardo Chailly (1997).

Déserts

varèse

Musiche di Edgar Varèse e Olivier Messiaen

Ora: 6 Maggio 2009 da 21:00 a 23:30
Luogo: Teatro Camploy
Via: Via cantarane 32
Città: Verona
Sito web o mappa: http://www.teatrocamploy.it
Recapiti: 0458009549 – 0458008184
Tipo di evento: concerto
Organizzato da: Intersezioni

PROGRAMMA

Edgar Varèse – Density 21.5
per flauto solo
Gino Maini, flauto
Scarica articolo: Varese_Maini.pdf

Edgar Varèse – Déserts
per ensemble di strumenti a fiato, percussioni ed elettronica
Ensemble dell’Arena di Verona
Direttore Jukka Isakkila
Mauro Graziani, regia del suono
Installazioni video di Piero Matarrese
Scarica articolo: varèse_déserts.pdf

Olivier Messiaen – Fantasia per violino e pianoforte
Oleksandr Semchuk, violino
Leonardo Zunica, pianoforte

Olivier Messiaen – Oiseaux Exotiques
per pianoforte, ensemble di strumenti a fiato e percussioni
Leonardo Zunica, pianoforte
Ensemble dell’Arena di Verona
Direttore Jukka Isakkila
Scarica articolo: stranocasomessiaen.pdf

Il paradosso di Feldman

feldman…consiste nel fatto che un uomo corpulento, gioviale e ciarliero si metta a scrivere della musica ai limiti dell’udibile. In un secolo rumoroso come il nostro, Morton Feldman ha scelto di essere silenzioso e soffice come la neve.

Feldman iniziò a comporre già negli anni Quaranta, sebbene i suoi lavori giovanili (spesso marcati da una certa influenza di Alexander Scriabin) siano stilisticamente molto differenti da quello che avrebbe composto più tardi, e che lo avrebbe reso universalmente noto per il suo linguaggio affatto personale, differente dalla maggior parte dei compositori a lui coevi.

Fu dopo il suo incontro con John Cage che Feldman iniziò a scrivere musica che non era correlata con le tecniche del passato, né con quelle in voga in quegli stessi anni (in particolare modo lo strutturalismo), utilizzando sistemi di notazione musicale non convenzionali (spesso basati su “griglie” o altri elementi grafici), delegando all’interprete (o al caso) la scelta di determinati parametri (talvolta Feldman determinava in partitura soltanto il timbro ed il registro, lasciando libera la scelta delle altezze all’esecutore, altre volte invece semplicemente specificando il numero di note che debbono essere suonate in determinati momenti, senza specificare quali).

In quell’epoca segnata dal suo interesse nei confronti dell’alea, Feldman applicò anche elementi derivati dal calcolo delle probabilità alle sue composizioni, traendo in questo senso ispirazione da certe opere di Cage come Music of Changes.

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, e poi definitivamente dal 1967, per necessità di maggiore precisione nel controllo della sua musica, e per evitare che la particolare notazione venisse travisata come un invito all’improvvisazione, ritornò alla notazione musicale tradizionale. Per il suo frequente utilizzo di ripetizioni, fu spesso ritenuto un precursore del minimalismo.

Trovò spesso ispirazione nel lavoro degli amici pittori legati all’espressionismo astratto, tanto che negli anni Settanta compose numerosi brani (spesso con durate attorno ai venti minuti) sotto questo specifico influsso (tra cui Rothko Chapel del 1971, brano scritto per l’omonimo edificio che ospita opere di Mark Rothko, che potete ascoltare nel video. I dipinti sono, appunto, opera di Mark Rothko, che si vede anche in persona alla fine del video. L’organico è soprano, contralto, coro, viola, percussioni e celesta).

Nel 1977 compose la sua unica opera, Neither, su testo di Samuel Beckett.

A partire dalla fine degli anni Settanta iniziò a produrre lavori molto lunghi (raramente più brevi di mezz’ora, ed anzi spesso molto più lunghi), generalmente composti da un movimento unico, dove la concezione della durata viene dilatata fin quasi a voler annullare la stessa percezione del tempo; questi lavori comprendono Violin and String quartet (1985, due ore circa), For Philip Guston (1984, quattro ore circa), fino all’estremo String quartet II del 1983, la cui durata supera abbondantemente le cinque ore (senza nessuna pausa). La sua prima esecuzione integrale fu data nel 1999 presso la Cooper Union di New York dal Flux Quartet, il quale ha pure registrato lo stesso brano nel 2003 (per una durata totale di 6 ore e 7 minuti). Com’è tipico della sua tarda produzione, questo brano non presenta nessun cambiamento d’umore, rimanendo per la sua quasi totalità su dinamiche estremamente ridotte (piano o pianissimo); Feldman del resto negli ultimi anni ha dichiarato che i suoni di bassa intensità (quiet sounds) erano gli unici che lo interessavano.
[in parte da wikipedia]

Morton Feldman – Neither, Opera in one act (1977)
text by Samuel Beckett
Sarah Aristidou, soprano
ORF Radio-Symphonieorchester Wien
Roland Kluttig, conductor

Spazi Inabitabili

françois bayle

François Bayle, francese, nato nel Madagascar, allievo e poi assistente di Schaeffer (dal 58 al 62) è uno dei principali esponenti della musica concreta di cui porta avanti la tradizione anche oggi. Ha diretto l’INA/GRM (Marseille) dal 1975 al 1997. Lasciata la direzione dell’INA, ha fondato un proprio studio chiamato Magison in cui lavora attualmente.

Fra i fondatori del movimento acusmatico (musica in cui scompaiono sia l’oggetto generatore del suono che l’interprete). Acusmatiche erano le lezioni di Pitagora, che i suoi discepoli ascoltavano celato da una tenda, senza vederlo restituendo “all’udito la totale responsabilità di una percezione che normalmente si appoggia ad altre testimonianze sensibili”, come scriveva Pierre Schaffer nel suo “Traité des objets musicaux”. L’acusmatica isola il suono dal contesto visivo e lo propone come fenomeno di per se stesso.

Here you can listen to the Espaces inhabitables, d’après Bataille et Jules Vernes (1967)

Epidemie

Visto che se ne parla in questo periodo, ecco un bel sito per seguire il diffondersi delle epidemie su scala mondiale. La mappa mostra i casi registrati negli ultimi 30 giorni.

Si usa così:

  • selezionate i feeds, in alto a sinistra; al limite selezionateli tutti cliccando “all”
  • sempre a sinistra, in basso, selezionate il/i morbo/i da seguire. Notate che, cliccando sul nome di una malattia, si seleziona solo quella.

Quella che vedete in figura è l’influenza comune. Per seguire la nuova influenza suina cliccate “Swine Flu H1N1”.

Altre buone mappe per l’H1N1 sono su Google Maps, qui e qui.

Sculture Sonore

sound sculpturesContinuo’s weblog recupera una bella incisione Wergo del 1985, ormai fuori catalogo, dedicata alle sculture sonore.

I costruttori degli oggetti sonanti rappresentati nel disco appartengono tutti all’area austro-tedesca, selezionati dal critico Klaus Hinrich Stahmer. Vi si trovano compositori come Anestis Logothetis, di origini greco/bulgare, naturalizzato austriaco, già noto per le sue partiture grafiche degli anni ’70, o costruttori di strumenti come Hans-Karsten Raecke, fino a Herbert Försch-Tenge, con un bel brano generato suonando le proprie sculture.

I singoli brani si possono ascoltare su UbuWeb, l’opera completa su Continuo’s weblog.

Alcuni estratti:

 

L’attacco a Morgan Hill

Quanto segue è stato segnalato da Bruce Perens (uno dei leader di Debian GNU/Linux) e quanto vi racconto è basato sul suo report.

Poco dopo la mezzanotte di Giovedì 9 aprile 2009, aggressori non identificati sono scesi in quattro pozzetti che ospitano i cavi nella città di Morgan Hill (California del Nord, 33,556 ab.) e hanno tagliato gli otto cavi in fibra ottica che servono le comunicazioni della zona, in quello che sembra essere stato il primo attentato organizzato contro le infrastrutture elettroniche di una città americana. Le sue implicazioni, anche se sorprendenti, sono passate quasi sotto silenzio.

Gli effetti, invece, sono stati devastanti. La città di Morgan Hill e parte di tre contee confinanti hanno perso il servizio di emergenza (il 911), le comunicazioni di telefonia mobile cellulare, i telefoni fissi, la rete DSL (internet) e varie reti private, le comunicazioni con i pompieri, gli antifurti remoti, i bancomat, i terminali delle carte di credito e il monitoraggio dei servizi di pubblica utilità. Inoltre, alcune risorse che non avrebbero dovuto esserne affette, come la rete interna dell’ospedale locale, hanno dimostrato di essere dipendenti da risorse esterne, lasciando per una giornata l’ospedale a cavarsela con le carte.

Il commercio è stato interrotto in un corridoio di 100 miglia intorno alla comunità, da San Jose a Gilroy e Monterey. I contanti sono stati re per un giorno mentre bancomat e carte di credito erano fuori uso e molti si sono trovati senza il denaro sufficiente per acquistare beni essenziali. I lavoratori dei servizi dipendenti dalle comunicazioni sono stati mandati a casa e le numerose aziende che gestiscono le operazioni just-in-time per l’agricoltura non potevano comunicare.

In altre parole, l’area era stata isolata dall’internet circostante.

Il movente dell’operazione è oscuro. Si è pensato a un furto a causa dell’interruzione degli allarmi remoti, ma nessun furto è stato commesso. A un tentativo di manipolare il mercato, ma non è emerso niente di strano. Al terrorismo, ma niente è accaduto. Alcuni pensano a una vendetta di ex lavoratori delle comunicazioni, data la conoscenza necessaria per una azione di tal fatta.

O forse, in fondo, era solo una prova…

Monochord

Monochord è una parte di Zeitgeist di George Crumb, una suite per due pianoforti amplificati composta nel 1988, quindi 10 anni dopo l’ultimo libro del Makrokosmos da cui eredita la ricerca sonora fatta di suoni delicati prodotti manipolando direttamente le corde del pianoforte e ascoltabili grazie all’amplificazione.

Registrazione effettuata a Lecce nel 2007. Esecutori Andrea Rebaudengo, Carlo Palese.

Vortex Temporum

La grande partitura di Grisey

Note dello stesso Grisey

The title Vortex Temporum indicates the beginning of the system of rotation, repeated arpeggios and their metamorphosis in various transient passages. The problem here is to enter the depths of my recent research on the use of the same material at different times. The three basic forms are the original event – a sinusoidal wave – and two continuous events, an attack with or without resonance as well as a sound held with or without crescendo. There are three various spectra: harmonics, ‘stretched disharmonics’ and ‘compressed disharmonics’; three different tempos: basic, more or less expanded, and more or less contracted. These are the archetypes that guide Vortex Temporum.

In addition to the initial introductory vibration formula taken directly from Daphnis et Chloe, ‘Vortex’ suggested to me harmonic writings focused around the four tones of the diminished seventh chord, a rotational chord par excellence. Treating each of these tones as leading ones, we obtain the possibility of multiple modulations. Of course, we aren’t dealing here with the tonal system but rather with considerations of what might still be relevant and innovative in this system. The chord about which I’m speaking is thus a common part of the three previously written spectra and determines other displacements.

The piano used in the work is tuned a quarter tone lower, which changes the sound of the instrument, at the same time facilitating the integration within microintervals, which are essential in this work. In Vortex Temporum the three archetypes described above revolve around one fragment and the other in temporary intervals, differing among themselves as among people (the tempo of speech and breathing), whales (spectral time of sleeping rhythms), and birds or insects (extremely contracted time, whose contours become obliterated). Thanks to this imagined microscope, the notes become sound, a chord becomes a spectral complex, and rhythm transforms into a wave of unexpected duration.

The three portions of the first part, dedicated to Gérard Zinsstag, develop three aspects of the original wave, well known to acoustic engineers: the sinusoidal wave (vibration formula); the square wave (dotted rhythm) and the jagged wave (piano solo). They develop the tempo, which can be defined as ‘joyful’, the tempo of articulation, rhythm of human breathing. The isolated piano section reaches the boundaries of virtuosity.

The second part, dedicated to Salvatore Sciarrino, approaches the same material in expanded time. Initial Gestalt appears here only once, spreading throughout the entire part. I tried here to create the feeling of the confused speed inside the slow tempo.

Part three, dedicated to Helmut Lachenmann, introduces a long process allowing the creation of interpolation, which appears between the various sequences. Continuity gradually establishes, and expands, finally becoming a kind of widely conceived projection of the events from the first part. The spectra originally developed in the harmonic discourse of part two expand here to an extent degree, enabling the listener to detect the structure and entrance into other time dimension.

Short interludes are planned between the parts of Vortex Temporum. A few breaths, noises and discrete noises colour the awkward silence, and even the discomfort of the musicians and listeners, who hear their own breathing between he parts. Treating waiting time this way, linking the time of the audience with the time of the work, refers to some of my earlier works, for example Dérives, Partiels or Jour, Contrejour. Here, of course, these tiny noises are allied with the morphology of Vortex Temporum.

Overthrowing the material in favor of pure endurance is a dream, which I have been carrying out for many years. Vortex Temporum is perhaps only a history of the arpeggio in time and space – from the point of view of our ears.

Vortex Temporum was commissioned by the French Ministry of Culture, Ministerium für Kunst Baden-Würtemberg and the Westdeutsche Rundfunk Köln, at the special request of ‘Ensemble Recherche’.

-Gérard Grisey

World Digital Library

wdlUn altro grande archivio apre le porte: si tratta della World Digital Library che ha dietro di sè l’UNESCO e si propone di raccogliere tesori culturali da tutto il mondo senza distinzione di tipologia. Manoscritti, mappe, libri rari, partiture, registrazioni, film, stampe, fotografie, progetti architettonici e quant’altro (cliccare l’immagine per ingrandire).

Il pubblico potrà poi navigare attraverso questi materiali, splendidamente catalogati, con un’interfaccia in sette lingue: Arabo, Cinese, Inglese, Francese, Portoghese, Spagnolo e Russo. Il sito ospita già alcune perle, come una antica versione manoscritta di Genji Monogatari (源氏物語, Storia di Genji, XI secolo), considerata la prima grande novella della letteratura mondiale.

L’interfaccia è molto bella; permette anche di zoomare sui materiali via rotellina del mouse e di scaricarli facilmente in pdf, anche se a tratti si rivela un po’ pesante, soprattutto ad alti livelli di zoom.

Infine, è interessante vedere la lista degli sponsor riportata sul sito:

The Library of Congress and its WDL partners acknowledge the following financial contributors:

  • Google, Inc., for $3 million for the initial development of a WDL plan and the WDL prototype.
  • The Qatar Foundation, for $3 million in general support for the WDL, and to support the development of the Central Library of the Qatar Foundation as a key node in the WDL network.
  • The Carnegie Corporation of New York, for $2 million to support the inclusion of cultural institutions from sub-Saharan Africa and Eurasia in the WDL.
  • The King Abdullah University of Science and Technology, Saudi Arabia, for $1 million to support activities relating to the dissemination, through the WDL, of digital versions of manuscripts and other materials relating to science in the Arab and Islamic worlds.
  • Microsoft, Inc., for $1 million in general support.
  • The Lawrence and Mary Anne Tucker Foundation to support the establishment of a digital conversion center at the Iraqi National Library and Archives.
  • The Bridging Nations Foundation for the development of Middle East-related content for inclusion in the WDL.

RIP: James Graham Ballard

coverDue parole per ricordare James Graham Ballard, scrittore, principalmente di fantascienza, ma non solo. Uno dei miei preferiti nel genere, con i suoi romanzi sulla fine del mondo descritta in molti modi (Il vento dal nulla, Deserto d’acqua, Terra bruciata, Foresta di cristallo), ma anche con la potente immagine dell’uomo asserragliato su un balcone che mangia un cane con cui inizia Condominium, o con la New York fantasma, abbandonata di Hello America.

Poi celebrato come il narratore dello spazio interno e divenuto infine un scrittore iperrealista, in un percorso artistico analogo a quello di William Gibson. La sua Atrocity Exhibition, ambientata in una clinica psichiatrica, fonde il panorama esterno ed interno, in un universo frammentato dai media. Di Crash, portato in film da David Cronenberg, Baudrillard scrisse:

Crash è il nostro mondo, niente vi è “inventato”: lì tutto è iperfunzionale, la circolazione e l’incidente, la tecnica e la morte, il sesso e l’obiettivo fotografico; tutto è come una grande macchina sincrona, simulata… In Crash non c’è più finzione né realtà: l’iperrealtà le abolisce entrambe.

Nato a Shanghai nel 1930 da genitori britannici, Ballard ci ha lasciato il 19 Aprile a 78 anni.

De Natura Sonoris

Una delle composizioni più materiche del polacco Krzysztof Penderecki (1933) questa De Natura Sonoris per orchestra che esiste in due versioni, la prima del 1966 e la seconda del 1971. In realtà si tratta di due composizioni diverse, accomunate dalla medesima ispirazione legata alla varietà degli aspetti della natura e al loro evolvere.

Come già nella famosa Threnody, del 1960, per 52 archi (probabilmente il suo brano più noto), Penderecki si adopera per creare nuove sonorità strumentali, soprattutto con gli archi e fa un uso esteso di alcune delle sue tecniche compositive favorite, come quella che si basa sulla libera combinazione di piccole frasi melodiche assegnate dapprima a un ristretto gruppo strumentale, per estendersi, poi, gradualmente a tutta l’orchestra.
Nel secondo brano, inoltre, il compositore utilizza vari effetti percussivi, come quello ottenuto da una sbarra di ferro colpita con un martello e con una sega.

È una musica semplice sotto l’aspetto formale, basata più sull’effetto fonico che su una rigorosa struttura, ma rimane comunque affascinante.

Tierkreis

Tierkreis (1974) è una composizione unica nell’universo di Stockhausen perché, da un lato fa un passo deciso verso una semplicità fino a quel momento sconosciuta nella sua produzione, mentre dall’altro è collegata allo Stockhausen più visionario e radicale, quello che si diceva in contatto diretto con il cosmo, arrivando fino a sostenere con decisione il proprio essere alieno.

In origine si trattava di un ciclo di 12 melodie, con uno scarno sviluppo armonico, collegate ai segni zodiacali – il titolo si traduce, appunto, con Zodiaco – destinate ad incarnarsi in forma di carillon inclusi in una pièce teatrale chiamata Musik im Bauch e così uscirono all’epoca su LP DGG.

Il loro ruolo, però, non era destinato ad esaurirsi qui: esse acquistarono in breve una dignità di opera autonoma, da eseguirsi con un qualsiasi strumento melodico, a tastiera o combinazione dei due. La partitura prescrive che l’esecuzione inizi dal segno zodiacale di quel momento per proseguire seguendo l’ordine dello zodiaco fino a tornare al segno di partenza, con il vincolo che ogni melodia deve essere eseguita almeno da tre a quattro volte con variazioni e improvvisazioni.

Di conseguenza, ne furono create molte versioni, con formazioni anche diverse da quella prescritta, alcune per iniziativa di Stockhausen, ma altre sviluppate da vari gruppi di esecutori che spesso si prendono libertà che travalicano le istruzioni del compositore.

In questo modo Tierkreis ha assunto il carattere di opera semiaperta, passibile sia di interpretazione rigorosa, che utilizzabile come materiale da elaborare, al punto che le molte versioni hanno durate ben diverse, che vanno dai 12 ai 63 minuti. L’opera, comunque, mantiene sempre la sua impronta stockhauseniana anche perché le singole melodie pervadono la successiva produzione del compositore.

Stockhausen, infatti, le ha impiegate in altri lavori di ampia portata come l’intera sezione centrale di Sirius, un’opera per soprano, basso, tromba, clarinetto basso e otto canali di musica elettronica del 1975-77, in cui quattro messaggeri stellari giungono da Sirio per portare musica e pace agli uomini. In modo analogo, frammenti delle melodie di Tierkreis si ritrovano anche nella colossale Licht, una serie di opere, ciascuna dedicata a un giorno della settimana.

C’è da dire, in effetti, che la struttura stessa delle melodie è intimamente collegata al pensiero musicale di Stockhausen. Tanto per cominciare, ognuna di esse è centrata intorno ad una nota diversa, perché, se 12 è il numero dei segni zodiacali, 12 è anche il numero delle note nell’ottava. Così, la serie inizia dal LA per il Leone (il segno di Stockhausen), per passare al LA#/SIb per la Vergine, SI per la Bilancia, DO per lo Scorpione, eccetera.

Inoltre la loro velocità metronomica è collegata alla nota di base rovesciando la frequenza di quest’ultima in durata, secondo l’idea dell’unità tempo/altezza espressa da Karlheinz nel suo famoso saggio del 1957 “…Wie die Zeit vergeht …” (…come scorre il tempo…). In questo scritto teoretico, Stockhausen considera il fatto, ben noto alla fisica, che, essendo l’altezza data da una ripetizione ciclica dell’onda sonora, ad ogni nota può essere associata una durata temporale pari all’inverso della sua frequenza. Di conseguenza, ogni fenomeno ciclico può essere visto come una nota, pur se troppo bassa per essere udibile.

Così Tierkreis diventa una nuova “Musica delle Sfere”, riproponendo un’unità che va dall’universo fino alla nota emessa da uno strumento musicale, vista come atto creatore in quanto metafora della vibrazione primordiale che pervade il cosmo.

Qui in 3 versioni

  • per pianoforte, flauto, sassofono
  • Dynamis Ensemble: Birgit Nolte, flutes – Isabella Fabbri, saxophones – Candida Felici, piano

  • per flauto e clarinetto
  • duo 1010: Stephanie Bell, flutes – Liam Hockley, clarinets

  • per pianoforte e elettronica
  • Massimiliano Viel, piano and electronic

Piano Etudes

Piano Ètudes by Jason Freeman è un altro esempio di opera aperta via web in cui l’utente crea un brano seguendo un percorso fatto di frammenti. Andate qui.

Notate:

  • dopo aver scelto uno studio, cliccando “settings” potete vedere le note o il piano roll
  • cliccando “sharing” potete salvare la vostra creazione
  • potete apporre il vostro nome come autore accanto a quello di Jason Freeman cliccando “Anonymous”

Note dell’autore:

Inspired by the tradition of open-form musical scores, I composed each of these four piano etudes as a collection of short musical fragments with links to connect them. In performance, the pianist must use those links to jump from fragment to fragment, creating her own unique version of the composition.

The pianist, though, should not have all the fun. So I also developed this web site, where you can create your own version of each etude, download it as an audio file or a printable score, and share it with others. In concert, pianists may make up their own version of each etude, or they may select a version created by a web visitor.

I wrote Piano Etudes for Jenny Lin; our collaboration was supported, in part, with a Special Award from the Yvar Mikhashoff Pianist/Composer Commissioning Project. Special thanks to Turbulence for hosting this web site and including it in their spotlight series and to the American Composers Forum’s Encore Program for supporting several live performances of this work. I developed the web site in collaboration with Akito Van Troyer.

Neptune

manouryPhilippe Manoury è attualmente uno dei più importanti ricercatori e compositori francesi. Attivo da anni nell’area della musica elettroacustica, avvalendosi della collaborazione di Miller Puckette, ha scritto alcuni dei primi lavori per strumento e elaborazione effettuata totalmente in tempo reale (Jupiter, 1987 e Pluton, 1988, entrambi inseriti nel ciclo Sonus ex Machina).

Qui vi presentiamo due estratti di Neptune (op. 21, 1991) per tre percussionisti ed elettronica. I percussionisti suonano 2 vibrafoni MIDI, tam-tam e marimba e sono elaborati e contrappuntati in tempo reale.

ArtBabble

Apre le porte in modo ormai stabile ArtBabble, un sito creato dall’Indianapolis Museum of Art e destinato a ospitare video dedicati all’arte provenienti da varie istituzioni (MoMA, SFMOMA, PBS, the New Public Library, etc).

Il sito esisteva in forma sperimentale dal 24 Gennaio, ma ormai ha brillantemente superato il periodo di prova e si pone come un punto di riferimento per i video artistici o dedicati ad argomenti collegati (interviste, profili, etc…).

Video di tal fatta, attualmente, esistono già su internet, per es. in You Tube, ma il fine di ArtBabble è quello di renderli disponibili in forma meglio organizzata e più pulita. Inoltre, gran parte del materiale è in alta definizione.

Music for Prague

coverOk, un po’ di tranquillità dopo lo sforzo organizzativo del Premio Nazionale delle Arti.

Eno ha concepito questa musica nel 1998 per una installazione realizzata in collaborazione con Jiri Prihoda a Praga. Il CD risultante è stato poi venduto a un’asta di beneficenza per £ 400 nel Gennaio 2001.

Si tratta di una lunga traccia ambient (un’ora di musica) in cui varie linee melodiche in loop con durate diverse vengono sovrapposte casualmente, nel classico stile della musica generativa di Eno. Il risultato sonoro è simile a Music for Airport, ma privo di loop sensibili e con la differenza che qui gli interventi sono ancora più radi. Ne risulta un insieme che evolve molto lentamente, sempre diverso ma sempre uguale.

Ve ne proponiamo un estratto di circa 15 minuti.

Brian Eno – Excerpt from Music for Prague (1998)

paint

CBGB Online

Per molto tempo il CBGB, il famoso club situato al 315 di Bowery Street, è stato la mecca della scena musicale di NY. È il luogo che ha lanciato gente come i Ramones, Patti Smith, Blondie, e i Talking Heads sulla scena internazionale. E nel 2006 ha chiuso.

Per chi non ha fatto in tempo a vederlo, oggi rivive sotto forma di un virtual tour.

Residents

coverAttivi dalla fine degli anni ’60, i Residents continuano la loro straordinaria avventura restando sempre nell’anonimato.

Pur avendo pubblicato circa 60 (!) album, realizzato vari video, 3 DVD ed essersi esibiti centinaia di volte in pubblico, i componenti del gruppo hanno sempre avuto il volto coperto da maschere grottesche (la più celebre delle quali è quella di un gigantesco bulbo oculare), non mostrando mai quindi il loro vero volto al pubblico. Per tale motivo è possibile che nel corso degli anni si siano avvicendati numerosi musicisti nelle vesti dei quattro componenti della formazione. I Residents si sono sempre autoesclusi dai grandi circuiti di musica commerciale, mescolando rock, elettronica, noise, vaudeville e sperimentazione, producendosi inoltre in numerose reinterpretazioni dissacranti di brani classici del repertorio della musica pop.

L’ultima loro produzione è l’Icky Flix Live DVD, che uscirà l’8 Aprile:

The Icky Flix DVD is a documentary shot entirely from an audience perspective. The DVD runs in real time from the start of the show to the end with nothing edited out. There is no post production on the sound or the picture. The event was captured on six consumer level DV cameras. The sound comes from one of the cameras.

Ecco un video del 1999

400 anni fa…

cover400 anni fa, in questi giorni, nella primavera del 1609, Galileo cominciava a puntare verso il cielo il suo primo cannocchiale dando il via a un ciclo di scoperte che nel giro di tre anni compresero il riconoscimento di caratteristiche ”terrestri” sulla superficie della Luna, la prova che la Via Lattea e’ composta di moltissime stelle, la scoperta dei quattro satelliti maggiori di Giove, la scoperta delle fasi di Venere, e infine l’osservazione del moto delle macchie Solari.

Sleeping in the Forest

Ben Stepner costruisce atmosfere meditative tramite chitarra e computer. Semplice ambient music, sotto molti aspetti banale, ma vengo sempre colpito dal potere della consonanza.

Qui non si parla di tonalità e nemmeno di modalità, ma solo di sovrapposizioni di armonici che a volte (non a tutti) inducono uno stato di relax.

Sleeping in the Forest è distribuito via Soundcloud.

Un brano come esempio:

  • Ben Stepner – 05

Butoh

Butoh è il nome di varie tecniche e forme di danza contemporanea ispirate dal movimento Ankoku-Butoh (ankoku=tenebre) attivo in Giappone negli anni ’50. Aspetti tipici del butoh sono la nudità del ballerino, il corpo dipinto di bianco, le smorfie grottesche ispirate al teatro classico giapponese, la giocosità delle performance, l’alternarsi di movimenti estremamente lenti con convulsioni frenetiche. Non esiste una messa in scena tipica del butoh. Le sue origini vengono fatte risalire a Tatsumi Hijikata ed a Kazuo Ohno. [wikipedia]

 

Insect Lab

Mike Libby costruisce insetti. Si definisce

a multi-disciplinary artist who makes highly detailed sculptures, models, collages and drawings. Through diverse materials and methodologies, I explore themes of science, nature, fantasy, history and autobiography; highlighting illogical and acute correspondences between the real and unreal. For the past 8 years, alongside my other body of work, I have enjoyed developing the work presented here as Insect Lab.

e sulla nascita di questa passione, afferma

One day I found a dead intact beetle. I then located an old wristwatch, thinking of how the beetle also operated and looked like a little mechanical device and so decided to combine the two. After some time dissecting the beetle and outfitting it with watch parts and gears, I had a nice little sculpture.

insect lab

Sito di riferimento: Insect Lab.

La chitarra nel 21° secolo

Spectra: guitar in the 21st century è una interessante compilation pubblicata dalla netlabel quietdesign.

I musicisti rappresentati sono in gran parte sconosciuti ai più, ma tutti sono impegnati ad estendere le possibilità di questo strumento spesso grazie anche all’inserimento dell’elettronica. E secondo me questo è uno dei casi in cui l’elettroacustica di confine supera nettamente la ricerca “accademica”. Mentre quest’ultima è ancora impegnata a porsi il problema dell’inserimento dell’elettronica in composizioni in gran parte acustiche, con relative problematiche come la standardizzazione della partitura, questi tipi, ai quali vanno sicuramente affiancati anche musicisti come l’Hans Reichel di qualche post fa e personaggi come Fred Frith, invece, agiscono.

Certo si può obiettare che forse il loro livello di progettualità è scarso, ma quando esiste la ricerca sonora, la progettualità la segue; è solo questione di elaborare delle idee a partire dai materiali sonori.

Gli artisti coinvolti sono:

  • tetuzi akiyama
  • cory allen
  • erdem helvacioglu
  • jandek
  • kim myhr
  • duane pitre
  • sebastien roux
  • keith rowe
  • mike vernusky

Alcuni estratti:

Saviano

Per una volta la TV serve a qualcosa. E non è vero che non c’entra con questo blog perché questa è una storia estrema. Ed è una storia di cui non ci libereremo mai. Perché per liberarsene bisogna che la politica lo voglia e che la maggior parte del paese lo voglia. E non è così.

MoPhO

La Mobile Phone Orchestra (MoPhO), creata presso il CCRMA dell’Università di Stanford, utilizza i cellulari come piattaforma musicale.

I particolari in questo articolo e nel video seguente.

Information Mechanics

Un impressionante brano del chitarrista e improvvisatore Henry KaiserInformation Mechanics

Qui potete ascoltare l’intero album.

This is the equipment HK most typically uses when performing or recording

ELECTRIC GUITARS

Steve Klein Custom Electrics – Danny Ransom guitars – Modulus Graphite Neck guitars – Moonstone M-80 – Moonstone Z-80 – James L. Mapson 7-string – Tom Anderson Cobra – Tom Anderson Classic strat type – Rick Turner Model T

BASS GUITARS

Jerry Jones 6 string bass – Rick Turner Rennaisance fretless bass

SPEAKERS

JBL D-120JBL D-130

EFFECTS RACK

Lexicon MPX-1 – Eventide 3500 – Lexicon PCM-42 – Eventide 4000 – TC 2290 – Aleisis Midiverb II

PICKUPS

Alembic Activator – Bartolini – Sunrise – Turner

ACOUSTIC GUITARS

Monteleone Eclipse – Dana Bourgeois Anniversey Model – Dana Bourgeois Bourgeois Blues – Stefan Sobell 12 fret – Bohmann 12 fret – Ralph Bown baritone – Ralph Bown 12 fret – Danny Ferrington baritone – Santa Cruz Koa D – Marc Silber K&S Leadbelly Model 12 string

AMPS

Dumble Overdrive Special – Dumble Steel String Singer – ADA Cobra – Fender Super Champ – THD V-Front – Trainwreck Rocket – Trainwreck Liverpool

PICKGUARDS

Clown Vomit

Cos’è successo al pianista?

Nel vedere questo estratto del Concert for Toy Piano and Orchestra (2005) di Matthew McConnell, brillantemente eseguito da Keith Kirchoff, sembra che un incantesimo abbia colpito pianista e pianoforte.

Il piano giocattolo, invece, è uno strumento con un repertorio specifico (fra gli altri, Cage, che peraltro non è l’unico).

New England Conservatory Symphony Orchestra. Sergio Monterisi, conductor. Recorded in NEC Jordan Hall

Mumma

Gordon Mumma è una figura storica della musica elettroacustica negli USA, Fondatore dell’Ann Arbor’s Cooperative Studio for Electronic Music con Robert Ashley, ha lavorato per la Merce Cunningham Dance Company (con John Cage e David Tudor) ed è stato membro della Sonic Arts Union con Ashley, Alvin Lucier e David Behrman.

Qui vi propongo due brani: Epifont (1984), un breve studio dalle sonorità sostenute scritto in memoria del compositore George Gacioppo e il monumentale Megaton for William Burroughs del 1963, che meriterebbe di essere visto più che ascoltato, dato che gli esecutori (Robert Ashley, Harold Borkin, Milton Cohen, George Manupelli, Joseph Wehrer, Tony Dey e Gordon Mumma) sono alle prese con varie sculture sonore.

Gordon Mumma – Epifont (1984)

Megaton for Wm. Burroughs is a theatrical live-performance electronic-music composition with ten channels of sound. An ensemble of electro-acoustical sculpture,performed by five players, is heard from four of the channels. Six channels of composed tape are heard from the remaining loudspeakers. The performance takes place in the center of the space, with the audience surrounding the sculpture ensemble. All ten channels are heard from loudspeakers surrounding the audience.

“The thunderous four-minute introduction begins abruptly with a blackout. As the introduction fades, the sculpture gradually becomes visible, illuminated so that the performers are isolated from each other in the space. The performers communicate with each other by means of aircraft headsets. This communication coordinates the performance and is not heard by the audience.

“The live-performance section with the sculpture, which grows out of the fading introduction, occupies nearly half of the piece. The performers, isolated in space but communicating by their headsets, develop an increasingly complex sound montage with the electro-acoustical sculpture. Invisible taut-steel wires above the audience carry speeding, projectile-like flashing objects. The movement of these objects sets the overhead wires into vibrating resonances which, when amplified, become part of the sonic montage.

“As the illumination fades near the end of this live-performance section, a drone emerges and becomes recognizable as that of an aircraft squadron. The isolated images of the performed sculpture evolve through the drone into the sounds of World War II bomber crews communicating with each other from isolated parts of their aircraft during the course of a raid.

“The piece has evolved gradually but directly from its thunderous, abstract beginning through the electro-acoustical montage and into a cinema-real air raid. A brief burst of heroic movie music introduces the closing sequence: in an entirely different part of the space, in an isolated pool of light a lone drummer quietly rides his traps.”

Ode Machine

k. roweKeith Rowe, forse il prototipo dei chitarristi improvvisatori di scuola anglosassone, esegue un brano di Cornelius Cardew tratto dall’album “A Dimension of Perfectly Ordinary Reality” del 1990.

Solo prepared guitar recording from the AMM member who pioneered the table-top guitar technique in his free improvisations back in the ’60s and thus influenced everyone from Syd Barrett through to Fred Frith and Jim O’Rourke. A Dimension of Perfectly Ordinary Reality is a live recording of Rowe solo outside of the AMM context he shares with percussionist Eddie Prevost and pianist John Tilbury. The array of sounds that the Englishman coaxes from the mere six string instrument is phenomenal, and his art is to extend upon the prepared piano techniques pioneered by John Cage and apply them to the electric guitar. As ecstatic as Derek Bailey, the comparison stops there as Rowe scarcely even puts his fingers on the string, instead opting for radio feedback, arco, and any number of kitchen implements to attack the guitar. To the uninitiated this may sound like clattering mess of noise. A Dimension of Perfectly Ordinary Reality is certainly far from it, as the dexterity with which he approache…s abstraction is prodigal. It is no doubt then that everyone from Sonic Youth, Henry Kaiser, and even Frank Zappa could accredit Rowe as inspirational. His activities on recordings increased dramatically in the year 2000, with the proto-noise artist directing MIMEO and collaborating with improv mainstay Evan Parker on numerous recordings. This CD is a great document of one of his scarce solo performances.
[Martin Walters, All Music Guide]

Cornelius Cardew (Arr. K. Rowe) – Ode Machine No. 2
K. Rowe prepared guitar, voice
Recorded at the Holywell Music Room, Oxford on 5 July 1989

Via bravo Juju

Facce elettriche

Daito Manabe trasforma i suoni in impulsi elettrici atti a stimolare i muscoli del viso e testa il sistema sui suoi amici.

Daito Manabe:Direction,programming and composition

supported by
Masaki Teruoka and Katsuhiko Harada: device
Taeji Sawai: sound design

upper left: Muryo Honma
upper right:Setsuya Kurotaki,
lower left: Motoi Ishibashi
lower right: Seiichi Saito

Audiogrammes

Audiogrammes è un brano di Benoit Moreau il cui titolo si rifà ai Calligrammi (poesie in forma grafica datate 1913) di Guillaume Apollinaire. Si tratta di musica in parte scritta e in parte improvvisata che esiste in due versioni:

AUDIOGRAMMES I : versione per quattro solisti

  • flauti dolci
  • sassofoni
  • percussioni
  • elettronica

AUDIOGRAMMES II: versione per quattro solisti e quattro ensembles

  • flauti dolci solo + flauto traversiere, violino, contrabbasso
  • sax solo + clarinetti, trombone, violoncello
  • percussioni solo + viola, percussioni
  • elettronica solo + pianoforte

Qui ascoltiamo Audiogrammes II, eseguita il 7 Giugno 2008 al Conservatorio di Ginevra.

Benoit Moreau – Audiogrammes II

Anne Gillot: flûtes à bec
Laurent Estoppey: saxophones
Alexandre Babel: percussion
Benoit Moreau: composition, électronique

Il brano è scaricabile dall’Internet Archive

Korg Nano

Un trio di controller USB prodotti da Korg, utili, piccoli e abbastanza economici (€ 59 ciascuno).

  • Il nanoKONTROL ha 9 slider MIDI (controlli continui), altrettanti potenziometri, 18 pulsanti e una sezione di transport.
  • Il nanoPAD possiede 12 pad sensibili alla dinamica, ognuno capace anche di inviare fino a 8 messaggi MIDI (note o controlli). Inoltre ha un touchpad X-Y.
  • nanoKEY, infine, è una tastiera con 25 tasti, valocity sensitive, 8va mobile, pitch bender e modulation wheel.

Disponibili nei due colori visibili in foto.

Music for Airports reloaded

coverBrian Eno’s Music for Airports (1978) played a very important part in the concept and development of ambient music. One could say that ambient music is not a music to be listened to, but a music to be heard, as a subliminal background creating a soundscape for various places or buildings. Supermarkets and elevators are usually places where a poor music is played, one calls it muzak. Brian Eno’s idea was to conceive a sophisticated musical soundscape instead of this anonymous FM music, and he chose airports as the best places where such a music could be heard and understood, creating an unusual and quiet sonic background among all the noises and announcements of a airport terminal.

Music for Airports is a masterpiece, with its subtle piano tracks, its complex electronic treatments, its choral parts, and its slow and organic development.

In 1998, Point Music, a label directed by Philip Glass, released this amazing interpretation of Music for Airports by Bang on a Can: Robert Black (bass), Lisa Moore (piano, keyboards), Evan Ziporyn (clarinet, bass clarinet), Maya Beiser (cello), Steven Schick (percussion), a choir of female voices and additional musicians playing pipa, flute, horn, trumpet, trombone, violin, cello, mandolin and mandocello.

This chamber music ensemble plays Eno’s compositions with fidelity and creativity at the same times. The acoustic instruments create a rich harmonic soundscape and add a very original touch to the original recording.

This peaceful, quiet and slow music is very evocative and poetic: the cover version is as beautiful as the original…

Excerpt from Brian Eno – Music for Airports 1.1 – played by Bang on a Can

Via Just Another Garden

20 anni di WWW

the original browserIl World Wide Web, chiamato piu’ familiarmente “Web”, compie oggi 20 anni. A festeggiare il ventesimo compleanno del www oggi, al Cern di Ginevra dove è stato inventato, si è tenuta una cerimonia a cui era presente anche uno dei suoi ideatori, il ricercatore inglese Tim Berners-Lee che, insieme al fisico belga Robert Cailliau, ideò il protocollo http per cui scrisse il primo server e il primo client, lo storico browser chiamato proprio WorldWideWeb. Scrisse inoltre la prima versione del linguaggio di formattazione di documenti con capacità di collegamenti ipertestuali conosciuto come HTML.

Era il 13 marzo 1989, un lunedì, quando Berners-Lee sottoponeva al suo superiore, Mike Sendall, un progetto riguardante un nuovo sistema di gestione dell’informazione, volto a mettere in rete gli scenziati del centro ginevrino e i loro colleghi nel mondo intero. “Un po’ vago, ma promettente” annotò Sendall sul documento, autorizzando tuttavia Berners-Lee a proseguire i lavori. Nel settembre 1990, il ricercatore ricevette un computer NeXT Cube, col quale, nel dicembre successivo, sviluppò il Web (NB: il Web, non Internet).

Se il Web non ha più nulla a che vedere con il sistema d’informazione che all’epoca della sua nascita collegava soltanto un piccolo gruppo di computer del centro di ricerche, “le sue radici saranno per sempre legate al Cern” ha rilevato Berners-Lee nell’ambito della cerimonia odierna, durante la quale il ricercatore britannico ha effettuato una dimostrazione con il browser originale. “Lo spirito creativo che ha permesso a Tim Berners-Lee d’inventare il Web è ancora vivo al Cern” ha assicurato da parte sua il direttore generale del mega centro di ricerche di Ginevra, Rolf Heuer.

Nell’immagine (click to enlarge): lo storico browser mentre gira sul sistema Unix del NeXT. Ed è solo perché è stato inventato al CERN e gira su Unix che oggi il web si basa su protocolli liberi e gratuiti, perché se fosse stato creato da IBM, Microsoft o Apple, oggi pagheremmo caro ogni click. Ricordàtelo bene.

Leonard Cohen in concert

leonard cohenIl poeta e cantautore canadese Leonard Cohen è di nuovo in tournée negli States dopo 15 anni.

In questo link di npr-music potete ascoltare buona parte del concerto al Beacon Theatre in Manhattan. 12 pezzi per 1 ora e 14. Cohen rivisita famosissimi brani come “Dance Me to the End of Love,” “Bird on a Wire,” “Chelsea Hotel,” “Sisters of Mercy,” “Suzanne,” “Hallelujah,” “I’m Your Man,” “Famous Blue Raincoat.” Non occorre essere dei nostalgici per apprezzarlo.

Cliccate “Hear the music“, sopra l’articolo. Si apre una pagina con il player, vi beccate la pubblicità dell’ultimo disco di Van Morrison e poi inizia lo show (solo audio).

Be quick; non so quanto dura (invece dura ancora dopo 15 anni)

UPDATE

Mi sono reso conto solo adesso che nella pagina del podcast c’è, per forza di cose, l’mp3 (a volte non sono sveglissimo). Potete ascoltarlo o scaricarlo (tasto destro e salva) a questo link.

Pubblicato in Pop

Theremin come controller

Pochi sanno che la Moog ha un canale su You Tube. E non molti sanno che Moog è anche uno dei più grandi produttori di Theremin. L’ultimo modello è l’Etherwave Plus.

Recentemente Moog ha esteso l’area di utilizzo dell’Etherwave Plus, impiegandolo come controller di una apparecchiatura analogica. In questo video lo si vede controllare il filtro di una Moog guitar con l’effetto di agire sul timbro di quest’ultima.

Dal punto di vista di un elettronico, il giochino è banale perché una tensione è una tensione, da qualsiasi parte venga e da qualsiasi cosa sia generata, tuttavia mostra chiaramente come il mondo dei controller audio potrebbe essere esteso in molti modi.

Fall

Kaija Saariaho – Fall – for harp and live electronics

Consuelo Giulianelli on harp – Live in Basle, 16.05.2008 – Live electronics by Thomas Pete

Stop Recycling, Start Repairing

Sono ormai anni che l’industria produce oggetti non riparabili. Con il – a mio avviso – pretesto della sicurezza, si fabbricano oggetti che non si possono aprire e smontare senza appositi attrezzi, ma, in tal modo, è impossibile ripararli da soli.

Di conseguenza, un frullatore con un banale filo staccato viene buttato e sostituito perché è inapribile dal cittadino comune e inviarlo ad un laboratorio costa troppo rispetto al suo prezzo da nuovo.
Lo stesso oggetto, invece, potrebbe essere aggiustato in casa da qualsiasi umanoide dotato di un minimo di buon senso.

Tutto ciò aiuta il consumo, ma produce anche rifiuti e sprechi a non finire.

Il sito olandese Platform21 ora promuove una campagna per rendere riparabili gli oggetti.

Platform21’s Repair Manifesto opposes throwaway culture and celebrates repair as the new recycling.
With our new project, Platform21 = Repairing, we seek to make repairing cool again – with your help. Let the manifesto inspire you, comment on it or add to it. Rediscover the joy of fixing things and share your most ingenious repair, your tips and your tricks. You could present them in person later, or see them on our website or in the exhibition that opens on Friday 13 March.
This project is about sharing knowledge and skills. Together we can start a movement, one that isn’t new per se but has been forgotten. So if you know a way to save a product, let us know by emailing info at platform21 dot com.

Fragilità come sorgente di tutte le cose

coverThis is one of those releases that floods me with metaphorical insights.
In the beauty of breakage we find some of the answers for our deepest questions.
When something breaks, we are able to perceive it as what truly is, a collection of pieces of different shapes and sizes. Ian D Hawgood gives us four pieces of these ruined goods. Beginning with incessant timing of a vertical sound along a sea of soothing horizontality.

If frailty is the source of all things, then we ought to go back to it. All the abundant arrogance and destructive strength present in human beings has brought us to irreversible situation, into a mood that swings like the weather, each time faster and more bipolar. I believe “Her name was frailty” implies The Earth. Whenever we observe The Earth from a distance, in this case from an astronaut’s point of view, we can understand how far from reality we have strayed. The construction and sounds of this album allows me to, not only returning to a point of frailness, but also to activate a particular type of mental stimulation that empowers my psyche conceding me thoughts about restoration. Now, restoration implies an active participation in bringing the past back to life, in this case from broken to whole. This release definitely modifies my tiny rat heart.

Thanks Ian… or should I say ‘Ion’, an atom that has acquired a net electric charge by gaining or losing one or more electrons.» – Sebastian Alvarez

Excerpts:

Listen to/download the whole album

R.I.P. Henri Pousseur

Nato nel 1929 a Malmédy, in Belgio, e divenuto un affermato esponente della scuola di Darmstadt insieme a Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, Bruno Maderna e Luciano Berio, è stato uno dei primi a contaminare il serialismo e lo strutturalismo tipici dell’epoca con altri stilemi, seguito a breve da altri colleghi.

Da sempre interessato alla musica elettronica, ha lavorato negli studi di Colonia e di Milano, in cui ha realizzato lo storico Scambi del 1957, per poi fondare, nel 1958, lo studio di Bruxelles.

Ci siamo incontrati qualche volta, l’ultima nel 2002 a Verona. Eravamo nello stesso concerto. Pousseur presentava uno dei suoi Seize Paysages planétaires (musica elettroacustica). In quell’occasione parlammo a lungo, più di tutte le altre volte. Gli confessai che i suoi Trois Visages de Liège erano tra i brani che più mi avevano colpito quando ero ragazzino. Lui sorrideva.

Moscow Youth Cult

coverNuova, nostalgica release da test tube.

«Warm, woozy childhood memories, and crisp blue winter skies… friends, beaches, summer… the creative joys of making otherworldly sounds on battered old synths and a Casio keyboard stuck through cheap guitar pedals… a hefty dose of unadulterated, euphoric pop melody….

Colours Seep Out is the first full mini-opus from Nottingham’s Moscow Youth Cult, an electro-ambient-pop sidearm of UK underground indie noisemakers, “Love Ends Disaster!” (currently in hiding, putting together their next album). Part a recollection of the fuzzy and optimistic late 1990’s electronica of Boards of Canada, Aphex Twin, Susumu Yokota and DJ Shadow, part the urgent electro-pop of Beck, Ladytron and Fourtet, the 9 tracks here twist and melt from evocative synthscapes (Antenna I, Sandpits) to concise spurts of noise pop (Philosophique, Sakura Sakura)… and back again, without pausing for breath. What becomes clear is Jon Dix (Guitar, Synths, Vocals, Programming & Production), Robert Sadler (Keyboards, Programming) and Leah Donovan’s (Vocals) clear enjoyment of the sensibilities of pop music, topped with a healthy does of unabashed, exciting experimentalism.» – Jon Dix

Estratti:

Listen to/download the whole album

Green Island

Green Island è un progetto visionario, utopistico e provocatorio per una Tokyo più verde.

Queste immagini, create via computer graphic, vogliono attirare l’attenzione sulla mancanza di verde nella metropoli, che pure ne ha ben di più della media delle città giapponesi. Comunque sono di grande impatto ed è incredibile pensare a una Tokyo così (click image to enlarge).

Green Island

Ensemble

L’AGP rilancia un vecchio vinile che contiene i risultati di un esperimento realizzato durante l’edizione del 1967 dei corsi estivi tenuti da Stockhausen a Darmstadt (il disco è stato poi realizzato nel 1971).

12 compositori sono stati invitati a scrivere dei brani per strumento solista e nastro o trasmettitore a onde corte (1 solo esecutore), tali da poter essere eseguiti simultaneamente. Per soddisfare questa condizione, i pezzi non dovevano essere dei prodotti finiti, bensì una collezione di interventi sonori suscettibili di dilatazioni e/o spostamenti temporali.
L’elenco di strumenti, compositori ed esecutori è:

Instrument Composer Musician
Flute Tomas Marco Ladislav Soka
Oboe Avo Somer Milan Jezo
Clarinet Nicolaus A.Huber Juraj Bures
Basoon Robert Wittinger Jan Martanovic
French horn John McGuire Jozef Svenk
Trumpet Peter R.Farmer Vladimir Jurca
Trombone Gregory Biss Frantisek Hudecek
Violin Jurgen Beurle Viliam Farkas
Violoncello Mesias Maiguashca Frantisek Tannenberger
Double Bass Jorge Peixinho Karol Illek
Percussion Rolf Gelhaar Frantisek Rek
Hammond Organ Johannes G.Fritsch Aloys Kontarsky

Gli esecutori sono stati poi divisi a gruppi di 2/3 i cui output venivano inviati a uno di quattro mixer ciascuno collegato a 2 altoparlanti. A un ulteriore, solitario altoparlante è collagato l’organo hammond. Ne risulta quindi uno spazio sonoro a 9 altoparlanti in cui viene diffuso simultaneamente l’insieme di tutti brani, secondo lo schema seguente:

La direzione dell’esecuzione è dello stesso Stockhausen. L’album, ormai fuori catalogo, contiene una riduzione effettuata da Stockhausen di una performance di circa 4 ore.

Potete scaricare il tutto in flac da AGP98.

ENSEMBLE is an experiment in adding a new concept to the traditional “concert”. We are used to comparing different pieces played sequentially. In ENSEMBLE “pieces” of 12 composers are played simultaneously.

These “pieces” are musical objects (“works”) not fully worked out. They are sound objects (produced on tape or with a short wave transmitter), with individual control, action and reaction models, and notated “events”, which are introduced by the composers to the ENSEMBLE play in the process of the actual performance.

Each composer has composed for one musician and tape or short wave transmitter. The total plan and the introduction of the parts for its synchronisation with the ENSEMBLE were established by Stockhausen. The twelve systems and their coordination were formulated during daily meetings. The resulting four hour process is more than the addition of the “pieces”: it is a composition of compositions, fluctuating between the complete isolation of the different events and the total dependence of each layer, and between extreme determinism and full improvisation.

On top of the 12 composers and musicians, who play together as “duos” – distributed throughout the room – four other musicians are responsible for using mixers to amplify and spacialize definite details and moments of the process via microphones and eight loudspeakers. Also, the position of the listener is not fixed. He can move in the room and thus establish his acoustical perspective.

The simultaneity of the compositions requires also that certain “pieces” should be heard together and related through superimposition.

This “verticalisation” of the perception of events and the relativisation of a definitive form (“piece” signed by an individual) happens not only in the field of music. — Notes by Karlheinz Stockhausen

Darmstadt International Music Institute
22nd International Seminar for New Music 1967, director Ernst Thomas

The LP version of “Ensemble” was realized in the WDR Electronic Music Studio between August 26 and September 22, 1971. The available material was:

– Recording of the rehearsal on August 28, 1967 from 19:00-23:00 (6 stereo tapes, about 4 hours duration)

– Recording of the concert on August 29, 1967 from 19:00-23:00 (6 stereo tapes, about 4 hours duration)

The challenge for me was to reduce a four-hour performance to 50-60 minutes, and therefore I proceeded as follows.

1. I wanted as much as possible to keep the formal pattern that we had developed during the Seminar

2. I wanted to keep a balance between the deterministic, less deterministic and non-deterministic material.

My working method was as follows:

1. I listened to all tapes of both recordings. The material that seemed to me adequate, I copied.

2. This selected material was listened to again, cutting out some sections, so that a series of musical events remained, which I deemed relevant.

3. In the third process – the most difficult one – this material was cut, faded in and out and mixed occasionally according to my vision (retaining the time plan in its basic structure)

Notes by Mesias Maiguashca

Singhiozzo!?

Questa non l’avevo mai vista…

Un sito web famosissimo e potentissimo (Flickr) che mi dice “Per favore, smetti di cliccarmi…

È successo pochi minuti fa, alle 18:40 del 1 Marzo 2009 mentre giravo per Flickr. Cliccate l’immagine per vedere la pagina.

singhiozzo

Pubblicato in Web

WOW!

Per una volta permettetemi un post un po’ personale…

Questo video l’ho cercato per te. Undici ikebana numerici, dallo 0 al 10, lanciati in uno spazio che è tempo. Sì, la musica è un po’ melensa, ma in fondo non sta male…

Realizzato da wowinctokyo

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Aaron Ristau

Aaron Ristau è uno scultore che lavora con detriti tecnologici di vari tipi. Nel suo sito dichiara:

Technology surrounds us. Products are obsolete within an ever decreasing amount of time, putting an increasing strain on our ability to deal with man made waste. Mans recyclable and manufactured surplus as a sculptors medium lends itself to an infinite variety of possibilities, which creates a whole new genre for sculptors’. By intricately integrating and redefining the purpose of reclaimed components, the completion of a sculpture is a triumph over obsolescence and the reward of creative vision.

Non ne posso più

Questa non è musica, ma ormai da un tot non ne posso più. Io non sono così incazzoso, ma se uno mi dice una cosa del genere si becca un calcio nei coglioni. È mai possibile che a rappresentarci abbiamo un individuo così?

Febbraio 2009: Il canale francese Canal+ svela il labiale di una battutaccia del premier italiano al presidente francese: “Ti ho dato la tua donna”.
I conduttori di “Le Petit Journal” gli assegnano l’Oscar della volgarità.

Grazie Lemi per la segnalazione

Il tecnicismo e l’interpretazione (ancora l’Escalier du Diable)

Un numero sempre maggiore di pianisti si cimenta con lo studio num. 13 dal secondo libro degli studi per pianoforte di Gyorgy Ligeti.

Come scrivevo un po’ di tempo fa, l’Escalier du Diable sta veramente diventando il brano virtuosistico per antonomasia del XXI° secolo anche grazie al fatto che, oltre ad essere difficile, è bello.

La cosa più interessante, secondo me, è vedere come, nonostante il tecnicismo estremo, resti ancora molto spazio per l’interpretazione. Si potrebbe pensare che, considerando anche il fatto che questo pezzo è musica contemporanea, che spesso richiede una visione rigorosa della partitura, e per di più è molto difficile, le qualità virtuosistiche necessarie per eseguirlo riducano drasticamente lo spazio interpretativo. Invece non è vero e al di là del dibattito sull’esecuzione migliore, che su You Tube è addirittura feroce, è bello sentire come, fermo restando il fatto che tutti gli esecutori sono tecnicamente ben preparati, altrimenti non potrebbero eseguirlo, le diverse sensibilità diano vita a delle esecuzioni molto diverse, alcune che personalmente apprezzo, altre perfino fastidiose in qualche momento, ma tutte rispettabili.

L’esecuzione di Anderson. considerata da molti la migliore

Quella di Aimard

Quella di Libetta, il cui video era scomparso e adesso riappare

Quella di Chuan Qin

Quella di Denis Kozhukhin, purtroppo, è scomparsa da youtube. Aveva ricevuto molti commenti positivi. Ma molte altre esecuzioni sono apparse…

Guero live

Ecco un brano di Helmut Lachenmann, Guero, del 1970, definito dall’autore come uno studio per piano.

I suoni che sentirete, però, non hanno niente a che fare con il pianoforte a cui siete abituati (raramente si sente una nota), ma assomigliano piuttosto a quelli dell’omonimo strumento a percussione, il guiro (nella dizione originale).

Non solo, ma Lachenmann non utilizza nemmeno tutta quella serie di sonorità pianistiche che fanno parte dei “rumori pedalizzati” basata su pizzicati o percussioni che creano risonanze sostenute dal pedale, già utilizzata nella letteratura pianistica contemporanea.

In effetti la musica di Lachenmann è definita come musica concreta strumentale, a significare che il suo linguaggio strumentale abbraccia l’intero mondo sonoro ottenibile dallo strumento, anche ricorrendo a tecniche decisamente non convenzionali.

Grazie a questo video, è possibile vedere come vengono ottenute le sorprendenti sonorità di questo “studio” per piano. L’esecutore è lo stesso Lachenmann.

qui con la partitura

 

Abbey Road reloaded

abbet road coverIn questo video di Blame Ringo, la gente cammine sulle zebre in Abbey Road ricreando il famoso attraversamento dei Beatles impresso sulla copertina dell’omonimo album, uno dei più belli e ricercati dell’intera storia del pop. La canzoncina di Blame Ringo sarà anche simpatica, ma mi fa sentire quanto tempo è passato.

L’8 agosto 1969 i Beatles attraversarono le strisce pedonali poste davanti agli studi di registrazione. Nessuno sapeva che era il loro ultimo album insieme, tranne loro e le persone a loro vicine.

Curiosamente tale data coincide con la strage di Bel Air in cui, quella notte dell’8 agosto, fu massacrata l’attrice Sharon Tate dai seguaci della setta di Charles Manson che ammise poi di aver tratto l’ispirazione per quella insana azione demoniaca dalla canzone dei Beatles Helter Skelter (tratta dal White Album). Anche un’altra canzone scritta da Harrison, Piggies, fu ispiratrice di quel massacro dato che gli assassini scrissero con il sangue delle vittime la parola PIGGIES sulla porta della villa di Bel Air.

Nel video non mi sembra di vedere nessuno scalzo come Paul.

Maschere

Essendo carnevale, mi pregio di suggerirvi una di queste maschere steampunk create da bob basset, che suppongo sia il tipo con occhiali che vedete nella prima immagine e che, nonostante il nome, è ucraino.

Particolare attenzione a questa temibile Cthulhu Mask di recente creazione, ma anche le altre sono bellissime e anche più originali. Sono così belle che le metto, impropriamente in “scultura”.

Cthulhu-Mask

Uccello estinto ritrovato, fotografato e mangiato

Una storia che ha dell’assurdo dalle Filippine.

Un esemplare di Worcester’s buttonquail (Turnix worcesteri), un uccello delle Filippine che si credeva estinto e che era noto solo grazie ad alcuni disegni risalenti a decine di anni fa, è stato ritrovato, fotografato e immediatamente venduto a un mercato di pollame come cibo.

Come se non bastasse, nessuno ha pensato a registrarlo 👿

La notizia arriva da Cryptomundo un bellissimo sito che si occupa di specie animali leggendarie, estinte o semplicemente strane.

Syrmos

Iannis Xenakis
Syrmos for 18 strings (1959)

Orchestral composition: 6.6.0.4.2

The work is based on stochastic transformation of 8 basic textures.

  1. horizontal parallel networks (chord)
  2. ascendant parallel networks (glissandi)
  3. descendant parallel networks (glissandi)
  4. crossed parallel networks (ascendant and descendant)
  5. clouds of pizzicati
  6. atmosphere of frappes collegno with short glissandi col legno
  7. configurations of glissandi traited in regulated left surfaces
  8. geometric configurations of ascending and descending glissandi

Questo brano è basato su un precesso stocastico noto come catena di Markov. Si tratta di un sistema in cui il passaggio da uno stato a un altro dipende unicamente dalla situazione attuale ed è governato da una tabella che, dato lo stato corrente, specifica le probabilità di transizione da questo stato a un altro.

In termini più semplici, immaginate che, in questo momento, l’orchestra si trovi nello stato (e), cioè sta eseguendo una nuvola di pizzicati. La riga (e) della tabella specifica le probabilità che l’orchestra ha di passare a uno degli stati da (a) ad (h), compresa quella di rimanere nello stato (e).

Ovviamente la tabella è quadrata perché, per ogni possibile stato corrente, è presente una riga che definisce le probabilità di passaggio a tutti gli stati, compresa quella di rimanere nello stato attuale (in teoria fra gli stati possibili dovrebbe essere compreso anche il silenzio, ma, nella logica di Xenakis, di solito è invece gestito come densità di suoni).

Questo sistema organizzativo può essere applicato sia all’orchestra nel suo insieme che al singolo strumento.

Air and Simple Gifts

Anche la parte musicale dell’Inauguration Day di Obama è atata finalmente resa pubblica e così potete ascoltare (e vedere) Yo Yo Ma al violoncello, Itzhak Perlman al violino, Gabriela Montero al piano e Anthony McGill al clarinetto eseguire un nuovo brano composto per l’occasione da John Williams, “Air and Simple Gifts”.

In realtà, da quel che sento, si tratta di un collage di arie popolari, alcune delle quali appaiono in Appalachian Spring di Copland, uno dei compositori preferiti da Obama. Il tutto in perfetto stile americano.

La cosa divertente, però, è che i succitati quattro dell’Ave Maria suonano in playback ufficialmente perché la bassa temperatura del 16 gennaio (la cerimonia era all’aperto) non permetteva loro di portar fuori i loro costosi strumenti e avrebbe reso la performance un po’ rischiosa. Così i quattro si esibiscono in playback con strumenti banali, ma, per rendere più realistica l’esibizione, suonano davvero, solo che gli archi sono stati “saponati” e i tasti del pianoforte sono stati sganciati dai martelletti.

The Lanthanide Series

Alcuni dei drones di Kalte, duo canadese, sono decisamente accattivanti. Qualcuno può dire che sono soltanto drones, ma si tratta di un genere che mi affascina e che non è così facile come sembra.

Ecco le note di programma. Il riferimento alla tavola periodica di Mendeleev, citata nelle note, è nel titolo: la serie dei lantanoidi (in passato lantanidi) è costituita dai 15 elementi chimici, detti anche terre rare, che sulla Tavola periodica si trovano fra il lantanio ed il lutezio. Hanno numero atomico compreso fra 57 e 71 inclusi.

Toronto’s Kalte (a duo featuring long-established sound artists Deane Hughes and Rik MacLean) make their recorded debut with this Periodic Table-inspired EP. The harsh Canadian winter served as the backdrop for the creation of these tracks, and while there may be a certain oppressiveness to its roots, the resulting sounds progress from darkness to light. The sonic spectrum on display here slowly builds in complexity at first, with more and more elements layered over a similar low-ringing drone. A slight stylistic shift takes the music to a slightly higher pitch and a more gentle tone for the final two tracks, with buzzes and drones intertwined in a mesmerizingly thick blanket of static.

L’intero EP si può ascoltare e acquistare qui.

Google Latitude & Alert

logoGoogle Latitude, il servizio che permette di sapere dove si trova qualcuno, o almeno il suo cellulare, è al centro delle polemiche. Molti blaterano di invasione della privacy dimenticando che l’adesione è su base volontaria. Qualcuno suggerisce di fregarlo andando in un posto e lasciando il telefono in un altro, ma allora non si può rispondere…

Altri paventano il fatto che, in certe situazioni si possa essere obbligati ad aderire, ma mi pare un po’ eccessivo. Non credo che un datore di lavoro possa imporlo. L’unico caso può essere quello di un minorenne obbligato dai genitori…

Ma mi chiedo una cosa: esiste, nei cellulari, una ridirezione della chiamata che non avvisi il chiamante? Se esiste, basta avere due cellulari e si può fare di tutto.

Mi chiedo anche un’altra cosa, cioè se sia possibile attivarlo all’insaputa del proprietario del cellulare. Effettivamente i primi passi sono l’inserimento del numero e la ricezione di un sms che arriva subito e invita a consultare una pagina web sul cellulare, cosa che si può fare avendo in mano il telefono da controllare. Ma poi non so cosa succeda perché il mio telefono non è compatibile.

Più interessante e fruibile è, invece, Google Alert che vi invia una mail ogni qualvolta un sito parla di un determinato argomento, ovviamente inserito da voi. Un servizio gratuito che non renderà felici quelli dell’Eco della Stampa, azienda leader nel media monitoring, naturalmente a pagamento.

Ka mate, Ka mate! Ka ora, Ka ora!

all blacksIl governo neozelandese ha finalmente riconosciuto ai Maori la proprietà intellettuale sulla Haka eseguita dagli All Blacks prima delle loro partite.

Questa particolare Haka – una fra molte, infatti Haka è uno stile di danza con accompagnamento urlato eseguita in gruppo – fu inventata dal capo guerriero Te Rauparaha, che la eseguì per la prima volta all’inizio del XIX secolo, dopo esser scampato alla morte mentre era inseguito dai nemici.

Racconta il mito maori che Tama Nui Tora, il dio Sole, avesse due mogli: una d’estate, Hine Raumati, e l’altra per l’inverno, Hine Takurua. Dalla prima nacque un figlio, Tane Rore, la cui danza rappresentava il tremore dell’aria nei giorni infuocati dalla calura estiva: di qui nacque questa Haka, danza per soli uomini la cui “proprietà intellettuale” e i cui “diritti commerciali” sono stati attribuiti alla tribù Ngati Toa. Il riconoscimento, che sana una disputa vecchia di 160 anni, prevede anche un indennizzo di 121 milioni di dollari neozelandesi (quasi 64 milioni di dollari Usa) e una parte del territorio che si trova tra la zona inferiore dell’isola settentrionale e quella superiore della meridionale. Negli ultimi 10 anni Ngati Toa aveva cercato più volte di imporre un diritto d’autore sulla Haka per limitarne gli abusi a fini commerciali, soprattutto nei casi in cui l’impiego per scopi pubblicitari ne mortificava il valore culturale (come nel caso dello spot della FIAT di qualche anno fa per il quale la Nuova Zelande chiese spiegazioni all’ambasciata italiana e che, secondo l’ANSA fu sanato con una munifica sponsorizzazione da parte dell’Iveco).

Sugli stili

Gli stili di danza sono numerosi e si devono principalmente alle varie intepretazioni date da tribù maori diverse e ai differenti rituali durante i quali la danza viene ripetuta.

Ka Mate
Una delle versioni più celebri è, ovviamente, la Ka Mate, il tipo di Haka tipico degli All Blacks, che la ripetono ad ogni partita, dopo gli inni nazionali, per intimorire gli avversari. La Ka Mate è un tipo di Haka molto corto, interpretata quando ci si sente bene e lo si vuole esprimere in modo libero. Si esegue senza l’uso di armi. Non è, infatti, una danza di guerra, come si è solitamente portati a credere.
Peruperu
La Peruperu è, invece, una variante di Haka tipica di guerra. In questo caso le armi si usano, ed è caratterizzata da un salto alto, a gambe ripiegate, alla fine del rituale. Questo salto è stato aggiunto dagli All Blacks alla fine della loro esibizione della Ka Mate, provocando alcune critiche, per rendere la loro esibizione più scenografica e impressionante.
Kapa o Pango
Questa nuova haka è stata inventata dagli All Blacks per le occasioni speciali. È stata creata insieme ad un gruppo di esperti delle tradizioni maori e ci è voluto quasi un anno per crearla. Più che sostituire la Ka Mate questa Haka la completa. Le parole della Kapa O Pango fanno più esplicitamente riferimento al team di rugby perché parlano di guerrieri in nero con la felce argentata. E’ considerata molto più aggressiva della Ka Mate e con un più spiccato senso di sfida agli avversari.
Il testo di questa versione è qui.

Il testo della Haka, versione Ka Mate

Ringa pakia
Uma tiraha
Turi whatia
Hope whai ake
Waewae takahia kia kinoKa mate, Ka mate! Ka ora, Ka ora!
Ka mate, Ka mate! Ka ora, Ka ora!
Tenei te tangata puhuruhuru
Nana i tiki mai whakawhiti te ra!
A hupane, a hupane
A hupane, kaupane whiti te ra!Hi!
Batti le mani contro le cosce
Sbuffa col petto
Piega le ginocchia
Lascia che i fianchi li seguano
Sbatti i piedi più forte che puoi.È la morte, È la morte! È la vita, è la vita!
È la morte, È la morte! È la vita, è la vita!
Questo è l’uomo dai lunghi capelli
è colui che ha fatto splendere il sole su di me!
Ancora uno scalino, ancora uno scalino, un altro
fino in alto dove il sole splende!Hi!

Contesti culturali e tecnologici

Vi passo un articolo di Nicola Bernardini e Alvise Vidolin  scritto in occasione del XVII Colloquio di Informatica Musicale tenutosi nell’Ottobre 2008 a Venezia.

Si tratta, a mio avviso, di una riflessione – ahimé – molto lucida sulla situazione attuale della computer music e della musica contemporanea nel nostro paese. Lucida perché non si limita alle lamentazioni, ma cerca di risalire alle cause che determinano un contesto culturale che, secondo me, è fra i più depressi d’Europa (e non solo).

Se a qualcuno di voi interessa, poi ne parliamo. Per scaricarlo, basta cliccare il link con il tasto destro. Distribuito in CC.

Surround-O-Phonic Radio

Che io sappia questa è la prima radio su internet e forse la prima radio in assoluto, che trasmette in 5+1. Se vi collegate vi arriva uno stream in formato wma (windows media audio) composto di front center, left, right, back left e right + subwoofer. Su linux lo sento, ma il mio impianto è al massimo quadrafonico.

Ormai però l’uscita 5+1 c’è anche sulle schedine incluse nelle motherboard. Se qualcuno di voi ha un impianto adatto ci dica come va. Serve windows XP con windows media player e una connessione veloce perché il bitrate minimo è 128 kbps. Cliccate l’immagine.

Segnalato da Ermes.

Duetto per un pianista

Susanne Achilles performs the Duet for One Pianist by Jean Claude Risset, an important name in computer music.

This piece, composed at MIT in 1989, is for disklavier and computer. The disklavier is a grand piano made by Yamaha, whose mechanics are motorized and can be controlled via MIDI. So the disklavier can play pieces on its own, but, more interestingly, a pianist’s performance data (pitches, dynamics, durations) can be sent, in real time, to a computer which can react by driving the disklavier according to rules formalized in software by the composer.

This is what happens in Duet for One Pianist, hence the title. The piece is divided into eight sketches in which the computer manipulates and sends back the material performed by the performer based on the principles cited in the title of each movement: Double, Mirror, Extensions, Fractals, Stretch, Resonances, Up Down and Metronome.

The pianist is accompanied, like a shadow, by a second, invisible performer, who plays his own piano with lowering keys.

Movimento (prima della solidificazione)

Su You Tube c’è Mouvement (vor der Erstarrung) (trad. come sopra), un brano del 1982 di Helmut Lachemann per ensemble che è un bell’esempio, anche se non estremo, della sua musica concreta strumentale e del quale il NY Yimes scrive che

…might be one of Mr. Lachenmann’s best things: a whirring, rasping, ricocheting maze of new, beautifully fashioned sounds

e io concordo.

Le Lac

Questo Le Lac, per ensemble, composto nel 2001 da Tristan Murail è sicuramente un bel brano, ma, a mio avviso, è così tipico della sua produzione da sfiorare il manierismo. Traduzione: per me, è meno emozionante di altri brani, però è scritto proprio bene.

Le sonorità si susseguono e si sciolgono l’una nell’altra in un modo così perfetto che, a tratti, non sembrano nemmeno originate da strumenti, ma il risultato di un sapiente lavoro di missaggio e montaggio da studio.

Il brano occhieggia l’omonimo poema di Lamartine, ma è soprattutto musica che si ispira a modelli naturali: l’analisi acustica del suono della pioggia sul lago, una versione stilizzata di tuono, un grido di uccello non identificato, la texture elettronica delle rane in primavera…
E dietro a tutto questo, il lago. Una superficie sempre uguale e sempre cangiante, gioco di permanenza e di effimero, di movimento e di umore, la logica dell’inaspettato, l’ordine e la semplicità annidati all’interno del caotico e del complesso.

Update: certo che rileggendo quello che ho scritto e ascoltando il pezzo per la terza volta, mi rendo conto che è inutile dire che non è bello come gli altri. Forse in qualche punto ricorda in modo un po’ scoperto Ligeti, Messiaen e addirittura Debussy, ma è maledettamente bello. Il punto (e il problema) è che dentro ci sono quasi tutti – e qui potrei dire sia le modalità espressive (in positivo) che i manierismi (in negativo) – della fine del secolo scorso. Un bel modo di salutare il nuovo millennio.

En écho

Un estratto da un brano di Philippe Manoury (En écho, 1993-1994, testo di Emmanuel Hocquart) in cui il computer genera suoni in tempo reale seguendo l’esecuzione del soprano. In pratica il computer è in grado di ascoltare l’interprete e a fronte della partitura, riesce a seguirlo nonostante eventuali rallentando o accelerando.

In questo caso tutto è reso più semplice dal fatto che l’esecutore è un solista e non un ensemble, quindi si deve seguire una sola voce, ma anche così non si tratta di una faccenda banale.

Written in collaboration with programmer Miller Puckette, “En Echo” uses real time score-following software which responds to the singer’s voice. In Emille Hocquart’s text, a young woman recollects a heated affair.

“The computer is automatically following the voice,” Mr. Manoury explained. “It functions as what we call a ‘score-follower.’ The singer sings in tempo, or with an acceleration, and the computer synchronizes to make synthetic sounds that are deduced from alterations in the voice — not precalculated, but produced in real time. If the voice modifies the vowels, for example, it modifies the electronics.” Messrs. Manoury and Puckette have worked since the latter moved from the Massachusetts Institute of Technology in 1989 and joined Mr. Manoury at the famous studios at IRCAM (l’Institut de Recherche et de Coordination Acoustique/Musique), which Pierre Boulez founded in Paris.

 

Flurb

Rudy Rucker è un matematico, divulgatore scientifico e autore di fantascienza (Luce bianca, Software, Su e giù per lo spazio-tempo, Le formiche nel computer, fra i romanzi tradotti in italiano).

Dal 2006 mantiene una webzine che esce due volte l’anno, ricca di articoli interessanti e racconti. Nell’ultimo numero c’è anche un intervento di Bruce Sterling. Nei precedenti, scritti di Shirley e Di Filippo fra gli altri.

Su intitola Flurb.

John Martyn

solid airIain David McGeachy, meglio noto come John Martyn è morto in Irlanda all’età di 60 anni. Nato nel 1948, nel Surrey (Inghilterra), era cresciuto a Glasgow (Scozia), dove, a 19 anni, aveva cominciato a farsi conoscere per il suo stile caratterizzato da una miscela di blues e folk.

Nel 1973 incise uno dei più importanti album britannici degli anni settanta, Solid Air, in cui continuò a sviluppare un suo stile vocale nuovo, inarticolato e modulato, con inflessioni paragonabili a quelle di un sax. Mi è sempre piaciuta quella voce.

Seguirono vari altri album, tutti di buon livello, anche nei periodi più scuri della sua vita (“Alcune persone tengono un diario, io faccio dischi”).

John Martyn – Solid Air (1973)

Pubblicato in Pop

De-composer

Grazie a Nicola, vi passo uno scritto di Tristan Murail su Giacinto Scelsi (tradotto in inglese). Gli esponenti della musica spettrale (Grisey, Murail, Dufourt) non hanno mai fatto mistero di considerare Scelsi come un antesignano del movimento, soprattutto per i 4 pezzi su una nota sola e in questo articolo Murail puntualizza le ragioni del suo interesse per l’opera del compositore italiano.

L’articolo è copyrighted ma è espressamente concessa la copia per uso individuale.

Tristan Murail – Scelsi, De-composer

Inori

https://www.bbc.co.uk/radio3/classical/media/inori_barbican_front.jpg

Nel giorno del mio compleanno (24/01), la BBC aveva messo in linea Inori di Stockhausen. Comprendeva anche una lunga presentazione. Purtroppo la BBC non si è degnata di avvertirmi del regalo che ormai rimarrà in linea solo per altri 2 giorni. Fortunatamente è comparso anche su Youtube.

Written in 1973-74, Inori is based on prayer-like gestures interpreted on stage by a mime and a dancer. The expressive movements, performed by the two silent soloists and drawn from a variety of religious practices, are mirrored in the response of two orchestral groups.

Inori è ben descritta in wikipedia (italiano / english)

 

Elohim

Continuiamo con Scelsi e con questo affascinante Elohim per 10 archi (4 violini, 3 viole, 3 celli), opera di difficile datazione perché pubblicata postuma.

Elohim (אֱלוֹהִים , אלהים) in ebraico è un plurale della parola “divinità” – Eloah (אלוה) – che ha suscitato non pochi interrogativi fra gli esegeti biblici. L’Elohim di Scelsi ruota attorno ad un accordo di 7 note (Mi, La Sib, Do, Do#, Fa#, Sol) che appare 15 volte nel corso di questo breve lavoro, inframmezzato da “risposte” che si muovono verso gli acuti, diventando via via più violente fino a creare un campo di glissandi e alla fine svanire.

Konx-Om-Pax

Restando su Scelsi, questa volta vi propongo Konx-Om-Pax, un brano per orchestra (con l’esclusione dei flauti e l’aggiunta dell’organo e di un coro misto nel finale) del 1969.

Il commento del solito Todd McComb su Classical.net è ottimo ed esauriente:

Konx-Om-Pax is also one of Scelsi’s most effective compositions, using relatively simple material projected on a broad canvas. It is scored for large orchestra (including full strings, and lacking only flutes) along with organ, and in the final movement a mixed chorus. It was premiered on February 6th, 1986 by the Hessian Radio Orchestra in Frankfurt and conducted by Jurg Wyttenbach. The title of the piece is three words meaning ‘peace,’ in ancient Assyrian, Sanskrit and Latin. It is subtitled: “Three aspects of Sound: as the first motion of the immovable, as creative force, as the sacred syllable ‘Om.’” Konx-Om-Pax is especially effective at creating a feeling of peace, and as such is a particularly useful piece for coping with the modern world.

The first movement is based entirely on C, first treated as in inner pedal, and fans out harmonically at first symmetrically and then asymmetrically with the addition of quarter tones, rising to a great climax completely elaborating the underlying C. This movement is a gradual gathering of harmonic forces, with great calming effect. The short second movement begins on F, slowly builds until unleashing a great explosion of power in the form of rapid chromatic scales engulfing everything in their path, and ends again on F. The third movement is on A (and recall that the movement from C to A was the basic feature of Quartet No. 4 (1964)) and marks the entrance of the chorus, chanting only the syllable Om, and supported by the orchestra. This movement gives the impression (however absurd it may seem) of process-music or even a fugue on the single note theme, ‘Om.’ This is accomplished by a tight interior chromaticism with microtonal variations, a careful consideration of length of utterance and inflection, and by the building of a countersubject out of harmonic resonances. The entries of ‘Om’ continue steadily throughout the slowly-paced movement. The movement is in three sections: the first builds slowly, sticking almost entirely to ‘Om’ with single note responses; the second is an extended episode dominated by the orchestra, with percussive punctuation, in which harmonic associations are worked out in more detail; and the third re- introduces the chorus on ‘Om’ along with the longer countersubject developed in the previous episode, slowly fading away in a profound ending to this majestic work.

In many ways, Konx-Om-Pax is Scelsi’s most perfect creation: it attests to his supreme power of harmony, and above all it is always effective. For many of Scelsi’s works, it is necessary to have the proper frame of mind in order to approach, but here that frame of mind is established within the twenty-minute work itself. Hence other pieces can be ineffective at times, but with Konx-Om-Pax this is never the case.

 

Uaxuctum

Continuiamo con Scelsi perché è un compositore relativamente poco conosciuto in Italia, ma osannato all’estero, soprattutto in Francia, dove è considerato l’antesignano della musica spettrale. In realtà Giacinto Scelsi è un grande compositore, come tutti con alti e bassi, ma ha contribuito a creare alcuni degli stilemi che hanno permeato tutta la musica degli anni ’60 e ’70, prima fra tutte l’idea del suono che si sviluppa a partire da una singola nota.

Qui abbiamo Uaxuctum del 1966, un brano molto drammatico, come testimonia il sottotitolo “la leggenda della città maya che si autodistrusse per motivi religiosi“. Il brano è idealmente diviso in cinque movimenti che corrispondono ad altrettanti video in You Tube. Come al solito metto la prima e i link alle altre parti,

Questo il commento di Todd McComb su classical.net

This extraordinary piece is in five movements, totaling approximately twenty minutes. In addition to the large chorus, written at an astonishingly difficult technical level, the work is scored for: four vocal soloists (two sopranos, two tenors, electronically amplified), ondes Martenot solo, vibraphone, sistrum, Eb clarinet, Bb clarinet, bass clarinet, four horns, two trumpets, three trombones, bass tuba, double bass tuba, six double basses, timpani and seven other percussionists (playing on such instruments as the rubbed two-hundred liter can, a large aluminum hemisphere, and a two-meter high sheet of metal). The chorus is written in ten and twelve parts, incorporating all variety of microtonal manipulations, as well as breathing and other guttural and nasal sounds. This piece is certainly Scelsi’s most difficult to perform, and was not premiered until October 12th, 1987 by the Cologne Radio Chorus and Symphony Orchestra. Uaxuctum is subtitled: “The legend of the Maya city, destroyed by themselves for religious reasons” and corresponds to an actual Maya city in Peten, Guatemala which flourished during the first millennium AD; in addition, the Mexican state of Oaxaca comes from the same ancient meso-American root.

This is an intensely dramatic work, and the most bizarre in Scelsi’s output. It depicts the end of an ancient civilization – residing in Central America, but with mythical roots extending back to Egypt and beyond – it is the last flowering of a mystical and mythological culture which was slowly destroyed by our modern world. In this case, Scelsi says, the Mayans made a conscious decision to end the city themselves. Uaxuctum incorporates harmonic elements throughout, and is extremely difficult to come to terms with.

The first movement, the longest of the five, is a grand overture; it begins in quiet contemplation, only to be interrupted by the violent mystical revelation of the chorus propelling this story into the present from the distant past, and then sinking back into meditative tones with a presentiment of the upcoming adventure. In the wild and dramatic second movement, we enter the world of the Mayans, complete with mysticism in all aspects of life; it is an incredible and violent tour-de-force of orchestral writing. The short third movement opens with an atmosphere of foreboding, building into a realization of things to come, and reaching a decision. After a few seconds of silence, the city of Uaxuctum is quickly destroyed and abandoned. The fourth movement is dominated by the chorus throughout, and presents the wisdom gained by the Mayans as they gradually fade into oblivion. The fifth movement returns to the opening mood, and gives a dim recollection of the preceding events which have now been told, in abstract form, to our time and civilization.

There really are no proper words to describe this amazing piece, which presents Scelsi at his most daring and innovative. It is a world all to itself, and a warning.

Here in binaural recording. Headphones are mandatory to hear the binaural effect.
Orchestre philharmonique et Choeur de Radio France – Aldo Brizzi

Pfhat

Pfhat (1974) di Giacinto Scelsi.

Si tratta di un brano nel più puro stile Scelsi in cui varie sonorità evolvono da un unico suono iniziale. L’organico è una formazione orchestrale modificata, che include piano, coro, organo e sei percussionisti, ma esclude totalmente i violini.

Pfhat was premiered by Jurg Wyttenbach and the Hessian Radio Orchestra in Frankfurt on February 6th, 1986. It is in four movements, totaling under nine minutes. The subtitle reads: “A flash… and the sky opened!” and the title is apparently chosen for its onomatopoeic quality. This is an extremely concise depiction of mystical revelation for full orchestra, divided into four brief movements each of which presents a single gesture in sound.
The first movement is based on the choir’s breathing sounds, supported by only thirteen instruments. Here we have the emergence of sound from immobility, leading into an ‘om’-ing from the tubas, and anticipating the upcoming surge of power. The very short second movement consists of a sudden ringing cluster for full orchestra and chorus, gradually fading away. The slow third movement begins with a quiet fanfare punctuated by ringing intervals, and gradually builds with the om-ing and sighing of the chorus into a large complex of sound elaborating a single note. The eerie fourth movement presents us with revelation from the open sky: the piccolo, flute, celesta, piano and organ play a very high ostinato on a semi-tone while the rest of the orchestra and chorus quickly ring high-pitched dinner bells. The glittering, crystalline and static sound is certainly unique in the symphonic literature. This work (and the last movement in particular!) is Scelsi’s most singular attempt at ushering the listener into his sound universe. The succession of movements is highly dramatic, and listening to Pfhat for the first time is certain to be one of one’s most intense listening experiences.
[Todd McComb in Classical Net]

Cecil Taylor live

Un video live di uno dei non molti jazzisti che mi piacciono. Cecil Taylor live in Monaco nel 1984, in 5 parti. Come al solito metto la prima e i link alle seguenti.

È incredibile come, pur creando delle strutture informali, Cecil Taylor resti così legato al blues, che traspare in tutta la sua musica, compresi gli urletti. Vi segnalo anche quest’altro video in cui Taylor parla della propria poetica (tnx Cristina).

Google Earth al Prado

Se ne parla parecchio in questi giorni. Google ha digitalizzato 14 opere del Museo del Prado fra cui capolavori di Rubens, van der Weyden, Velasquez, Bosch, con una risoluzione di 14 gigapixel (14.000 milioni di pixel) e le ha messe in Google Earth dentro una ricostruzione 3D del museo.

Ora, selezionando 3D Buildings fra le opzioni a sinistra (sotto Layers) e scrivendo Museo del Prado è possibile entrare nel museo e vedere queste opere ad altissima risoluzione (cliccate l’immagine).

prado

Nota per l’uso: una volta arrivati al modellino del Prado, non è necessario entrarci materialmente (anche se è possibile). Basta cliccarlo (un solo click, non due) e apparirà una finestra per scegliere l’opera. Poi il software vi porterà dentro. Il video, qui, rende l’idea.

Stand by Me around the world

What happens when you take Ben King’s 1961 hit, Stand By Me, and then travel around the world, having different international artists offer their own interpretations, and finally you stitch them all together in one seamless tune?  The clip below starts in California, moves to New Orleans, then heads off to Amsterdam, France, Brazil, Moscow, Venezuala, South Africa and beyond. And I’m willing to bet that you’ll like how it turns out.  The clip comes from the documentary, ”Playing For Change: Peace Through Music.”

Via Open Culture

Tienti stretto il Blackberry

Obama sta lottando per tenersi il Blackberry.

Generalmente non si sa, però il presidente USA non ha privacy. Non ha una email diretta, non può ricevere direttamente posta, tutte le sue comunicazioni passano attraverso la Casa Bianca. Agli amici viene dato un codice postale speciale a cui inviare la posta e gli addetti alla sicurezza devono avere i nomi di tutte queste persone perché sono istruiti a passare al presidente la loro posta senza controllarla. Lo stesso accade per il cellulare. Come ebbe a dire Clinton riferendosi appunto alla Casa Bianca: è la punta di diamante del sistema penale federale.

Nel caso specifico, gli addetti alla sicurezza vogliono togliere a Barack il suo Blackberry perché è considerato troppo facile da intercettare, ma lui non ne vuol sapere perché è il suo unico aggancio con una vita sociale normale.

A proposito, lo sanno i nostri governanti che citano tanto gli USA quando fa comodo, che in quel paese praticamente tutte le comunicazioni del presidente vengono controllate?

Voice Box

voice boxCosa non si può fare con un po’ di FFT e di convoluzione?

Quelli della Electro-Harmonix sono da sempre attenti alla tecnologia applicata al pop e sono anche abbastanza intelligenti. Così hanno fatto una simpatica scatolina, chiamata Voice Box, che incorpora un vocoder e una vocal harmony machine.

UPDATE 15/12

The Electro Harmonix Voice Box features 256-band vocoder, 3 multi-harmony modes: low & high (low, 3rd and 5th below, and high, 3rd and 5th above), octave (2 notes ) and whistle (creates a whistle playing an octave above the note you are playing), 9 user presets, professional pitch shift algorithm, gender mod (that builds man- or woman-like voice), natural glissando, reverb effect with separated controls for dry and effected vocals, built-in mic preamp, +48V phantom power, gain switch and balanced XLR line output to use it with almost any system.

This device is powered by the supplied DC power adapter and comes with die-cast chassis that makes it hard enough to use it on stage. The Electro Harmonix Voice Box Harmony Machine / Vocoder is now available and its recommended price is $215.

Ecco il demo.

Ubeboet

coverSearching the old releases from Test Tube, I found this EP by Ubeboet, a sound artist based in Madrid involved in electronic/experimental music since mid 90’s. This work, titled Bleak EP, is dated 2004.

Bleak EP, by Ubeboet, is one of those kind of releases that lives on lasting relationships and on constant reintegration processes, achieving ‘that’ multidimensionality (big word) typical of the acoustic universe, giving so much freedom to the listener, that he (or she) will diminish or amplify the particular singularities of the sound particles that go in and out of the brain.
This work could be very easily integrated into the art of installationism, although never leaving the ‘soundscape’ genre. A constant struggle to arrive (or at least try to) an ideal of ‘musique concrète’. Holding itself to the capturing of sound landscapes, submitting them to a low-frequency treatment, Ubeboet breathes a comforting ‘less is more’ ambient, (re)created and integrated into unhabited sound habitats, or sometimes directly injected into the overcrowded urban territory. Ubeboet rests in the complex world of the ‘anti-fast listening’, where the perception and the raw and naked power of the music are intimately connected. A not-easy, not-clear and not-resolved world, into which we are forced to submerge and seek for the unknown. Highly recommended.
[Bruno Barros]

Two excerpts

Dowload the whole EP here.

Nanopaesaggi

Michael Olivieri si occupa, fra le altre cose, di nanofotografia (fotografia al microscopio) e scopre dei paesaggi in composti chimici e prodotti di lavorazione. È autore di una serie chiamata Innerspace:

In collaboration with nano scientists Dr. Zhengwei Pan and his research group at the University of Georgia, I have created a new series of work called “innerspace”. These micrograph images are taken directly from their theoretical lab samples. While the scientists observe the nano structures as objects, I am approaching them as subjects and discovering new micro and macro relationships.

Using current photographic technology and a Scanning Electron Microscope (SEM) I have created grand scale micrograph interpretations of their research. In this series I selected perspectives of unusual microscopic happenings within the actual nano structure samples to blur scale into seemingly familiar human settings.

Sono stato molto indeciso su quali immagini mettere perché sono tutte molto belle e soprattutto nuove, fantascientifiche, ma reali. Alla fine ho optato per queste due. Andate a vedere sia le immagini che i panorami qui.

Webern dirige Schubert

In questa registrazione del 1932, Anton Webern dirige le Deutscher Tanz op. 33 di Schubert, da lui stesso orchestrate.

Franz Schubert: Historical Recordings (1932, 1940)
Conductor: Anton Webern
Orchestra: Berlin Radio Orchestra

David Fungi

coverQualche novità dalla netlabel test tube. Per una volta c’è un italiano.

David Fungi, from Varese, Italy, is clearly inspired by nature. Field recordings pop up from the initial sounds of “aal_sentieri”, blended with synthetic and metallic electronic sounds which produce the kind of ambience one might recognize from William Basinski. It is this razor edge that defines the strong personality of this recording. Even though “Aal_sentieri” is ambient music, it is also restless, menacing, provokes the listener and gives him a sense of travelling through a mysterious and dark forest. As the piece unfolds through its 23 minutes, the sound layering becomes more complex, while one can only guess the origin of the animal noises underneath. When the path comes to an end, a climax appears in the last 4 minutes, first with a burst of industrial noise and finally an orchestral and cinematic climax, finishing the track. “aal_sentieri” leaves the listener in the company of silence, which in a strange kind of way almost works as a reverberation of the track.  It is not easy to capture one’s imagination like this, but David Fungi has that skill to mix disparate sounds in a coherent manner, making “aal_sentieri” a fine and peculiar release.»
[César A. Laia]

L’album è liberamente scaricabile qui.

Gli atei di Londra

La campagna lanciata dagli atei di Londra tramite la sezione “Comment is free” del Guardian, portata avanti con l’affissione su alcuni bus londinesi della scritta “Probabilmente Dio non esiste. Ora smettete di preoccuparvi e godetevi la vita” ha avuto grande successo.

A fronte delle 5500 sterline chieste ai lettori di CIF per sostenere la campagna, ne sono state raccolte ben 135000. Ora si annunciano manifestazioni simili in altre grandi città del mondo.

Ricordiamo che la campagna era partita in risposta ad una analoga inserzione che guidava al sito jesussaid.org sulla cui home page campeggiava un passo del vangelo di Matteo secondo la quale i non credenti sarebbero stati condannati alla separazione eterna da Dio e a passare l’eternità nei tormenti dell’inferno descritto da Cristo come un lago di fuoco.

Qui Ariane Sherine commenta il successo.

Reciprocity

Alan Jaras (aka “Reciprocity”) captures surreal refraction patterns of light, passing through molded plastic.

These are light refraction patterns or ‘caustics’ formed by a light beam passing through a shaped and textured plastic form. The pattern is captured directly on to 35mm film by removing the camera lens and putting the transparent object in its place. The processed film is digitally scanned for uploading. Please note these are not computer generated images but a true analogue of the way light is refracted by the objects I create.

Return

12 miliardi di anni in 6 minuti

La nascita, la vita e la morte di una stella di classe G, come il sole. 12 miliardi di anni in 6 minuti.

Video bello e professionale, musica bruttina e inadatta. Meglio il silenzio.

Ligeti – Bernstein

Da un vinile del 1965 ormai fuori catalogo, Leonard Bernstein Conducts Music of Our Time, Bernstein dirige la New York Philharmonic in Atmosphères di Gyorgy Ligeti, un brano di cui abbiamo già parlato qualche tempo fa, ma che è sempre emozionante riascoltare.

La direzione di Bernstein è sorprendentemente chiara, ma quello che mi ha sconvolto è che è altrettanto sorprendentemente breve. Solo 6’30” contro i circa 8’30” di altre esecuzioni. Due minuti di differenza sono tanti, così ho tirato fuori la partitura. Il calcolo della durata totale non è immediato perché il tempo cambia spesso da 40 a 60 alla semiminima, ma un po’ di conti mi danno come risultato 8’34”.

Così ho confrontato i file audio dell’esecuzione di Bernstein e  di quella di Nott usando Audacity e il risultato è questo. Sopra Nott e sotto Bernstein (click per allargare):

confronto

Come vedete l’esecuzione di Bernstein è temporalmente compressa, oltre ad essere dinamicamente più alta. Sembra che vada all’incirca il 25% più veloce. Qui sotto le due esecuzioni

Gyorgy Ligeti – Atmosphères

One Laptop Per Child

OLPC1 come One Laptop Per Child.
Con un po’ di stregoneria digitale, John Lennon ritorna, con la sua immagine e la sua voce, per sostenere la campagna One Laptop Per Child (OLPC) finalizzata al superamento del digital divide.

Si tratta del famoso progetto di Negroponte partito con l’idea di progettare un laptop vendibile a $100. Attualmente ha preso il nome di XO-Laptop e il prezzo di partenza è di $199, con l’intenzione di scendere via via che la produzione aumenterà. L’idea è di vendere negli USA e in Europa, tramite Amazon, un bundle di due laptop a $399 in totale, uno dei quali viene consegnato all’acquirente mentre l’altro va all’OLPC.

Il video è una piccola magia perché, se è facile montare un discorso partendo da materiale registrato, è difficile farlo con la giusta inflessione e inoltre è difficile che Lennon, da vivo, abbia mai pronunciato il neologismo “laptop”.

https://youtu.be/4b4GkGMiBDQ

Zar di tutti gli artropodi

Jaekelopterus rhenaniaeCome ultimo post dell’anno, dedichiamo questa lunga improvvisazione, che sa di insetti e di palude devoniana, allo Jaekelopterus rhenaniae, il più grande artropode (insieme all’Arthropleura) che abbia mai mosso le chele sul nostro pianeta, circa 390 milioni di anni fa.

Al di là della dedica, questo è un altro brano in cui accostiamo alle sonorità sintetiche dei veri suoni di insetti che il sottoscritto ha pazientemente raccolto e pulito per una installazione fatta a Mantova l’estate scorsa. Questi suoni sono stati campionati, trasposti varie ottave in basso e rallentati, per portare in evidenza la loro struttura complessa che sfugge se li ascoltiamo alla velocità e alla frequenza a cui gli insetti li emettono e costituiscono l’ossatura della prima parte e il foreground della seconda.

Il compleanno di Newton

NewtonPochi lo sanno e anch’io me ne sono ricordato in ritardo, ma il 25 Dicembre, oltre ad essere Natale è anche il compleanno di Isaac Newton.

Nato il 25 Dicembre 1642 secondo il calendario Giuliano in uso all’epoca (4 Gennaio 1643 del calendario Gregoriano) e universalmente noto soprattutto per il suo contributo alla meccanica classica, (è nota agli scolari di tutto il mondo la “storiella” di Newton e la mela) Isaac Newton contribuì in maniera fondamentale a più di una branca del sapere. Pubblicò i “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” nel 1687, nella quale descrisse la legge di gravitazione universale e, attraverso le sue leggi del moto, creò i fondamenti per la meccanica classica. Newton inoltre condivise con Gottfried Wilhelm Leibniz la paternità dello sviluppo del calcolo differenziale.

Fu il primo a dimostrare che le leggi della natura governano il movimento della Terra e degli altri corpi celesti. Contribuì alla Rivoluzione scientifica e al progresso della teoria eliocentrica. A Newton si deve anche la sistematizzazione matematica delle leggi di Keplero sul movimento dei pianeti. Egli generalizzò queste leggi intuendo che le orbite (come quelle delle comete) potevano essere non solo ellittiche ma anche iperboliche e paraboliche.

Newton, inoltre, fu il primo a dimostrare che la luce bianca è composta da tutti gli altri colori. Egli, infine, avanzò l’ipotesi che la luce fosse composta da particelle.

È considerato tuttora una delle più grandi menti di tutti i tempi. Basti pensare che, in una qualsiasi enciclopedia scientifica, il suo nome è citato da due a tre volte di più rispetto a quello di qualsiasi altro scienziato. Ciò nonostante, i quasi quattro secoli che ci separano da lui ci rendono difficile capire la sua grandezza. Bisogna considerare, infatti, che nel 1600 il metodo scientifico era appena abbozzato. Newton era profondamente immerso nel mondo alchemico e magico della fisica del suo tempo, eppure è stato capace di trascenderlo radicalmente offrendoci una descrizione delle forze fondamentali dell’universo che ha resistito per 300 anni e ancora oggi è applicabile a fenomeni su scala planetaria.

Vale, a suo ricordo, l’epitaffio scritto dal suo contemporaneo, il poeta Alexander Pope:

Nature and nature’s laws
lay hid in Night.
God said, “Let Newton be!”
and all was light.

anche se in realtà, sulla sua tomba nell’Abbazia di Westminster sta scritto: Sibi gratulentur mortales tale tantumque exstitisse humani generis decus.

Ed ecco l’immagine di Newton secondo William Blake

Newton secondo Blake

ma forse, ancora più famoso è il pendolo di Newton

il pendolo di Newton

4’33” again and again

Un video in cui David Tudor itself esegue 4’33”, registrato molto probabilmente per una TV giapponese.

La cosa più buffa è il messaggio che scorre in sovrimpressione:

You are invited to turn down the volume of your TV set, and listen to the ambient sounds present wherever this program is performed.

Non si capisce perché abbassare il volume della TV se il brano è silenzioso, come se gli eventuali suoni trasmessi dall’apparecchio non fossero degni di essere ascoltati.

Little Drummer Boy

YouTube è pieno di sorprese. Per un post-natale alquanto melenso eccovi una clip di 30 anni fa: 1977, David Bowie e Bing Crosby cantano in duo The Little Drummer Boy, una canzone natalizia americana della peggior specie che parla di

a poor young boy who, unable to afford a gift for the infant Jesus, plays his drum for the newborn with the Virgin Mary‘s approval. Miraculously, the baby, although a newborn, seems to understand and smiles at the boy in gratitude. [wikipedia]

Nota del 2024
Questo non è il video originale del 2008. Cioè, la parte video è quella, ma nell’originale i due cantavano a cappella (trad: senza alcun accompagnamento orchestrale).
Nella versione attuale, invce, è stato inserito un accompagnamento orchestrale e la vecchia versione non si trova più.

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SHSK’H

La giovane netlabel SHSK’H (pronuncia ssshhk’ah aspirata), è ormai defunta ma si trova sull’Internet Archive. Nata nel 2007 a New York da Jody Pou and Igor Ballereau proponeva da subito lavori di qualità, seppure di generi diversi, distribuiti in CC e scaricabili liberamente.

Il primo volume contiene musica per ensemble o per piano solo dello stesso Ballereau, molto delicata e piena di silenzi. Non priva di fascino, almeno per me che ascolto nel silenzio della notte. Gli strumenti più o meno utilizzati nei vari brani sono voci, pianoforte, chitarra, violino, viola, violoncello, percussioni.
Da qui ascoltiamo Frottola per voce, piano, chimes, violino, viola, cello.

La seconda release è composta da tre brani di musica tradizionale giapponese per voce e koto eseguita da Etsuko Chida. Affascinante e leggermente aliena per noi a causa delle differenze di intonazione rispetto alla nostra scala.
Da qui vi propongo Shiki no Fuji (il monte Fuji nelle quattro stagioni).

Sul sito di SHSK’H su IA trovate anche le releases seguenti.

Il silenzio è d’oro

Questo oggetto potrebbe interessare a molti (non claustrofobici).

Yamaha MyRoom II è un box completamente insonorizzato di dimensioni non proprio minuscole (1.5 tatami mats = approx. 2.5 m2; dim. interne 1328 x 1770 x 1964 mm), equipaggiato con aria condizionata, pannello di controllo touch screen, illuminazione regolabile e diversi optional fra i quali un impianto hi-fi.

Ottimo per sfuggire a vicini rumorosi, mogli ululanti e figli heavy metal, ma anche per l’opposto: suonarci dentro la chitarra con volume a 11. Unico neo il prezzo: da $6,500 a $15,000. Con questa cifra uno forse insonorizza una stanza.

Per i particolari e altre immagini, anche dell’interno, vi rimando a questa recensione.

Multiplication Virtuelle

Un brano per percussioni e live electronic di Mei-Fang Lin (1973), compositrice cinese di Taiwan attualmente negli USA.

Note di programma:

Multiplication Virtuelle (2003) is a musical work written for solo percussionist performing on a wide array of pitched and non-pitched acoustic instruments. Audio signals taken from microphones placed in close proximity to each instrument are used to control a real-time computer-based electroacoustic component. The percussionist plays and interacts with the electronic part that is triggered by the percussion attacks. The intensity of each attack is used to control the playback rate of the stored samples; in other words, the pitch of the sample is determined by how loud the percussionist plays. The execution of the electroacoustic score is managed by the computer in real-time using Max/MSP, a graphical software environment for music, audio, and multimedia.

As implied by the piece’s title and instrumental setup, ideas of circular motion and repeated patterns come into play in both the surface material in the music and the global structure of the piece itself. Specific rhythmic patterns are repeated (or, in a more visual sense, multiplied) before moving on to new but related patterns. The structure proceeds in a circular motion in how its rhythmic patterns evolve. The piece also thwarts the audience’s musical expectations by blurring the distinction between sample-based sounds and their acoustic counterparts. This effect is enhanced by carefully establishing and then breaking the connections between simultaneous visual and aural events.

Multiplication Virtuelle is dedicated to the percussionist Jean Geoffroy, who premiered the piece in 2004 in Paris. The work was funded in part by the Composer Assistance Program of the American Music Center.

  • Mei.Fang Lin, Multiplication Virtuelle (2003) per percussioni e live electronic.
    Jean Geoffroy percussioni

Cosmic Pulses

Cosmic Pulses, ultimo lavoro di Stockhausen, presentato nel maggio 2007 a Roma in prima assoluta. Si tratta di musica elettronica che va a rappresentare la 13ma ora di KLANG (le 24 ore del giorno nella cosmogonia stockhauseniana). Il brano è composto da 24 loop melodici, ognuno dei quali ha un diverso numero di altezze, fra 1 e 24, distribuite su 24 registri per un totale di circa 7 ottave. Ciascun loop ha anche una diversa velocità di rotazione (ciclo) compresa fra 240 e 1.17 ripetizioni al minuto.

Gli stessi loop sono sovrapposti iniziando dai più bassi per terminare con i più alti, con tempi che vanno dai più lenti ai più veloci e terminano nella stessa sequenza. È facile immaginare che tutto ciò dà luogo ad una fascia il cui movimento va dal registro basso a quello più alto, con velocità sempre maggiore e densità dapprima crescente e poi calante, via via che gli strati finiscono.

Per rendere meno ovvia la cosa, però, ad ogni loop vengono applicate delle leggere variazioni di velocità e dei glissandi abbastanza stretti intorno alle melodie originali. Inoltre la varsione da concero è distribuita su 8 canali audio e ogni loop descrive una diversa traiettoria spaziale (24 in totale), Traiettorie che, ovviamente, vanno perse in questa versione stereo. Qui trovate una descrizione accurata..

Ho appena terminato un primo ascolto e personalmente trovo il tutto abbastanza prevedibile e deludente. Anche le sonorità mi sembrano vecchie. Immagino che le cose cambino parecchio in concerto con 8 casse e un bel volume, ma questo non fa altro che dissuadermi ulteriormente dall’acquisto del CD.

Mi viene anche in mente che altri brani di Stockhausen sono stati spazialmente ridotti per andare su disco: dal glorioso Gesange (orig. 5 canali) fino a Sirius, ma in quei casi la pregnanza del materiale era tale che la musica non ne soffriva più di tanto…

Enchanted Preludes

Elliot Carter, Enchanted Preludes (1988)

Enchanted Preludes is a birthday present for Ann Santen, commissioned by her husband, Harry, and composed in gratitude for their enthusiastic and deeply caring support of American music. It is a duet for flute and cello in which the two instruments combine their different characters and musical materials into statements of varying moods. The title comes from a poem of Wallace Stevens: The Pure Good of Theory, “All the Preludes to Felicity,” stanza no.7:

Felicity, ah! Time is the hooded enemy,
The inimical music, the enchanted space
In which the enchanted preludes have their place.

The score was given its first performance by Patricia Spencer, flute, and André Emelianoff, cello, of the Da Capo Chamber Players in New York, on May 16, 1988.
[Elliott Carter]

Organum Insolitus

Custom steampunk guitar built for the 2008 Jersey City Artists Studio Tour.

Designed using elements of steampunk, Organum Insolitus incorporates clockwork gears, hand hammered brass, cloth wire and wood to show an alternate historical glimpse of a 19th century electric guitar. The guitar features a television with Fresnel lens magnifier, onboard phaser and amplifier. Rather than use multiple pickups, the one humbucker can be repositioned with the red faucet handle. The television, guitar, effects and amplifier can all be patched through to each other in any configuration using the patch bay on the front of the guitar. The pickup or television can also be output through a standard 1/4″ cable to an external amplifier.

More images on flickr.

Solenoid concert

Un software realizzato in PureData (pd su linux, il software simile a Max/MSP) controlla 8 solenoidi che picchiano su diversi oggetti producendo una ritmica. Il finale rivela la scarsa attitudine compositiva dell’autore, ma è comunque una applicazione che mostra le infinite possibilità del mezzo.

A software-sequencer  controls 8 solenoids, that knock on different things and therefore produce some rhythmic noise. Made with PureData, an arduino board and a selfmade relayboard to control the solenoids.

Schönberg dirige il Pierrot

Una incisione degli anni ’40, poi riedita nel 1951 in cui Schönberg dirige il Pierrot Lunaire. Conosco il disco perché ce l’ho anch’io, ma la mia copia è talmente consunta che non ho mai osato proporla. Questa è migliore.

Questo falso video, perché in realtà si tratta di un audio con video pressoché fisso, contiene i primi sei brani dell’opera: I. Mondestrunken; II. Colombine; III. Der Dandy; IV. Eine blasse Wäscherin; V. Valse de Chopin; VI. Madonna. Gli esecutori sono:

  • Erika Stiedry-von Wagner, recitation
  • Rudolf Kolisch, violin/viola
  • Stefan Auber, cello
  • Eduard Steuermann, piano
  • Leonard Posella, flute & piccolo
  • Kalman Bloch, clarinet & bass clarinet

Qui potete apprezzare l’esecuzione dell’epoca, decisamente diversa da quella attuale. Esiste anche la seconda parte qui.



Energie!

Energie! è un corto sperimentale di Thorsten Fleisch realizzato nel 2007.

Le immagini sono state ottenute esponendo della carta fotografica alla luce emessa da una scarica elettrica incontrollata a 30000 volts emessa da una bobina di Tesla. Le singole immagini sono state poi organizzate in sequenza.
Quindi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, si tratta di un prodotto che utilizza una tecnologia quasi obsoleta per creare delle immagini altamente sperimentali.
La musica è di Jens Thiele.

Scritte dal cielo

Quelle che vedete sono probabilmente alcune delle più antiche scritte sulla terra visibili da Google Earth/Maps e si trovano in Russia. Sono state create intervenendo in modo appropriato sulla vegetazione per celebrare anniversari dello stato sovietico e sono vere e proprie opere di land art.

La prima, che recita 100 anni di Lenin è del 1970, mentre le altre, che celebrano i 50 e 60 anni di Russia sovietica, sono del 1967 e 1977. Le dimensioni sono enormi e da terra non ci si rende conto di cosa rappresentano: in base alla scala di Google Maps, per es., la prima è lunga circa 500 m.

Come al solito le immagini sono cliccabili. Andate a vederne altre su English Russia.

Burj Dubai

Cliccate l’immagine. Mi gira sempre un po’ la testa quando la vedo…

Burj Dubai (in arabo برج دبي “torre di Dubai”) è un grattacielo attualmente in fase di costruzione a Dubai, Emirati Arabi Uniti (EAU). Al suo completamento sarà la più alta struttura umana mai creata di ogni tipologia con un significativo margine di supremazia.

Il 5 febbraio 2008 il Burj Dubai ha raggiunto quota 608,9 metri sorpassando di fatto l’edificio finora più alto al mondo, il Taipei 101. Alla fine di novembre l’edificio aveva raggiunto l’altezza di 739.3 metri. Il costruttore del Burj Dubai è l’Emaar Properties.

Il Burj Dubai è il centro di un vasto complesso che si svilupperà nel centro di Dubai, costituito, tra gli altri, dal più alto hotel del mondo, il Burj al-Arab, la più grande marina artificiale del mondo, la Dubai Marina, le più grandi isole artificiali, le Palm Islands e le World Islands, il Dubai Waterfront e il più grande centro commerciale al mondo, il Dubai Mall. L’intera zona dovrebbe diventare così (le isole sono artificiali, cliccatela):

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Gli architetti dicono che il Burj Dubai riporterà nel Medio Oriente l’onore di ospitare la più alta struttura del mondo, titolo perso circa nel 1300, quando la cattedrale di Lincoln (Inghilterra) superò la grande piramide di Giza in Egitto. L’altezza finale del Burj Dubai è mantenuta segreta per motivi di competizione; ciò nonostante, planimetrie rilasciate da partners commerciali sembrerebbero confermare un’altezza di 818 m.

Guardate anche queste altre immagini impressionanti (sempre cliccabili)

 

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L’Esprit des Dunes

Mr. Murail’s L’esprit des dunes (1993-94), for amplified ensemble and electronics (sampled sounds triggered by a MIDI keyboard), starts with a characteristic ascending figure that is passed back and forth between the oboe and the sampled sounds, mediated by the flute.

Over the course of the piece the origin of this motif is progressively revealed by the gradual accumulation of partial-strata that occasionally fill in the whole spectrum at sonorous anchor points. In the composer’s words:

There is melody within a single pitch; the melody is created through the pitch’s harmonics. It’s both a sound and a melody. And while the opening notes of the oboe constitute a phrase, it is also a sound.

The origin of the motif is in fact a snippet from an overtone “melody” found in Mongolian chant, a tradition that can be described as the art of creating (overtone-) melodies out of a single (sung) pitch. The vocal paradigm is felt in various forms throughout the piece: strands of kinetic energy that produce a pattern of tension and release; the alternation of compact and diffuse ensemble writing with the occasional appearance of re-synthesized Tibetan chant; the overall dynamic curve of the form make the piece breathe in a curiously organic way.

Il sogno di Cassandra

Cassandra’s Dream Song (1970), di Brian Ferneyhough, per flauto solo, è uno di quei brani che hanno contribuito a ridefinre i limiti dello strumento. Considerato dapprima ineseguibile, venne eseguito per la prima volta da Pierre-Yves Artaud al Royan Festival (una rassegna francese di musica contemporanea attiva dal 1964 al 1973 in cui furono realizzate molte prime esecuzioni, sostituita, poi, dai Rencontres Internationales d′Art Contemporain di La Rochelle). Con l’evoluzione della tecnica strumentale, questo brano è ormai entrato a far parte del repertorio solistico del flauto.

Composta unicamente di due densissime e grandi pagine, la partitura è aperta. Ogni pagina contiene varie sezioni che l’esecutore deve eseguire alternando i due fogli (una dal primo e una dal secondo). Tuttavia, sul primo foglio deve seguire l’ordine dato procedendo dalla 1 alla 6, mentre la successione delle sezioni del secondo è libera.

In tal modo, qualsiasi effetto narrativo viene sovvertito, ma non completamente, grazie alla successione fissa del primo foglio. Pur ereditando alcune modalità espressive dal serialismo alla Boulez, Ferneyhough è spesso sorprendente perché, nella linea melodica, passa da momenti estremamente complessi ad episodi quasi lirici, centrati su poche note, fino ad istanti in cui affiorano atmosfere Debussy-like e perfino frasi quasi tonali.

Flute: Evgenios Anastasiadis Live Recording , Concert Hall, Folkwang Universität der Künste July 2021

The Monty Python Channel

Chiudiamo Novembre con qualcosa di divertente

For 3 years you YouTubers have been ripping us off, taking tens of thousands of our videos and putting them on YouTube. Now the tables are turned. It’s time for us to take matters into our own hands.

We know who you are, we know where you live and we could come after you in ways too horrible to tell. But being the extraordinarily nice chaps we are, we’ve figured a better way to get our own back: We’ve launched our own Monty Python channel on YouTube.

No more of those crap quality videos you’ve been posting. We’re giving you the real thing – HQ videos delivered straight from our vault.

What’s more, we’re taking our most viewed clips and uploading brand new HQ versions. And what’s even more, we’re letting you see absolutely everything for free. So there!

But we want something in return.

None of your driveling, mindless comments. Instead, we want you to click on the links, buy our movies & TV shows and soften our pain and disgust at being ripped off all these years.

Così viene presentato il Monty Python Channel su You Tube. Buon divertimento (e buon esercizio di inglese).

Lemma-Icon-Epigram

Brian Ferneyhough (n. 1943) è il maggior rappresentante della cosiddetta “nuova complessità”, una corrente definita come “a complex, multi-layered interplay of evolutionary processes occurring simultaneously within every dimension of the musical material” (vedi questa interessante voce, in inglese, su wikipedia).

Sotto molti aspetti si tratta di una estremizzazione del serialismo, anche se ormai la serialità è stata abbandonata in favore di una prospettiva evolutiva del materiale musicale. Ciò nonostante, la complessità grafica della partitura rimane elevata, nella forma di una iper-codifica diffusa. Di conseguenza, la musica di Ferneyhough spesso richiede enormi sforzi tecnici da parte degli interpreti (talvolta, come nel caso del brano Unity Capsule per flauto solo, le sue partiture sono talmente dettagliate e complesse che risulta quasi impossibile una realizzazione totale di quanto vi è scritto). Nella sua personale filosofia compositiva, lo scopo di ciò è quello di liberare la creatività dell’interprete, il quale dovrà decidere su quali particolari concentrarsi, e quali altri verranno invece tralasciati (ecco una pagina della partitura di Unity Capsule, cliccatela).

unity capsule

lemma-icon-epigramIl brano che vi presentiamo è Lemma-Icon-Epigram, del 1981, un pezzo tripartito, per piano solo, dedicato a Massimiliano Damerini che ne è l’interprete. Qui vedete anche la prima pagina della partitura (come al solito, cliccabile).

Di questo brano l’autore dice:

Over the years, the detritus of images associated with my alchemical and metaphysical studies, or Renaissance studies, began to accumulate round a core, and this core was, as I said, the idea of Denkbilder: pictures to help you think or “thinking pictures”. So the first part of the piece is the whirlwind of the not-yet-become: the idea of processes, not material, forming the thematic content of the work.

So this is the Lemma, the superscription. The second part, the Icon, is the description of the possible picture put into actual pictorial form. I’m dealing here with the expansion and contraction of rhythmic and chordal cycles. There are only seven chordal identities, and this middle part is the same thing seen from many perspectival standpoints. I have what I call a “time-sun”. That is, I imagine a framework within which these chords are then disposed on several levels, like objects. Then there is a sun passing over them: the shadows thrown by the sun are of different lengths, different intensities, impinging in different ways upon different objects, themselves also moving upon the space defined by this frame. The third part is the Epigram. This is the attempt to unite these two elements that have appeared previously.

Massimiliano Damerini, pianoforte.

Musica per strumenti del rinascimento

Non fatevi ingannare dal titolo, non è musica antica. Questo, invece, è uno dei miei brani preferiti nella produzione di Mauricio Kagel. Forse anche uno dei più eversivi perché qui il compositore trae sonorità inaudite da un corpus strumentale, quello della musica antica, che nessuno aveva stravolto fino a questo punto.

In realtà avevo già pubblicato questo brano del 1965/66 senza alcun commento in occasione dell’epitaffio del suo autore, ma oggi lo ripropongo alla vostra attenzione, corredato dalle note dello stesso Kagel:

This work contains neither prediction, pointers to the future, nor a comforting return to the past: the use of Renaissance instruments here has no programmatic purpose in any general sense. The only decisive fact is that these instruments correspond to my tonal concept better than any present-day stringed and wind instruments could.

The systematic alienation of conventional instrumental sound, which comes into its own in the material and methods of the most modem music, seemed to me to justify an attempt, for once, to reverse the normally accepted view on the subject of the composition of tone colour. The individual quality of restraint which belongs to the nature of these Renaissance instruments made it all the easier for me to introduce each of them in its own unadulterated tonal character. While still a student of musicology in Argentina I began to sketch a similar piece, but I dropped the project at that time, since one of the essential conditions for bringing the idea to fruition-the formation of a truly orchestral ensemble of early instruments-could not then be fulfilled. In the renaissance of the Renaissance which we are now experiencing such an ensemble has become feasible, because copies of most of the instruments have recently been made, and numerous musicians have become proficient in playing them.

Only the formation of complete families of typical instruments, played by 23 musicians, could produce a sound picture true to the period in question. All the Renaissance instruments required for my composition were represented in the Theatrum Instrumentorum of the “Syntagma Musicum” by Michael Praetorius (1619). During recent years I have become so familiar with each of the instruments used that I could think out its tonal function afresh, and have been able to develop the performing techniques beyond the conventional limits. Even an instrument such as the recorder, which is closely associated with home and school music making of a very different kind, proved to be extremely versatile, and more suitable for use in new instrumental music than, for example, the transverse flute.

Each instrumental part of this work was composed like a solo line. However, the parts were put together as a full score, written in more or less normal notation. Other versions of the work are also possible, using any number of players from two to twenty-two, in every combination of instruments drawn from the original scoring. These reduced versions are entitled “Chamber Music for Renaissance Instruments”. The concept of an ad hoc orchestra made up of whatever instruments are available–in accordance with the performing practice of the Renaissance period–is here taken literally, so that a degree of variation is possible which cannot be foreseen by the composer. This work (1965/66) was written in memoriam Claudio Monteverdi. Nevertheless it contains no collages of old music.

Mauricio Kagel – Music for Renaissance Instruments (1965/66)
Collegium instrumentale, conducted by Mauricio Kagel
Il brano è scaricabile in formato flac dall’AGP40.

Google LIFE photo archive

Ultimamente non sembrano esserci grandi iniziative in campo musicale, ma ce sono in quello dell’immagine (comunque domani torneremo alla musica).

Google sta portando sul web l’immenso archivio fotografico di LIFE Magazine. Già 2 milioni di immagini sono online e altri 8 milioni sono in arrivo.

L’arco temporale coperto dall’archivio spazia dalla guerra di secessione americana fino ai nostri giorni e sono quasi tutte immagini di alta qualità e risoluzione elevata (cliccate su questa antica barca sullo Yang-tse).

La pagina di riferimento è qui, ma Google intende inserire l’intero archivio nel proprio motore di ricerca delle immagini.

Film Storici

Parecchi film storici di produzione europea della prima metà del ‘900 sono visibili integralmente online sul sito European Film Gateway. Al momento attuale sono 40.

L’iniziativa è realizzata nell’ambito del progetto Treasures from European Film Archives curato dall’Unione Europea.

Visto il successo che ha avuto un’altra iniziativa analoga, Europeana, di cui abbiamo già parlato, non possiamo che plaudere a queste aperture culturali della UE.

Liu Bolin

Liu Bolin è un artista cinese che ha fatto del mimetismo la propria strategia di approccio al reale: si fonde in modo mirabile con l’ambiente, a volte scomparendo in esso, altre volte diventandone parte.

Now, in the real material world, the world views of different people’s are also different. Each person chooses his/her own way in the process of contacting outside world. I choose to merge myself into the environment. Saying that I am disappeared in the environment, it would be better to say that the environment has licked me up and I can not choose active and passive relationship.

Cliccate le foto qui sotto. Qui potete leggere un’intervista

Iubiri

Ancora Radulescu con un brano per una formazione complessa: 16 strumenti (2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, corno, tromba, trombone, percussioni e quintetto di archi).

Secondo le note del libretto, peraltro abbastanza deliranti, il termine Iubiri è il plurale del rumeno iubire (amore). Questo brano, dalla durata ragguardevole, si compone di 343 iubiri. 343 micro musiche che, nei 47 minuti del brano, integrano 7 spettri acustici che derivano dai primi 7 armonici (escludendo le 8ve) di una fondamentale di DO, ovvero Do, Sol, Mi, Sib, Re, Fa monesis (1/4 di tono), Sol triesis (3/4 di tono).

Il brano è distribuito su AGP #110 in formato flac. Qui il libretto con note in pdf.

recorded on 1994 in Paris by Ensemble Polychromie , conductor Nvart Andreassian

Dérives

Dérives, composto da Gérard Grisey nel 1973-74, è insieme a Périodes e Partiels, una delle composizioni seminali per il movimento della musica spettrale.

In questo brano per due gruppi orchestrali, una sinfonietta e un’orchestra completa (interessante notare che nell’ensemble c’è anche una chitarra elettrica), si applica una tecnica che può essere definita come sintesi additiva strumentale, in cui gli strumenti arrivano a comporre una timbrica mediante la somma di molte componenti. Si parla di timbrica e non di armonia perché è in questo senso che l’indieme sonoro è concepito, al punto che agli strumenti è spesso richiesta una intonazione sugli armonici di un suono base e non sulla scala temperata.

Il suono come generatore della forma globale, secondo la poetica dello spettralismo espressa da questa dichiarazione programmatica dello stesso Grisey:

We are musicians and our model is sound not literature, sound not mathematics, sound not theatre, visual arts, quantum physics, geology, astrology or acupuncture

[cit. in Fineberg, Joshua (2006). Classical Music, Why Bother?: Hearing the World of Contemporary Culture Through a Composer’s Ears. Routledge. ISBN-10: 0415971748, ISBN-13: 978-0415971744]

E ancora:

Spectralism is not a system. It’s not a system like serial music or even tonal music. It’s an attitude. It considers sounds, not as dead objects that you can easily and arbitrarily permutate in all directions, but as being like living objects with a birth, lifetime and death. This is not new. I think Varese was thinking in that direction also. He was the grandfather of us all. The second statement of the spectral movement — especially at the beginning — was to try to find a better equation between concept and percept — between the concept of the score and the perception the audience might have of it. That was extremely important for us.

Quest’ultima dichiarazione è tratta da questa interessante intervista con David Bundle.

  • Gérard Grisey – Dérives (1973-74), per due gruppi orchestrali

Klavierstück IX

Stockhausen ha dichiarato che i Klavierstücke (pezzi per piano, anzi, per tastiera) sono i suoi schizzi. Alcuni, però, sono schizzi di grande portata, come questo Klavierstück IX (vers. def. 1961), con il suo accordo ripetuto più di cento volte (148 se non erro), con atmosfere e risonanze diverse.

Dedicato ad Aloys Kontarsky, che lo eseguì per la prima volta a Colonia nel maggio 1962 nella versione definitiva del ’61, il Klavierstück IX si collega direttamente al X sia perché nella sezione finale sono presenti gruppi di notine che saranno il segno distintivo dell’altro, sia perché nonostante i differenti esiti sonori ambedue obbediscono al principio, fondamentale in Stockhausen, della giustapposizione – intesa come coesistenza dinamica – delle categorie dell’ordine e del disordine . In particolare, il IX è costruito attorno all’alternanza di un accordo presentato immediatamente e ripetuto oltre cento volte nel corso del brano con zone rarefatte di sapore improvvisativo. Quanto ai citati gruppi di notine della parte conclusiva, da notare che queste fanno riferimento ai valori della serie dei numeri di Fibonacci (1, 1, 2, 3, 5, 8, ecc.), dalla quale derivano anche i rapporti metronomici. Da questo punto di vista è indubbio che il Klavierstück IX rappresenta tra i quattordici composti tra il 1952 e il 1985 quello che più di tutti concretizza l’idea di fondo del compositore tedesco di “creare opere in cui i piani della forma e del materiale fossero totalmente pervasi da una serie unificante di proporzioni e dalle loro derivazioni combinatorie”.
[Nota tratta da Novurgia]

Eccolo inciso da Pollini (con partitura)

Ed eccolo eseguito da Pollini a Parigi (Cité de la musique) il 25 Giugno 2002

Basso Profondo

Here are two short extracts of an exceptional record of Russian choral work (which includes anonymous ancient liturgical chant, popular folk songs, and music by well known Russian choral composers, such as Tchesnokov and Gretchaninov), introducing some of the lowest voices in the world. The two singers here are Vladimir Pasuikov and, with an even lower voice, Viktor Wichniakov, one of the most famous Basso Profondo, who are unique to Russian singing. Their vocal range is at least one octave below the normal bass range (think Paul Robeson). In the first extract the bass hits the low Ab1; in the second the bass hits a G1. Not only do they possess the lowest notes of any choral singer, but the soloists have such full voices that the effect is immediately striking.
Enjoy those exceptional samples of the magnificent Russian choral art!

Comunque, uno degli effetti collaterali di You Tube che mi colpisce maggiormente e in modo sfavorevole è il fatto che, ormai, per mettere in internet della musica si sia costretti a realizzare un video. Per es. questo post è musicale. Qui il video ha una importanza assolutamente marginale e se ne potrebbe benissimo fare a meno. Esiste solo per poter mettere il tutto su uno dei siti più cliccati dell’orbe terracqueo.

Ecco come si fa

Tanto per cominciare, Obama ha creato un CTO, ovvero un Chief Technology Officer che si occupa di determinare le priorità in campo tecnologico.

E come lo fa? Tanto per cominciare, ascolta le opinioni della gente. Su questo sito, ognuno ha 10 punti da distribuire fra le varie idee (max 3 punti ciascuna) e può anche introdurne di nuove e sottoporle al giudizio della comunità.

E quali sono quelle finora più votate? Vi elenco le prime cinque:

  1. Ensure the Internet is widely accessible & network neutral
  2. Ensure our privacy and repeal the patriot act
  3. Repeal the Digital Milennium Copyright Act (DMCA)
  4. Open Government Data (APIs, XML, RSS)
  5. Kick Start Research and Innovation in Energy

Non male!

Il problema è se poi lo fa…

Compositori a confronto

A Reggio Emilia, nell’ambito del festival Compositori a confronto, organizzato dall’istituto musicale “Peri”, produzioni del Conservatorio di musica “Bonporti” di Trento, presente con compositori e interpreti.

Martedi’ 18, alle ore 16.30 presso l’Auditorium dell’Istituto Peri di Reggio Emilia, concerto con musiche di Colazzo, Graziani, Polato, Straffelini, Priori, tutti docenti compositori del Bonporti, e degli studenti Banal e Palaoro, dediti alla musica elettronica.
Interpreti di grande levatura, anch’essi docenti dell’istituzione trentina, dal clarinettto di Mauro Pedron al flauto di Antonella Dalla Benetta, alla tromba di Ivano Ascari, al contrabbasso di Massimiliano Rizzoli.
Prima, una tavola rotonda, dove si confronteranno, sul tema della didattica della composizione, operatori impegnati di varie istituzioni, italiane e straniere.

Suoni e Poesia

Il Conservatorio di Musica “Bonporti” di Trento, in collaborazione con la rivista di poesia Anterem di Verona, realizza un concerto di musiche nuove, in prima, su testi poetici, alcuni inediti. a Verona, domenica 16 novembre alle ore 11, alla biblioteca comunale.  quindi a Riva del Garda, il 22 novembre, al conservatorio, alle 20.30. poi, nel mese di dicembre, a trento.

Suoni e Poesia e’ il titolo di questa ricerca artistica e di sperimentazione, che si tiene da diversi anni, ormai, coinvolgendo gruppi di compositori docenti del conservatorio, come di compositori invitati, ora anche un gruppo selezionato di studenti.

Un progetto di sperimentazione creativa, che riguarda insieme la musica e la poesia, anima la manifestazione “Suoni e poesia”, giunta alla terza edizione, che il Conservatorio di musica “Bonporti” di Trento e Riva del Garda organizza, in collaborazione con la rivista di poesia Anterem di Verona. Si svolge tra Verona, Riva del Garda e Trento, a partire da domenica 16 novembre, che vede il primo appuntamento, a Verona, alla Biblioteca Comunale, Spazio Nervi, alla ore 11.00. Successivamente, il 22 novembre, il concerto sarà a Riva del Garda, all’Auditorium del Conservatorio, alle ore 20.30.  Quindi, replica a Trento, nel mese di dicembre, nel contesto del festival “Il Conservatorio per la città”.

Nella proposta di quest’anno, dieci composizioni di studenti compositori del “Bonporti”, che vengono rappresentate in prima esecuzione assoluta. Sono state scritte appositamente per il progetto, nel contesto dei corsi di Composizione, Musica elettronica, Nuove tecnologie e multimedialità del Conservatorio, per la cura di coordinamento dei prof.ri Massimo Priori, Nicola Straffelini, Leonardo Polato, Mauro Graziani. Le composizioni trattano altrettanti testi poetici, alcuni inediti, plasmandoli nel coinvolgimento della voce, che si ritrova nella declinazione di canto o anche in quella della recitazione. Il contesto di accompagnamento musicale è vario, coinvolge gli strumenti o anche l’elaborazione elettronica.

Gli autori delle composizioni sono Marco Banal, Nadia Carli, Antonio Casagrande, Laura Crescini, Andrea Gonella, Andrea Mattevi, Enrico Miaroma, Lucia Palaoro, Mauro Tonolli.

Le poesie, come le musiche, sono anch’esse, per lo più nuove, scelte dalla Rivista Anterem, che organizza un festival di poesia a Verona, e il noto premio “Lorenzo Montano”. Alcune opere letterarie, recentemente premiate nel XXII concorso di poesia “Lorenzo Montano” (2008) di Verona, sono state messe in musica dagli studenti compositori del Conservatorio. Accanto ad esse, poesie che sono state raccolte dalla rivista Anterem. Questi i nomi dei poeti messi in musica: Yves Bonnefoy, Silvia Bre, Mara Cini, Paolo Ferrari, Massimiliano Finazzer Flory, Philippe Jaccottet, Camillo Pennati, Michele Ranchetti, Luigi Trucillo.

Il risultato è la realizzazione di opere assai diverse fra di loro che, oltre a mostrare delle ovvie quanto naturali distinzioni stilistiche ed espressive, si pongono come una rassegna delle numerose possibilità di integrazione fra le due arti.

Studenti del Conservatorio “Bonporti” sono anche gli interpreti, solisti o in formazioni da camera, o impegnati ai dispositivi elettronici. Gli studenti hanno lavorato nel contesto degli ensemble strumentali curati dai prof.ri Simonetta Bungaro e Corrado Ruzza. Così risultano impegnati nel progetto, B. Canins e C. Molinari (flauto), F. Pola e N. Bortolamedi (clarinetto), A. Mattevi (viola), V. Rakos (violoncello), D. Cavada, I. Tibolla, A. Sala, F. Moncher (pianoforte), C. Turrini (voce recitante), I. Pisoni, F. Monatti e D. Tosi (canto), M. Banal, L. Palaoro, N. Carli e A. Gonella  (dispositivi elettroacustici). La presenza video, in uno dei brani in programma, è di L. Olzer.

Conservatorio di Musica di Trento “F. A. Bonporti”
Galleria Legionari Trentini, 5
38100 Trento
Tel. 0461 261673
Fax 0461 263888

http://www.conservatorio.tn.it

L’accordo segreto (?)

Dunque, questa faccenda dell’accordo iniziale di A Hard Day’s Night deve essere esplosa in questi giorni, perché mi sono arrivate ben due segnalazioni.

In breve, la storia è questa: ricordate il klang iniziale di A Hard Day’s Night? (Beatles, 1964). Se la risposta è no, avviate il video qui sotto: è proprio la prima cosa che sentite.

Il problema è che non si riusciva a determinare esattamente la composizione di questo accordo e non si riusciva a riprodurlo accuratamente con 2 chitarre (una a 12 corde) e basso (l’organico dell’incisione). In pratica, sembrava fosse impossibile ottenere esattamente quella sonorità con la strumentazione di cui sopra. Sebbene le note fossero state identificate, non si riusciva a rendere conto della loro distribuzione fra gli strumenti.

Nella sua ponderosa analisi, Alan Pollack, che ha analizzato l’intera produzione dei quattro, dice:

I’ve seen better people than myself argue (and in public, no less) about the exact guitar voicing of this chord and I’ll stay out of that question for now (what a cop-out, Alan!), and merely state that its sonority is akin to a superimposition of the chords of d-minor, F-Major, and G-Major; i.e. it contains the notes D, F, A, C, and G – to my ears, only the B is missing. Even if you don’t know a thing about harmony or musical dictation, you can at least hear the G as a suspended fourth over the D on the bottom. Hullaballoo aside, this chord functions as a surrogate dominant (i.e. V) with respect to the chord on G which begins the first verse.
[A. Pollack – Notes on “A Hard Day’s Night”]

Ma finalmente il dott. Jason I. Brown, della Dalhousie University, ha pensato bene di fare una analisi FFT sull’accordo, elencando tutte le frequenze in esso contenute. L’analisi ha permesso di determinare la composizione esatta dell’accordo, mettendo in luce il fatto che le note coinvolte non possono essere state prodotte solo con due chitarre e basso (e non risulta traccia di sovraincisioni, che nel 1964 erano un po’ problematiche).

L’ipotesi finale, quindi, è che dentro il “klang” ci sia anche il pianoforte di George Martin, che, d’altronde, più avanti, doppia anche il solo di George. L’accordo lo vedete in figura (click here to enlarge). I raddoppiamenti di 8va di La, Re e Sol che vedete nella parte di GH sono dovuti alla 12 corde. Qui trovate l’articolo di Jason Brown (pdf) con tutte le sue deduzioni.

Six Japanese Gardens

Sei brevi brani per percussioni ed elettronica di Kaija Saariaho. In ciascuno dei brani l’autrice sviluppa un aspetto ritmico particolare collegato a quello specifico materiale musicale.

Le sonorità strumentali sono arricchite da suoni naturali, canti rituali e altri suoni percussivi eseguiti dal percussionista giapponese Shinti Ueno, registrati e modificati dall’elettronica.

Kaija Saariaho – Six Japanese Gardens (1993/95)

Vox limited edition

Vox ha riprodotto in edizione limitata la propria storica serie di chitarre e bassi dalla caratteristica forma a goccia utilizzate da parecchie star del passato, fra cui Brian Jones.

Sono molto belle, ma la serie è veramente limitata (si parla di 10 pezzi per modello in UK) e gira a un prezzo intorno ai €1600 in Europa e $2000 negli USA.

In alternativa, c’è questo prodotto della Hutchins Guitars, con tanto di autografo, a soli $1200.

SYNKEN

synkenAn evolving, resonating journey through splintering landscapes and mysterious characters. Abstractions and forms are reverberated in fragile soundscapes of chaotic planes and unsettling arrhythmic patterns. Is it film or an improvised VJ cut-up? Is it visualized music feeding back into images, or images generating music? SYNKEN pushes the limitations and restrictions of genres. Synchronized sinking as SYNKEN is Transforma and O.S.T.’s collective creative experience.

With a mix of abstract images, graphic animation, digital image effects and complex film sequences, SYNKEN creates a fantastically spaced out, darkly romantic image-world. Forests filled with distorted organic forms are contrasted against an architectural abyss, as strange and fantastic characters try to make sense of their surroundings. A mysterious vagabond works as a medium between these parallel worlds, transporting artefacts that become recurring symbols in the dual system and means of communication between the creatures which inhabit them.

Produced in parallel to the images, O.S.T.‘s arrhythmic crackling electronic 5.1 surround soundtrack bathes the images in an eerily hypnotic flow. As sound and image merge and fall apart again over time, they form a synergy that opens up subtle leads which can never be read only as linear. As plot fragments refract and reoccur, SYNKEN continuously confronts the viewer with a modular narrative that can be potentially combined to create any number of interpretations. in the live performance version, Transforma and O.S.T.‘s real-time decisions will use this potential to develop further one-off versions of SYNKEN.


O.S.T.

American electronic music maverick O.S.T. has been releasing and performing since 1992 as O.S.T., rook vallade, Dalglish, and other aliases. After more than 10 albums and numerous singles under his various monikers, Douglas remains well outside the established parameters of electronic music. His work is a malevolent mutation of techno into arrhythmic patterns, interwoven digital textures, and amorphous melodies. He is known, somewhat notoriously, as an artist who is unrelentingly true to what creativity, emotion, and passion are to music. In 2003 O.S.T. was invited by Autechre to play at their curated All Tomorrows Parties. After performing around Europe he decided to settle in Berlin where after a few years of coming down, he uses this project to start again.

Transforma

Berlin video artist collective Transforma (Baris Hasselbach, Luke Bennett and Simon Krahl) combine the momentum of VJ improvisation with the power of highly composed imagery and narrative. Transforma started producing experimental video art in 2001 and have been taking their imageworld and production processes to higher levels of absurdity ever since. They have worked on promos, concert video and live cinema approaches, in collaboration with Apparat and Funkstörung among others, and have VJed in clubs in Berlin and around Europe.


SYNKEN site (with trailers)

Listen to or download the music


Transforma (www.transforma.de) / O.S.T. (www.amhain.net)
www.cimatics.com
/ www.shitkatapult.com / www.visualkitchen.org

Zoom!

Questo video è uno zoom di proporzioni epiche in quella zona dell’insieme di Mandelbrot chiamata The Seahorse Valley (la valle dei cavallucci marini) a causa delle codine, simili a quelle delle suddette bestiole, che si formano sulla frontiera dell’insieme.

Se vince il Nero

Riporto pari pari questo breve corsivo di Gramellini apparso su La Stampa di ieri, perché è troppo bello. La prima parte è una satira divertente di tutte le aspettative di cui il mondo intero sta caricando il povero Barack.
Verosimilmente, quando lo leggerete, saprete già se ha vinto il Nero o il Bianco. Probabilmente non cambierà molto in entrambi i casi (io non mi fido per niente di Obama), però pensateci un attimo: Barack non solo è nero, ma oltretutto non ha un nome normale. Non si chiama, che so, Michael Jordan o George Lennox e nemmeno Mr. Brown. Si chiama Barack Hussein Obama. È figlio di un keniota musulmano, ma forse agnostico, ex pastore di capre (così dice wikipedia vers. italiana), all’epoca studente straniero negli USA (alle Hawaii) e di Ann Dunham, proveniente da Wichita, in Kansas, bianca.
Quindi proviene già da una famiglia interrazziale, è nero, ha un nome improbabile e per niente americano e come se non bastasse, ha 47 anni! E non sarebbe il più giovane: Roosevelt divenne presidente la prima volta da vice, per l’omicidio di McKinley, a 42 anni e il più giovane presidente eletto dal popolo fu invece JFK, 43enne al momento della nomina nel 1960, mentre il più anziano fu Ronald Reagan, eletto nel 1980 all’età di 69 anni.
Insomma, questi sono nel mezzo di una pesantissima crisi economica e rischiano di eleggere un presidente nero, con un nome improbabile, di 47 anni. È uno dei (rari) giorni in cui ammiro davvero l’America.
Nel frattempo i giornalisti di qui continuano a sparare inesattezze fattuali. Lo chiamano “giovane avvocato”, mentre è laureato in scienze politiche. Faccio zapping e uno dei commentatori “autorevoli” è nientemeno che De Michelis. Agh.

Se vince il Nero
Massimo Gramellini
La Stampa del 4/11/08

Se vince il Nero, la crisi finirà. Se vince il Nero, ci sarà sempre il sole e comunque la pioggia cadrà più lieve. Se vince il Nero, la Gelmini ritirerà il decreto e sposerà un maestro veramente unico, Colaninno comprerà la Lufthansa, i banchieri pagheranno i mutui dei clienti, e gli arbitri convalideranno i gol del Toro. Se vince il Nero, Sabina Guzzanti ricomincerà a far ridere, ma soltanto in inglese, e Carla Bruni affitterà una mansarda accanto alla Casa Bianca, casomai. Se vince il Nero, i deboli di stomaco digeriranno anche il soffritto e i divorziati si metteranno di nuovo insieme. Se vince il Nero, ogni impresa diventerà possibile, persino prendere un treno regionale in orario. Se vince il Nero, gli automobilisti in coda manderanno baci dai finestrini, i petrolieri faranno la raccolta differenziata e le modelle smetteranno di tenere il broncio nelle sfilate. Se vince il Nero, i ghiacciai ghiacceranno, i buchi dell’ozono si tapperanno e l’effetto-serra cambierà vocale, diventando affettuoso.
Se vince il Nero, non accadrà nulla di tutto questo, lo so. Eppure, se vince il Nero, sarà come per lo sbarco sulla Luna: le vite degli uomini resteranno ferme, ma l’umanità avrà compiuto un passo avanti. Se poi il Nero si rivelerà all’altezza della sua bella faccia, a cui ognuno impresta le proprie speranze, e sarà costretto dalle aspettative degli altri a trasformarsi nel primo statista del secolo, allora avremo vinto tutti davvero.
Sempre che vinca, il Nero.

Viaggio in Ucraina… [3]

Ultima puntata, Speriamo abbiate gradito…

Kiev on the Dnepr

Intermezzo 2

KievKiev appare nel suo splendore. E’ illuminata come un palazzo orientale e ingioellata come una donna. La gente si riversa sul kreshatik, la grande, monumentale via centrale, e canta e balla. Kiev non è l’Ucraina come New York non è gli Stati Uniti. Al dei là dello Dnepr si accalcano i nuovi quartieri che sorgono sulle macerie delle periferie di ieri. Giganteschi silos inzuppati di vite umane sembrano nascere dal nulla: come a Las Vegas nascono dalla polvere di un deserto, queste nuove, sterminate cose abitate, e fanno pensare ai racconti di fantascienza, in cui i panorami disumanizzati sono lì a testimoniare di un mondo che fatica a riconoscersi.

Pop Star

RivneL’autobus che porta a Rivne parte dalla stazione dei treni di Kiev. Non è un vero e proprio autobus. È un cabinato, a 12 posti, che qui chiamano marshrutka. Costa il doppio degli autobus statali, ma è molto più veloce. Ogni giorno, in Ucraina, milioni di persone si spostano con questi mezzi. Impieghiamo 4 ore per arrivare a Rivne, città che ogni giorno si affolla di gente per il bazaar, mercato all’aperto dove si trova tutto il necessario. A pranzo Pavlo Baginsky, il direttore d’orchestra, coreano di Mosca, figlio delle politiche transrazziali del comunismo orientale e trapiantato in Ucraina, mi illumina sulle differenze tra gli aggettivi rusky – russisky. Dice: “Tutto che quello che si riferisce alla grande stagione culturale della Russia fino al crollo della Soyuz è chiamato rusky. Tutto quello che viene dopo, invece, è russisky”. Leggo in questo calmo e attento specificare un tono quasi dispregiativo, nei confronti della nuova Federazione Russa. Non corre buon sangue fra molti russi e molti ucraini.
Dopo il concerto, foto finale con ragazzine che studiano il francese ma che evidentemente trovano l’Italiano egualmente esotico.
E poi aspettiamo le due di notte, nella stazione degli autobus, circondata da qualche locale notturno, dal quale fuoriescono barcollanti minigonne e chiassose sacche di pelle nera; involucri accattivanti i primi e disgustosi i secondi, che contengono la vita notturna di Rivne. Arriviamo a Kiev alle sei e trenta, dopo una notte insonne passata ad ascoltare alla radio le pop stars dell’ex-madre russia.

[webcam a Rivne, a volte un po’ fuori fuoco; nota mia]

Il lungo ritorno (1)

Dnipropetrovsk

Nella mia stanza c’è un odore acre e pungente di piscio. Alzo la testa sul soffitto e scopro una colonia di zanzare che sopravvivono purtroppo anche con il freddo. E’ l’Hotel che ci ospita a Dnipropetrovsk, città che non ha ancora cambiato i nomi delle vie dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La sala della philarmonia si trova in Lenin uliza, mentre l’albergo nelle vicinanze della Marxiskaja. Il teatro è, come al solito, in remont e i soldi per la ristrutturazione si raccimolano ospitando all’entrata un bazaar che vende ogni cosa: spazzolini da denti, accessori per la casa, indumenti a costi popolari, giornali, pellicce sintetiche, sigarette. Si accede sul palco da un’entrata laterale, dove in vestito da concerto, passiamo attraverso una fumosa sala da biliardo (noto al tavolo una bionda e una mora con pantaloni neri attillati che maneggiano la stecca, soddisfando appieno il più esigente immaginario maschile) e di video poker, che qui chiamano automaty, ai quali sono automaticamente attaccati giovani dall’aria poco simpatica.
A Dnipropetrovsk in pochi parlano ucraino. Il russo è la lingua ufficiale. L’Italia, come al solito, è un immaginario collettivo, una specie di sogno presente nelle vie, nella gente: ma un sogno che si frantuma nella catena di ristoranti Celentano (dove si mangia malissimo), nelle canzoni di Ramazzotti e Masini alla radio, nel concerto di Toto Cotugno. E vedere il suo nome in cirillico fa un certo effetto.
KharkovVeniamo, scendendo a sud-est da Kiev verso Poltava, da Kharkov (Kharkiv), ex capitale ucraina dell’era sovietica. Fa un milione e mezzo d’abitanti e vi si trova la più grande piazza d’Europa, come dice la guida, in stile post-cubista. In piena crescita economica Kharkov è una città viva, piena di cafè-bar, negozi e ristoranti. La Russia è a soli 15 chilometri. Da qui parte l’ autostrada, su su fino a Mosca. Alla sera dopo il concerto si mangia con Sergey, moscovita ma con origini del Kazakstan, che vive da quindici anni a Singapore ed è appassionato di musica. Di lavoro installa impianti audio per auto. Entusiasta del nostro concerto ci offre la cena in uno dei ristoranti più frequentati dai nuovi ucraini, legittima estensione dei nuovi russi: il Pappagallo Verde. Effettivamente, come mi mostra fieramente un cameriere fin troppo ossequioso, il variopinto animale se ne sta nella sua gabbia. Insieme a lui popolano il ristorante energumeni dai colli schiacciati, vestiti di nero o panna con cravatte sgargianti, accompagnati da bionde ossigenate in abito rosso-viola-rosa, con stivali neri fino alle ginocchia, e che fumano, una dietro l’altra, le sottili sigarette, quasi-simbolo dell’ emancipazione femminile.
Prima di andare a dormire guardo fra le mie cose, e trovo uno spartito che una tale Olga Eduardovna (come leggo sul biglietto da visita) mi ha consegnato subito dopo il concerto. “Questa è una mia composizione, tu devi suonarla”, mi ha detto, mentre non vedevo l’ora di togliermi lo smoking. Poi farfuglia qualcosa che non capisco. I suoi occhi sono segnati da un’incalcolabile tristezza, e il suo corpo, ricurvo e modesto, provato forse da qualche malanno cronico. Nel stringerle la mano e nel ringraziarla, le provoco una smorfia di dolore che non so scusare. Si prova qualcosa che deve assomigliare alla vergogna, nel non capire ciò che le persone dicono, nel non sapere, alla fine, chi sono e da dove vengono.

Intermezzo 2 (prima del lungo ritorno 2)

Cioran dice, in Storia e Utopia, che il popolo russo (estendo la cosa anche agli ucraini) possiede una speciale inclinazione ed ossessione per la grandezza. Bolshoy (grande; sic) kolossalna, catastropha, sono normali aggettivazioni disseminate nei discorsi degli abitanti di questo pezzo di pianeta. Vi è nell’eloquio, un’appariscente e megalomane tendenza all’approssimazione per eccesso. Il risorgimento dell’anima slava/russa/ucraina si attacca ad un’isterica quanto encomiabile attenzione per le manifestazioni di quell’individualismo eroico e anche un po’ maschilista (e oggi, comunque, consumistico e lievemente pornografico) che l’etica comunista ha cercato di estirpare, ottenendo al contrario una generazione di nazionalisti e sessisti, per la verità, un po’ goffi.

Il lungo ritorno (2)

Quattro giorni ci separano dalla frontiera ungherese. Sulla via sbagliamo strada e ci troviamo faccia a faccia di fronte alla Moldavia. Non nascondiamo una certa curiosità di varcare il limite, visto, a quanto si dice, che in Moldavia ci siano delle donne bellissime. Non appuriamo la cosa e, dopo 900 km di autostrada ucraina, pensiamo bene di fare rotta verso Ivano – Frankivsk e poi, l’indomani, verso Uzgorod, dove abbiamo l’ultimo concerto. A Ivano – Frankisvsk, ci fermiamo per una visita alla città. Nella chiesa della Madre del Nostro Signore (nome attribuitole solo negli anni ‘60, in onore al poeta nazionale Ivan Franko) ci si rende conto di come Dio qui sia forte e fisico, corporeo. Il senso religioso che trasuda dalla gente è fatto di ardenti baci alle icone, di un continuo e danzante segnarsi, in senso contrario al segno cristiano-romano, di ex-voto depositati ai piedi delle immagini votive. L’inginocchiamento repentino e senza esitazione di vecchi e giovani ha qualcosa di imbarazzante e allo stesso tempo ammirevole, come è imbarazzate ed ammirevole ogni segno che unisce in sé abbandono, fiducia, speranza, rassegnazione.

A Uzgorod, tranquilla cittadina adagiata sul fiume Uz ( che significa biscia ) e appoggiata al confine slovacco (2 Km, che si possono fare a piedi) alloggiamo nel sovietico Hotel Zakarpathia, al decimo piano, in classe economica, cioè senza televisione. L’acqua calda c’è, come sempre, al mattino e alla sera. Di fronte alla mia stanza una nuova cattedrale ortodossa. Guardandola, mi pare di stare a Baghdad. Mangiamo benissimo in un ristorante che si chiama Old Continent, a nostre spese. Un opuscolo turistico rivela come qui vivano, side by side, ucraini, rom, slovacchi, cechi, ebrei, ungheresi, qualche tedesco. L’indomani, alle sette e mezza di mattina, siamo pronti per apparire sulla National Transcarpatian Radio and Television, per l’ennesima intervista. La conduttrice, molto carina e gentile con il suo tailleur su misura, è intonata perfettamente con il divano giallo e verde; io, faccia stravolta, col solito vestito color tabacco, mentre Oles indossa il gessato del sarto più famoso di Kiev, tale Voronin, che lo fa apparire il più ucraino degli ucraini. L’ abito, direi, fa il monaco.
Il concerto è stasera alle 18.00. Siamo sicuri che andrà tutto bene…

Dumitrescu

Iancu Dumitrescu è un compositore rumeno, nato nel 1944, spettralista, anche se in un modo che si distingue nettamente dalla scuola francese. La sua ricerca, infatti, si concentra sul timbro e sul suono, lasciando in secondo piano le altezze.

Recentemente AGP ha ripubblicato, in forma digitale, un vinile con due brani, Medium II per contrabbasso e Cogito, Trompe l’oeil per due contrabbassi, pianoforte preparato e percussioni, che possono essere considerati come complementari.

Le note dicono:

In Medium II, the sounds produced by the double bass explore the edge between tones and noise, and yet an everpresent tonal center is provided by the notes produced by the open strings, giving the excursions into higher tones something of the feel of a raga. The rhythms of the piece remind me at times of the breathing of some great beast or of the surge of the ocean through a tidal cave. The addition of more instruments in Cogito introduces further tonal centers and still more timbral complexity, with considerably more sound energy in higher registers.
Dumitrescu describes Medium II as the hidden, mysterious reverse of Cogito, and suggests that the two works could even be played simultaneously.

Iancu Dumitrescu

Lezrod, again

Un altro lavoro di Lezrod (aka David Velez) pubblicato, come al solito da test tube. Questa volta si tratta di 10 pezzi che accompagnano altrettanti video da proiettare in un sushi bar a Las Vegas. Il tutto con il significativo titolo di  fear and loathing in rio/tokyo (paura e disgusto in rio/tokyo).

Data la destinazione, tutti i brani durano 3 minuti e alcuni hanno un carattere tonale che di solito è assente dalle composizioni di Lezrod, ciò nonostante l’atmosfera rimane quella tipica di questo musicista.

Le note di Lezrod:

By the end of Spring I was hired to compose 10 pieces for a series of 10 videos to be displayed in a Brazilian Sushi Restaurant in Las Vegas. Even though the nature of this pieces is abstract, the fact that they have to work with the videos (produced by Daniel Roversi) and that they were going to be performed in a restaurant somehow brought back ‘musical’ elements which were part of my early work. After I finished them I felt it might be interesting to publish this material that if it wasn’t for this project I wouldn’t have ever done it.

The videos were based on cultural elements from both Brazil and Japan but I wanted to make something more universal and I feel my love for soundtracks and film music in general, were particularly influential here. The soundtrack projects of people such as Ry Cooder, Quincy Jones, Lalo Schifrin, Herbie Hancock, Vangelis, Edward Artemyev, Vincent Gallo and John Frusciante sure served here as inspiration.

The title of this release pays tribute to film director Terry Gilliam and novelist/journalist Hunter S. Thompson and their movie/book ‘Fear and loathing in Las Vegas’ where a unique atmosphere of delirium and disregard is built through the entire story, creating confusion between the sometimes-vague line between reality and imagination. This confusing atmosphere were present on the videos, as Daniel Roversi allowed contradictory elements to play together, as the relationship between the video themes and the relation between Japan and Brazil culture required certain level of abstraction to work altogether.

Also by the time I composed some of the pieces for this release I had a at home some of Luis Buñuel movies which I am sure inspired this work as well. This release pays tribute to him and in particular to his movie ‘Le Charme discret de la bourgeoisie’ where this delirium and disregard atmosphere can be found as well. This is a soundtrack for a move composed by 10 chapters, 10 stories that the listener could write, direct, shoot and perform, on his own mind.

Come al solito i brani sono licenziati in Creative Commons e possono essere scaricati qui.

Alcuni estratti. Provateli per cena.

36 Chambers
Ciudad sin Dios

Viaggio in Ucraina… [2]

Seconda parte

La nebbia di Luzk

Aleksandr Ivanovic è un ebreo di Odessa. Abita a Ternopil, da quando vi è stato spedito per assolvere gli obblighi militari. Abita in una casa nel centro storico, a due passi dal monumentale teatro di prosa, e versa 0,25 cl di vodka con un ritmo molto saggio e deciso, offrendoci burro e salsiccia. E’ un maestro di violino e si rivolge agli amici con l’inconfondibile appellativo di tovarish. Ha settant’anni e berrà vodka probabilmente per altri 15 ancora. Si dice qui che lui è un ebreo buono. Non così, evidentemente, molti ebrei di Odessa. Ci saluta calorosamente e ci augura buona fortuna.

LuzkPrendendo la direzione a nord di Ivano-Frankivsk si raggiunge, passando per Leopoli, la città di Luzk (Lutsk). Il confine polacco è a poco più di un‘ora di macchina. E’ la regione (oblast) di Volyn’, dove il clima umido e la pioggia degli ultimi giorni fanno salire una densissima nebbia che confonde, per 150 km, il confine fra cielo e terra. Alle 2.30 di mattina, dopo circa 4 ore, una Mercedes appare sul ciglio della strada. E’ segno che siamo arrivati.

[nota mia: c’è questa webcam a Lutsk puntata proprio sulla piazza del teatro]

La Philarmonia di Luzk è stata appena restaurata. Prima del concerto il direttore ci accoglie nel suo lucido abito grigio. “Italisky”, mi dice, stringendomi la mano. Ci fa vedere la stanza per cambiarci. Non è riscaldata, e in tutto il teatro fa un freddo pungente ma sopportabile. Il pubblico arriva poco a poco. Molti giovani, molti anziani. Nessuno qui ha mai sentito musiche di Messiaen. E’ la prima ucraina della sua Fantasia per violino e pianoforte. Siamo liberi di sentirci relativamente importanti.

Cani randagi

Aleksandr Dudek è il factotum del teatro di Xmelnizk (Chmelnyzkyj). E’ il fondatore di un ensemble (voce, violino, flauto, fisarmonica o bajan) e che ha voluto chiamare Alfresko. Repertorio: barocco italiano e tedesco. La cartolina, che ha un fondo di colore rosso – krasni che in russo significa rosso ha la stessa radice di bello, krassiva – recita:

“Alfresko – (Italian al fresco in fresh, to paint over the fresh stucco), for our ensemble it’s the fresh, live sound, live voice “.

Verso la strada per Xmelnizk (Chmelnyzkyj, 250 km a sud ovest di Luzk), infiniti villaggi solitari, come del resto in tutta l’Ucraina, e una quantità che non si calcola più di chiese in costruzione. Forse l’Ucraina è il paese dove oggi si costruiscono più chiese al mondo. E’ un Dio in remont, quello degli ucraini.
Dopo il concerto veniamo invitati dal direttore del teatro a partecipare al ricevimento per il 70° anniversario del teatro. Nella linea temporale scandita dall’anno zero staliniano, tutti i teatri si ritrovano ad avere la stessa età. Tutti festeggiano il settantesimo compleanno. Ci sono i membri dell’orchestra, i custodi, i segretari. E, come al solito, ci sono vodka e cognac moldavo, formaggio e aringhe marinate; anche il locale champagne (champagnsky). E tutti sono felici.

L’Ucraina è piena di cani randagi. Piccoli branchi di bastardi trotterellano per le strade, nelle città. Sdraiati e inconsapevoli, si godono l’ultimo sole, prima che la temperatura scenda a venti gradi sotto zero.
Raggiungiamo la città di Vinnizia abbastanza comodamente. Giunti di fronte al teatro, una grossa costruzione in stile sovietico, vedo due cani che stanno copulando. Sono a due passi da un monumento ripulito da falci e martelli in cui sono mostrate le foto dei cittadini che si sono meritati il plauso dell’amministrazione locale: c’è un militare, una pianista, impiegati, imprenditori. Lo stile è ancora sovietico, però. In teatro ci accolgono una miriade di bambini e molti fiori, che è usanza portare agli artisti durante gli applausi, che non sappiamo più dove mettere. Anche questo è sovietico.
Finito il concerto rimango in compagnia di Lesia, una delle segretarie del teatro, che ha presentato il concerto e che parla molto bene inglese. Beviamo tè nero e ci raccontiamo la nostra vita. Vorrei una birra, ma dopo le nove di sera, secondo una nuova legge del governo ucraino, non si possono più vendere alcolici (poi scopro che nessun rivenditore segue la legge). Lesia mi mostra la città già addormentata; ha 23 anni, due figli maschi, separata e bellissima. Guardo il cielo e non riconosco nessuna costellazione. Lei mi dice che sono romantico. Cerco di negare. Davanti alle luci giallastre dell’albergo ci scambiamo le mail e ci salutiamo come vecchi amici, che forse un giorno si rincontreranno.

Verso Kiev

Zhytomir dista poco più di cento chilometri da Vinnizia. La grande piazza centrale è un modello sovietico, con la statua del poeta nazionale Taras Shevcenko, il cinema, il palazzo del comune (già Casa del Partito Comunista). Si dice sia una città di ebrei; si dice anche che la maggior parte dei villaggi e delle città di questa parte d’ Ucraina sia stata fondata e sviluppata da comunità ebraiche, provenienti dalla Polonia, chiamate quaggiù per incrementare le attività commerciali.
babushkaA Zhytomir è nato uno dei più grandi pianisti del XX° Secolo: Sviatoslav Richter. In teatro Aleksander Ivanovich mi rivela con visibile orgoglio che il pianoforte che suonerò era stato suonato anche da Richter stesso: marca Estonia, modello Royal, con falce e martello impressi sul telaio di ghisa. A parte questi dettagli, invitanti solo per i nostalgici di simbologie sovietiche, il pianoforte è completamente da buttare. Dopo il concerto, un bimbo mi regala un portafortuna: un portachiavi e una specie di biglietto d’auguri, che cambia colore quando se ne cambia l’inclinazione. Poi Aleksander Ivanovich, che ha rinunciato qualche anno fa alla carica di direttore della Philarmonia, apre i brindisi con il cognac: dice che si vergogna del pianoforte, che la casa di Richter è a pochi metri dal teatro, che non ci sono soldi, che la regione di Zhytomir è stata una di quelle zone colpite dalla nube di Chernobyl (che, amaro destino o ironia della storia, significa letteralmente essere nero); dice anche che mi piaceranno le donne ucraine e che io piacerò a loro. Qualche lacrima gli solca il bel viso da cosacco. Ricorda qualche personaggio dei film di Ejzenstein pur assomigliando incredibilmente a Sean Connery. Alziamo i bicchieri infinite volte e dopo infiniti saluti, partiamo per Kiev.

Intermezzo 1. Coincidenze

Carl Gustav Jung, in uno dei suoi ultimi scritti, cerca di spiegare come alcune cose a volte accadono secondo un principio stocastico non ortodosso, che lui chiama sincronicità. Ovvero coincidenze, fatti che si presentano alla nostra esperienza, e ci forzano a considerare principi non razionali. Lui, questi principi, li definisce nessi a-causali. Oppure, più semplicemente, si potrebbe anche pensare che ognuno vive la propria esperienza secondo una proprio ignoto ma svelabile archetipo, il quale fa del mondo una continua fabbricazione di coincidenze, su misura, a propria immagine: un mondo come postulava William James, e poi forse anche i cibernetici, in cui la nostra esperienza del reale produce di continuo il reale;

Il libro che Giovanna mi ha prestato per il viaggio, parla di Ebrei ucraini ed è ambientato a Luzk.

Il nome dell’autore (Safran) è anche il nome di un bar di Vinnizia (più vecchio del libro).

L’ultimo concerto che facciamo è in una sinagoga, adibita, dopo le epurazioni staliniste, a sala da concerti.

Il protagonista del libro è vegetariano, come Xenia, la fidanzata di Oles che ci segue nel viaggio. E mangia solo patate, come la fidanzata di Oles.

L’ altro libro che ho preso con me è di Henry James, fratello di William James.

L’ex direttore della Philarmonia di Zhytomir assomiglia a Sean Connery. Anche l’amico di Kiev, Anatoly, incontrato l’anno scorso, assomiglia a Sean Connery.

L’ attuale direttore della Philarmonia di Zhytomir è stato a Poggiorusco (Mn). Non sono mai stato a Poggiorusco. Ma è come se ci fossi stato.

Lesia, e la sua amica, le uniche due ragazze con le quali faccio amicizia, sono dello Scorpione.

Exotica

UBUWeb ha messo in linea una serie di film di Mauricio Kagel. Li trovate qui

Nel frattempo, ho trovato su YouTube questa esecuzione di Exotica (1971-1972), una composizione in cui sei esecutori di tradizione e cultura europea sono costretti a confrontarsi con musica e cultura extra-europea. In Exotica gli esecutori non sanno suonare gli strumenti che si trovano a maneggiare (almeno 10) perché provengono tutti da culture non europee. Proprio per questo la partitura prescrive essenzialmente durate e dinamiche, mentre la linea melodica è generalmente una monodia oppure si limita a intervalli vicini.

La partitura impone anche di cantare, a volte emettendo suoni più o meno snaturati. La voce è una parte molto importante del brano, tanto che, nei punti in cui un interprete sia impossibilitato ad eseguire insieme le parti strumentali e vocali, quest’ultima è prioritaria.

Esistono inoltre 12 nastri su cui è incisa autentica musica extra-europea, che gli esecutori devono imitare con un grado di accuratezza variabile, prescritto in partitura per i vari parametri.

Performer — Christoph Caskel, Michel Portal, Siegfried Palm, Theodor Ross, Vinko Globokar, Wilhelm Bruck.

Questa immagine vi dà un’idea di come erano conciati gli esecutori alla prima esecuzione

Kagel – Exotica (1972, Vinyl) - Discogs

Viaggio in Ucraina… [1]

,,, non per parafrasare Goethe, ma perché questo è quello che è. Un viaggio in auto di due musicisti, l’uno italiano, l’altro ucraino per tenere una serie di concerti sia in duo (violino e pianoforte) che come solisti, in un paese, l’Ucraina, politicamente e geograficamente ai confini della UE, ma anche il più esteso in Europa dopo la Russia. Una distesa infinita solcata da grandi e lenti fiumi, in cui solo i Carpazi danno una pallida idea di montagna (2000 m). Un paese vecchio e nuovo nello stesso tempo, molto più vecchio e molto più nuovo di noi.
Vi mandiamo queste note di viaggio così come ci sono arrivate, rubate ai tempi del sonno, delle prove e della guida, inviate sporadicamente da un internet café, dall’albergo, dalla rete di qualcun altro.
[Mauro]

Ogni cosa è (comunque) illuminata.

La strada sembra infinita, verso l’Ucraina. In verità è una lunghezza astratta, risultato della somma di due confini. O solo del confine tangibile che ancora impregna l’immagine collettiva di un aldilà, il territorio liminare post-post sovietico. Poco più di mille chilometri, passando attraverso l’Austria (alla dogana un orologio fermo, ma le lancette sono innocentemente occultate dietro il nastro adesivo) e l’Ungheria, dove ci accodiamo, per far prima, ad un furgone di instancabili ucraini che fa la spola due volte alla settimana tra l’Italia e l’Ucraina. Tagliamo così per il centro di Budapest, che ci sfavilla davanti agli occhi, mentre una Ferrari ci romba alle spalle.
Il passaggio alla dogana ucraina, ci riserva, però, il colpo di scena, che ci riporta al di qua, dietro quel confine, che poi, in fin dei conti, non è così astratto. Il kontroll si sofferma sui violini che ci portiamo in viaggio. Essi, loro malgrado, non hanno certificato di proprietà e sono, secondo il rigido ed inflessibile ragionamento della guardia – ovvero materialisticamente parlando – merce di contrabbando. Non ci resta che tornare a Kisvarda, ultima città ungherese, mangiare qualcosa e pensare al domani.

E sull’Ucraina scese la notte.

Passata la lingua dolcemente montagnosa dei Carpazi, la strada che porta da Uzgorod a Ternopil è fra le più tremende che si possano percorrere. Qui, in teoria, passa il corridoio 8 [dovrebbe essere il corridoio 5; nota mia], che congiunge Kiev al resto d’Europa. Sulla carta la strada è segnata come misnarodni, cioè internazionale. Ovvero autostrada. Ma la velocità media che si riesce a percorrere è di circa 50 km orari. Sembra che la terra, in questo tratto lungo quasi 200 Km, abbia riversato le sue rughe, flagellando la strada con una varietà infinitesimale di buche, cunette, sterrati. A volte mancano le righe di segnalazione e, al buio, sembra di percorrere un corridoio senza uscita. Già il buio. Appena scende l’oscurità nulla più si riconosce, neanche gli orribili qvartiri, o le tradizionali isbe, case basse disseminate sulla strada. Nemmeno le chiese lignee, che di giorno, nuovamente, fanno luccicare le cupole argentee o dorate. Di fatto ogni paese che si incontra è immerso totalmente nel buio. Nessuna luce sulla strada, nessun palazzo illuminato. Solo qualche umile finestra, che lascia trapelare insieme alla vita un colore rosso rapa, come il borsch. E allora appaiono, come anime sperdute, le faccie stravolte di giovanotti color della terra che guidano carri trainati da cavalli e che sbuffano sigarette, ucraini che aspettano, avvolti da una sinistra ma abituale oscurità, il passaggio di un sudicio autubus. L’ Ucraina è buia, al calar della notte. E nera come la pece.

Welcome to Hotel Ruta

Medova ulica significa via del miele. In questa via sfracellata di Ternopil si trova l’Hotel Ruta, di stile eminentemente sovietico. Oggi rimangono le pareti, come ingiallite dai neon, e quell’odore di polvere e di vecchio, inconfondibile, di un paese al quale non resta che lasciar consumare gli oggetti che appartengono al proprio passato. L’acqua calda è disponibile dalle 19 alle 23 di sera: il direttore dell’albergo dice che è cosi per tutta la città di Ternopil. Il teatro filarmonico è in pieno remont, come dicono qui. Si dice che siano arrivati un pò soldi dal ministero e che per questo alcune filarmonie dell’Ucraina abbiano deciso di interrompere la programmazione. Ci sono i soldi per rifare i teatri, ma non per le orchestre. Meglio di niente.
Per il resto Ternopil è una città che ha qualcosa di balcanico, con un piccolo lago sul quale si affaccia un facsimile di tempio greco, dove è insediato il Maxim, il locale notturno più trendy della città, mentre le vecchie case rivelano un centro storico centro vitale come i brulichii transiberiani dei racconti di Checov. La cena riserva un autentico spaccato di vita ucraina: tavoli imbanditi in un sotterraneo illuminato con luci stroboscopiche e vecchie canzoni ri-mixate in stile nazionale (tra le quali anche la colonna sonora di un film con Bo Derek – Paradise ? ). Donne coi capelli lunghi e uomini rigorosamente con taglio corto. Stile nuovi russi. E vodka, vodka a fiumi.

Continua…

Europeana

logoL’Unione Europea sta creando un immenso backup digitale della civilizzazione europea sotto forma di una enciclopiedia online chiamata Europeana. Il progetto mira a digitalizzare tulle le librerie nazionali del continente, i musei e gli archivi e conterrà libri, foto, mappe, quadri, audio e film, tutti accessibili senza alcuna sottoscrizione.

Il progetto, che è partito nel luglio 2007, sarà aperto al pubblico, sotto forma di prototipo, il 20 novembre con i contenuti già acquisiti, cioè 2.000.000 di oggetti digitali provenienti dai materiali già digitalizzati da musei, biblioteche, archivi e collezioni audio-visuali delle varie nazioni. L’intenzione è di arrivare a 6.000.000 di oggetti entro il 2010.

Per ora il sito è in tre lingue (inglese, francese, tedesco), ma ne saranno aggiunte altre. Una cosa che mi ha lasciato un po’ perplesso è il fatto che nelle pagine del sito non mai trovato la parola “musica”, ma solo “audio-visual collections”. Ho mandato una mail per saperne di più. Vedremo.

Svalbard Global Seed Vault

logo

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Quello che vedete (26.02.2008. Photo: Mari Tefre/Svalbard Global Seed Vault: cliccate per la versione immensa) è l’ingresso dello Svalbard Global Seed Vault (Deposito sotterraneo globale di semi), localizzato vicino alla città di Longyearbyen, sull’isola norvegese di Spitsbergen, nel remoto arcipelago artico delle isole Svalbard a circa 1200 km dal Polo Nord.

Si tratta di un sito, scavato per 120 metri in una montagna di arenaria, in cui sono raccolti e congelati i semi delle principali piante alimentari del pianeta. L’isola Spitsbergen è stata considerata ideale in quanto esente da attività tettonica, radiazioni e ideale anche grazie al suo permafrost. Ogni campione di semi è formato mediamente da 500 unità, confezionate in speciali pacchetti a quattro strati sigillati a caldo per escludere l’umidità. I campioni devono essere conservati alla temperatura di -18°. La temperatura del permafrost non sale mai sopra i -3.5°, il che aiuta a minimizzare il consumo di energia che è assicurata dal carbone estratto in loco. La localizzazione, 130 metri sopra il livello del mare, assicura che il sito rimanga all’asciutto anche nel caso di scioglimento dei ghiacci.

Circa 7000 piante sono state utilizzate storicamente nella dieta umana, ma meno di 150 sono utilizzate nell’agricoltura moderna. Ogni pianta, però, è presente in un gran numero di varietà genetiche. Per esempio, esistono almeno 100.000 diverse varietà di riso.

La varietà ed il volume di semi accatastati potrà dipendere in base al numero di paesi partecipanti. L’impianto ha una capacità di 4.500.000 campioni di semi complessivi (2.25 miliardi di semi singoli). Alla data dell’inaugurazione, ne erano stati già depositati più di 10000 provenienti dal Nordic Gene Bank.

L’iniziativa, costata 8 milioni di dollari, è stata finanziata totalmente dal governo norvegese. Inaugurato il 26 febbraio 2008, il deposito è stato costruito in meno di 2 anni ed è gestito attraverso un accordo ripartito tra il governo norvegese, il Global Crop Diversity Trust ed il Nordic Genetic Resource Center (già chiamato Nordic Gene Bank, nato dallo sforzo cooperativo di nazioni nordiche, sotto l’egida del Nordic council of minister).

seed vault schema

La storia insegna?

“Non mi risulta ci sia nulla di negativo nei fondamentali del mercato azionario, delle imprese e della struttura creditizia a esso relativa”.

Così aveva parlato, alla vigilia della grande caduta dei mercati finanziari, il presidente della National City Bank. Era il 22 ottobre. Il giovedì successivo sul New York Stock Exchange furono scambiate 12,9 milioni di azioni. L’ondata di panico tra gli investitori non si fermò e il Dow Jones inaugurò la settimana successiva con un calo del 12,82%. Il giorno dopo, 24 ottobre, l’indice perse un altro 11,73%. Era il giorno nero di Wall Street, con la devastante esplosione di una bolla speculativa.

Il crack che diede il via a tutto giunse al termine di un boom speculativo senza precedenti che aveva visto i prezzi delle azioni crescere apparentemente senza freni per i dieci anni precedenti. Incoraggiati dal trend rialzista e attratti dal miraggio di facili guadagni, migliaia di comuni cittadini si erano buttati sulla Borsa, avevano investito arrivano addirittura a indebitarsi pur di poter acquistare nuove azioni. Nell’agosto dell’ultimo anno il valore complessivo di prestiti e mutui era arrivato a una cifra che superava l’ammontare della moneta in circolazione negli Stati Uniti.

E per chi non aveva molta liquidità a disposizione, c’erano sempre i “derivati”, che consentivano un investimento limitato al momento dell’acquisto con prospettive di redditività allettanti. I tassi di interesse arrivavano al 12%, e, con il Dow Jones che negli ultimi 5 anni aveva quintuplicato il suo valore, nessuno riusciva a immaginare di poterci perdere. “Persino il lustrascarpe o il ragazzo dell’ascensore elargivano consigli sulle quotazioni delle azioni Ford e General Motors” ricorda un premio Nobel per l’economia. “Si trattava di capitalismo allo stato puro, che praticamente agiva senza regole governative”.

Leggendo le righe qui sopra riuscite a capire di cosa si parla?

No, non della crisi attuale. È un articolo sulla crisi del ’29, leggermente rivisto dal sottoscritto per eliminare i riferimenti diretti. L’originale è pubblicato sul sito del TgFin, il TG di Mediaset.

Prendendolo per buono, sembra proprio che non abbiamo imparato niente.

Lo Spazio tra le Pietre

sonogramma

Ho composto Lo Spazio tra le Pietre per la manifestazione “Musica e Architettura”, organizzata dal Conservatorio Bonporti di Trento e Riva del Garda il 18/10/2008.

Dal mio punto di vista, i rapporti fra musica e architettura non si esauriscono nella pur importante questione della progettazione di luoghi per la musica, ma hanno aspetti più profondi che investono certamente la composizione e arrivano fino alla fruizione.
Se, da un lato, un edificio esiste staticamente nello spazio, non può essere apprezzato nella sua totalità senza un intervallo temporale. La sua forma globale non è mai evidente nella sua interezza, nemmeno dall’alto. Si forma nella memoria di chi ci si è avvicinato da molti lati e ha visto la sua forma perdersi, mentre i particolari costruttivi e poi i materiali diventano via via più evidenti. Analogamente, un brano musicale esiste staticamente in una qualche forma di notazione e si svela nel tempo. L’ascolto temporale ne evidenzia, via via, la struttura interna, gli elementi costitutivi e i dettagli.
Così, è possibile pensare un brano musicale come un oggetto statico e un edificio come una struttura dinamica. Ma è da un punto di vista compositivo che le analogie si fanno più strette.

Sotto l’aspetto compositivo, quando lavoro con suoni completamente sintetici che non derivano da alcun suono reale, come nel caso di questo brano, generalmente seguo un approccio top-down. Dapprima immagino una forma, spesso in termini spaziali e poi costruisco i materiali e i metodi con cui realizzarla.
Così, come nell’architettura, per me comporre un brano significa costruire i materiali di base partendo dalle componenti minime e modulare il vuoto temporale e spaziale che li separa, cercando di assemblarli in un ambiente coerente.
I parametri che manipolo, come nella musica strumentale, sono temporali e spaziali, ma, a differenza della musica strumentale, si estendono a livello microscopico. Così, la manipolazione del tempo non si ferma alle durate delle note, ma arriva ai tempi di attacco e decadimento delle singole componenti di ogni suono (le parziali armoniche o inarmoniche). In modo analogo, a livello spaziale il mio intervento non si limita all’intervallo, che determina il carattere delle relazioni armoniche, ma si spinge fino alla distanza fra le parziali che formano un singolo suono, determinandone, in una certa misura, il timbro.
Il punto, però, è che, nella mia visione della composizione, molto più importanti dei materiali sono i metodi. Anzi, anche gli stessi materiali, alla fine, derivano dai metodi. Il mio problema, infatti, non è mai quello di scrivere una sequenza di suoni e svilupparla, bensì quello di generare una superficie, una “texture”, avente una precisa valenza percettiva.
In realtà, questa è texture music. Anche quando credete di ascoltare un singolo suono, in realtà ne ascoltate minimo 4/5. E non parlo di parziali, bensì di suoni complessi, ognuno dei quali ha da un minimo di 4 parziali, fino a un massimo di circa 30. Per esempio, il SOL# iniziale, che nasce dal nulla e poi viene circondato da altre note (FA, SIb, FA#, LA) è composto da 8 suoni con pochissima differenza di altezza che si rinnovano ogni 0.875 secondi. Così si crea la percezione di un suono singolo, ma dotato di un certo tipo di movimento interno.
Texture music, micro-polifonia che si muove molto al di sotto della soglia del temperamento base 12. In effetti, qui lavoro con una ottava divisa in 1000 parti uguali e in certi punti del brano coesistono migliaia di suoni complessi contemporaneamente per generare un singolo “crash”.
Ne consegue che non è possibile scrivere a mano una “partitura” del genere. Ho ideato e programmato personalmente un software compositivo chiamato AlGen (AlgorithmGeneration) mediante il quale io piloto le masse e il computer genera il dettaglio (i singoli suoni).
AlGen esisteva già nel 1984 ed era stato utilizzato per comporre Wires, a cui questo brano deve molto, ma, mentre a quei tempi era solo un blocco di routine che il sottoscritto aveva collegato al programma di sintesi Music360 di Barry Vercoe (l’antenato diretto dell’odierno CSound), per questa occasione è stato completamente riscritto ed è un software a se stante. Nella versione odierna incorpora varie distribuzioni probabilistiche, metodi seriali, algoritmi lineari e non-lineari per controllare meglio le superfici generate e soprattutto la loro evoluzione (per una volta, i frattali non c’entrano, per ora).
Ciò nonostante, AlGen non incorpora nessuna forma di “intelligenza”. Non prende decisione in base all’armonia, al contesto, eccetera. È un cieco esecutore di ordini. Pesca in un insieme probabilistico o calcola funzioni e genera note, ma fortunatamente non pensa e non decide. Quelli che tratta sono puri numeri e non sa nemmeno se sta calcolando durate, densità o frequenze.
Di conseguenza la completa responsabilità del risultato finale è attribuibile solo al sottoscritto. Quando ascolto una massa sonora  e riguardo i numeri che ho passato al programma, capisco perfettamente perché suona così ed è solo per quello che posso fare le necessarie correzioni.

Lo Spazio tra le Pietre è stato composto nel mio studio in settembre – ottobre 2008 e sintetizzato in 4 canali mediante CSound. Algoritmo di sintesi: FM semplice.
Partitura CSound generata grazie al software di composizione assistita AlGen realizzato dall’autore.

L’intero brano è pensato come una struttura spaziale. Il suo skyline è evidente del sonogramma a inizio pagina e la sua struttura. come alternanza di forme, pieni e vuoti, è ben visibile nell’ingrandimento di un frammento di circa 1 minuto (qui sotto, come al solito potete cliccare sulle immagini per ingrandirle).

Mauro Graziani – Lo Spazio tra le Pietre (2008), computer music

Dimenticavo: con le normali cassettine da computer ne sentite all’incirca la metà.

sonogramma frammento

Nocturne

Nocturne by Gordon Green
an improvisation embellished in real time with MIDI processing software, uses the resonance of the piano to create a still, nocturnal atmosphere wherein different harmonies can be mulled over in a leisurely way. The software embellished the improvisation by cycling through repeating sets of intervals, and fragments were recalled and varied as the improvisation unfolded. The original idea for this came from the bird-call transcriptions in Olivier Messiaen’s piano music, which often use more sophisticated variations of similar techniques.

Gordon Green’s (b. 1960) varied influences include the work of Charles Ives, Morton Feldman, and Olivier Messiaen, as well as Indian music, cartoon music, and John Philip Sousa marches. His music combines the expressivity of improvised gestures with the sonic capabilities of electronics, and is informed by his work as a painter and software developer.

A native of Boston, Massachusetts, Green studied music at Vassar College in Poughkeepsie, New York and computer art at the School of Visual Arts in New York City, with additional studies at the Berklee College of Music, Juilliard School, Mannes College of Music, and New York University. His principal teachers were Rudolph Palmer and Richard Wilson. Green has been commissioned by pianist Frederick Moyer, the Ethos Percussion Group, and Schween-Hammond Duo, and supported by the Jerome Foundation, Millay Colony, and W.K. Rose Fellowship in the Creative Arts. His music can be found on the Capstone, Centaur, and JRI labels; his recent release, Serpentine Sky, is a surround-sound recording of music for multiple computer-controlled pianos.

Gordon Green – Nocturne (2001), for piano and computer-controlled Disklavier grand piano – Gordon Green performer

Industrial Landscapes

Le immagini di archeologia industriale sono fra le mie preferite. In realtà questa non è propriamente archeologia perché queste installazioni sono tuttora attive, ma hanno comunque un certo fascino.

L’autore è Dave Bullock e le trovate sul suo sito.

Dipity

dipity Dipity è un sito che permette di creare delle cronologie interattive (interactive timelines). Cronologie di cosa? Di tutto quello che volete, dalle scoperte scientifiche, alla musica, dai post di un blog, fino alla vostra vita privata. Potete metterci di tutto, dato che le create voi.

Per esempio, la cronologia in figura (click per ingrandire) elenca i film di fantascienza, ordinati secondo la data di uscita. Ogni entry è cliccabile e apre una scheda che può contenere descrizione, con tanto di link e immagini, nonché eventuali commenti.

Ogni cronologia può essere vista anche come insieme di schede o come semplice lista ed è anche possibile collegarvi una google-map con la locazione degli eventi. Il fattore di scala è regolabile da 500 anni fino a 1 ora! Le possibilità sono innumerevoli. Dal punto di vista didattico, per es., è utilissimo.

Naturalmente non tutto oro è quello che riluce. I lati negativi sono che, dato che la gestione è tutta in javascript, il sito è un po’ lento. Inoltre le ricerche sono un po’ stupide: si cerca per chiave, ma non ho trovato un modo di cambiare l’ordinamento dei risultati. Vedere per prime le cronologie con molte entry sarebbe utile.

In ogni caso, per gli pseudo-enciclopedisti (o i maniaci) come il sottoscritto, è proprio bello. Penso che lo userò quanto prima.

25 anni di cellulari

25 anni fa (now 41), il Motorola DynaTAC 8000X fu il primo telefono portatile (click to enlarge).

Il 13 ottobre 1983 Bob Barnett, presidente di Ameritech Mobile Communications fece la prima chiamata commerciale della storia, comodamente seduto in una Chrysler convertibile a Chicago, telefonando al pronipote di Alexander Graham Bell che in quel momento si trovava in Germania.

Ylem

Ylem è un termine usato da Gamow, Alpher e dai loro associati nei tardi anni ’40 per dare un nome a una ipotetica sostanza primordiale o a uno stato condensato della materia che ha dato origine alle particelle subatomiche e agli elementi come li conosciamo oggi. Era il nome che Gamow e soci davano alla “cosa” che presumibilmente esisteva immediatamente dopo il Big Bang insieme a una grande quantità di fotoni ad alta energia, il cui residuo termico oggi si osserva sotto forma di Radiazione Cosmica di Fondo.

Il termine deriva da un vocabolo dell’inglese medioevale che designa qualcosa come “primordial substance from which all matter is formed [wikipedia]” e a sua volta discende dal greco hylem, “materia”.

Ylem, per 19 esecutori, composto da Stockhausen nel 1972, è una allegoria dell’esplosione primordiale e della teoria oscillatoria dell’universo. Prende la forma di una partitura in gran parte indeterminata, formata da solo testo, senza alcuna notazione, secondo la quale gli esecutori iniziano concentrati intorno al pianoforte, per poi “esplodere” suonando la nota centrale del proprio strumento con densità via via minore, mentre i 10 esecutori di strumenti portatili si allontanano dal punto centrale fino a disporsi intorno al pubblico.

Inizia poi il processo inverso: la musica gradualmente si addensa egli esecutori tornano a concentrarsi per dare vita ad una nuova esplosione. L’insieme delle istruzioni, comunque, è più complesso di questa mia breve semplificazione. Prescrive varie azioni, fra cui il passaggio di un segnale costituito dalla sillaba sacra HU (il nome del senza-nome), l’utilizzo di un ricevitore a onde corte e alcune istruzioni specifiche per i 4 esecutori di strumenti elettronici (sintetizzatori).

Colpisce anche il fatto che si tratta di un brano ad altezze quasi totalmente invarianti. La maggior parte degli strumentisti, infatti, si concentra su una singola nota o un accordo, eseguendo al massimo brevi fluttuazioni in un suo intorno.

Karlheinz Stockhausen – Ylem (1972), per 19 esecutori

Zyklus

Zyklus für einen Schlagzeuger (“Cycle for a percussionist”) is a composition by Karlheinz Stockhausen. It was composed in 1959 at the request of Wolfgang Steinecke as a test piece for a percussion competition at the Darmstadt Summer Courses, where it was premièred on 25 August 1959 by Christoph Caskel. It quickly became the most frequently played solo percussion work, and “inspired a wave of writing for percussion” (Kurtz 1992, 96).

The title of Zyklus is reflected in its form, which is circular and without a set starting point. The score is spiral-bound, and there is no “right-side up”-it may be read with either edge at the top. The performer is free to start at any point, and plays through the work either left to right, or right to left, stopping when the first stroke is reached again. (In this way, it is an example of what Stockhausen calls “polyvalent” form.) The instruments are arranged in a circle around the performer, in the order they are used in the score. The notation is only conventional in some details, and an early review of this first graphic score by Stockhausen remarked that “The initial impression is that one is looking not at a score, but at a drawing by Paul Klee” (Lewinski 1959). Zyklus contains a range of notational specificity, from exactly fixed at one extreme, to open, “variable” passages at the other. Stockhausen composed these elements using a nine-degree scale of statistical distribution, but states that the listener is not “supposed to identify these nine degrees when you hear the music, nevertheless the music that results from such a method has very particular characteristics. . . .” (Stockhausen 1989, 51).

In principle, the percussionist decides on the starting point and direction through the score only at the moment of commencing a performance, but in practice this is almost universally worked out well in advance. Only the percussionist/composer Max Neuhaus claims to have consistently given “spontaneous” versions (Neuhaus 2004).
[text from wikipedia]

Il manoscritto della 9a

nonaSul sito della Biblioteca di Stato di Berlino è in linea il manoscritto originale della 9a Sinfonia di Beethoven. Il sito è solo in tedesco; cliccate “Digitale Abbildungen” nel menu a sin. per aprire l’indice che permette di andare all’inizio di ciascun movimento.

Ecco una delle pagine con la famosa melodia, con tanto di testo autografo (click per ingrandire). Emozionante.

Potete portarvi a casa l”intero manoscritto in un singolo pdf di quasi 30 Mb (425 immagini) scaricandolo dall’IMSLP.

Intervista Lachenmann

Ermes mi segnala che l’Osservatore Romano ha pubblicato una breve intervista con Helmut Lachenmann, premiato il 3 ottobre dalla Biennale musica di Venezia con il Leone d’Oro alla carriera con la seguente motivazione:

Amatissima e controversa, la musica di Helmut Lachenmann ha avuto ed ha una grande influenza sui compositori di almeno due generazioni. La concezione molto radicale e utopica a un tempo di un suono disseccato, spogliato di peso semantico fino a raggiungere uno stato che si può definire “minerale”, ha emblematicamente siglato le estreme conseguenze dell’avanguardia musicale strutturalista. Ma contemporaneamente, e questo è l’aspetto forse più interessante e anche sorprendente, ha aperto un nuovo mondo sonoro forzando provocatoriamente i limiti della percezione. Nata da una concezione negativa dell’orizzonte semantico, ha infine dischiuso una nuova idea di linguaggio e, per così dire, una nuova forma di “verginità” della materia sonora

L’intervista, nella sua, brevità, è simpatica e il premio a Lachenmann è sacrosanto (appunto 🙂 ), ma la motivazione mi inquieta un po’.

Se da un lato non ho nulla da eccepire al premio, dall’altro mi è difficile non rilevare che la motivazione suddetta si adatterebbe benissimo a qualche compositore di musica elettronica o, meglio, digitale. Musica che, invece, viene generalmente ignorata, o al massimo sopportata, dalla gran parte delle rassegne nazionali.

In anni recenti, anzi, abbiamo assistito alla ripresa e al “porting” (per usare un termine informatico) in area strumentale di idee sviluppate dall’elettronica e dal digitale. La stessa musica spettrale, che, per carità, ha prodotto opere notevoli nelle mani di compositori come Grisey, Murail, Radulescu e quant’altri, altro non è che un adattamento strumentale tecnicamente improbabile di idee sviluppate e utilizzate già da anni nella musica digitale.

E dico “tecnicamente improbabile” perché è assurdo chiedere a un violinista di eseguire un RE# crescente di 28 cents, in quanto 23° armonico di un LA 110 Hz, anche se, bontà sua, approssimato al quarto di tono. Gli strumenti classici non sono fatti per questo e a mio avviso, dal punto di vista tecnico, l’intera nozione di musica spettrale strumentale è soltanto un’idea, un concetto, una fonte di ispirazione. Si tratta, in pratica, di un ideale che viene tradotto per approssimazione in una partitura che, a sua volta, è tradotta in modo approssimato in esecuzione. L’unico modo di farlo davvero è utilizzare un sistema digitale, cosa che, del resto, è stata fatta ben prima da persone come, per es., Truax e Risset.

Lo stesso discorso può applicarsi, in fondo, a cose come la fasce sonore di Ligeti (che resta sempre un grande). Nello stesso modo, la musica concreta strumentale di Lachenmann è bellissima, ma, secondo me, non ha affatto “aperto un nuovo mondo sonoro forzando provocatoriamente i limiti della percezione”. Elaborazioni di suoni strumentali e non che fanno la stessa cosa ne esistono da sempre nella musica concreta analogica e digitale.

Quindi, senza alcuna vena polemica, mi chiedo per quanto ancora una gran parte del mondo musicale accademico si ostinerà a restare per quanto possibile unplugged e se questo dipenda da ragioni estetiche o semplicemente dal fatto che la musica elettronica, digitale, via laptop, etc., scardina meccanismi di mercato consolidati assicurati dalla triade compositore – editore – interprete.

In altre parole, è soltanto l’impossibilità di disporre di una partitura standard per gli strumenti elettronici a generare il problema o c’è dell’altro?

Zavoloka

Kateryna Zavoloka is an experimental electronic music composer and graphic designer from Kyiv city, Ukraine.

Zavoloka mainly explores digital and analogue synthesis, sometimes she uses recorded herself songs, separate phrases, words, instruments, etc.

One of her big influences is the traditional Ukrainian culture. She traveling by Ukraine and recording native traditional ethnic folk songs, which singing old people in country-sides of Ukraine. The aim is to reach interplay between the electronic context and rough unprocessed voices that common people sing with. This produces a very ‘human’ outcome (owing to the spirit that unaffected voices bring), yet staying electronically saturated, post -sounding and edgy.

Zavoloka’s music consists of intensive varied sound motions and unexpected combinations piped into carefully controlled electronic flows. Never try to predict anything, it can turn out in what one just cannot predict. Some of Zavoloka’s friends amongst musicians admit, that her music is very unusual from the structural point of view.When asked about the motive of building such a diverse and complicated constructions, she explained her intention to produce more and more frank music that could reflect her momentary shades of feelings and emotions. She also pointed out that her music is intended to be a natural expression of her private freedom.

  • exhale (2008) – mp3
  • inhale (2008) – mp3
  • rankova – mp3

Europa 2008

plx018In questo progetto della netlabel Plex Records, denominato “Europa 2008”, cinque artisti sono stati invitati a mettere in comune alcuni campioni sonori per poi comporre individualmente un brano utilizzando l’intero pacchetto.

I cinque nomi coinvolti sono Zavoloka, .at/on, Akan, Vitalis Popoff e d’incise. Qui vi faccio ascoltare i pezzi dei primi due.

Il set completo è scaricabile qui.

Una giornata di traffico aereo

Questa notevole animazione mostra 24 ore di traffico aereo sull’intero pianeta. È bellissima, c’è anche il passaggio notte/giorno. Eccola in formato wmv (windoze) e mov (mac). La trovate anche su YouTube, ovviamente compressa.

Sempre restando in tema, questo sito della ZHAW (Zürcher Hochschule für Angewandte Wissenschaften – Università di scienze applicate di Zurigo, secondo google) mostra, in tempo reale, il traffico aereo su Zurigo e dintorni. Si aggiorna ogni 10 secondi circa.

Se, in basso a sin. cliccate Einstellungen (proprietà) potete cambiare lingua e tipo di mappa. Il colore della traccia indica l’altitudine dell’aereo, secondo la scala a sinistra.

In realtà, pagine di questo tipo esistono per parecchi aeroporti (p.es. S.Francisco e New York fra le altre).

Fibonacci in Turku

fibonacci

Incredibilmente in Turku (Finlandia) esiste una ciminiera con sopra parte della serie di Fibonacci (cliccate sull’immagine) che, di notte, è illuminata e splende nel buio come l’unica cosa visibile (o quasi).

Si tratta, in realtà di una installazione di Mario Mertz del 1997, il cui titolo è “Fibonacci Sequence 1-55” e il sottotitolo “Metafora della ricerca dell’uomo di ordine e armonia nel caos”.

Ancora sugli Ig Nobel

ig nobel prizeTanto per sottolineare come i premi Ig Nobel non siano semplicemente una parodia, ecco una foto, presa durante la cerimonia di assegnazione, in cui si vedono il premio Nobel per la chimica William Lipscomb (a sin.) e Benoit Mandelbrot, “inventore” dei frattali, bere una Coca per celebrare l’Ig Nobel per la chimica 2008.

In realtà, per poter ambire al premio, tutte le ricerche devono essere pubblicate. Questo potrebbe far concludere a qualcuno che la letteratura scientifica è piena di idiozie, ma non è così.

Per esempio, considerate la ricerca di Zampini e Spence (“The Role of Auditory Cues in Modulating the Perceived Crispness and Staleness of Potato Chips,” Massimiliano Zampini and Charles Spence, Journal of Sensory Studies, vol. 19, October 2004, pp. 347-63). C’è una intervista con lo stesso Zampini su Repubblica online di cui riportiamo qualche stralcio:

Come è nata l’idea di condurre uno studio di questo tipo?
Mi occupo di interazione tra i sensi. L’obiettivo era capire come la percezione uditiva influenza la percezione del cibo. Per riuscirci, era necessario far mangiare un soggetto variando il suono prodotto durante la masticazione e, soprattutto, somministrargli a sua insaputa qualcosa che in realtà avesse sempre le stesse caratteristiche.

Per questo avete puntato sulle patatine?
Esattamente. Abbiamo scelto una marca in cui ogni patatina ha la stessa forma e la stessa consistenza. Abbiamo fatto entrare dei volontari in una cabina insonorizzata, li abbiamo dotati di cuffie e, durante l’esperimento, abbiamo amplificato e distorto i suoni in vario modo. È emerso che, anche se erano tutte uguali, questo faceva cambiare i giudizi su quanto erano croccanti e fresche.

Descritta in questo modo, la ricerca fa un altro effetto…
Al nostro studio hanno partecipato molti universitari. Tutti all’inizio sorridevano perché, in effetti, la situazione era particolare. Alla fine, quando scoprivano che avevano mangiato sempre le stesse patatine, si facevano però molto più seri.

Quali possono essere le applicazioni pratiche di questo genere di scoperte?
L’esperienza uditiva è molto importante e può essere una caratteristica distintiva, tanto che, ad esempio, la Harley-Davidson ha brevettato il rombo prodotto dalle sue moto. Noi abbiamo replicato l’esperimento delle patatine con uno spazzolino elettrico: l’iniziativa è stata finanziata da un’azienda che voleva capire come si può migliorare il prodotto rendendo il suo uso più gradevole. Anche in quel caso, variando il rumore, la percezione cambiava.

Come si vede e come nota anche l’intervistatore, se si approfondisce, la ricerca ha un suo senso e un suo perché. Il punto è che, leggendo in giro blog e forum, sembra che in tanti facciano polemica affermando che sono tutte cazzate, senza approfondire niente, ma invece la ricerca, quando è fatta in modo tale da produrre un articolo pubblicato, non è mai da buttare.

Prendete il lavoro nippo-ungherese che mostra che alcune muffe che vivono nel fango riescono a trovare il percorso più breve tra due punti all’interno di un labirinto (“Intelligence: Maze-Solving by an Amoeboid Organism,” Toshiyuki Nakagaki, Hiroyasu Yamada, and Ágota Tóth, Nature, vol. 407, September 2000, p. 470). Molti restano perplessi, ma invece l’articolo dimostra che la soluzione di questo test non dipende da un QI elevato, ma da una strategia. Come poi una colonia di organismi unicellulari riesca a elaborare detta strategia è tutto da vedere.

Comunque, alla fine, se volete buttarla sul divertente, vi dico quel’è il mio Ig Nobel preferito: quello per la medicina assegnato nel 2004 a Stack e Grundlach per la ricerca “The Effect of Country Music on Suicide” in cui si dimostra che, in 49 aree metropolitane, esiste una connessione diretta fra il tempo passato ad ascoltare musica country e il tasso di suicidi fra la popolazione bianca. L’ho sempre detto che la country music fa male.

Ig Nobel 2008

Sono stati assegnati gli Ig Nobel 2008. Si tratta di una parodia dei più noti premi Nobel. Parodia che, però. è scherzosa fino a un certo punto perché le ricerche premiate devono essere state condotte per davvero e spesso hanno delle applicazioni non banali. D’altronde la maggior parte delle ricerche, per essere effettuate, devono essere finanziate e se qualcuno paga, difficilmente lo fa senza uno scopo.

Ovviamente, negli Ig Nobel finisce anche qualche ricerca fatta a costo zero, impiegando solamente del tempo, però è interessante notare come anche delle “assurdità” possano far riflettere.

I premi, che consistono solo nell’onore e nella popolarità conseguente, vengono assegnati dagli editori degli Annals of Improbable Research (AIR), una rivista bimensile dedicata allo humour scientifico.

Ecco i vincitori per il 2008. Seguiranno commenti del sottoscritto nei prossimi post.

NUTRIZIONE
Massimiliano Zampini dell’Università di Trento e Charles Spence dell’Università di Oxford, Uk, per aver modificato elettronicamente il suono prodotto da una patatina fritta facendo credere che era più fresca e croccante alla persona che la stava mangiando.

PACE
Commissione federale d’etica per la biotecnologia nel settore non umano della Svizzera e cittadini svizzeri per aver adottato il principio legale che le piante hanno una propria dignità.

ARCHEOLOGIA
Astolfo G. Mello Araujo e José Carlos Marcelino dell’Università di San Paolo, Brasile, per aver misurato come il corso della storia, o almeno il posizionamento dei reperti di uno scavo archeologico, può essere modificato dall’azione di un armadillo vivo.

BIOLOGIA
Marie-Christine Cadiergues, Christel Joubert e Michel Franc dell’Ecole Nationale Veterinaire di Tolosa, Francia, per aver scoperto che le pulci che vivono sui cani possono saltare più in alto di quelle che vivono sui gatti.

MEDICINA
Dan Ariely della Duke University, Usa, per aver dimostrato che i medicinali placebo dal prezzo elevato sono più efficaci di quelli che costano poco.

SCIENZE COGNITIVE
Toshiyuki Nakagaki della Hokkaido University, Giappone, Hiroyasu Yamada di Nagoya, Giappone, Ryo Kobayashi della Hiroshima University, Giappone, Atsushi Tero di Presto JST, Giappone, Akio Ishiguro della Tohoku University, Giappone, e Ágotá Tóth dell’Università di Szeged, Ungheria, per aver scoperto che le muffe che vivono nel fango riescono a trovare il percorso più breve tra due punti all’interno di un labirinto.

ECONOMIA
Geoffrey Miller, Joshua Tybur e Brent Jordan dell’Università del New Mexico, Usa, per aver scoperto che il ciclo ovulatorio di una ballerina di lap dance professionista influisce sulla quantità di mance da lei ricevute.

FISICA
Dorian Raymer della Ocean Observatories Initiative presso la Scripps Institution of Oceanography, Usa, e Douglas Smith della University of California, San Diego, Usa per aver provato matematicamente che ammassi di fili, di capelli o praticamente di qualunque altra cosa si aggroviglieranno inevitabilmente formando dei nodi.

CHIMICA
Sharee A. Umpierre dell’Università di Porto Rico, Joseph A. Hill dei Fertility Centers del New England, (Usa) e Deborah J. Anderson della Boston University School of Medicine and Harvard Medical School Usa, per aver scoperto che la Coca-Cola è un efficace spermicida e Chuang-Ye Hong della Taipei Medical University, Taiwan, C. C. Shieh, P. Wu e B. N. Chiang, di Taiwan, per aver scoperto che non lo è.

LETTERATURA
David Sims della Cass Business School, London, Uk, per il suo studio “Tu, bastardo: un’esplorazione narrativa dell’esperienza dell’indignazione all’interno delle organizzazioni”.

Qui potete trovare la lista degli Ig Nobel dalla prima edizione (1991) in poi.

Soundscape

I biologi impegnati nello studio degli ecosistemi dinamici imbottiscono di microfoni una sezione di territorio per ottenere una mappa audio dell’ambient.

Questo procedimento si basa sulle idee del pioniere della bioacustica Bernie Krause, che ha coniato il termine “biophony” e l’ipotesi della nicchia acustica, secondo la quale lo spettro audio di ogni ecosistema è finemente suddiviso fra le specie che lo abitano (ovviamente con l’esclusione dell’uomo che occupa brutalmente tutte le bande).

Si ottengono, così, dei sonogrammi come quelli a destra (click per ingrandire) che vengono poi analizzati per identificare le specie che abitano l’ecosistema.

Cinemizer

Questi occhiali, creati da Zeiss, simulano uno schermo da 39″ posto a 2 m di distanza. Incoporano dei piccoli altoparlanti (i due oggetti tondi sotto la stanghetta) e dispongono di una batteria (ricaricabile via USB) della durata di 4 ore. Gli occhiali pesano 115 g.

Possono essere collegati all’iPod, ma anche all’uscita TV PAL/NTSC di un DVD player o di una console per giochi (è necessario un apposito cavo). Non mi è ancora chiaro se sia possibile collegarli direttamente all’uscita TV di un PC o di un laptop. Sono in attesa di chiarimenti dal produttore.

In effetti sono stati presentati al MacWorld come un accessorio da iPod ed è così che tutti i giornali ne parlano, ma secondo me il loro utilizzo va molto oltre. Qui trovate anche un video.

Il prezzo non è poi fantascientifico: € 368.90 su gravis.de.

Anagrama

In questo podcast, dopo una breve presentazione, potete ascoltare Kagel che commenta, in inglese, il suo brano Anagrama del 1957-58, per soli, coro e ensemble, basato sul famoso palindromo In girum imus nocte et consumimur igni. Segue poi l’esecuzione dell’opera e al termine, Kagel risponde a domande di Pauline Oliveros, Ramon Sender, e Will Ogdon.

Il podcast proviene dalla stazione radio KPFA. Registrato nel 1963, è attualmente disponibile sull’Internet Archive, da cui è ascoltabile e scaricabile in MP3 a questo link.

Anagrama, for four soloists, speaking chorus, and chamber ensemble (1957/1958).

Per gli interessati ecco delle note al brano, in inglese, tratte dalla vecchia e non più disponibile edizione:

The composition “Anagrama” for four solo voices, speaking chorus, and instruments, written between February 1957 and November 1958, after preparatory work in Argentina, was given its first performance at the ICMS Festival in Cologne on nth June 1960. Nearly all the speech elements and sounds are derived from the palindrome on gnats and moths (wrongly attributed to Dante):

In girum imus nocte et consumimur igni
(we circle in the night and are consumed by fire)

whose completely symmetrical structure is the equivalent of Webern’s late twelve-tone rows. This is not a superficial comparison, for this piece, constructed in five sections and in three levels, represents no less than an attempt to match in vocal music the standard of synthetic sound differentiation based on Webern’s work achieved in electronic music of that period. Of course, “Anagrama” at the same time also has its sources in completely different worlds, above all in Romanic- Manneristic Surrealism, but also in the Romantic-Universalistic spirit, which was obsessed with the idea that everything was connected with everything else. Kagel uses German, French, Italian, and Spanish; Latin is reserved for the palindrome, whose vocabulary of sounds (i, n, g, r, u, m, s, o, c, t, e) is extended by transposing the letters into acoustical terms; the c of consumimur, for example is mutated into a German k or a Spanish q (as in queso), the k in turn – together with s – provides the German x (as in Xylophon). It is not the meaning of the words, then, but their sound values which are the most essential part of all sound, word, and text composition here – most obviously so in what Kagel calls “acoustical translation”. Pure sound imitation produces from the palindrome a sentence like: “In giro immoto notte e quieto ingu” (p. 36, b. 15). In line with Kagel’s conception of lexica as the “summa summarum of all permuration systems”, most of the new words are formed out of more or less regular rearrangements of the palindrome syllables. From “rum”, for example, the words rumor (Sp.: rumour), rue (Fr.: street), Ruhe (G.: rest), Russe (G.: Russian), and rustre (Fr.: boorish) are derived, and there is an effortless development with about 30 intermediate steps from rime (Fr.: rhyme), ruinoso (Sp.: ruinous) or ripieno (It.: full) to Regung (G.: movement, emotion etc.), Regen (G.: rain) and requiem – partly via regular, partly via associative word production.

The sentences formed from the new words are superimposed, as in a palimpsest, to form absurd dialogues, as in, for example: “Quien teme?” (Sp.: whom do you fear?) – “Tiens, mon Seigneur, ecoute un cri rôti” (Fr.: Well, sir, hear a roast cry) – “Je suis innocent” (Fr.: I am innocent). Or they are vaguely related: “Ein Ritter sitzt im Griinen” (G.: A knight sits in the open – “ieri ricino” (It.: castor-oil yesterday) – “er summt in seinem Eisen” (G.: He hums in his iron) – “oggi riposo” (It.: closed today). In general, a lack of syntactical connection between parts of sentences, dense polyphony, and an additional darkening of the sound (by use of vocal clusters, for example), combine to make such speech compositions almost totally incomprehensible. The phonetically written vocal sounds, the counterpart of the diversity of forms in the “Streichsextett”, form a compendium of articulation methods, resembling electronic amplitude and frequency modulation. Pursing of the lips, breathy notes, nasalization, diverse vibrati, etc., create a rich spectrum of individual tone colours and transitions which before this composition had been restricted to electronic sound synthesis. The instrumental articulation is also alienated. Their sound spectra and the connection of the palindrome letters with certain pitches aims at the acoustical integration of speech and music. That this does not lead to any kind of mechanical rigidity, but on the contrary, contributes towards a multifarious and large-scale structure is already made clear by the fact that identical connections only recur after 12 (pitches) times 11 (letters) =132 notes. In fact the form of the work is an implied criticism of the rigid formal structures of serial music; its ideal is constant transition even in the smallest elements – a concept derived partly from painting, in particular from Klee’s “visual thought”. “Anagrama”, then, is a passing tableau of colours and relationships which half conceals an anagrammatic form of semantics deriving from spontaneous and intentional associations and which occasionally descends from the heights of serial rationality – as in a passage of extreme density and intensity on which Kagel comments: “If these creams should awaken in the listener an impression that these are injured, suffering persons, then the chorus is to be heartily congratulated.”
Werner Kluppelholz (Translation: John Bell)

Come farsi invitare…

…o ridurre drasticamente il numero delle proprie esecuzioni.

Questo brano è OM, per orchestra, op. 12, scritto nel 1968 da Robert Wittinger (compositore austro-ungherese nato nel 1945) su commissione della Hessicher Rundfunk per il Darmstadt Holiday Course for New Music. Il pezzo termina con un colpo di gong e in partitura sta scritto, in 14 lingue

Questo difficile colpo di gong può essere eseguito soltanto dal compositore; per questa ragione egli dovrebbe essere invitato a ogni esecuzione

Trovate altri brani di Wittinger su AGP86

Intervista Radulescu

Paris Transatlantic Magazine ha pubblicato, circa un anno fa, una lunga intervista (in inglese) con Horatiu Radulescu.

Pur condita con un po’ di folklore, d’altronde stimolato dal nostro che spara senza mezzi termini sulla storia

He can’t stand Shostakovitch (“de la merde!”), dismisses Schnittke (“tuttifrutti!”), cordially dislikes Boulez (but admits that “he opened up a new sound world for all of us and his management skills come out well in front of the orchestra”)

e sui colleghi

…such as Dusapin (the tritones of whose cello concerto “set my teeth on edge”) annoy him through their business skills, and he refers to the music spectrale crowd in Paris with scorn (“they’re the mafiosi”)

l’intervista è comunque interessante per avvicinarsi alla personalità, alla storia, alla formazione e alle fonti di ispirazione di questo autore che, come altri contemporanei, amava la musica antica più di quella storicamente precedente e cercava di ritrovare quella componente rituale e quasi sacra della musica andata perduta nel tempo.

Morìa?

Prendetela con le pinze, ma da circa un’ora (è l’1:30 del 27/09) sta girando una notizia secondo la quale Horatiu Radulescu, compositore rumeno, noto per i suoi lavori caratterizzati da una ricerca spettrale molto spinta e coraggiosamente priva di compromessi, sia deceduto, a soli 66 anni, a Parigi, dove aveva vissuto a lungo.

Ne abbiamo parlato spesso qui su MGBlog.


Update 2:00

La notizia sembra confermata; se ne parla su NetNewMusic. Tristemente, il 90% degli spettralisti è scomparso prima che il 10% del mondo si sia accorto della loro esistenza.

  • Horaţiu Rădulescu – Capricorn’s Nostalgic Crickets, opus 16 no 2 (1980), per 7 flauti.

Note di programma in inglese:

7 flutes move along a “square well” of 96 sounds – an “infinite melody”, closed circle of “inharmonic” quarter-tones. Each of the 7 has a different start point: a canon which had already began since the sound-sources play continuously.

Each sound lasting ca 9 seconds (subjective time) is irregularly placed within a period of 11 second-long (objective time). Imagine a sphere with equidistant 96 meridians/feints through which irrupt 96 micro-music events. Due to their various consistency that implacable periodicity (the 11 second-pulse) will become imperceptible.

Four types of sound-production technique (“timbre-being”) activate the micro-spectrality of each sound:

  1. yellow tremolo (“morse” signals of different fingerings on a unique pitch)
  2. stable multiphonics
  3. unstable multiphonics, “overblowing producing “spectral thermometers”, multiphonics variably explicitated
  4. simultaneously singing and instrumental sound with flattertongue

The statistical reading of these 4 types of “timbre-being” creates a “directional random” evolving toward several “accidents of purity” (the 20th eruption : 6 yellow tremoli and l overblowing the 43rd eruption : no multiphonic (unique case) the 87th eruption : 6 sung flattertonguings and 1 yellow tremolo) and inscribing itself into a fusiformali macro-register trajectory. This resembles a natural phenomenon where the cause (sound – sources) and the effect (sound parameters) become very often undetectable, a “drunk organ” simulated by the seven flutes.

Ritorna Pirate Bay

the pirate bay logoIl Tribunale del Riesame di Bergamo ha riconosciuto la validità del ricorso di Peter Sunde, uno dei tre admin della Baia dei Pirati e ha ordinato il dissequestro del sito di Pirate Bay, sequestrato, per gli utenti italiani, il 10 Agosto.

Il ricorso si basava su argomenti procedurali (il sequestro non era mai stato notificato a Peter Sunde), ma soprattutto su questioni sostanziali. La motivazione del blocco, infatti, era che Colombo-bt, il nodo italiano di Torrent a sua volta sequestrato per violazione di copyright, reindirizzasse spesso gli utenti a Pirate Bay per lo scaricamento dei file, nonché, incredibile a dirsi, il nome del sito.

Gli avvocati di Sunde hanno avuto buon gioco nel sostenere che il mero conteggio statistico degli accessi a Pirate Bay via Colombo-bt non è sufficiente a ritenere che sul sito svedese si producessero violazioni di copyright. In quanto alla faccenda del nome, non vale nemmeno pena di parlarne.

Come ha dichiarato uno degli avvocati di Sunde

Il problema è che si dispone una inibizione non sulla base di un reato posto in essere ma di una presunzione statistica allora si censura e non si sequestra

20’51”

cover20’51” è il nuovo lavoro del compositore colombiano, trasferito a NY, David Velez (aka Lezrod).

Si compone di una serie di foto scattate dallo stesso Velez e pubblicate in pdf e di un suggestivo brano, intitolato Polvo, una parola che in spagnolo significa polvere, ma, come fa notare l’autore, ha anche connotazioni cicliche e sessuali:

“…quia pulvis es, et in pulverem reverteris… “.
(“…for dust you are, and to dust shall you return…”).

…is a quote taken from Genesis 3:19 in the Bible. Some intellectuals claim that this Bible quote is the origin of the use of the word ‘Polvo’ to refer to the sexual act.
The cyclic and finite/infinite notion that are found on the use of the word ‘Polvo’ are quite inspiring and probably influenced the way the piece sounds and feels, since the title ‘Polvo’ was assigned to the piece before I composed it.
Dust was here before us, dust will remain here after us. That fact makes everything else simple, ephemeral and harmless.

Il lavoro pubblicato dalla netlabel test tube, che con questa pubblicazione inaugura una nuova serie dedicata al mixed media, dove è scaricabile come insieme (photo e audio in un unico zip).

Earth Overshoot Day

globeSecondo i calcoli del Global Footprint Network, oggi cade l’Earth Overshoot Day per il 2008.

È il giorno in cui noi, razza umana, cominciamo a consumare più risorse di quante il pianeta Terra sia riuscito a rinnovare. In pratica, andiamo in rosso, togliendo risorse alle generazioni future.

Un tempo questo limite non veniva mai raggiunto. L’uomo non riusciva a consumare più di quanto la terra poteva produrre. Nel 1961 metà del prodotto della Terra era sufficiente per soddisfare le nostre necessità. Il primo Earth Overshoot Day è arrivato nel 1986, alla data del 31 dicembre: in quell’anno siamo andati in pari.

Da allora, l’Earth Overshoot Day è sempre arretrato. Nel 1995 la fase del sovraconsumo aveva già mangiato più di un mese di calendario: a partire dal 21 novembre la quantità di legname, fibre, animali, verdure divorati andava oltre la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi; il prelievo cominciava a divorare il capitale a disposizione, in un circuito vizioso che riduce gli utili a disposizione e costringe ad anticipare sempre più il momento del debito.

Nel 2005 l’Earth Overshoot Day è caduto il 2 ottobre. Quest’anno siamo già al 23 settembre: consumiamo quasi il 40 per cento in più di quello che la natura può offrirci senza impoverirsi. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, l’anno in cui – se non si prenderanno provvedimenti – il rosso scatterà il primo luglio sarà il 2050. Alla metà del secolo avremo bisogno di un secondo pianeta a disposizione.

È interessante osservare gli effetti dei diversi stili di vita. Se il modello degli Stati Uniti venisse esteso a tutto il pianeta ci vorrebbero 5,4 Terre. Con lo stile Regno Unito si scende a 3,1 Terre. Con la Germania a 2,5. Con l’Italia a 2,2. Il paese che ha la più alta impronta ecologica (consumo di risorse per abitante) è quello degli Emirati Arabi Uniti, ma gli abitanti sono pochi. Seguono gli USA, il Kuwaid, il Canada, l’Australia e i paese occidentali in genere, insieme al Giappone.

Ipse Dixit

So che ridere (o piangere) sulle perle dei giornalisti è come sparare sulla Croce Rossa, ma ogni tanto non resisto.

Leggo su l’Unità online di oggi (NB: era il 22/09/2008)

Sono nati molti «negozi» on line che vendono registrazioni in formati digitali dai nomi improbabili come Aiff, Flac o Wav che sono la copia esatta, bit per bit, della registrazione originale.
[il neretto è mio, il pezzo è firmato Toni De Marchi]

Magari il giornalista sa esattamente di cosa parla e in effetti il resto dell’articolo non è male, ma frasi come questa danno l’impressione che non ne abbia proprio idea. Oppure è humour?

Acustica

Composto fra il 1968 e il 1970, Acustica, per “dispositivi sonori sperimentali” e altoparlanti, è uno dei più radicali e straordinari esempi della ricerca sonora di Mauricio Kagel.

Nei suoi continui tentativi di sfuggire ai vincoli e alle convenzioni della performance musicale tradizionale, Kagel ci guida in un mondo sonoro generato da strumenti esotici e invenzioni surreali.

Lo strumentarium di Acustica è immenso: va da strumenti di tutte le culture e di tutte le epoche storiche fino a invenzioni dello stesso Kagel, tutte notate meticolosamente.
Alcuni esempi tratti dalle note alla prima incisione, quella ormai fuori catalogo e rimessa in circolazione da AGP da cui potete scaricarla in formato FLAC (compressione senza perdita):

  • Nail-Violin, uno strumento a frizione inventato alla metà del 18° sec. in cui delle barre di ferro di egual diametro ma differente lunghezza vengono messe in vibrazione con un archetto
  • Roundpeg-Violin, come sopra, ma con barre di legno
  • Scabella, sandali rumorosi che venivano indossati dal direttore di coro nell’antica Roma
  • Hinged-board (Crepitacolo), un piatto di legno a cui sono attaccati vari pezzi di metallo che agiscono da batacchi quando il piatto viene agitato
  • Linguelle metalliche messe in vibrazione da un albero a gomiti
  • Puntine di vario tipo per esplorare approcci devianti alla bassa fedeltà: es. un grammofono in cui la puntina è sostituita da una lama di coltello infilata in un barattolo di latta
  • Megafoni di vario tipo
  • Soffiatore incrociato per la modulazione timbrica delle pagine di un libro
  • Palloncini usati come risuonatori negli strumenti a fiato oppure come riserve d’aria
  • Pipe-branch, un lungo tubo collegato a canne d’organo, alimentato da un cilindro pieno di aria compressa
  • Sordine per strumenti a fiato dotate di altoparlante collegato a un registratore su cui sono incise note di strumenti a fiato

Il brano è costituito dalla sovrapposizione di due diversi piani:

  1. un nastro pre-registrato a 4 canali composto principalmente da suoni elettronici, ma anche strumentali e vocali non modificati
  2. le azioni degli strumentisti in numero variabile da due a cinque.

Oltre alle indicazioni per costruire gli strumenti, la partitura è composta da 200 schede (filing cards: le schede degli schedari) ognuna delle quali reca nell’angolo in alto a destra il simbolo dello strumento utilizzato.
L’ordine delle schede è completamente libero, ma l’azione indicata su ogni scheda è descritta con precisione. Anche il comportamento degli esecutori e la loro espressione facciale è dettagliata sulle schede. Gli esecutori decidono in che ordine utilizzarle, così come i loro tempi di entrata.

Nell’incisione pubblicata da AGP, registrata a Colonia nel 1971 sotto la direzione dello stesso Kagel, le prime due parti sono live e comprendono cinque esecutori e il nastro, controllato dal compositore. Le parti 3 e 4 sono un assemblaggio effettuato in studio. Non ci si aspetta che vengano ascoltate di seguito.

Quello che segue, invece, è una esecuzione di Acustica reperita su YouTube.
Esecutori: Kölner Ensemble für Neue Musik

Una versione di Tempo Reale.
Progettazione e drammaturgia: Jonathan Faralli, Francesco Giomi
Esecutori: Monica Benvenuti, Francesco Canavese, Jonathan Faralli, Francesco Giomi
Regia del suono: Damiano Meacci

Un saluto a Mauricio Kagel

KagelTripla maledizione, scrivere necrologi è deprimente.

Due giorni fa è scomparso Mauricio Kagel. Argentino, trasferito in Germania fin dal 1957, Kagel è stato sempre una figura provocatoria e diversa nel panorama della musica europea.

Interessato al teatro musicale, alla parte “scenica” della musica non meno che alla musica stessa, ha saputo creare opere che vanno oltre entrambi questi aspetti, fino a qualificarsi come lavori metamusicali. Da Exotica (1971-72) e Der Schall (1968), in cui gli esecutori, che di solito sono degli esperti dello strumento, sono costretti a confrontarsi con strumenti che non sanno suonare a Musik fur Renaissance Instrumente (1965/66) dove gli strumenti antichi vengono utilizzati per creare sonorità del tutto nuove, fino ad opere lucidamente provocatorie come Con voce (1972), dove tre attori muti si presentano sulla scena e, dopo un lungo imperterrito silenzio, mimano brevi frammenti di concerto, in atteggiamenti ridicoli e dissacranti o Recitativarie (1971-72), dove una clavicembalista-cantante inscena una delirante lettura musicale o ancora Match (1964) per due violoncelli e percussioni che è la trascrizione musicale di un incontro di pugilato.

Mi preme citare anche Hétérophonie (1961), un brano per orchestra interamente formato da materiale altrui, desunto da opere di autori del ‘900 come Debussy, Schoenberg, Stravinskij, Ravel, Varèse, Boulez, Stockhausen. La citazione portata all’eccesso e fatta arte.

È giusto dire che, in Kagel, la musica si faceva teatro e a volte anche film come per Ludwig van (1970) uno dei suoi lavori più noti. Si tratta di una riproduzione di una visita fittizia allo studio di Beethoven nella sua casa di Bonn. Molte scene sono tappezzate dagli spartiti della musica di Beethoven e la colonna sonora è costituita dai brani musicali che appaiono negli spartiti inseriti nelle inquadrature. La musica è come deformata timbricamente ed ha un suono distorto che lascia comunque riconoscere le autentiche melodie beethoveniane. In altre scene il film mostra delle parodie di trasmissioni radio televisive connesse alla commemorazione del “Beethoven Year 1770”.

La sua produzione, in vari campi, è molto vasta ed è impossibile darle qui lo spazio che merita, ma ne riparleremo.

Potete trovate altra musica/film di Kagel in AGP (num. 2, 40, 41, 104), su UBUWeb e qui in MGBlog.
Su wikipedia in spagnolo trovate anche il catalogo delle opere.

c.v.d.

Un po’ di tempo fa avevo espresso la mia sfiducia sull’apertura dell’iPhone e più precisamente sulla libertà di sviluppare software per il nuovo giocattolo Apple, considerando che, per scaricare il sistema di sviluppo, è necessario identificarsi e che, per espressa dichiarazione di Jobs, Apple si riserva il diritto di bloccare le applicazioni pericolose.

Bene, ora vediamo il significato di “pericoloso” in casa Apple perché abbiamo la prima applicazione per iPhone che è stata bloccata. Ed è un virus? Un malware in grado di cancellare dati dell’utente? Un worm capace di diffondersi via bluetooth?

No. Si tratta semplicemente di un software, chiamato Podcaster, che duplica la funzione di podcasting di iTunes. In altre parole, entra in concorrenza con iTunes. È semplicemente un software che fa le stesse cose di iTunes, ma, a detta del suo creatore, Fraser Speirs, le fa meglio.

E che sia stato bloccato per questo, non lo diciamo noi o Fraser Speirs, lo dice Apple;

Apple Rep says: Since Podcaster assists in the distribution of podcasts, it duplicates the functionality of the Podcast section of iTunes.

Almeno non si nascondono dietro un dito, ma ora l’utente iPhone non avrà alcuna possibilità di verificare se davvero Podcaster sia meglio di iTunes e così muore la concorrenza. Perché la concorrenza non è solo inventare qualcosa di nuovo. È anche fare qualcosa che qualcun altro fa già, ma farlo meglio o a minor prezzo. E non c’è nulla nell’agreement che si sottoscrive scaricando l’SDK che vieti di duplicare applicazioni già esistenti nell’iPhone.

In effetti, i duplicati in vendita su App Store sono parecchi: dalle calcolatrici ai calendari,  ad altre applicazioni che gestiscono i podcast, come Diggnation and Mobility Today. Ma allora perché Podcaster è stato bloccato? Forse perché ha una funzione che gli altri non hanno, cioè consente di scaricare i podcast sulla macchina, invece di ascoltarli soltanto.

Forse la vita mi ha reso malfidente, ma una corporation che lavori per l’interesse dei clienti devo ancora vederla.

Tanto per chiarire

steve albiniSteve Albini (qui su wikipedia in inglese e qui in italiano) è un musicista, produttore discografico, tecnico del suono e critico musicale americano. È una persona che conosce molto bene il mercato musicale; fra l’altro è stato produttore dei Nirvana.

Nei primi anni ’90 ha scritto un articolo chiamato The Problem With Music in cui descrive la situazione di una band esordiente di un certo successo, come ne ha viste tante, che arriva a firmare il suo primo contratto con una major. Con la sua esperienza, Albini fa letteralmente i conti in tasca alla band, alla major, a produttori, manager e a molti personaggi che gravitano intorno al business musicale. È in articolo interessante anche perché, nonostante il fatto che circoli su internet ormai da 10 anni, non è stato mai direttamente smentito dalle major, evidentemente perché non sono in grado di farlo. D’altra parte le major si sono sempre sottratte alle discussioni sui loro margini di profitto (e su quelli di band, produttori, manager, etc.) adducendo il fatto che le situazioni sono troppo differenziate.
Ma, come ben sanno gli statistici, in economia le medie si possono sempre fare: basta riferirle a situazioni tipiche ed è quello che fa questo articolo.

Ho sempre voluto proporlo, ma finora sono stato trattenuto dal fatto che è in inglese-americano non proprio semplice e non ho mai avuto la voglia e il tempo di tradurlo (è piuttosto lungo). Oggi finalmente qualcuno lo ha fatto, quindi un plauso a LOR15, di cui vi segnalo il blog e da cui ho tratto la traduzione che riporto qui sotto e che mi sembra ben fatta.

Se a qualcuno interessa l’originale inglese, lo può leggere qui o qui, ma basta una ricerca in Google per trovarlo in molti siti.

È lungo, ma chiarisce molte cose. Se ne avete voglia e se vi interessa leggetelo, tanto per chiarire, fra l’altro, chi sono quelli che danno dei ladri ai ragazzini che si scaricano i CD.

Il problema con la musica

di Steve Albini

Ogni volta che parlo con una band che sta per firmare un contratto con una etichetta major, finisco sempre per pensare a loro in un contesto particolare. Immagino un fossato, largo un metro e venti, profondo un metro e cinquanta e forse lungo sei metri, pieno di merda. Immagino queste persone, alcune delle quali buoni amici, alcune semplici conoscenze, da una parte di questo fossato. Immagino pure un lacchè dell’industria, senza volto, dall’altra parte del fossato, con in mano una stilografica ed un contratto che aspetta di essere firmato. Nessuno può vedere cosa ci sia scritto nel contratto. È troppo lontano ed inoltre la puzza della merda fa lacrimare gli occhi di tutti. Il lacchè urla a tutti che il primo a nuotare attraverso il fossato firmerà il contratto. Tutti si buttano nel fossato e cercano furiosamente di arrivare dall’altra parte. Due persone arrivano nello stesso momento ed iniziano a lottare spingendosi reciprocamente la testa nella merda. Alla fine uno dei due capitola, e rimane un solo contendente. Allunga la mano verso la penna, ma il lacchè gli dice “credo che tu ti debba fare le ossa ancora un po’, nuota di nuovo, per favore. Questa volta a dorso”. E lui ovviamente lo fa.

I. A & R Scouts

Ogni etichetta major, coinvolta nella caccia di nuove bands, ha nello staff un uomo di alto profilo, un A&R che può presentare una faccia credibile ad ogni band con prospettive. Le iniziali stanno per “Artisti e Repertorio”, perché storicamente lo staff A&R seleziona gli artisti per registrare la musica che hanno anche scelto. Questo avviene ancora anche se non apertamente. Questi tipi sono generalmente giovani (la stessa età della band presa di mira) ed al giorno d’oggi hanno sempre qualche ovvia credibilità underground da mostrare. Lyle Preslar, ex chitarrista dei Minor Threat, è uno di loro. Terry Tolkin, ex organizzatore indipendente di concerti a NY e manager assistant della Touch And Go è uno di loro. Al Smith, ex ingegnere del suono del CBGB è uno di loro. Mike Bitter, ex editore della fanzine XXX e collaboratore di Rip, Kerrang ed altri, è uno di loro. Molti dei noiosi stronzi che riempivano le radio dei college sono nelle loro file.

Ci sono molte ragioni per cui gli A&R sono sempre giovani. La spiegazione solitamente usata è che è che lo scout deve essere “hip” per la scena musicale corrente. Un motivo più importante è che le bands intuitivamente avranno più fiducia in uno come loro e che parla con entusiasmo delle stesse esperienze formative rock and roll. L’ A&R è la prima persona ad avere contatto con la band, ed in quanto tale è il primo a promettere loro la luna. Chi meglio, per promettere loro la luna, di un tipo idealistico che si aspetta in pochi anni di fare carriera e che non ha esperienze precedenti con una grossa casa discografica. Cazzo, è un naive, un ingenuo, come la band che sta gabbando. Quando dice che nessuno interferirà nel loro processo creativo, probabilmente ci crede pure.

Quando si siede al tavolo con la band la prima volta, davanti ad un piatto di pasta, può dire loro in tutta sincerità, che quando firmeranno per la compagnia X, di fatto firmeranno per lui, e lui è dalla loro parte.Vi ricordate quel concerto a cui vi ho visto nel 1985? Non ci siamo divertiti un casino? Ora tutte le rock band sono diventate abbastanza sagge da essere sospettose della feccia dell’industria musicale. C’è una caricatura convincente nella cultura popolare di un ex-hipster di mezza età, corpulento, che parla velocissimo usando un gergo datato, chiamando tutti “baby”. Dopo avere incontrato il “loro” A&R, la band si dirà, e dirà a tutti, “non è per niente il classico tipo dell’industria discografica, è come uno di noi” E hanno ragione. Questo è proprio uno dei motivi per cui è stato incaricato.

A questi tipi A&R non è permesso di scrivere contratti. Quello che fanno è presentare alla band una lettera di intenti o un promemoria, che vagamente definisce alcuni termini ed afferma che la band firmerà con l’etichetta quando ci si sarà messi d’accordo sul contratto. La cosa più strana al riguardo di questo memo che sembra innocuo, è che, per tutti gli scopi legali, è un documento vincolante. Cioè, una volta che la band lo ha firmato, ha un obbligo di concludere l’affare con l’etichetta. Se l’etichetta presenta alla band un contratto che la band non vuole firmare, l’etichetta non ha che da aspettare. Ci sono centinaia di altre band che vogliono firmare lo stesso contratto, così l’etichetta è in una posizione di forza.

Queste lettere di intenti non hanno mai una data di scadenza, così la band rimane legata alla lettera di intenti, fino a quando il contratto viene firmato, non importa quanto ci si metterà. La band non può firmare con altri e non può pubblicare il proprio materiale a meno che l’accordo non venga annullato, cosa che non succede mai. Non sbagliatevi, una volta che una band ha firmato una lettera di intenti, o firmeranno un contratto che piace all’etichetta, o verranno distrutti. Una delle mie band favorite è stata tenuta ostaggio per almeno due anni da un furbo giovane “non è come uno di quelli delle etichette” sulla base di una tale lettera di intenti. Non rispettò alcuna delle promesse fatte (cosa che fece con effetto simile ad un’altra band ben conosciuta) e così la band voleva andarsene. Un’altra etichetta aveva manifestato interesse, ma quando all’A&R fu chiesto di liberare la band, disse che voleva denaro o punti percentuali, o possibilmente entrambi, prima di considerarlo. La nuova etichetta aveva paura che il prezzo fosse troppo caro, e disse di no. In procinto di fare l’album di esordio, una band eccellente, umiliata, per lo stress e per i molti mesi di inattività, si sciolse.

II. C’è questa band

C’è questa band. Non sono nulla di incredibile, ma sono anche abbastanza bravi, così hanno attirato un po’ di attenzione. Hanno firmato per una etichetta “indipendente” media, proprietà di una compagnia di distribuzione, e devono ancora due album alla etichetta. Vorrebbero firmare per una major, così potrebbero avere delle sicurezze, sapete, avere dei buoni strumenti, fare i tour in un bus decente, niente fronzoli, solo una piccola ricompensa per il loro duro lavoro. A quel punto hanno un manager. Conosce un po’ di gente delle etichette e potrebbe vendere il loro prossimo progetto alla gente giusta. Lui prende la sua percentuale, ma è solo il 15%, e se fa loro firmare un contratto, allora è denaro ben speso. In ogni caso a loro non costa nulla, se non funziona. Il 15% di niente non è molto!

Un giorno uno scout A&R li chiama, dice che li sta seguendo da un po’ e che quando il loro manager gli ha fatto il loro nome, ha fatto subito “click”. Perché non incontrarsi per parlare della possibilità di un contratto con la sua etichetta? Wow. È il momento di sfondare. Incontrano il tipo, e sapete cosa – non è quello che si sarebbero aspettati da un tipo di una etichetta. È giovane ed è vestito più o meno come la band. Conosce tutte le loro band preferite. È uno di loro. Dice che vuole provare a fare ottenere loro tutto quello che vogliono. Dice che tutto è possibile con l’atteggiamento giusto. Concludono la serata portando a casa una lettera di intenti, scritta e firmata al momento.

Il tipo A&R era pieno di grandi idee, ha parlato anche di usare un produttore di grido. Butch Vig è fuori discussione, pretende 100.000 dollari e tre punti percentuali, ma possono avere Don Fleming per 30.000 $ e tre punti percentuali. Se anche quello è un po’ troppo allora possono avere quel tipo che era nella band di David Letterman. Vuole solo i tre punti. O possono scegliere chi vogliono (tipo Warton Tiers forse, costa solo 5 o 7mila dolalri) e prendere Andy Fallace per remixare per 4mila a traccia più 2 punti. C’era molto a cui pensare.

Bene, a loro piace questo tipo ed hanno fiducia in lui. Inoltre hanno già firmato la lettera di intenti. Lui doveva avere intenzioni serie per voler firmare un contratto. Danno notizia alla loro etichetta attuale, ed il manager dice che vuole che abbiano successo, così hanno la sua benedizione. Lui ovviamente dovrà essere compensato, per gli album in contratto ancora da fare, ma lui stesso chiarirà tutto con la nuova etichetta. La Sub Pop ha fatto milioni vendendo i Nirvana e la Twin Tone non ha fatto male anche lei: 50mila per le Babes e 60 mila per i Poster Children – senza dover vendere un solo disco in più. Sarà qualcosa di modesto. Alla nuova etichetta non importa il prezzo, fin quando è recuperabile dalle royalties. Bene, ricevono il contratto finale e non è quello che si aspettavano. Immaginano che sia meglio andare sul sicuro e lo fanno vedere ad un avvocato, uno che dice di essere esperto di contratti del mondo dello spettacolo e lui trova qualche errore da correggere. Loro non sono ancora convinti, ma l’avvocato dice che ha visto molti contratti e che questo è piuttosto buono. Avranno molte royalties: 13% (meno 10% di deduzione packaging).Non erano i Buffalo Tom che prendevano solo 12% meno il 10%). Fa lo stesso.

La vecchia etichetta vuole solo 50mila e nessun punto percentuale. Cazzo, la Sub Pop prese 3 punti quando lasciò andare i Nirvana. Hanno firmato per 4 anni, con opzione per ogni anno, per più di un milione di dollari! Solo l’anticipo per il primo anno è di 250mila $. Pensateci un attimo, un quarto di milione solo per essere una rock band!

Il loro manager pensa che sia un grande affare specialmente per il grosso anticipo. Inoltre, lui conosce una casa di pubblicazioni che prenderà la band se avranno un contratto e anche questi daranno loro un anticipo di 20mila, così incasseranno anche questi soldi. Il manager dice che il settore del publishing è piuttosto misterioso e nessuno sa bene da dove arrivi il denaro, ma l’avvocato può dare uno sguardo al contratto. Cazzo, sono soldi regalati.

Il loro booking agent è eccitato per il fatto che firmino per una major. Dice che possono incassare in media 1.000 o 2000 $ a sera da ora in poi. È abbastanza per giustificare un tour di cinque giorni la settimana e con una band di supporto, possono usare un vera crew, comprare degli strumenti adeguati ed avere addirittura un tour bus! I bus sono piuttosto costosi, ma se pensate al costo delle stanze d’albergo per tutta la band e la crew, è più o meno lo stesso costo. Alcune band come Therapy?, Sloan e Stereolab usano i bus in tour anche quando vengono pagati poche centinaia di dollari a notte e questo tour deve incassare almeno 1.000 e 2.000 dollari a notte. Ne varrà la pena. La band sarà più a suo agio e suonerà meglio. L’agente dice che una band su una etichetta major può farsi pagare un anticipo da una società di merchandising sulle vendite delle t-shirts! Ridicolo! È una miniera d’oro! Che l’avvocato dia una letta anche al contratto di merchandising, giusto per andare sul sicuro.

Si ubriacano al party per la firma del contratto. Vengono scattate polaroids e tutti sono eccitati. L’etichetta è andata a prenderli con una limousine. Decidono di usare il produttore che era nella band di Letterman. Il tipo porta dei tecnici per accordare la batteria per loro e regolare amplificatori e chitarre. Ha pure fatto portare dei microfoni vintage. Ragazzi, come erano “caldi”. Ha portato pure un tipo per controllare le fasi di tutto l’equipaggiamento nella sala di controllo. Ragazzi, che professionista. Ha usato un po’ di equipaggiamento e alla fine erano tutti d’accordo che tutto suonava molto “punchy” e “caldo”.

Tutto quel duro lavoro finalmente ha dato i suoi frutti. Con l’aiuto di un video, l’album è stato venduto come panini caldi. Hanno venduto 250mila copie! Di seguito i conti che spiegano quanto siano fottuti: Questi numeri sono rappresentativi di importi che appaiono quotidianamente in contratti discografici. Non c’è bisogno di manipolare i numeri per fare apparire male lo scenario, dal momento che gli esempi veri abbondano.

Anticipo $ 250.000
Percentuale del Manager $ 37,500
Avvocati $ 10,000
Recording Budget $ 150,000
Anticipo produttore $ 50,000
Spese Studio $ 52,500
Drum. Amp, Mic and Phase “Doctors” $ 3,000
Nastro per la registrazione $ 8,000
Affitto attrezzature $ 5,000
Trasporti $ 5,000
Pernottamenti durante lavoro in studio $ 10,000
Catering $ 3,000
Mastering $ 10,000
Copie su nastro, reference CDs, spedizione nastri, spese varie $ 2,000
Video budget $ 30,000
telecamere $ 8,000
Crew $ 5,000
Processing e riversamenti $ 3,000
Off-line $ 2,000
On-line editing $ 3,000
Catering $ 1,000
Palco e costruzioni $ 3,000
Copie, corrieri, trasporti $ 2,000
Costi del Director $ 3,000
Album Artwork $ 5,000
Foto promozionali e copie $ 2,000
Fondo Band $ 15,000
Nuova batteria professionale $ 5,000
Nuove chitarre professionali[2] $ 3,000
Nuovi ampli chitarra professionali [2] $ 4,000
Basso a forma di patata $ 1,000
Nuovo ampli per basso con lucette $ 1,000
Affitto sala prove $ 500
Gran party per gli amici $ 500
Tour spese [5 settimane] $ 50,875
Bus $ 25,000
Crew [3] $ 7,500
Cibo e per diems $ 7,875
Carburante $ 3,000
Beni di consumo $ 3,500
Guardaroba $ 1,000
Promotion $ 3,000
Guadagno lordo del tour $ 50,000
Percentuale Agente $ 7,500
Percentuale Manager $ 7,500
Merchandising anticipo $ 20,000
Percentuale Manager $ 3,000
Parcella Avvocato $ 1,000
Anticipo pubblicazione $ 20,000
Percentuale Manager $ 3,000
Parcella Avvocato $ 1,000
Vendita dischi 250,000 copie a $12 = $3,000,000
Royalty di vendita all’ingrosso [13% del 90% del dettaglio] $ 351,000
A detrazione anticipo $ 250,000
Percentuale produttore [3% meno $50,000 di anticipo] $ 40,000
Budget promozionale $ 25,000
Penale etichetta precedente $ 50,000
Royalty nette $ -14,000
Entrate etichetta discografica
Vendita dischi (entrata lorda) $6.50 x 250,000 = $1,625,000
Royalties Artisti $ 351,000
Deficit dalle royalties $ 14,000
Produzione, packaging e distribuzione @ $2.20 a disco $ 550,000
Profitto lordo $ 7l0,000
Il bilancio:
questo è quanto ogni giocatore è stato pagato alla fine di questo gioco
Casa discografica $ 710,000
Produttore $ 90,000
Manager $ 51,000
Studio $ 52,500
Etichetta precedente $ 50,000
Agente $ 7,500
Avvocato $ 12,000
Entrate nette per ogni membro band $ 4,031.25

La band è ora ad un quarto del proprio percorso contrattuale, ha arricchito l’industria discografica di più di 3 milioni di dollari ma è in perdita di 14.000 sulle royalties. I membri della band hanno guadagnato 1/3 di quello che avrebbero guadagnato lavorando da 7eleven (catena di supermercati NdT) ma hanno dovuto girare in un bus per un mese.
Il prossimo album sarà la stessa cosa con la differenza che l’etichetta insisterà che spendano più soldi su di esso. Da momento che il precedente non ha mai “recuperato” le spese, la band non si può opporre.

Il prossimo tour ancora sarà la stessa cosa, a parte il fatto che l’anticipo per il merchandising sarà già stato pagato, e la band, piuttosto stranamente, non avrà guadagnato alcune royalties dalla vendita delle magliette. Probabilmente i tipi della vendita delle magliette avranno imparato a contare i soldi come i tipi della casa discografica.

Alcuni dei vostri amici probabilmente sono già fottuti a tal punto.

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A great gig in the sky

richard wrightDoppia maledizione, se continua così dovrò creare la categoria necrologi.

La tanto sospirata reunion dei Pink Floyd non potrà esserci mai, almeno con tutti i membri originali. A 65 anni, ieri si è spento Richard Wright, tastierista fin dalla fondazione del gruppo e autore unico, fra le altre, di the great gig in the sky.

Pubblicato in Pop

David Foster Wallace

Maledizione, abbiamo perso un altro grande scrittore. David Foster Wallace è stato trovato morto alle 21.30 del 12 settembre 2008, impiccato nella sua abitazione di Claremont, in California (qui sul LA Times). Sembra trattarsi di un suicidio.

In realtà Foster Wallace non era ancora un grande scrittore, ma lo stava rapidamente diventando. La sua tecnica era incredibile, supportata da una capacità di osservazione fuori dal comune. Con lui un piccolo fatto, un dato che pochi altri notano e se lo notano, lo archiviano come una cosa di poco conto, si espande in pagine di saggio.

Quando il dritto di Joyce entra in contatto con la palla, la sua mano sinistra dietro di lui si apre, come se stesse lasciando una presa, un gesto decorativo che non ha niente a che fare con la meccanica del colpo. Michael Joyce non lo sa, ma la sua mano sinistra si apre nel momento dell’impatto sul dritto: è una cosa inconscia, un tic estetico che è cominciato quando era bambino e che ora è inestricabilmente connesso con un colpo che esso stesso è ormai automatico per il ventiduenne Joyce, dopo anni passati a colpire molti, molti più dritti di quanti uno ne potrebbe mai contare.

E poi, nella nota:

La bizzarra posizione di servizio di McEnroe, aperta e con le braccia rigide, con entrambi i piedi paralleli alla linea di fondo e il fianco rivolto così rigorosamente alla rete che sembrava una figura su un fregio egizio.

Ecco, tutti quelli che conoscono il tennis hanno ironizzato sul servizio di McEnroe, ma nessuno ha mai notato la somiglianza con un bassorilievo egizio e invece è vero, starebbe benissimo in mezzo a quelle figure con le manine di profilo.

La prosa di Wallace era così: piena di collegamenti imprevedibili, ma reali. Il titolo del saggetto da cui sono tratte le citazioni di cui sopra la dice lunga sulla sua prosa vulcanica: L’abilità professionistica del tennista Michael Joyce come paradigma di una serie di cose tipo la scelta, la libertà, i limiti, la gioia, l’assurdità e la completezza dell’essere umano.

Talmente vulcanica che il testo non gli bastava e doveva ricorrere in dosi massicce a un artificio che gli altri scrittori avevano eliminato da tempo: le note. Infinite Jest (Scherzo infinito), il suo romanzo principale ha 1280 pagine nell’edizione Einaudi, di cui 100 di sole note.

Come nota Roberto Bertinetti sul Messaggero online:

La cerimonia per la consegna degli Oscar del porno gli permette così di ragionare sui misteri della libido, un festival organizzato nel Maine per promuovere il consumo di crostacei lo spinge a riflettere sul dolore, un viaggio al seguito di un candidato alle primarie presidenziali del 2000 gli suggerisce considerazioni sull’influenza dei media sul dibattito politico. Foster Wallace si sofferma su vicende ordinarie accentuandone le caratteristiche surreali, mentre gli elementi di follia presenti negli uomini e nelle donne di cui si occupa vengono ritenuti indizi di un disagio di portata più generale. Sotto questo profilo il saggio migliore è quello in cui racconta la mattina dell’11 settembre 2001 in una città dell’Indiana: mentre le Torri crollano, gli uomini e le donne del Midwest cercano di sfuggire all’orrore mostrato dalle tv precipitandosi a tosare l’erba dei loro giardini. Un gesto istintivo, commenta Foster Wallace, compiuto per proteggere un piccolo mondo antico che gli effetti degli attentati distruggeranno in fretta.

La sua bibliografia italiana su wikipedia.

Gorbačëv: il video

Difficilmente il metal trova spazio su questo blog, ma stavolta facciamo un’eccezione, non tanto per la musica, quanto per il video. Girato qualche mese fa da Tom Stern per la band russa ANJ, è sufficientemente assurdo da meritarsi una citazione.

L’allegoria di Stalin come zombie e di Gorbačëv come una specie di Conan con tanto di ascia bipenne è già divertente, ma secondo me, le cose migliori sono i manifesti della vecchia propaganda sovietica che, animati, fanno da sfondo al video.

Potete vederlo qui in alta risoluzione

Un paese di spie

guerrerosOgni tanto è giusto parlare un po’ anche di libri, visto che la lettura è la mia seconda attività asociale, dopo il computer.

Come mi ha fatto giustamente notare un amico, ormai Gibson ambienta le sue storie in un quasi-presente invece che in un più o meno lontano futuro. Io aggiungo che sembra molto più interessato a fare saggistica piuttosto che narrativa, cioè a spiegare come si muovono o funzionano alcune cose, più che raccontare storie. Con questo, i suoi libri non diventano meno leggibili: semplicemente cambiano genere e sono più interessanti che coinvolgenti.

Qui, in Guerreros, troviamo quattro individui di diversa estrazione: una ex cantante rock riciclatasi come giornalista che si trova a lavorare per una nuova rivista che forse non è solo una rivista; un tossico di fascia alta in mano a una non ben determinata agenzia governativa; un piccolo delinquente esule cubano che trasporta informazioni per una non specificata mafia e un programmatore di alto bordo, esperto in realtà virtuali e applicazioni geospaziali, che non dorme mai nello stesso quadrato di una griglia gps (e non “nello stesso posto”, come dicono 3/4 dei commentatori e le stesse note di copertina).

Tutti costoro sono impegnati a seguire le tracce di uno stramaledetto container che qualcun altro sta spostando continuamente. Il perché viene rivelato solo alla fine, quindi non ve lo dirò, però è interessante notare come la storia e quindi anche il finale, in fondo siano secondari rispetto alla descrizione dei personaggi e dell’ambiente in cui si muovono.

Se vogliamo, l’intreccio, la storia, è debole. Non lo è, invece, la descrizione degli effetti socioculturali della tecnologia. L’idea dell’arte locativa, in pratica una scultura virtuale che la gente vede soltanto recandosi in un certo luogo e indossando un apposito casco collegato a un PC, per esempio, è notevole. In effetti, lo stesso Gibson dichiara

If the book has a point to make where we are now with cyberspace, is that cyberspace has colonized our everyday life and continues to colonize everyday life.

Anche l’integrazione degli Orisha nella storia, una invenzione dell’autore fin da Giù nel Ciberspazio, raggiunge qui un livello significativo e non forzato, come poteva sembrare nei lavori precedenti.

La forma è quella attualmente prediletta da Gibson, tipica più della TV che del film: storie parallele narrate frame by frame, un pezzettino per ciascuna che, se ci pensate, è la forma delle soap opera da Dallas in poi. Storie parallele che a tratti si incrociano, si toccano o semplicemente si sfiorano, per unirsi solo nel finale.

Anche in questo senso il romanzo è debole. Ci si aspetterebbe una forma non dico innovativa, ma almeno un po’ più contemporanea. Però è quella che ultimamente va di moda nella fantascienza.

Infine, due parole su questa demenziale abitudine, non solo italiana, di cambiare i titoli senza alcuna ragione apparente (in Francia si intitola Code Source). Sicuramente, nella testa di un executive della casa editrice, una qualche ragione ci sarà, ma a me sfugge. Non mi sembra nemmeno che il titolo italiano sia più bello o più evocativo. Il titolo originale è Spook Country che, a mio avviso, non significa Un Paese di Spettri, come molti traducono. Spook vuol dire, sì, fantasma in inglese, ma in americano ha assunto il significato di spia, così la traduzione è Un Paese di Spie. L’essenza di un libro in cui tutti spiano e sono spiati. Molto più bello.

Composition 304

braxtonNormalmente non mi occupo di jazz, però, come giustamente fa notare wikipedia, definire Anthony Braxton solo un jazzista è alquanto riduttivo. Come compositore e musicista, ha incentrato la sua attività sul jazz (soprattutto sul free) ma ha scritto anche per orchestra e perfino opere. Come strumentista, oltre a suonare il pianoforte, Braxton si è esibito utilizzando l’intera gamma dei sassofoni dal sopranino al contrabbasso,su una grande varietà di clarinetti e al flauto.

Devo anche dire che Braxton è stato uno dei pochi jazzisti che mi abbiano veramente emozionato ascoltandoli in concerto (alcuni degli altri sono Sun Ra, Miles Davis, Cecil Taylor e Mingus). Il suo continuo entrare e uscire dal jazz, incorporando anche elementi linguistici tipici di altri linguaggi, fra cui la musica contemporanea, rendono la sua musica interessante e vitale,anche se a volte le sue composizioni possono risultare un po’ scontate dal punto di vista strutturale. So che, recentemente, si occupa anche di elettroacustica con il Diamond Curtain Wall Trio nel quale utilizza il linguaggio di sintesi ed elaborazione del suono Super Collider, ma non ancora sentito niente con questa formazione.

Qui vi presento Composition 304 del 2002. Si tratta di un duo in cui Braxton suona vari sassofoni e Taylor Ho Bynum cornetta, tromba, trombone.

Formalmente il brano alterna momenti “composti” in cui i due eseguono strutture isoritmiche e momenti improvvisati, a volte anche in solo. Così il brano entra ed esce continuamente dall’improvvisazione, mentre gli esecutori cambiano ripetutamente strumento e timbro. In accordo con la logica del collage utilizzata spesso da Braxton, il pezzo include anche strutture tratte da altri brani dello stesso autore. In questo caso si tratta delle Composition 91, 151, e 164, per cui il titolo completo è Composition 304 (+ 91, 151, 164).

  • Anthony Braxton – Composition 304 (+ 91, 151, 164) (2002)
    Anthony Braxton, saxophones
    Taylor Ho Bynum, cornet, trumpet, trombone, shell, mutes

Miya Masaoka

masaoka laser kotoMiya Masaoka presenta se stessa come

musician, composer, sound artist – has created works for koto and electronics, Laser Koto, field recordings, laptop, video and written scores for ensembles, chamber orchestras and mixed choirs. In her pieces she has investigated the sound and movement of insects, as well as the physiological response of plants, the human brain and her own body. Within these varied contexts her performance work investigates the interactive, collaborative aspects of sound, improvisation, nature and society.

In effetti è attiva in molti campi cha vanno dalla musica per koto (anche elettrificato e in versione laser), alla musica per ensembles, al field recording e alla sperimentazione con piante e onde cerebrali, come potete vedere guardando i suoi video.

Qui vi presentiamo un estratto da For Birds, Planes & Cello. Come dice il titolo, si tratta di una composizione che utilizza una serie di field recording di aerei e uccelli. I due strati sonori sono mediati dal violoncello che agisce come elemento unificante. In questo estratto di 5 minuti (l’unico liberamente disponibile: il CD è distribuito dalla sua etichetta SolitaryB), l’azione del violoncello è limitata a lunghi suoni, più o meno armonici che si pongono come trait d’union fra le due registrazioni.

Xibalba

Nella mitologia Maya, Xibalba, traducibile rozzamente come “Luogo di paura”, è l’oltretomba governato dagli spiriti della malattia e della morte. Nel 16° secolo, Verapaz, l’ingresso di Xibalba, era tradizionalmente collocato in una grotta nei pressi di Cobán, Guatemala. Alcuni dei discendenti Quiché delle popolazioni Maya che vivevano nelle vicinanze associano ancora quella stessa zona alla morte. Anche alcuni sistemi di grotte nei dintorni di Belize sono ritenuti essere ingressi per Xibalba. Un’altra manifestazione concreta di un accesso a Xibalba è ritenuto essere dai Quiché la linea scura di separazione visibile nella Via Lattea [wikipedia], il che, secondo me, è un’immagine di rara potenza.

Secondo la Reuters, alcuni archeologi ritengono di aver scoperto quello che per i Maya poteva essere un altro ingresso a Xibalba. Hanno infatti localizzato nello Yucatan un labirintico sistema di templi in un insieme di caverne, alcune delle quali sono oggi sommerse, contenenti anche ossa umane e oggetti funerari.

Dopo una serie di immersioni per esplorare diversi tunnel sommersi, gli archeologi hanno raggiunto alcune caverne libere dalle acque individuando le rovine di undici templi e una strada di circa 100 metri.

Ah Pook Is Here

Ah PuchInfine parliamo anche di William S. Burroughs (1914 – 1997), uno degli scrittori che amo di più.

Ah Pook Is Here (trad. È arrivato Ah Pook, SugarCo) era stato progettato in origine (1970) come un libro illustrato sul modello dei superstiti codici maya. L’artista inglese Malcolm Mc Neill doveva disegnare le illustrazioni e Burroughs il testo.

Cominciò ad essere pubblicato con il titolo di The Unspeakable Mr. Hart sotto forma di fumetto sulla rivista Cyclops. Quando Cyclops chiuse, Burroughs e Mc Neill continuarono a sviluppare il progetto che divenne un libro fatto di testo e immagini di circa 120 pagine, alcune delle quali erano solo testo, altre solo immagini e altre ancora miste. In questa versione venne pubblicato nel 1971 da Straight Arrow Books in San Francisco.

In seguito (1973-1975), Mc Neill raggiunse Burroughs in America  per continuare a lavorare al libro, ma nel frattempo Straight Arrow Books chiuse e i due non riuscirono a trovare un editore per quest’opera dal formato così strano di cui alla fine, nel 1978, venne pubblicato il solo testo. La versione italiana è interessante perché contiene anche varie pagine di illustrazioni, sia pure in formato ridotto.

Ah Pook del titolo è una translitterazione di Ah Puch, dio della morte nella cultura Maya e re di Metnal, il nono livello del mondo sotterraneo Xibalba, luogo di oscurità e freddo. L’intero testo è sulla morte e come altri testi di Burroughs, è incredibilmente ricco di idee e suggestioni, tanto da ispirare altri artisti.

Qui, infatti, vediamo un breve film di animazione diretto da Philip Hunt nel 1994 con l’ormai famosissima voce di Burroughs e la musica tratta dall’album “William S. Burroughs – Dead City Radio“, Track 4 – “Ah Pook The Destroyer / Brion Gysin’s All-Purpose Bedtime Story“, composta ed eseguita da John Cale.
Il film rappresenta bene parte dell’universo immaginifico e paranoico di Burroughs ed è stato premiato al Dresden Film Festival 1995 e all’Ottawa International Animation Festival 1994.

Foto a colori nel 1909

immagineNel 1909 le pellicole a colori non esistevano, tuttavia un geniale personaggio chiamato Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskii, in Russia, aveva trovato il modo di riprendere e vedere immagini a colori.

La tecnica era ingegnosa. Fotografava la stessa scena tre volte in rapida successione ponendo davanti all’obiettivo un filtro di un diverso colore primario, rispettivamente rosso, verde e blu (RGB: lo stesso sistema degli attuali monitor). In tal modo otteneva tre immagini nelle quali mancavano rispettivamente il rosso, il verde e il blu, perché assorbiti dal filtro. Ovviamente di trattava di lastre negative in bianco/nero che però erano caratterizzate dall’assenza del contributo di quel colore. Ovvero, nella prima, al posto del rosso risultava bianco e così era nelle altre per il verde e il blu.
A questo punto proiettava le lastre su un muro bianco, sovrapponendole con 3 proiettori davanti ai quali applicava gli stessi filtri, rosso, verde e blu, ricreando, così, l’immagine a colori.

In questo modo otteneva delle splendide immagini, come quella a lato (cliccatela) che oggi sono state ricreate digitalmente a partire dalle sue lastre e sono conservate presso la Library of Congress e visibili su internet.

Google Chrome: indietro tutta

Dopo le polemixhe generate dall’articolo 11 dell’EULA di Chrome, che sembrava concedere a Google una licenza a vita su qualsiasi contenuto venisse visualizzato nel browser (vedi i commenti al post del 4/9), la compagnia ha fatto una veloce conversione a U, chiarendo che l’art. 11 era frutto di una svista di copia e incolla.

So for Google Chrome, only the first sentence of Section 11 should have applied. We’re sorry we overlooked this, but we’ve fixed it now, and you can read the updated Google Chrome terms of service. If you’re into the fine print, here’s the revised text of Section 11:

11. Content license from you
11.1 You retain copyright and any other rights you already hold in Content which you submit, post or display on or through, the Services.

And that’s all. Period. End of section.

aggiungendo che ci vorrà un po’ per propagare la modifica in tutti i 40+ linguaggi della distribuzione, comunque il cambiamento è retroattivo.

In effetti, nel momento in cui scrivo, la versione inglese è già aggiornata; quella in italiano, non ancora.

Hammerklavier

No, non si tratta della sonata 29 op. 106 di Ludwig Van, ma di un recente lavoro elettroacustico di Massimo Biasioni, qui in versione Jekyll & Hyde.

Il brano, originariamente quadrafonico, è basato su campioni registrati all’interno di un pianoforte a coda. Lo strumento non è suonato in maniera convenzionale, i campioni sono stati ottenuti percuotendo, pizzicando o sfregando con oggetti le corde e il corpo dello strumento, allo scopo di ottenere le risonanze del pianoforte piuttosto che suoni con altezza definita.

Il mezzo elettronico è stato poi utilizzato per analizzare e risintetizzare tali suoni complessi, estraendone di volta in volta determinate caratteristiche, esplorando la zona che va dal rumore al suono intonato, modificando l’attacco del suono su modello di una corda pizzicata, disponendo infine il materiale derivato nello spazio quadrifonico e assemblandolo lungo lo spazio temporale allo scopo di costruire un forma organica.
I software usati sono Max/MSP e ProTools. La durata è di undici minuti.

Qui lo ascoltate in streaming (att.ne: inizia molto piano). Potete scaricare l’intero CD “Inside the instruments (l’instrument outragè)”, con altri 4 brani, dal sito dell’autore.

Massimo Biasioni – Hammerklavier – 2008

Aauuttooppooiieessiis

Aauuttooppooiieessiis è un brano dello sperimentatore austriaco Arno Steinacher pubblicato per la netlabel LuvSound.

Nei suoi lavori Steinacher cerca di tradurre modelli e idee scientifiche in musica. In questo caso l’idea alla base del brano è l’autopoiesi, termine coniato nel 1972 da Humberto Maturana a partire dalla parola greca auto, ovvero se stesso, e poiesis, ovverosia creazione. In pratica un sistema autopoietico è un sistema che ridefinisce continuamente sé stesso ed al proprio interno si sostiene e si riproduce. Un sistema autopoietico può quindi essere rappresentato come una rete di processi di creazione, trasformazione e distruzione di componenti che, interagendo fra loro, sostengono e rigenerano in continuazione lo stesso sistema [wikipedia].

Ne esce una musica piuttosto affascinante, minimale nella sua essenza, ma in continua trasformazione, dando l’idea di evoluzione automatica e spontanea.

Note dell’autore:

The basic idea of this work was to explore the term autopoiesis, which means selfcreation. In the context of theoretical life science, autopoiesis is often said to be the most fundamental principle of living systems.

To a certain extent autopoietic processes consist of repeated cycles of self-recurrance: glycolysis for instance, photosynthesis or autocatalytic RNA reactions. These processes are organized modular, forming a regulation network. As self-recurrance never happens exactly, there is space for errors and individuality, which in many systems causes something new on another level. This is one of life’s attributes: to create new dimensions spontaneously, another may be unrepeatablility.

“Aauuttooppooiieessiiss” reflects on and plays with these ideas. It consists of several loops with two main origins: instruments and machines, which stand for organic versus anorganic matter. The instrumental parts were all produced with electric guitar, the machine parts were for some part recorded in a factory near Vienna in 1999. Some loops run in parallel in many copies, but each copy differs in tempo and starting point. No situation in this work is repeated, every rhythm that emerges is ephemeric and takes place just one time, although it may be very similar to its neighboured ones, before and after. This ephemeric patterns that just arise at some times in this piece were my focus during the composition process.

One of the surprising results for me was that self-recurrence of machine sounds caused a more organic situation than the guitar-loops, which merely seemed to transform their sonic quality.

Arno Steinache – Aauuttooppooiieessiiss – mp3
pagina presso Internet archive da cui è possibile scaricare il brano anche in altri formati (FLAC, OGG).

La Nuvola Nera

In questo spot, realizzato un anno fa dal WWF per la Cina e visibile qui nella sua interezza, potete letteralmente vedere la quantità di gas di scarico che una automobile diffonde in una giornata di utilizzo.

Lo slogan dice: Drive one day less and look how much carbon monoxide you’ll keep out of the air we breathe.

Il Golem

golem

Molte immagini di robots su Dark Roasted Blend. Alcuni sono veri e in azione, altri sono realizzazioni sperimentali, mentre in altri casi si tratta di creazioni artistiche.

Dalla sinagoga Staronova, il mito del Golem cresce e si moltiplica assumendo mille facce.

.at/on

.at/on is musician and composer Anton Holota from Ukraine.

.at/on main soundwork is offered through electroacoustic ambient and glitch and drone flavors. ‘fon a’ and ‘fon b’ are two small pieces of glitch ambient and experimental noise that together make up one complete story. ‘scape-01’ and ‘Products of Passed Days’ are much more on the ambient drone side, lenghtier and more spatious pieces, with a twist of dark ambient throughout. [Pedro Leitão]

Download the whole album from test tube.

Album excerpts:

Tellus #10: All Guitars!

Della ripubblicazione di Tellus (“rivista su audio cassetta” lanciata nel 1983 a New York) da parte di UBUWeb abbiamo già parlato.

Oggi vi presentiamo il numero 10, uscito nel 1985 e dedicato ai chitarristi della scena newyorkwese (e dintorni) dell’epoca [fra i più noti (pochi) Arto Lindsay, Glenn Branca, Lydia Lunch]. Il genere spazia dal post punk, al minimalismo, all’improvvisazione, il tutto non privo di ironia in certi brani.

Come al solito, Tellus si concentrava sulla sperimentazione, sull’anormalità e sull’estremo. 28 brani, dai 2 ai 5 minuti, in cui, a volte, è difficile riconoscere la chitarra.

Il tutto è scaricabile qui. Ecco qualche anticipazione:

Eterotopie 2008

logoIl festival Eterotopie è l’appuntamento annuale dedicato all’esplorazione delle tendenze delle arti contemporanee organizzato dall’Associazione Culturale Diabolus in Musica. Immerso nella magnifica cornice di Palazzo Te a Mantova, il festival si configura come una piattaforma intermediale, in cui interagiscono i diversi linguaggi della musica, della danza, del cinema, delle arti visive e del teatro.

Concerti dedicati a figure centrali della musica contemporanea sono affiancati da performance di compagnie di teatro e danza di livello internazionale e da installazioni multimediali di giovani artisti e compositori emergenti che silenziosamente e coraggiosamente descrivono e creano il paesaggio sonoro e visivo del nostro tempo.

La rassegna si articola in 7 giornate, dal 27 agosto al 2 settembre. Egoisticamente vi segnalo:

  • la serata del 29: Omaggio a Oliver Messiaen nel centenario della nascita con musiche di Messiaen, Rojac, Perezzani, Graziani, Harvey
  • e quella del 31 con Sonorika V, coreografie e danza di Giovanna Venturini e Cecilia Fontanesi con musiche di S.N.O.W. eseguite dal vivo

ma tutte le giornate sono piene di appuntamenti interessanti.

Il mondo senza di noi

Vedo che non sono l’unico ad avere di queste curiosità.

È uscito in paperback il libro “The World without us” del divulgatore scientifico Alan Weisman. Le sue profezie sono decisamente pessimistiche:

With no one left to run the pumps, New York’s subway tunnels would fill with water in two days. Within 20 years, Lexington Avenue would be a river. Fire- and wind-ravaged skyscrapers would eventually fall like giant trees. Within weeks of our disappearance, the world’s 441 nuclear plants would melt down into radioactive blobs, while our petrochemical plants, ‘ticking time bombs’ even on a normal day, would become flaming geysers spewing toxins for decades to come… After about 100,000 years, carbon dioxide would return to prehuman levels. Domesticated species from cattle to carrots would revert back to their wild ancestors. And on every dehabitated continent, forests and grasslands would reclaim our farms and parking lots as animals began a slow parade back to Eden.

Little Brother

Se qualcuno di voi legge l’inglese può scaricare gratuitamente Little Brother di Cory Doctorow, un racconto sul controllo e su un possibile stato prossimo venturo rilasciato dall’autore in Creative Commons.

La trama:

Marcus, a.k.a “w1n5t0n,” is only seventeen years old, but he figures he already knows how the system works-and how to work the system. Smart, fast, and wise to the ways of the networked world, he has no trouble outwitting his high school’s intrusive but clumsy surveillance systems.

But his whole world changes when he and his friends find themselves caught in the aftermath of a major terrorist attack on San Francisco. In the wrong place at the wrong time, Marcus and his crew are apprehended by the Department of Homeland Security and whisked away to a secret prison where they’re mercilessly interrogated for days.

When the DHS finally releases them, Marcus discovers that his city has become a police state where every citizen is treated like a potential terrorist. He knows that no one will believe his story, which leaves him only one option: to take down the DHS himself.

Clepsydra

Clepsydra è un brano di Radulescu per 16 sound icon.

Questo strumento è una invenzione dello stesso Radulescu. Si tratta di un pianoforte privato del coperchio e appoggiato su di un lato, in verticale, in modo che sia possibile accedere alle corde che vengono suonate in vari modi: pizzicate, percosse oppure passando fra loro dei fili di nylon o dei crini, con risultati simili ad un archetto. L’accordatura è non standard, definita dall’autore. In fondo è simile al bowed piano di cui abbiamo già parlato.

Horatiu Radulescu – Clepsydra, for 16 sound icons – European Lucero Ensemble, dir. Radulescu

Il vero male non muore mai

DoomVi viene in mente niente?

Sì, per passare il tempo in qualche sera d’estate ho ricaricato Doom. La vecchia serie del 1994, con tutti gli episodi.

Non credo che esista un altro gioco che, come Doom, sia riuscito ad incarnare il male. I mostri di Doom possono anche far ridere di fronte alla grafica e al dettaglio di quelli odierni, ma hanno un qualcosa di perverso mai eguagliato da altri giochi e perfino dalle edizioni successive, come Quake.

E lo dimostra anche la sua popolarità. Wikipedia riporta che il fenomeno ebbe un impatto così grande che molte aziende (tra le altre Intel e Lotus Software) e università vietarono specificamente l’utilizzo del gioco nelle loro sedi, per evitare che venisse utilizzato in rete anche durante gli orari di lavoro. Non è conosciuto il numero totale di copie vendute, includendo tutti i giochi che hanno portato il nome Doom, ma potrebbe essere ben superiore ai quattro milioni; l’incasso delle vendite del solo Doom II è stato superiore a 100 milioni di dollari. Nel 1995 la popolarità era così alta che, secondo una stima, era presente in più computer Doom che Windows 95, nonostante l’enorme campagna pubblicitaria di quest’ultimo.

Essendo il primo “first person shooter”, il gioco suscitò anche una serie di controversie che raggiunsero il massimo quando si scoprì che i due autori del massacro alla scuola di Columbine erano patiti del videogioco. Una leggenda metropolitana dice che uno di essi, Eric Harris, creò livelli aggiuntivi per prepararsi alla strage, con tanto di rappresentazione dell’edificio scolastico e dei compagni di classe.

Personalmente, penso che i mostri di Doom abbiano un impatto emozionale così alto perché non sono solo essere mostruosi, ma hanno degli elementi di archetipi significativi. Il Baron of Hell, letteralmente un minotauro, i cervelli con zampe robotiche da ragno (Arachnotron e Spider Mastermind), i teschi incorporei e volanti delle Anime Perdute (Lost Soul), l’Arch-Vile che resuscita i morti si collegano tutti a paure antichissime.

È casuale, ma interessante anche il fatto che John Romero, ideatore del gioco, abbia lo stesso cognome del George Romero della Notte dei Morti Viventi, forse il più celebre film horror di tutti i tempi. Ammazza, ammazza!

Nota: se guardate bene il contorno dell’immagine, noterete qualche elemento sospetto. In effetti è tratta dalla versione di Doom, ancora in lavorazione, per iPhone. Per ora più una proof of concept che un gioco vero e proprio. Ma vedremo….

Film di ferragosto

Visto il tempo, abbiamo passato il ferragosto impegnati a guardare film e in altre attività di cui non vi faccio la recensione. Ecco alcuni dei film.

stacy

Stacy – The Attack of the schoolgirls Zombie – Naoyuki Tomomatsu – 2001
Japgore malato, sanguinolento e divertentissimo. Avete presente le studentesse giapponesi, quelle in camicetta bianca, gonnelline scozzesi e calzine bianche? Ecco. Di colpo queste graziose ragazzine muoiono inspiegabilmente per poi trasformarsi in zombies (chiamati Stacy).
È un po’ una parodia della Notte dei Morti Viventi, tanto che le squadre di eliminazione delle zombies si chiamano Romero Repeat Kill Troops
Smembramenti, mattanze e una storia d’amore fra un marionettista e una delle ragazzine zombie. Per menti malate come il sottoscritto.

electroma

Daft Punk’s Electroma è un film del 2006, diretto da Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo, i Daft Punk. Vagamente fantascientifico. Privo di dialoghi, solo colonna sonora.
Due robot cercano di diventare umani mediante ogni mezzo. Non male.
hellevator The Bottled Fools (aka Hellevator, orig. Gusha no bindume) – Hiroki Yamaguchi – 2004
In un prossimo futuro l’umanità vive sottoterra e si sposta fra i piani grazie a grandi ascensori pubblici. Uno di questi, spostandosi, raccoglie una serie di sconcertanti personaggi, compresi due prigionieri (assassini psicopatici) con polizia al seguito. In seguito a una esplosione, l’ascensore si blocca e i prigionieri prendono il controllo della situazione…
Grande film. Non un horror e nemmeno un poliziesco con ostaggi, ma una storia con grande tensione. Assolutamente anormale e meravigliosamente claustrofobico.

Dark City – Alex Proyas – 1998
Fantascienza. Bellissimo film. Quasi un Matrix ante litteram.
John si risveglia e scopre con orrore che una donna è stata uccisa nel suo appartamento, ma lui non ricorda più nulla della propria vita, se non alcune immagini confuse. Scappa immediatamente dalla propria abitazione e tenta di ricostruire poco a poco il suo passato, mentre la polizia gli dà la caccia. Nel suo pellegrinaggio nella città scopre però degli strani avvenimenti: la notte ad esempio i palazzi cambiano forma e chiunque tranne lui in città cade in un sonno profondo. Solo alcuni strani individui vestiti di nero, da cui è inseguito, sembrano immuni al potere sovrannaturale che piega gli abitanti della cittadina al proprio volere…

Pistol Opera – Seijun Suzuki – 2001
Da vedere assolutamente.
Riporto la recensione di OffScreen che condivido:
Seijun Suzuki è un tranquillo signore di settantotto anni, con alle spalle una filmografia sterminata e un lungo periodo di inattività, interrotto solo negli anni ottanta. Pistol Opera è proprio una sorta di remake de La farfalla sul mirino, il film del 1967 che gli procurò l’esilio dall’industria del cinema giapponese, pur diventando uno dei suoi titoli più celebri e arrivando ad essere distribuito anche in Italia. È quasi impossibile rendere conto di quello che succede nel film, incentrato sulle gesta di Miyuki, “Gatta Randagia”, uno dei killer pronti a combattersi l’un l’altro per la supremazia all’interno di un clan: con una gamma di riferimenti che spazia dal kabuki a 007 e con un ritmo altalenante tra sospensioni e accelerazioni improvvise, Seijun Suzuki compone una sinfonia caleidoscopica di suoni e colori, in cui ogni angolo illuminato e ogni centimetro di surround acquista un valore preciso. Vertiginosamente stilizzato, violento e beffardo, Pistol Opera è un’esperienza sensoriale al limite dello stordimento, che suona come il monito sensazionale di un vecchio maestro pronto a ricordarci le infinite (e infinitamente trascurate) possibilità espressive della macchina cinema.

Sperimentare la censura: adesso possiamo

the pirate bay logo

Avete mai sperimentato personalmente la censura? No? Avete sempre pensato che la censura fosse una cosa da piccoli regimi del terzo mondo governati da dittatori?

Sbagliato. Adesso potete. Il popolare sito di torrent The Pirate Bay, che promuove il peer to peer e la libertà di espressione su Internet, è stato bloccato per tutti gli utenti italiani in ottemperanza a un’ordinanza del gip di Bergamo emessa nell’ambito di una indagine per violazioni alla normativa del diritto d’autore nel corso della quale è stato sequestrato anche il sito italiano di torrent Colombo-bt.

Attualmente, The Pirate Bay risulta già bloccato da parte di Telecom Italia, Fastweb e Wind, tra gli altri. Tutti però, con i propri tempi tecnici, si dovranno adeguare alle richieste del gip. Il blocco, inoltre, non è facilmente aggirabile perché, a quanto pare, è a livello di ip, non di dns, quindi non basta utilizzare open dns, ma bisogna collegarsi tramite un proxy estero oppure Tor.

Già in Italia la censura era operativa. Risultano infatti bloccati, per gli utenti italiani, parecchi casinò online esteri per impedire che gli italiani possano giocare senza pagare le relative tasse statali. Ma questa volta il blocco è contro un popolare sito internazionale che non fa pirateria diretta (non ospita file sul proprio sito) ed è noto per diffondere anche materiale sui diritti umani e la libertà di espressione. Finora The Pirate Bay non era mai stato bloccato né in Nord America né in Europa. La notizia è così inedita da finire perfino su Google News e attirare commenti un po’ ovunque, sul web internazionale.

L’organizzazione The Pirate Bay ha già fatto sapere che intende presentare ricorso, come ha già dovuto fare in diverse occasioni, vincendo. Nel frattempo ha cambiato l’ip di un sito mirror, LaBaia.org, che risulta attualmente raggiungibile e ospita anche una “Important New for Italian Users” dall’eloquente titolo “Fascist state censors Pirate Bay”.

Come fa giustamente notare Mytech

Nel frattempo la vicenda solleva domande su come sia facile bloccare un sito Internet, in Italia: con la leva del blocco a scopo cautelativo, prima che il processo abbia termine o soltanto inizi. Un sito che- ricordiamolo- non faceva pirateria diretta e sulle cui responsabilità non c’è ancora certezza giuridica. Lo stesso destino finora in Italia l’hanno subito i blog accusati di diffamazione. Ora per la prima volta tocca a un sito internazionale. Quale sarà la prossima vittima: Google, magari per una denuncia a Google News da parte di un editore?

Al di là di questo, fra soldati e censure, resta sempre vivo il sospetto espresso perfino da Famiglia Cristiana “che in Italia stia rinascendo il Fascismo sotto altre forme”.

UPDATE ore 18:20
A differenza di quanto annunciato da vari siti, ho sperimentato che, almeno per ora, il blocco è a livello di dns. Quindi basta sostituire ai dns forniti dal provider altri dns pubblici come quelli di Open Dns che sono 208.67.222.222 e 208.67.220.220 e il sito torna raggiungibile.

UPDATE ore 19:45
Erri informa che anche LaBaia.org non è più raggiungibile. Il blocco è sempre a livello di dns. Quindi basta sostituire ai dns forniti dal provider altri dns pubblici come quelli di Open Dns riportati sopra.

NetNewMusic

NetNewMusic è una comunità online dedicata al mondo della musica contemporanea non-pop.

Ogni membro della comunità ha una propria pagina in cui può anche caricare la propria musica. Esistono forum in cui aprire discussioni sul tema, liste di eventi e tutto quanto serve in un social network.

Se siete interessati la trovate qui oppure potete andare alla mia pagina cliccando il badge sulla barra laterale a destra.

Un giorno speciale

Oggi sembra essere un giorno un po’ speciale per la concentrazione di decessi storici. Per esempio, il 9 Agosto sono morti

  • Jerry Garcia, nel ’95
  • Sharon Tate, il che significa che è l’anniversario dell’azione di Charles Manson (1969), uno degli omicidi rituali più famosi del mondo
  • Hermann Hesse nel 1962
  • Shostakovich nel 1975
  • Leoncavallo (1919)

Inoltre, nel 1945 è stata sganciata la seconda atomica (Fat Man) su Nagasaki vaporizzando all’istante circa 40.000 persone.

Il buco nero prossimo venturo

Secondo l’agenzia di stampa AGI News, il prossimo esperimento del CERN di Ginevra sta seminando il panico in Germania.

È una cosa su cui si discute da tempo. L’esperimento consiste nel lanciare nel Large Hadron Collider (LHC, un anello di 27 km che passa sotto l’aeroporto e il Giura), qualche manciata di protoni e mandarli a collidere l’uno contro l’altro a una velocità pari al 99.999991% di quella della luce e una delle conseguenze dell’impatto potrebbe essere il formarsi di minuscoli buchi neri.

Lo scienziato di Tubinga Otto Roessler sostiene che esiste qualche probabilità che uno dei suddetti buchi neri possa stabilizzarsi e cominciare a crescere divorando materia, mettendo fine all’esistenza della Terra entro una cinquantina di anni.

L’ipotesi e suggestiva e mi piace molto, anche perché entro quella data sarò quasi certamente cadavere. Ricordo che, tempo fa, era stata lanciata anche da alcuni fisici italiani.

Purtroppo, a contestare questa tesi, ripresa con titoli a scatola dalla grande stampa popolare, arriva adesso un documento stilato da oltre 20 autorevoli fisici nucleari di varie università tedesche dal titolo “La Terra non sara’ inghiottita dai buchi neri”. Essi sostengono che, sebbene nell’esperimento del Cern possano effettivamente formarsi dei buchi neri, sarebbero così piccoli da non riuscire a sviluppare alcuna forza di attrazione e scomparirebbero sotto forma di radiazione in una frazione di secondo.

Peccato, Comunque, anche se la probabilità è infinitesima, essa esiste e se davvero, come sostiene il prof. Roessler, con i ripetuti esperimenti che stanno per iniziare al Cern, si produrranno un milione di buchi neri all’anno, uno di questi forse riuscirà a farcela. Io sono ottimista.

Emergenza sicurezza?

Di solito non me ne occupo, ma stavolta mi girano proprio.

Allora, i numeri del rapporto sulla sicurezza e l’allarme sociale del CENSIS sono su tutti i giornali e sono numeri, non opinioni. Dicono:

Morti sul lavoro (dati 2005)

  • Italia 918
  • Germania 678
  • Spagna 662
  • Francia 593

Morti per incidenti stradali

  • Italia 5669
  • Germania 5091
  • Francia 4709
  • Regno Unito 3297

Omicidi

  • Regno Unito 901
  • Francia 879
  • Germania 727
  • Italia 663 (diminuiti del 36.4% in 11 anni)

Omicidi nelle capitali

  • Londra 169
  • Berlino 50
  • Madrid 46
  • Atene 35
  • Bruxelles 33
  • Roma 30
  • Parigi 29

Qualcuno mi spiega dov’è questa emergenza sicurezza?

Qualcuno chiede al governo di spiegare dov’è questa emergenza sicurezza??

C’è qualcuno in parlamento che chieda al governo di rendere conto delle priorità???

Inner Time II

Inner Time II, op.42 (1993), di Horaţiu Rădulescu, è per sette clarinetti in SIb.

La struttura delle altezze è basata su una scala non temperata di 42 note ricavate dalle parziali 6, 7, 8, 9, 10, 11 e tutte le parziali dispari fino alla 83 di un LA basso (enfatizzare le parziali dispari, in effetti, è coerente con il timbro del clarinetto).
La nota derivata dalla 6a parziale è la più bassa e corrisponde al MI basso del clarinetto in SIb; la più alta, quella della 83ma parziale è appena sotto il RE più alto nell’estensione di un clarinetto in MIb.
In questo brano, però, tutti i suoni sono ottenuti da clarinetti in SIb.
Le 42 note della scala sono suddivise fra i 7 clarinettisti: ognuno di loro deve imparare a eseguire 6 note. Dico imparare perché, derivando direttamente dagli armonici, la scala non è temperata, ma naturale ed è richiesta una notevole precisione di intonazione essendo le altezze definite a livello del 64mo di tono. Dorante le prove vengono usati degli accordatori elettronici per aiutare gli esecutori a trovare la giusta intonazione.

Inner Time II è un omaggio ad Alexander Calder (quello dei mobiles). Qui Radulescu applica la tecnica del filtro di registro, il che significa che seleziona solo alcune parti della scala proprio come se vi applicasse un filtro passa-banda. In effetti l’intero brano è uno spostamento graduale dalle alte verso le basse frequenze con tempi diversi, come i vari elementi di un mobile che ruotano gli uni attorno agli altri.
La struttura temporale, comunque, è molto complessa e fa appello anche alla sezione aurea e alla sua controparte, la serie di Fibonacci.
Se volete maggiori dettagli, potete leggere le note di programma (pdf in 3 lingue).

Decisamente un bel brano, affascinante anche se non facile perché Radulescu non conosce compromessi, basti pensare che il tutto dura quasi un’ora e lo svolgimento è molto lento.

Il lavoro degli esecutori, poi, è superbo, anche se, quando sento brani di questo tipo giocati tutti sulla precisione dell’intonazione che va oltre il sistema temperato, mi chiedo se non sarebbe il caso di utilizzare l’elettronica, senza sottoporre gli esecutori a inutili crudeltà.

Potete scaricare Inner Time II in FLAC dal Internet Archive

Horaţiu Rădulescu – Inner Time II, op. 42 – flac format
Armand Angster clarinet system

La Verità svelata dal Tempo

Il Tempo svela, ma Palazzo Chigi vela. Magari, fra tutto quello che fanno, non è nemmeno la cosa peggiore, però è indicativa.

Dunque, a quanto pare, a Palazzo Chigi hanno dato un ritocchino alla copia del quadro del Tiepolo “La Verità svelata dal Tempo” che fa da sfondo per la sala delle conferenze stampa. Il tutto per impedire che la vista di un capezzolo e dell’ombelico potesse turbare qualche telespettatore.

Questa è la spiega ufficiale di Bonaiuti che è alquanto buffa pensando a cosa passa normalmente sulle TV del premier (e anche sulle altre).

Non ho parole (anzi, le ho, ma è meglio che non le scriva). Mi limito a far notare che, sebbene sia una copia, è una copia di qualcosa che ha una sua identità, non un’immagine qualsiasi che si può modificare impunemente. Il Tiepolo non l’ha rilasciata in Creative Commons. Sfortunatamente non è più protetta dal diritto d’autore, altrimenti potremmo fare appello alla SIAE.

Comunque questi non hanno rispetto per niente. Se qualcosa non risponde ai canoni, si modifica, qualsiasi cosa sia. La metafora della Verità svelata dal Tempo e censurata da Palazzo Chigi, però, è significativa.

L’articolo del Corriere, le immagni di Repubblica, la Stampa.

Soft Morning, City!

Un altro brano di Tod Machover dopo Light. Anche questo è distribuito da AGP da cui potete scaricarlo in formato FLAC.

Si tratta di Soft Morning, City! che presentiamo con le note dell’autore, è per soprano, contrabbasso e suoni elettronici sia sintetici che ottenuti elaborando gli strumenti. Il testo è tratto dal monologo di Anna Livia Plurabelle, nel Finnegan’s Wake di James Joyce.

Soft Morning, City! (which was commissioned by the Calouste Gulbenkian Foundation for Jane Manning and Barry Guy) presents its qualities more immediately and directly. This is due mostly to the presence of James Joyce’s text, the final monologue from Finnegans Wake. The particular passage that I have chosen here has interested me for many years. Coming at the end of this monumental epic, it is a melancholy and moving swansong of the book’s main female character, Anna Livia Plurabelle. Now appearing as a washerwoman, she recalls her life as she walks along Dublin’s River Liffey at daybreak. Many different planes of narrative are interlaced, the mundane with the spiritual, the sexual with the aesthetic, the personal with the universal. Joyce achieves the closest thing to the temporal parallelism of music by snipping each layer of narrative into short, constantly varying and overlapping phrases. The great beauty is that Joyce creates not the eclectic choppiness that such a procedure might suggest, but a majestic form of tremendous power and sweep. It seems to me that Joyce achieves this through an organization of the over-all sound of the passage in an unprecedented way. Listening to a reading-aloud of the text, one is carried by its cadences, tidal flows, crescendos and dvina-awavs, even while being sometimes onlv half-sure . , of the meaning of certain words. it is the rare combination of polyphonic verbal richness with inherent sonic structure that makes it ideal for a musical setting.

My setting takes the form of an aria, though a rather extended and elaborate one. Attention is always focused on the soprano, who alternates between long melodic lines and short interjections that change character quickly. The double bass lends support to the soprano, provides harmonic definition and melodic counterpoint, and often adds musical commentary.

The computer tape helps to amplify, mirror and extend the myriad reflections of Anna Livia, but at the same time acts as a unifying force. To emphasize closeness to the live performers, a new process is added whereby soprano and double bass music is directly transformed by the computer, producing at times sounds that seem to fuse the two into one musical image.

The work begins in stillness, with the soprano evoking the atmosphere of morning, surrounded by an ethereal transformation of her own breath. With the entrance of the double bass, various different strands of the textual polyphony are introduced one after the other, each with characteristic music. As the sonority of the tape gets closer to that of the live instruments, the musical layers begin to overlap with greater rapidity. In the lengthy middle section, many different layers are superimposed so that at the moment of greatest intensity and complexity a new unity is formed.

From this plateau, the rest of the work is built. Quiet communion is achieved between soprano and bass. This leads directly to a long melodic section, with soprano accompanied by a continuous harmonic progression in bass and tape.

After a final moment of lonely reflection (“O bitter ending!…”), an enormous wave washes over Anna Livia and carries her away. A quiet coda uses delicate, distant images to recall the stillness of the work’s opening. A chapter is closed, a deep breath taken, and we prepare, led by Joyce’s Liffey (“Riverrun…”), to begin again.

Tod Machover, Soft Morning, City!, per soprano, contrabbasso e suoni elettronici.
Testi tratti da “Finnegans Wake” di James Joyce
Jane Manning, soprano; Barry Guy, Double Bass. Computer parts realized at IRCAM, Paris

Ristorante?

La Cina si attrezza per le olimpiadi e parte del lavoro consiste nel tradurre le insegne e i cartelli indicatori in inglese. Trattandosi di frasi brevi o singole parole si possono utilizzare anche i traduttori automatici online, ma non sempre il sistema funziona e se chi traduce non ha la minima conoscenza dell’inglese…

Gli ideogrammi della foto significano semplicemente “ristorante”, ma quel giorno Google Translate (o Babelfish) aveva qualche problema.

D’altra parte, anche quando il servizio funziona, spesso produce risultati non proprio esaltanti.

Via AdFreak

Night Visions

Troy Paiva è un fotografo ed esploratore urbano, che gira per gli USA e non solo, immortalando rovine e luoghi desolati con la sua tecnica preferita: foto notturne prese in luce naturale con pose molto lunghe (fino a 6 minuti) e a volte dei piccoli flash spesso colorati a illuminare alcuni particolari.

Ora ha raccolto i suoi scatti in un libro, Night Visions, di cui potete ammirare qui una selezione. Eccone alcuni esempi (clicca per ingrandire).

L’effetto è incredibile. I cieli sono splendidi e a volte le tracce lasciate dalle stelle rivelano le lunghe pose, mentre gli oggetti, differenziati dalla luce dei flash, sembrano entità aliene.

 

 

O Superman

Il web magazine dello Smithsonian American Art Museum ha pubblicato una breve intervista con Laurie Anderson che ricorda anche il momento in cui è diventata una star con O Superman negli anni ’80.

La storia è divertente:

I didn’t know anything about the pop world. I was just an artist in New York and I had made a record that I was distributing by mail order. People would call me up on the phone and say, “Can I get this record?” I would go over to a carton, pick it up and go to the post office with it. I had pressed 1,000 records of something I had done on an NEA grant called O Superman. Then I got a call one afternoon from a guy in Britain who said “I’d like to order some records. I’ll need 40,000 Thursday and 40,000 more on Monday.” So I said, “Right. Okay. I’ll get right back to you.”

I called Warner Brothers and said, “Listen, I need to press a bunch of records, could you help me with it?” And they said, “That’s not how we do things at Warner Brothers Records. What we do is you sign an eight-record deal.” And I was like, “What?”

So that’s what I did, because I thought that could be interesting. I tried very hard not to be seduced by that kind of world. I had a lot of fun with it. You get out of a car and everyone is screaming, it was just funny for me. They were like, “Can I get your autograph? Oh my god!” and “It’s really you.” For me I felt like an anthropologist.

E visto che c’è su You Tube, tanto vale rivederselo

Light

AGP ha ripubblicato recentemente alcune incisioni di musica elettronica degli anni ’80 che trovate nell’Internet Archive ai numeri 106, 107, 108 da dove potete scaricarle in FLAC.

Il 107 contiene due brani di Tod Machover, compositore americano del 1953 molto attivo anche in area multimediale.

Qui vi faccio ascoltare Light, un pezzo del 1979 scritto per l’Ensemble Intercontemporain più due flussi elettronici preregistrati ottenuti mediante elaborazione di suoni strumentali.

L’autore spiega in dettaglio il brano:

The piece takes its title from a quote by Rider Haggard, the English fantasy author: “Occasionally one sees the Light, one touches the pierced feet, one thinks that the peace which passes understanding is gained – then all is gone again.” The atmosphere and expressive content of the work reflect these words, which also influenced the choice and treatment of musical materials.

From a single melody (heard in entirety only at the climax of the piece) a complex polyphony is developed that creates layers of simultaneously overlapping, shifting musical planes, like independent clouds that move each at its own speed, and part momentarily to allow rays of light to pass through. Each of these layers is characterized by a different musical elaboration of the same basic materials. The largest contrast is between the instrumental ensemble (14 players) and two separate computer-generated 4track tapes. Each of these tapes represents a different (and opposing) approach to the elaboration of musical structures. The first uses traditional instrumental timbres and playing techniques as a starting point and transcends the “normal” by extending past the human capacities. The second explores microscopic details of sounds derived from these same instruments, although the connection between the two worlds is made clear only gradually during the course of the piece.

The instrumental ensemble is musically situated between these two approaches. It is divided into four sub groups (string quartet; woodwind quartet; piano, harp and wood/skin percussion; trumpet, trombone and metal percussion), each of which develops a distinct set of musical tendencies, and possesses a clear timbral identity. The piece was conceived for IRCAM’s experimental concert hall, or Espace de Projection, where all acoustical and physical characteristics are controllable. The instrumental ensembles are placed in the four comers of the room, on platforms, with the public seated in the middle. Tape I is distributed through 4 speakers, one placed over each instrumental group, thus emphasizing the “instrumental” departure point for this tape’s electronic sound. Tape II emanates from a set of 4 speakers placed on the ceiling of the hall, to exaggerate the separateness of this ethereal and delicate murmuring that develops gradually into the thunderous crashes that mark the climax of the piece.

The piece begins by emphasizing the distinctness of all its various layers. Each group follows its own developmental principles in a section that culminates in a series of cadenzas. After each group has had its say, all material is combined in the large solo of Tape I which builds until the first crashes of Tape II. In the quiet that follows, a new, more homogeneous order is built up gradually, and leads to a final section of delicate chamber music, where equality prevails among all the diverse elements. The main harmony of the piece provides the basis for a meditative coda, which dissolves into the isolation and bareness of the final piano notes, a shadow of the defiance and brilliance shown by the same instrument at other points of the piece.

The musical form is dramatic, the expressive mood quite romantic, and both are founded on a conviction of mine: that faced with todafs confusing kaleidoscope of equally valid parallel lifestyles, cultures and ideas, the only response is to search quietly but resolutely for a deeper truth, perhaps out of nostalgia for a lost simplicity, but hopefully from a courage aid belief in a “new order” of synthesis and unity behind the surface choas. It is this search that I have tried to portray in Light.

Tod Machover – Light (1979), per ensemble e suoni elettronici
Members of the Ensemble InterContemporain with two computer-generated tapes. Conducted by Peter Eötvös. Computer parts realized at IRCAM, Paris.

Vuoti e/o abbandonati

Non so voi, ma io sono affascinato dai grandi ambienti vuoti e/o abbandonati.

Il fatto è che, anche se non si notano, le città ne sono piene ed esistono dei gruppi di persone il cui hobby è scoprirli ed entrarci per puro spirito esplorativo e di documentazione. Mi sono imbattuto per la prima volta in una di queste “bande” verso il 1990/91 a Mosca e ho fatto un po’ di giri nei sotterranei della città.

Alla fine ho scoperto che ci sono anche dei blog e dei siti che se ne occupano, alcuni stabilmente, altri saltuariamente. Qui su Dark Roasted Blend, per esempio, potete vedere le immagini di

  • una miniera di sale abbandonata in Romania
  • una base sottomarina sovietica
  • la metropolitana abbandonata di Cincinnati

Ma quello che mi ha colpito di più sono gli enormi spazi scavati sotto Tokyo per far defluire le acque di una eventuale inondazione o di un tifone. Sono tenuti puliti e in ordine, con la consueta precisione giapponese. Click to enlarge.

Le cose cambiano

Infine, a un anno e mezzo dalla presentazione (gennaio 2007), l’iPhone è arrivato ufficialmente anche in Italia.

Considerando anche la coincidenza delle date, non posso fare a meno di pensare che, a 30 anni di distanza, nel 1977, la stessa persona, Steve Jobs, presentava al mondo un altro prodotto destinato a rivoluzionare le comunicazioni, il modo di lavorare e di divertirsi e cioè l’Apple II, il primo vero microcomputer di massa.

E non posso fare a meno di pensare a una grande differenza fra questi due prodotti. Il vecchio Apple II era aperto, in tutti i sensi. Chiunque ne avesse le capacità poteva programmarlo. Tutte le informazioni necessarie, compresa la mappa della memoria di sistema, erano stampate sui manuali e in effetti le vendite dell’Apple II cominciarono a schizzare quando alcuni programmatori indipendenti crearono le prime “killer application”, come Visicalc di Dan Bricklin (il primo foglio elettronico, 1979; dal sito di Dan Bricklin è possibile scaricarne liberamente una versione perfettamente funzionante (basta salvarlo come file VC.COM); Il programma occupa solo 27 Kb).
Ma l’Apple II era aperto anche dal punto di vista hardware. Si poteva aprire e smontare. I manuali contenevano lo schema della motherboard. Tutto era perfettamente visibile. Non c’erano segreti nell’Apple II. Più che un sistema, era una piattaforma che spingeva i programmatori a creare applicazioni e i tecnici hardware a fabbricare schede.

Al contrario, l’iPhone è chiuso. Non si può programmare. Soltanto Apple può cambiarne i contenuti via update remoto. Le sue funzionalità sono protette ed Apple ha già minacciato chiunque pensasse di sbloccare il codice originale per per farvi girare anche altre applicazioni. Alla fine qualcuno lo farà perché è una sfida, ma lo farà clandestinamente e soltanto pochi potranno beneficiarne.

La differenza essenziale è questa: mentre una volta tutto il mondo ha creato innovazioni per l’Apple II, ora soltanto Apple potrà innovare per l’iPhone. Il primo era generativo, il secondo, al massimo, è funzionale.

Apple II iPhone

Update

Mi è stato fatto giustamente notare che l’iPhone SDK, con tutto il necessario per programmarlo, è scaricabile gratuitamente da un apposito sito Apple.

Però “Free sign up as a Registered iPhone Developer required to download the iPhone SDK”

e praticamente vogliono sapere chi sei, compreso indirizzo fisico e email valida. Questo è quello che mi dà fastidio. Perché devo identificarmi anche solo per vedere come è fatto l’iPhone?

Taiko

Taiko (太鼓, o daiko nei composti) significa tamburo in giapponese. In realtà ne esistono diversi tipi, ma ormai, al di fuori del Giappone, questa parola designa tutti gli ensemble di tamburi.

L’origine del taiko è legata al Gagaku (雅楽, letteralmente “musica elegante”), uno stile musicale di corte molto antico tramandato attraverso i secoli (si esegue tuttora), ma ben presto questi tamburo trovarono anche un impiego militare.

Lo stile moderno, quello noto in tutto il mondo e che vediamo nel filmato, è recente. Venne fondato del 1951 da Daihachi Oguchi, un batterista jazz nato nel 1924 e morto il 27 giugno di quest’anno. Secondo la leggenda. Oguchi mise insieme il primo ensemble con diversi tamburi e vari esecutori volendo aggiungere un tocco più ritmico ad un brano che doveva eseguire dirante una cerimonia in un tempio. L’idea, poi, si diffuse e vennero fondati molti ensemble che svilupparono il concetto del taiko ensemble secondo i criteri di spettacolarità che vediamo nelle esibizioni attuali.

Esistono, tuttavia, varie combinazioni di esecutori e tamburi, che vanno dai normali ensemble con molti tamburi e molti esecutori, passando per molti tamburi con un solo esecutore oppure un tamburo con più di un esecutore, fino a un tamburo e un solo esecutore. In questa performance si possono vedere tutte queste combinazioni.

È interessante notare, infine, che i taiko sono spesso ricavati da un unico pezzo di legno ottenuto scavando il tronco di un albero sufficientemente grosso.

Dementia 13

Dementia 13 è un film horror scritto e diretto da Francis Ford Coppola nel 1963 che ora è disponibile su youtube con sottotitoli anche in italiano.

Valle Arcana

La teoria della “Uncanny Valley” (valle arcana, misteriosa) è un’ipotesi legata alla robotica che riguarda la risposta emotiva degli esseri umani rispetto a robot ed altre entità non umane. È stata introdotta dal roboticista giapponese Masashiro Mori nel 1970.

L’ipotesi di Mori afferma che più un robot ha sembianze o movimenti umanoidi più è alta la risposta emotiva di un essere umano nei suoi confronti.

Questa diventa sempre maggiore fino a che l’essere umano ritiene il robot troppo perfetto e notandone i difetti quella che era attrazione diviene repulsione se non addirittura paura.

Tuttavia se l’apparenza e i movimenti diventano sempre più simili ad un essere umano senza che si possano notare delle differenze allora l’approccio diventa come tra essere umano ed essere umano.

Questa area di risposta emotiva repulsiva tra un robot con apparenze e movimenti umani ed un essere umano è chiamata Uncanny Valley ed è evidenziata in figura.
[testo e immagine da wikipedia]

uncanny valley

La teoria è molto interessante e in effetti è alla base di romanzi e horror film, ma ormai è verificabile anche nella vita reale. Per esempio, le scimmie piacciono tanto più sono simili all’uomo e più esibiscono un comportamento analogo a quello umano. Ma questo vale solo se sono visibilmente scimmie. I robot troppo simili all’uomo, invece, fanno paura.

Se però si supera una certa soglia di somiglianza si hanno reazioni opposte. Recentemente in Australia e negli USA sono stati segnalati casi di poliziotti che hanno infranto vetri per salvare del neonati abbandonati per ore in auto, neonati che poi si sono rivelati delle bambole molto somiglianti alla realtà, come nel caso di quelle fabbricate da Vynette Cernik.

Rock Renaissance

Il sito Worth 1000, che si occupa di arti visuali, ha alcune gallerie in cui gli utenti sono invitati a ritoccare con Photoshop (ma io direi pure “taroccare”) quadri famosi seguendo un tema.

Qui vi metto alcuni gustosi estratti da quella intitolata Rock ‘n’ Ren (ma il titolo è indicativo perché i quadri non appartengono solo al rinascimento – click to enlarge)

Pubblicato in Arte

Video senza videocamere

L’ultimo video dei Radiohead, “House of Cards”, è stato realizzato senza videocamere e luci e tuttavia non si tratta di una scena completamente ricostruita al computer. Al contrario, è ricco di elementi reali.

Sono state utilizzate alcune recenti tecnologie di scannerizzazione tridimensionale che acquisiscono informazioni sulle forme e le distanze degli oggetti, generando una serie di dati che costituiscono una descrizione geometrica della scena analoga a quella di plotting 3D.
Non si tratta di una immagine tradizionalmente intesa, cioè una foto digitale, ma della posizione di una serie di punti a partire dai quali si genera l’immagine tramite un rendering.

Si capisce molto meglio guardando il video: si vede benissimo che l’immagine è un insieme di singoli punti.
Notate anche come, alla fine del video, mentre l’ultimo accordo sfuma, anche parte dell’immagine si sfaldi con i punti che fuggono via.

Il vantaggio di questa tecnica è che la scena non è fissa, ma si può manipolare, ruotare, vedere da diversi punti di vista, entrarci dentro, etc: tutte le cose che normalmente sono possibili con i software di 3D rendering.

Le tecnologie utilizzate sono di Geometric Informatics per i volti e Velodyne LIDAR per le scene a campo lungo.

Qui potete vedere il video da You Tube

After the Summer Rain

L’esplorazione estiva di Art of the States continua con questo brano per pianoforte amplificato e parte elettronica che ha alcuni momenti decisamente deliziosi, anche se a tratti si perde in qualche estetismo, ma nel complesso l’insieme mi sembra buono.

L’autore è Hideko Kawamoto, nata in Giappone nel 1969 e cresciuta musicalmente negli USA dove risiede.

Note di programma:

After the Summer Rain for amplified piano and two-channel tape, dedicated to the memory of Clarence Asher Peevey (17 July 2000 – 28 July 2000), was inspired by Rainer Maria Rilke’s poems ‘(Nos Pleurs)’ and ‘Before the Summer Rain’ (1906).

The visual images of a summer forest, including rain pouring onto trees, shiny silver spider webs, and dark wet ground … were transferred into sounds using piano as the basic sound source for creation of the tape part … The piano part represents a person who has been inside the wet forest after experiencing the heavy summer rain. The tape part represents the natural phenomenon of the summer forest.

This piece is Part II of Summer Rain, composed immediately after Part I, Summer Rain – Dawn (2000) for two-channel tape.”

[Hideko Kawamoto]

Hideko Kawamoto – After the Summer Rain (2000), for amplified piano and two-channel tape
Corey Jane Holt, piano

Everest panorama

western cwmGuardate questo panorama realizzato dal danese Hans Nyberg e se non vi emoziona, preoccupatevi almeno un po’.

Perché questo è il mondo visto dal suo punto più alto. Un luogo che, per una strana ironia, è uno dei posti più inospitali del pianeta e forse proprio per questo, più emozionanti.

Quando si arriva in aereo a Kathmandu. si vede la cima delle montagne in distanza e ci si rende conto che i picchi più alti sono all’incirca alla stessa altezza dell’aereo. È incredibile e inquietante il pensiero che, scalando l’Everest, si mettono i piedi all’altitudine di crociera di un Boeing 747.

Io non ci sono mai arrivato sulla cima e nemmeno vicino, ma, quando ero giovane, ho camminato sul Western Cwm (nella foto, cliccatela), la valle del silenzio, oltre la seraccata del Khumbu, a 6000 + qualcosa metri e qui, circondati dal Nuptse, dal Lhotse e dall’Everest, ci si rende conto che il pianeta è incredibilmente più grande e potente di te e che merita un immenso rispetto…

a pressure triggering dreams

“a pressure triggering dreams” (1996-1997) è un brano del compositore americano David Felder (b.1953), per orchestra ed elettroacustica dal vivo nella forma di campioni di flauto elaborati elettronicamente e affidati a un campionatore per l’esecuzione. Completano la parte elettrica un basso elettrico e una amplificazione selettiva di alcuni strumenti.

Concettualmente ho qualche riserva (i.e. perché proprio suoni di flauto?), ma il risultato sonoro non è male, frenetico e ad alta energia, anche se gli interventi elettronici si sentono solo in particolari punti e a volte si fatica a discernerli nella massa orchestrale.

Ma forse questo è proprio quello che il compositore voleva. Comunque ognuno può farsi la propria opinione. Ecco le note di programma e il brano

“The work a pressure triggering dreams was commissioned by the American Composers Orchestra for Carnegie Hall, for a premiere in May 1997 … [It] was to be a work that included electronics. I elected to respond to this request by incorporating a companion ‘orchestra’ consisting entirely of computer-processed flute sounds within the orchestral tapestry and to expand the orchestra by using live sampler keyboard, electric bass, and by selectively amplifying solo instruments. […]

“The title is a rough translation of some remarks made by Friedrich Nietzsche in The Birth of Tragedy (1870-1871) when he is speaking of the effect of Richard Wagner’s musical language upon the listener — this remark characterized my subjective response to the piece I was then composing and therefore serves as a kind of emblem for the composition. A wide variety of materials (extracted from my series of ‘Crossfire’ pieces — soloists, electronics, video, and computer processing of acoustic materials made by the individual musicians) is deliberately compressed in the attempt to create an atmosphere of saturation somehow related to the experience of persistent musical afterimages suggested by Nietzsche’s brilliant observations. […]”

David Felder – a pressure triggering dreams (1996-1997), per orchestra e elettronica
Buffalo Festival Orchestra, Harvey Sollberger, conductor

Apocalypse Now

apocalypse nowTornato un po’ tardi da Trento (dove piove), mi trovo catapultato in mezzo ad Apocalypse Now Redux (la versione del 2001), trasmesso sul terzo.

Non riesco mai a staccarmi da questo film quando lo vedo. Penso che sia uno dei film più potenti dell’intera storia del cinema. Credo di averlo visto ormai almeno 30 volte, non perché lo rimetta su continuamente (capita solo quando lo qualcun altro, tipicamente più giovane di me, lo vuol vedere), ma proprio perché non riesco a cambiare canale quando lo fanno in TV. Ormai so le battute a memoria.

La guerra del Vietnam non è stata solo storia per me. È iniziata quando avevo 10 anni ed è finita quando ne avevo 21. Sono andato a decine di funerali a quell’epoca. Padri e fratelli maggiori dei ragazzini americani con cui giocavo. Ho scritto altrettante lettere di partecipazione e condoglianze. Ho sentito i racconti di quelli che sono tornati, al punto da sognarmela.

Secondo me, la nuova versione del film, con tutte le scene che erano state tagliate nella versione precedente, non aggiunge un gran che al lavoro di Coppola, ma ha un pregio: lo rende più lungo e la storia del capitano Willard che risale il fiume su una PBR (una barchetta di plastica, peraltro ben armata) dall’assurdo nome in codice di “Street Gang”, ha bisogno di tempo.

Willard, risalendo il fiume in cerca di Kurtz, ad ogni passo, perde parte della sua umanità. I suoi compagni, uno dopo l’altro, perdono la vita, tranne uno che riesce ad astrarsi sufficientemente da restare vivo.

O forse no. Sono ancora indeciso.

Willard, risalendo il fiume in cerca di Kurtz, ad ogni passo, recupera parte della sua umanità andando oltre ogni convenzione sociale, ogni ipocrisia, ogni finta pietà, laggiù, dove Kurtz è già andato. La storia dei bambini vietnamiti vaccinati dagli americani a cui i vietcong tagliano il braccio vaccinato è tanto crudele quanto perfetta (“E allora ho capito che loro erano più forti di noi…”).
Willard matura il suo Cuore di Tenebra. Quello che, forse, sarebbe dovuto essere il vero titolo del film, come il romanzo di Joseph Conrad (uno dei più grandi scrittori in lingua inglese, che era, in realtà, polacco) da cui il film dice di essere “liberamente tratto” (così liberamente che in certi punti sono uguali perfino le battute).

Comunque, è solo per questo che alla fine riesce ad uccidere Kurtz. E quando esce, per tutti è il nuovo Kurtz secondo una consuetudine tribale che ha salde radici nella parte rettiliana del nostro cervello, largamente usata nei romanzi e nel cinema (e.g. “Chi uccide un capo Necromonger diventa il nuovo capo Necromonger”, The Chronicles of Riddick).

Ma Willard sfugge alla regola. Recupera Lance, l’unico sopravvissuto ormai perduto in un suo mondo allucinato, risale sulla PBR e punta la prua, dove?? Ridiscende il fiume tornando alla pseudo-civiltà che lo aveva spedito ad uccidere un colonnello dei berretti verdi, un suo compatriota, perché “I suoi metodi sono … malsani”, oppure si dirige contro corrente, verso la sorgente del fiume, verso il nulla?

Infine, due parole su RAI3 che riesce ad avere qualche sprazzo di intelligenza, ma per il resto si allinea alla spazzatura imperante.
Vi sembrerà un discorso inutile, ma, per me, vedere la pubblicità in questo film è come imbattersi in una merda in mezzo a una mostra di Kandinsky e non merda d’artista, ma merda e basta. L’idea, poi, di piazzarci in mezzo il TG testimonia della bassa considerazione, non solo del film, ma soprattutto del pubblico.
E alla fine, come ormai fanno tutti, niente più titoli di coda.

Amok!

Un’orchestra di gamelan campionati è quanto esce dalle mani di Evan Ziporyn, compositore americano nato nel 1959, che si dice fortemente influenzato dalla cultura balinese.

Il brano, in 6 movimenti, si intitola Amok! ed è del 1997. L’autore scrive

[Amok!] uses sample technology and the incredible virtuosity and dedication of the musicians to create an impossible musical landscape, a virtual gamelan and then some. Our voracious sampler eats up the whole gamelan and spits it out again, with chromatic gong scales, gigantic gangsa chord-clusters, six reong sections in different keys. Robert Black’s effect boxes and triggering devices allow his bass to match the 25-piece gamelan blow for blow. Melodies begin in the gamelan and find themselves someplace else; simple bass melodies, transformed by delay and harmonization, find their way to Bali and end up sounding almost traditional. The technology makes anything possible with enough megabytes of memory, and the exhiliration this creates is matched only by the terror of figuring out what to do with it. As soon as one abandons the safety of traditional form, western or Balinese, what is to be done? Nothing but to run amok and see what’s left standing when the smoke clears

 

  • Evan Ziporyn – Amok! in una playlist che comprende i 6 movimenti + Trial Fire in 5 mov.

Robert Black, double bass
Gamelan Galak Tika
Evan Ziporyn, director, kendang (barrel drum)
with
Dan Schmidt, sampler
Alex Rigopulos, gamelan sampling

 

I Am Not A Computer

Pur nella totale banalità post-minimale di una musica che ruota attorno a un centro vuoto senza privilegiare nessuna direzione, Paul Laino va un passo oltre Eno, Nyman e simili e riesce ad essere quasi emozionante in questo piccolo saggio multimediale in cui una macchina sembra cercare una umanità.

Composer’s Note:
Through juxtaposition, this piece comments on the struggles of intercommunication. The video displayed should not be looked upon as an accompaniment, but rather an essential member of the ensemble.

Music Composed and Recorded By: Paul T Laino
Video Shot and Directed By: Pete Bune
Edited By: Henry Quindara

Copyright 2008

Conductor: Christian Alonzo
Vibraphone: Patrick O’Reilly
Juno-60 Synthesizer: Originally Performed By: Gregory Post, Recorded by: Matthew Carrington
Cello: Matthew Vann

Video shot on location in Brooklyn, NY

Diatribes

diatribesUn po’ di free jazz condito con elettronica non fa mai male.

Diatribes, a strongly libertarian ensemble, began its existence in a Geneva basement in Winter 2004. Their idea was to mix three distinct types of sound (electronic, wind and percussion), in order to develop a malleable musical mass. The saxophone and drums merge into each other in a primary dance, where construction and deconstruction coexist, and envy and disgust unite. There are no limits to their sound, where rhythms, melodies and noise meet sporadically, merging into each other until they are almost forgotten. Free jazz in its approach, acoustic and electronic in its execution, the trio is capable of exploring the minute like the intense. Their relationship with the public is intimate and profound. Dreams and fears become noise and silence…

Initialy a trio with Gaël Riondel on saxophone, diatribes became a polymorphous fromation, extending its spectrum to other musicians such as the guitarist Christian Graf, the electroacoustician Nicolas Sordet, the pianists Jacques Demierre and Johann Bourquenez.

Download the whole here. Listen to some tracks

Cyril Bondi: drums, percussions
d’incise: laptop, objects, live treatments
Dragos Tara: doublebass (on 1.3.5.7)
Piero SK: soprano saxophone (on 2.4.6)

Jim Denevan

Jim Denevan è un land artist. Disegna su sabbia e su laghi salati asciutti. E disegna forme colossali interamente a mano, camminando per miglia e miglia, senza accurati strumenti di misura.

Con il suo intervento marca un luogo, stabilisce relazioni di distanza, crea un paesaggio da percepire ed esplorare in un ambiente altrimenti piatto. Un paesaggio la cui esistenza è effimera perché le sua tracce vengono cancellate dall’acqua e dal vento e alla fine non ne resta nulla.


Jim Denevan makes freehand drawings in sand. At low tide on wide beaches Jim searches the shore for a wave tossed stick. After finding a good stick and composing himself in the near and far environment Jim draws– laboring up to 7 hours and walking as many as 30 miles. The resulting sand drawing is made entirely freehand w/ no measuring aids whatsoever. From the ground, these drawn environments are experienced as places. Places to explore and be, and to see relation and distance. For a time these tangible specific places exist in the indeterminate environment of ocean shore. From high above the marks are seen as isolated phenomena, much like clouds, rivers or buildings. Soon after Jim’s motions and marks are completed water moves over and through, leaving nothing

Suona un po’ questa…

Some weird scores. Click the image to enlarge.

The three scores below are by John Stump, composer of several joke musical scores which are impossible to play, wildly complex and contain bizarre stage warnings such as “shock therapy may be necessary to finish”.

The fourth is by the japanese composer Yamasaki Atushi. I have no info about him.

IMSLP ha riaperto

Come già annunciato, l’International Music Score Library Project, la biblioteca di spartiti musicali di pubblico dominio, ha riaperto i battenti da Luglio.

Già più di 10.000 partiture sono disponibili. Il sito risiede in Canada e segue le leggi locali secondo le quali il copyright decade dopo 50 anni dalla morte dell’autore, mentre in altri stati i termini sono più lunghi (75 anni da noi). Di conseguenza, all’atto del download, è stato aggiunto un disclaimer che avvisa l’utente di questo possibile problema e lo invita a rispettare i termini in vigore nel proprio paese. Speriamo che basti.
Il problema, comunque, si pone solo per gli autori del ‘900.

Ora c’è anche un forum su cui discutere di argomenti musicali.

Senbazuru

craneIn Giappone la gru è un animale mistico e si dice che possa vivere per 1000 anni.

Un’antica leggenda giapponese promette il realizzarsi di un desiderio a chiunque sia in grado di fare 1000 origami a forma di gru, chiamati Senbazuru.

Questo sito web farà i 1000 origami per voi. Esprimete un desiderio e premete Enter. Un po’ banale, ma poetico.


The crane in Japan is one of the mystical or holy beasts and is said to live for a thousand years. An ancient Japanese legend promises that anyone who folds a thousand origami cranes, known as a Senbazuru, will be granted a wish by a crane.

This website will fold a thousand cranes for you.

By Ann-Marie James

Voyage Into The Unknown

start

Voyage Into The Unknown è una avventura multimediale in cui l’utente rivive il famoso viaggio lungo il fiume Colorado di John Wesley Powell nel 1869. Si tratta della prima seria esplorazione di questo immenso territorio che comprende anche il Grand Canyon.

Si svolge su una mappa annotata con osservazioni, diari, eventi e strade. Non è impegnativo. Non è un gioco e nemmeno uno spazio virtuale tipo Second Life. È semplicemente una ricostruzione delle tappe e degli accadimenti di un viaggio che, alla fine, può essere vista anche come una re-invenzione basata su dati storici.

Io l’ho trovato affascinante. È free ed è in rete


Voyage Into The Unknown is a multimedia adventure in which users join John Wesley Powell’s famous journey down the Colorado River beginning May 25 1869. You will discover a landscape dotted with observations, competing diary notes, and side routes – some of which may be deadly… You will travel across writing modes as well as spaces. Knowledge comes in integrating many such modes. Here, first comes the adventure, then comes its representation. Much later, comes critical examination, and, perhaps, as a whole, re-invention…

This work is free and on-line.

Lezione di Theremin

Ultimamente registro un aumento delle domande sul theremin, segno di un rinnovato interesse per questo strumento.

Beccatevi questa lezione di Thomas Grillo, in cui mostra chiaramente la tecnica sviluppata da Clara Rockmore per controllare l’intonazione e il vibrato, così vi fate un’idea.

E notate che lui ha un bel theremin, quello della Moog, non una cosa qualsiasi.


Drei Klavierstücke op. 11

Francamente, in questi giorni e fino a fine mese, fra esami, lezioni finali e composizioni, ho molto meno tempo di quanto ne servirebbe, per cui, ecco qualche post veloce e un po’ accademico.

La Piano Society pubblica una buona esecuzione dell’op. 11 di Arnold Schoenberg composta nel 1909 (in realtà sono due, ma solo una, quella di Hector Sanchez, è completa, mentre Irina Klyuev esegue solo il terzo movimento).

Dopo il momento di rottura con il passato segnato dalla Kammersymphonie op. 9 e i primi tentativi di sganciamento totale dalla tonalità che risalgono all’ultimo tempo dello Streichquartett op. 10, questa è l’opera con cui Schoenberg entra decisamente nell’atonalità anche formalmente (niente più alterazioni in chiave).

Come spesso gli accade quando fa un passo innovativo importante, Schoenberg si rivolge al passato alla ricerca di un supporto formale che assicuri l’unità dell’opera (comportamento a lungo criticato nei suoi confronti). Si notano, infatti, alcune reminiscenze wagneriane nell’apertura del primo brano, l’uso del contrappunto, sempre nel primo brano

schoenberg op. 11, 1

e l’influenza di Brahms (per quanto riguarda la tessitura, non l’armonia) nel secondo brano (Schoenberg è sempre stato legato a Brahms, come testimonia un suo articolo dal titolo “Brahms il progressivo”).

Schoenberg op. 11, 2

Come è tipico della Piano Society, gli esecutori sono entrambi giovani. Potete ascoltare i brani completi soltanto andando sul sito, dove è disponibile anche la partitura del terzo movimento (purtroppo non è più possibile linkare i file pubblicati sul sito della Piano Society).

Tuttavia l’opera completa di Schoenberg si può ascoltare liberamente anche dal sito dell’Arnold Schönberg Center in cui è stato realizzato questo bel Jukebox.

Ecco, quindi, dal suddetto sito,

Seroton

This new sound output [Seroton EP] of Sascha Neudeck (biochemist and musician, based in vienna) is to carry out a test by the idea of different drone-interpretations. It is more a collection of different quotations in doing with such these topics. The result is quite different to his previous work, which was more noise- and random-oriented. This new section is quite a try to arrange such these things – from totally abstract elements to poetic narrative parts. Different ideas come out from an abstractness and get into an often sparely melodic part – otherwise a changeover from the lightness of sound into a deep and noise drone, which is interrupted by fragement spikes of sound. Neudeck is working only with software, sinus generators, self produced sound equipment and lately with the sidrassi organ (totally crazy tool). So I am often surprised by the result, when it sounds like a field recording. But when I see, how he works in his nerdy laboratory, I understand that his output can irritate.

[ liner notes by Heribert Friedl / photo by Sascha Neudeck ]

Some excerpts

Addio, Crackle

Due giorni fa, Michel “Crackle” Waisvisz, creatore di diversi sistemi elettroacustici come il CrackleBox, il CrackleSynth e The Hands, si è spento prematuramente nella sua casa, dopo vari mesi di malattia.

Nato l’8 Luglio 1949, ha diretto lo STEIM (STudio for Electro-Instrumental Music di Amsterdam) per 27 anni.

È una pura coincidenza, non lo sapevo, ma mi fa molto piacere aver passato gli ultimi due giorni a suonare un nuovo cracklebox arrivato recentemente dallo STEIM, così come mi rende felice il fatto di averne regalato uno proprio il 19.

Tu te ne vai, ma i tuoi suoni restano…

 

Robot Players

Se è per questo, date un’occhiata qui. Elgar si incazzerà un po’, ma la difficoltà di far fare una cosa del genere a un robot è da brivido. È difficile pensare che possa suonare in modo puramente meccanico, senza ascoltarsi, altrimenti come regola l’inclinazione dell’arco?

E qui con la tromba e tanto di respirazione visibile

Robot Band

Robot bands are coming. Questi sono The Trons, neozelandesi. Eccoli provare “Sister Robot” (la loro versione di Sister Ray dei Velvet).

Trovo la voce fantastica. Per ora, comunque, abbiamo solo questo video e non è per niente chiaro se si ascoltano e come si sincronizzano oppure come siano controllati. E nemmeno come venga generata la voce. Vedremo.

8000 al mese…

… sono i tentativi di inserire dei commenti di spam che pubblicizzano di tutto, dal porno ai casinò online, fino al software, alle assicurazioni, alle suonerie per cellulari (queste ultime ormai sono la maggioranza e hanno ampiamente superato il porno).

Mediamente circa 266 al giorno, 11 ogni ora, uno ogni 5.4 minuti. Non si può vivere…

Tecnicamente, questa invasione di spam è dovuta al tentativo di inquinare i calcoli di Google sul page rank che determinano l’ordine di comparsa di una pagina nelle ricerche. Più alto è il page rank, più alta è la posizione della pagina nei risultati di una ricerca.

Il page rank è determinato dal numero dei siti che linkano quella pagina ed è indipendente dal contenuto, da cui questo flusso incontrollabile di spam.

Pubblicato in Web | Contrassegnato

George Crumb Intervista

Un’intervista con George Crumb su YouTube, registrata nel novembre 2007.

Anna Sale speaks to Pulitzer Prize-winning composer and West Virginia native George Crumb. She spoke to him in November 2007 when he was back in his home state to be inducted into the West Virginia Music Hall of Fame. Russ Barbour is the video editor and co-producer of this piece. It first aired Dec. 20, 2007, on the program “Outlook” on West Virginia PBS.

Der Schall

KagelUno dei desideri di Mauricio Kagel, compositore argentino di nascita (1931), ma tedesco di adozione, è sempre stato quello di “sabotare l’ascoltatore”. Ma con Der Schall (1968) (il suono, nell’accezione della fisica), Kagel riesce a sabotare anche gli esecutori.

In questo brano, infatti, il compositore demolisce la tradizionale struttura dell’esecuzione, in cui un esecutore iper-specializzato nel proprio strumento interpreta una partitura codificata, pensata e scritta per il suddetto strumento. Der Schall, invece, è per 5 esecutori e 54 strumenti, gran parte dei quali sono totalmente ignoti agli esecutori.

Le regole del brano, inoltre, sono concepite proprio per mettere questi ultimi in una situazione per loro inconsueta: quella di avere in mano uno strumento che non sanno suonare. Gli esecutori devono cambiare strumento spesso. La partitura stabilisce che:

  1. nel corso dell’esecuzione ogni strumentista deve sperimentare un numero di strumenti pari almeno alla metà di quelli a lui disponibili e
  2. ogni strumento non può essere utilizzato per più di un terzo della durata totale del pezzo.

In tal modo si assicura che la composizione dell’ensemble strumentale cambi continuamente. Una esecuzione come questa dura circa 36 minuti e dispone di 54 strumenti che sono stati suddivisi fra i 5 esecutori come segue (riporto i nomi in inglese dalle note di copertina):

  1. Foghorn, spaghetti tube with trumpet mouthpiece, straight cornet, C-trumpet. baroque trumpet (clarino), plastic tubing with ringed joints, tromba d a tirarsi, short tube with plastic funnel, 20 meters of garden hose with plastic funnel, antilope horn, various mutes and mouthpieces.
  2. Conch trumpet, pandean pipe, 2 posthorns, hand-drum as mute, double foghorn, plastic tubing with connection piece, plastic tubing with ringed joints, trombone, various mutes and mouthpieces, nafir.
  3. Low jew’s harp, sitar, banjo, octave guitar, stoessel lute, rubberphone (rubber bands to be plucked), various gloves, bowing and plucking requisites.
  4. 6-12 organ pipes (mixtures) to be blown by mouth, 2 pandean pipes, taishokoto, ocarina, Kimuan violin (Kimuanyemuanye), bass balalaika, bass mouth-organ, 2 brass tubes, various bowing and plucking requisites.
  5. Bell-board (eight bells fixed to a board, to be bowed only), genuine Cagniard de la Tour siren (blown siren with frequency measuring device), cuckoo (a short of seesaw with two bellows, each adjustable in pitch), 4 tortoiseshelIs, nose-flute, bassdrum, telephone, 2 brass tubes, 1 musical box

Dato che ogni esecutore ha a disposizione circa una decina di strumenti e ne deve utilizzare almeno 5, è tenuto a cambiarlo mediamente ogni 7.2 minuti.

Nel 1969 il brano viene inciso per Deutsche Gramophone da un quintetto d’eccezione composto da Edward H. Tarr, Vinko Globokar, Karlheinz Botner, Wilhelm Bruck, Christoph Caskel, con la direzione dell’autore (vinile ormai fuori catalogo). È disponibile in flac qui.

Mauricio Kagel – Der Schall (1968)

Tellus

Tellus era una “rivista su audio cassetta” lanciata nel 1983 a New York e pubblicata solo su abbonamento con cadenza bimensile. Rimase attiva per ben 10 anni grazie ai finanziamenti del New York State Council of the Arts e del National Endowment for the Arts.

In questo periodo venne raccolto e pubblicato molto materiale della avanguardia americana e più tardi, europea. Oggi gran parte di questo audio viene riproposto dall’impagabile UBUWeb. Inoltre esiste un archivio di Tellus qui.

Nel frattempo, ascoltate alcuni brani. Come era tipico dell’epoca, parecchi sono vere aggressioni sonore che però hanno una carica e una energia che è difficile ritrovare attualmente.


Finale alternativo

Grazie a Lemi per aver segnalato questo finale alternativo del film Io sono leggenda, che, peraltro, sembra essere quello vero, cioè quello che era nelle intenzioni originali del regista prima che la produzione lo facesse a pezzi. Così il film diventa più sopportabile. Ciò nonostante resta sempre chilometri lontano dal libro di Richard Matheson, ma probabilmente non è corretto confrontare libri e relativi film.

È interessante, comunque, osservare alcune differenze fra libro e film, magari secondarie, ma certamente significative. Per esempio

  • nel libro, Neville (il protagonista) è un fumatore e un alcoolizzato; nel film è politically-correct;
  • nel libro Neville ascolta Beethoven; nel film Bob Marley;
  • il libro non offre speranze alla razza umana: Neville è veramente l’ultimo essere umano.

Ma la differenza maggiore sta proprio nel finale. Nel libro c’è uno splendido colpo di teatro: il romanzo si chiude con un papà “mostro” che sta raccontando al figlioletto “mostriciattolo” la storia di Neville, l’ultimo essere umano che ha ucciso tanti di loro e che per questo è stato catturato e giustiziato. Così i “mostri”, che nel libro sono veri e propri vampiri e non generici simil-zombie, si rivelano capaci di provare sentimenti e costruire una struttura sociale.

Proprio questa è la spiegazione del titolo: Neville diventa una leggenda per i “mostri”, mentre nel film lo è per gli umani superstiti che ricostruiranno la nostra civiltà.

Questo finale, invece, si avvicina un po’ più alle tesi del libro, riconoscendo ai mostri una sia pur minima capacità di provare dei sentimenti.

Infine, vi segnalo un altro film la cui trama è molto simile a Io sono leggenda, ma in cui il tema è affrontato con maggior realismo. Si intitola 28 giorni dopo. (ma il trailer non gli rende giustizia e come al solito, è migliore il libro.

La via più breve

Se non fosse per il fatto che, come in Inghilterra, si viaggia dalla parte sbagliata della strada, guidare in Giappone sarebbe bellissimo. Ma il problema della sinistra non esiste sulle tangenziali, dove le corsie sono separate da un muro.

Quando la densità abitativa raggiunge i livelli giapponesi, l’unico modo di costruire strade a percorrenza veloce è farle passare sopra le case. Le cosiddette tangenziali viaggiano in aria e il traffico scorre in un limbo gestito da divinità lontane.

osakaUna tendenza che deve fare sempre i conti con lo sviluppo verticale delle grandi città. Così le strade girano intorno alle costruzioni, si avvolgono su sé stesse, si dividono e si ritrovano in un flusso che sembra liquido.

Ma, a volte, l’edificio non può essere aggirato né demolito e così non resta altro che passarci attraverso. Qui, a Osaka, la società che costruiva la tangenziale ha semplicemente affittato tre piani e ci ha fatto passare la strada.

Cliccate sulle immagini per ingrandire. Vedi anche Googlesighting.

Via Darwin

Suoni Atmosferici

Sferics sta per “atmospherics” ed è l’abbreviazione con cui si definiscono genericamente le radiofrequenze di origine atmosferica che viaggiano su frequenze di trasmissione molto basse (Very Low Frequency, da 3 kHz a 30 kHz). Sono state classificate in tre tipologie:

  • Sferics propriamente detti: si tratta di segnali impulsivi generati dai lampi. Queste radiofrequenze viaggiano per migliaia di kilometri e assomigliano al suono della pancetta che frigge. Ecco un esempio.
  • Tweeks: questi segnali sono sferics che viaggiano nella ionosfera, un medium dispersivo in cui le alte frequenze si muovono a maggiore velocità rispetto alle basse frequenze. Per questa ragione esibiscono un picco intorno ai 2000 Hz e assomigliano a degli uccellini.
  • Whistlers: i più affascinanti. Si tratta di glissati discendenti, anche questi causati dalla dispersione atmosferica che fa sì che le alte frequenze arrivino prima delle basse. Ecco qui.

Tutti questi segnali sono stati registrati dall’INSPIRE VLF radio receiver presso il Marshall Space Flight Center della NASA a Huntsville, Alabama.

La cosa interessante è che è anche possibile ascoltare il ricevitore INSPIRE in diretta cliccando questo link. Ecco la pagina di riferimento. Non aspettatevi di sentire subito tweeks & whistlers, sono i più rari. Invece sentirete più facilmente suoni della prima categoria.

Un’altra cosa interessante è che tutti possono ricevere la banda VLF sul proprio PC, con questo semplice procedimento riportato da wikipedia (leggete PC-based VLF reception).

Ombres lumineuses

Questo brano di Costin Miereanu (Bucarest 1943, naturalizzato francese dal 77) è stato registrato al 9° Festival Internazionale di Musica Contemporanea di Torino nel 1986 ed è scritto per clarinetto in Sib, corno, violino, violoncello, 2 perc., 3 synth DX7.

Costin, relativamente noto in Italia, avendo avuto anche un disco edito nella storica serie Cramps (Luna Cinese), è sempre stato un creatore di atmosfere raffinate e si conferma tale anche in questo brano che potete scaricare in flac da AGP o ascoltare qui sotto.

Costin Miereanu – Ombres lumineuses (1986)
Ensemble Antidogma, Daniel Tosi cond.

Phoenix 2

phoenix landing

Questa immagine impressionante (cliccatela per vederla ad alta risoluzione), mostra nel riquadro ingrandito, il Phoenix Mars Lander in fase di atterraggio con il suo paracadute, che passa davanti al cratere Heimdall.

Nonostante possa sembrare che la sonda stia scendendo nel cratere, non è così. Si tratta di un effetto prospettico. In realtà il cratere dista circa 20 km dal punto di atterraggio.

in quest’altra bellissima immagine, invece, si vede Phoenix felicemente atterrata, accanto al paracadute sganciato e il punto di impatto dello scudo termico, anche lui abbandonato.

Le foto sono state scattate dal Mars Reconnaissance Orbiter.

Forse penserete che io sia un po’ esaltato, ma per uno che mastica fantascienza fin da bambino, queste immagini sono emozionanti. Mi spiace solo che non ci sia nessun umano e che arrivino così tardi. Le aspettavo molto prima e da piccolo immaginavo che da grande avrei potuto passare un po’ di tempo almeno in una base lunare. Peccato…

Phoenix Mars Lander

marsDopo una decelerazione da brivido (da 20.000 km/h a 8 km/h in circa 7 minuti), Phoenix Mars Lander è atterrato non lontano dal polo nord di Marte, in una regione chiamata in codice “Green Valley” che, secondo i dati pervenuti dalle sonde attualmente in orbita attorno al pianeta,  contiene una notevole quantità di acqua ghiacciata.

La missione ha due obiettivi, il primo è lo studio della passata presenza di acqua sul pianeta, un’informazione chiave per comprendere i passati cambiamenti climatici del pianeta. Il secondo obiettivo è la ricerca di zone vivibili sul pianeta. Gli strumenti della Phoenix sono progettati per studiare i cambiamenti dell’artico marziano. La regione dove è atterrata Phoenix è troppo fredda per permettere all’acqua di esistere in forma liquida ma ogni 50.000 anni per via delle periodiche modificazioni dell’orbita di Marte la regione diventa abbastanza calda per fondere l’acqua e in queste condizioni se la vita esiste potrebbe svilupparsi. La missione vuole verificare l’esistenza o meno della vita su Marte. Questa missione segue la strategia NASA di far ricerche “seguendo” l’acqua.

Dotata di un braccio meccanico in grado di scavare per a mezzo metro nel permafrost marziano, fino a raggiungere il ghiaccio, il sogno è che Phoenix possa identificare un qualche cenno di vita, anche in epoche remote.

Per ora, abbiamo già qualche magnifica immagine, come quella a sinistra (cliccatela), colorata dalla NASA in base ai dati provenienti dai filtri violetto e infrarosso (l’originale è in bianco/nero con filtri su varie lunghezze d’onda).

Les Chants de Maldoror

Niente a che fare con l’omonimo poema di Lautréamont. È un brano di musica elettronica composto da Rainer Riehn nel 1965/66 (revisione 1968/69) che ascoltavo spesso quando ero piccolo (16/17 anni).

Si tratta di un collage di materiali molto eterogenei, a tratti molto vicini al rumore, che sembrano derivare da fenomeni di interferenza, accostati spesso brutalmente, senza nessuna evoluzione.

Non posso dire che mi piacesse, ma mi affascinava perché era formalmente agli antipodi di quello che mi piaceva a quei tempi, cioè la stasi più totale: un solo suono che cambia lentamente in un tempo infinitamente lungo. Devo dire che, a distanza di tanti anni, mi affascina ancora. Comunque non ho ancora afferrato il collegamento con il poema di Lautréamont.

Rainer Riehn – Les Chants de Maldoror (1965/66 – 1968/69)

Fire Fragile Flight

Un brano un po’ alla Varèse questo Fire Fragile Flight, per orchestra, composto nel 1973 da Lucia Dlugoszewski (1925-2000), che di Varèse è stata allieva.

Composer, poet, and choreographer Lucia Dlugoszewski’s (1925-2000) efforts to create an “intense, sudden immediacy” in her music were wide-ranging: she worked with everyday objects, created the ‘timbre piano’ (a prepared piano whose strings are played directly with a variety of materials), designed over 100 percussion instruments, and extended the possibilities of conventional instruments. She wrote for a variety of concert and dramatic mediums, but is perhaps best known for her dance music.

Lucia Dlugoszewski – Fire Fragile Flight (1973) – Orchestra of Our Time, Joel Thome, conductor

IMSLP riaprirà

Una buona notizia: l’International Music Score Library Project (IMSLP) riaprirà a Luglio.

IMSLP era uno degli archivi più forniti di partiture ormai prive di copyright per decorrenza dei termini e quindi liberamente scaricabili. Purtroppo i termini di scadenza del copyright non sono uguali in tutti gli stati. In Canada, dove risiede il sito di IMSLP, sono più brevi rispetto agli USA e all’Europa (50 anni dalla morte dell’autore contro i 75 o peggio di molti altri stati).

Di conseguenza, nell’ottobre 2007, Universal Edition aveva minacciato di portare il sito in tribunale per alcune partiture il cui copyright era scaduto in Canada, ma non in Austria.

Era chiaro a tutti che IMSLP aveva ragione e la suddetta minaccia era pretestuosa. Quello della scadenza del copyright è effettivamente un vuoto legislativo causato dall’internazionalità di Internet, ma, finché non sarà colmato, quello che tutti dobbiamo fare è rispettare le leggi in vigore nello stato in cui il sito risiede.
Tuttavia il gestore di IMSLP non aveva i mezzi per affrontare una causa internazionale che, quasi certamente, alla fine avrebbe vinto, ma che, nel frattempo, avrebbe generato un sacco di spese ed era stato costretto a chiudere.

La chiusura di IMSLP era stata vista da tutta la rete come un sopruso, anche perché non era sicuramente la presenza di quattro partiture del ‘900 che avrebbe potuto danneggiare Universal Edition.

Il dato di fatto è che gli editori ricorrono a questi mezzi nel tentativo di conservare il controllo di un mercato che viene effettivamente ridotto dalla stessa esistenza della rete. Il copyright sulle partiture di, per es., J.S. Bach è scaduto in tutto il mondo, tuttavia, fino ad alcuni anni fa, l’unico modo legale che avevamo di procurarcene una era comprarla da chi la stampava e la rivendeva con un certo margine di guadagno per tutta la filiera.
Oggi, invece, basta che qualcuno impagini la suddetta partitura con un qualche software, ne faccia un pdf e lo metta in rete per distribuirla gratuitamente a tutto il mondo.
Questa situazione, però, è senza uscita. Deriva direttamente dai cambiamenti imposti dalla tecnologia. Non è possibile proibire la diffusione di qualcosa che è libero da diritti e gli editori devono rassegnarsi e puntare su prodotti derivati. Per esempio, la stessa partitura, opportunamente commentata e rivista da un qualche esecutore, magari importante, ricade nel copyright. Ecco quindi che l’esistenza della rete può spingere alla creazione di prodotti migliori.

Il caso di IMSLP è di enorme importanza per l’esistenza stessa del concetto di public domain e in sua difesa si sono mosse quasi tutte le associazioni del settore. Forte di questo sostegno, Feldmalher, il gestore di IMSLP, ne ha annunciato la riapertura per Luglio 2008.

Riconoscere le canzoni…

… dal primo verso. È l’ultimo meme viaggiante sui blog musicali americani, classici e non. Il vecchio giochino ogni tanto rispunta con qualche variante. In questa, non si devono proporre apposta canzoni difficili, ma devono essere quelle canticchiate in questo periodo.

Ecco i primi versi delle mie. La cosa buffa è che mi rendo conto che alcune le canticchio da anni.

  1. È una storia da dimenticare
  2. I was five and she was six
  3. E se l’amore che avevo non sa più il mio nome (questo non è il primo verso in assoluto; è il primo dell’inciso ed da lì che la canto)
  4. When I’m lyin’ in my bed at night
  5. In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità
  6. It’s a God awful small affair
  7. Got no time for the corner boys
  8. Didn’t know what time it was and the lights were low
  9. I’ll find a place somewhere in the corner
  10. Pushing thru the market square
  11. Stranger still in another town
  12. Dónde estás, caballero gallardo
  13. So, so you think you can tell
  14. The killer lives inside me
  15. There is no pain you are receding (questo non è il primo verso in assoluto; è il primo dell’inciso ed da lì che la canto)
  16. Goodbye to my Juan, goodbye, Rosalita (idem)

Qualcuna è molto facile, altre no. Vi do qualche giorno, poi metterò un aiutino…

UPDATE

Siete un po’ deludenti. Per facilitarvi le cose, ecco la lista degli esecutori originali in ordine sparso:
Pink Floyd, De André. Fossati, Woody Guthrie, Van Der Graaf, Hammill, Nicolis, Bowie, Tom Waits, Eno, Sonny and Cher.

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The Seven Wonders of the Ancient World

La particolarità di questo brano di David Jaffe risiede nel fatto che si tratta di un concerto per pianoforte in cui la parte del solista è eseguita da un percussionista (Andrew Schloss) che controlla un pianoforte midi (il disklavier) per mezzo del Radio Drum.

Si tratta di un dispositivo i cui battenti inviano a quattro sensori disposti agli angoli della tavola, la loro posizione in termini di X, Y e Z.
Questi dati vengono utilizzati per calcolare il punto di impatto e la forza, ma vengono inviati sempre, non solo quando i battenti toccano la superficie. Ne consegue che un apposito software può anche utilizzare il movimento dei battenti in aria per ricavarne dei dati che vengono poi trasformati in note midi inviate al disklavier.
Si tratta quindi di una interfaccia che rileva il movimento, non di una semplice percussione digitalizzata.

Il brano è scritto per pianoforte e ensemble strumentale (mandolin, guitar, harp, harpsichord, bass, harmonium and 2 percussionists). Ecco un estratto.

Varie note sul brano sul sito di Jaffe.

L’incendio

Di solito non parlo di quello che mi succede, ma non credo che molti di voi siano stati coinvolti in un incendio in un condominio, così ve lo racconto.

Il condominio è il mio. Sette piani, una ventina di appartamenti. Sono circa le sei del pomeriggio e tanto per cambiare sto giocherellando con il computer, quando sento gente che urla sulle scale.

Penso a un litigio, anche se questo non è un condominio litigioso. O almeno, non più. Una volta, quando il livello di testosterone degli abitanti maschi era più elevato e quando la malignità femminile era più tagliente e meno rassegnata, lo era. Cause interminabili che duravano 20 anni e ogni tanto si sfiorava la rissa nell’androne. Ma ormai la vecchiaia e la morte hanno fatto giustizia delle velleità e della mente di buona parte dei condomini e i nuovi arrivati sembrano gente ragionevole.

Comunque stavolta stanno urlando davvero e così mi alzo dal divano e metto il naso fuori dalla porta, sul pianerottolo. Soltanto il naso, perché sono in maglietta e mutande.

In quel momento, passa la ragazzina che abita di fronte e sembra piuttosto nervosa. Temo la strage condominiale e decido che è il caso di andare a vedere. Mi infilo un paio di jeans ed esco. Sulle scale c’è un orrendo puzzo di bruciato. Non di un bruciato specifico, come quelli che conosco: il bruciato dei cavi elettrici e degli alimentatori o quello della pentola ormai senza più acqua, dimenticata sul fornello o ancora quello dell’olio da frittura che ha preso fuoco.

Questo, invece, è diverso, peggiore. È un puzzo di bruciato maledettamente generico, omnicomprensivo.
Seguendo le urla arrivo al piano di sopra e qui incontro il fumo, nero, acre, soffocante. In quel momento sento un bel colpo, uno schiocco violento e vedo due condòmini che stanno cercando di far uscire dal suo appartamento il vecchio che ci abita e che, da par suo, non ne vuole sapere.

E attraverso la porta aperta, vedo finalmente il fuoco. Non è nemmeno un gran fuoco, ma fa il suo dovere. Sta mandando in fumo il salotto del suddetto individuo. Le fiamme arrivano al soffitto e con una certa decisione, stanno cercando di attaccare gli stipiti ed estendersi nel corridoio. Però, tutto sommato, mi sembra controllabile.

Nel frattempo. sul pianerottolo si è riunita una piccola folla molto agitata e qualcuno sta urlando con poca lucidità al cellulare che qui c’è un incendio. I due condòmini, intanto, sono riusciti a trascinare fuori il vecchiotto e a me viene in mente che, per legge, nello stabile abbiamo un estintore.

Ma quando dico “estintore”, tutti mi guardano come parlassi di un oggetto alieno, così, senza eccessiva fretta, scendo le scale, a piedi, fino alle cantine. Il problema, adesso, è localizzare l’estintore.

Naturalmente, non è in nessuno dei luoghi in cui dovrebbe trovarsi, ma alla fine, lo trovo nel posto in cui non dovrebbe essere: nello stanzino dei contatori elettrici. Comunque è carico e sigillato. Un cartello attaccato sulla porta dice “estintore num. 2”. Dove sia il numero 1, non lo so ancora.

Risalgo le scale per scoprire che l’incendio ha preso forza e si è esteso. La buona cosa è che l’aumentare del fumo ha fatto fuggire buona parte degli astanti. Uno dei condòmini mi vede arrivare con l’estintore e con partecipazione mi dice “Bella idea! VADA!!”.

Mi ricorda tanto un “armiamoci e partite”, comunque mi tiro la maglietta sulla faccia e metto un piede dentro. L’estintore è formidabile. Una sola spruzzata annienta le fiamme nel corridoio e con due passi arrivo in salotto. Qui la situazione è peggiore: brucia tutto e c’è un caldo orrendo. La TV è per terra, esplosa. Altre due spruzzate quasi spengono quel che resta del divano, ma il fumo è irrespirabile e devo uscire tossendo.

Intanto, a riprova della lucidità dei telefonisti (o del call center), è arrivata la polizia, in forze, ma dei pompieri nessuna traccia. Passo l’estintore a un poliziotto il quale, dopo un attimo di esitazione, si lancia dentro. Un altro era già in cucina e stava riempiendo di acqua un qualche contenitore. Però con l’estintore e un giro di 30 secondi a testa la situazione era quasi risolta. Peccato che, dopo un po’ di spruzzi si sia esaurito.

A questo punto, panico! La polizia ordina di evacuare al più presto lo stabile. Tutti veniamo mandati in strada, tranne un po’ di gente ai piani superiori che, a causa delle scale ingolfate di fumo, non può scendere.

Dal di fuori, la situazione sembra anche più impressionante. Il fumo nero esce dalle finestre del quarto piano, mentre quelli dei piani superiori sono sui balconi e si agitano in preda alla sindrome dell’11/9. Fortunatamente arrivano i pompieri, anche loro in forze. Due camion e un’autoscala.

La polizia blocca la strada, mentre i pompieri guardano in alto e si preparano con aria professionale. Con l’ossigeno e i loro estintori grandi il triplo del nostro possono far fuori l’incendio in cinque minuti e infatti salgono le scale in due o tre e lo fanno. Ciò nonostante, estendono lo stesso la scala e raggiungono l’appartamento anche dall’esterno e poi, sempre dall’esterno, vanno anche ai piani superiori.

Restiamo per quasi due ore in strada a raccontarcela. Arriva anche una auto medica e poi un’ambulanza. Ne approfitto per fare qualche tirata di ossigeno e cercare di togliermi la nausea. La gente parla dell’accaduto in modo estremamente drammatico, indugiando, con fare grave su “quello che sarebbe potuto succedere”. Le uniche che sembrano divertirsi sono le ragazzine. Una si lamenta di non poter studiare per il compito di fisica e di avere una scusa legittima, ma incredibile (“mi si è incendiata la casa”). Un’altra racconta ridendo le reazioni familiari (“la mamma era proprio sclerata”).

Alla fine ci fanno rientrare. Sono le 20 passate e scopriamo di essere senza gas, giustamente bloccato in tutto lo stabile. Ma non lo possono riaprire i pompieri. Deve arrivare l’AGSM. Lo riavremo alle 22.
Intanto, niente spesa e sono rimasto senza beveraggi. Ho ancora in gola il gusto schifoso del fumo. In TV parlano di Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee…

La notte si innalza dall’orecchio come una farfalla

Titolo suggestivo per questo recente brano elettroacustico di Hideko Kawamoto. Ecco le note di programma.

“Night Ascends from the Ear Like a Butterfly”, composed in 1999 and dedicated to my grandmother, Tami, was inspired by Haruo Shibuya’s poem ‘Coliseum in the Desert’. The words Shibuya uses in this poem, such as ‘night’, ‘a time of music’, ‘rain’, ‘black fountain’, ‘piano-string’, ‘useless choir’, and ‘butterfly’, gave me compositional ideas. These images developed in my imagination separately from Shibuya’s poem. […]

[For example,] the intention of the ‘butterfly’ sound is to depict the surrealistic vision of a butterfly flying away from the ear. To me the sound had to be shimmering and transparent; to create [it,] a tremolo passage from Maurice Ravel’s piano piece, ‘Noctuelles’ (Night Moths) from Miroirs, was sampled and processed using various [electronic] techniques. … I also used the sound of small pieces of aluminum foil shaking up and down in a metallic bowl … to create the surrealistic vision of a butterfly staying in one place, not flying, but moving its wings delicately as it breathes.

Hideko Kawamoto’s (b. 1969) works are often inspired by visual art and poetry and influenced by her Japanese background. She considers her music to be “a sound transformation of visual images” and is aware of the space in which music is performed, creating what she calls “sound sculpture.”

Hideko Kawamoto was born in Japan and started piano study at the age of nine. She studied composition with Phil Winsor and piano with Joseph Banowetz at the University of North Texas in Denton. Her works have been performed at festivals throughout Europe, North and South America, Africa, Oceania, and the Far East. Awards Kawamoto has received include the Concorso Internazionale “Luigi Russolo,” Pierre Schaeffer International Computer Music Competition, Bourges International Competition of Electroacoustic Music and Sound Art, and Sonic Circuits International Festival of Electronic Music and Art. Her music can be heard on the Acousmatica, Bonk, Centaur, ICMC 2001, innova, and SEAMUS labels.

Kawamoto has served as chair of the music department at St. Andrews Presbyterian College in Laurinburg, North Carolina, and currently resides in Southern California.

Beyond The Beat Generation

Se vi interessa una net-radio che trasmette sconosciute ma originali band dei roaring sixties, dal mod all’acid rock, dal merseybeat alla psychedelia, eccola:

In questo momento sta passando Short Yellow, una band californiana, ca. 67, che imitava piuttosto bene i Jefferson Airplane. La cosa incredibile è che mi sembra continuamente di sentire gruppi conosciuti, ma guardando la playlist mi rendo conto di non averne mai sentito nominare nemmeno uno.

OK, finalmente ne è arrivato uno conosciuto: i Quicksilver di John Cipollina.

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Voix Blanche

Gilles Gobeil, canadese, nato nel 1954, è autore di parecchi lavori elettoacustici che utilizzano anche le Onde Martenot.

Questo strumento, come del resto il Theremin, non è mai morto, ma viene utilizzato saltuariamente dai compositori contemporanei per le sue particolari sonorità.
Esistono circa 1500 brani in cui appaiono le Ondes Martenot, composti da autori come Varèse, Messiaen, Honegger, Scelsi, Boulez, Jolivet, Murail e molti altri. È anche utilizzato nella musica da film (Mad Max, Mars Attack, La Marcia dei Pinguini, …) e nella popular music di varie tipologie (Brel, Radiohead, Vanessa Paradis, …).

A differenza di altri, l’interesse di Gilles Gobeil non è episodico. Esiste un suo CD dal titolo Trilogie d’Ondes (empreintes DIGITALes, IMED 0576, 2005) che comprende tre brani per Ondes Martenot e suoni elettronici.
Qui vi facciamo ascoltare Voix Blanche del 1988, che ha vinto il secondo premio per la musica elettroacustica mista nel concorso internazionale di Bourges, edizione 1989.

Suzanne Binet Audet, Ondes Martenot

Il Nome

Il Nome è un brano elettroacustico (soprano + nastro magnetico) composto da Richard Karpen nel 1987 su testo tratto da “Il nome di Maria Fresu” di A. Zanzotto + un verso dall’Orfeo di Monteverdi.
Maria Fresu è una delle 84 persone uccise nell’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Non è rimasto niente di lei (Karpen è stato in Italia vari anni e ha lavorato al CSC a Padova).

Il materiale sonoro è formato in gran parte da elaborazioni della voce del soprano. Vengono utilizzati anche vetri rotti, una singola nota di violino e un tam-tam. Le elaborazioni sono in buona parte cambi di altezza o stretching temporale senza alterazione dell’altezza (in qualche caso la durata è stata estesa fino a 20 volte l’originale) + filtraggi. Grande attenzione è posta alla sovrapposizione e concatenazione dei frammenti.

Testi

E il nome di Maria Fresu
continua a scoppiare
all’ora dei pranzi
in ogni casseruola
in ogni pentola
in ogni boccone
in ogni rutto – scoppiato e disseminato –
in milioni di dimenticanze, di comi, bburp.
A. Zanzotto, Il nome di Maria Fresu, da Idioma, Milano, Mondadori, 1986

Tu sei morta, mia vita, ed io respiro?
Tu mi hai lasciato per mai più tornare, ed io rimango?

No.
Monteverdi – Orfeo

Richard Karpen – Il Nome (1987), per soprano e banda magnetica – J. Bettina, soprano

Richard Karpen is a native of New York, where he studied composition with Charles Dodge, Gheorghe Costinescu, and Morton Subotnick. He received his doctorate in composition from Stanford University, where he also worked at the Center for Computer Research in Music and Acoustics (CCRMA).
He has been the recipient of many awards, grants and prizes including those from the National Endowment for the Arts, the ASCAP Foundation, the Bourges Contest in France, and the Luigi Russolo Foundation in Italy.
Founding Director of the Center for Digital Arts and Experimental Media (DXARTS) at the University of Washington.

Grand pianos on the beach 2

Questi pianoforti immensi abbandonati sulla spiaggia dell’isoletta olandese di Schiermonnikoog, mi piacciono sempre di più.

Rispetto al post dello scorso luglio, ho nuove informazioni. L’autore è Florentijn Hofman e il titolo è Signpost 5 (Paal 5 in fiammingo) perché l’opera è stata concepita per celebrare il quinto anniversario dell’International Chamber Music Festival che si tiene sull’isola.

Update: avete notato, nella prima immagine, la scritta Hofman & Sons?

Mi fa piacere notare che i pianoforti sono sopravvissuti all’inverno, alle piogge e alle maree. Ecco delle nuove immagini e un grande panorama (cliccate le immagini per ingrandire).

AbandonWare

La nostalgia per il vecchio software non muore mai, soprattutto per quanto riguarda i giochi.

Con il neologismo (bruttissimo) AbandonWare (software abbandonato). oppure OldWare (migliore), si indica il software datato, fuori commercio e non più supportato dal produttore.
Notate che, data la velocità di ricambio, un software può finire fuori produzione anche soltanto a un anno dalla sua commercializzazione e quindi possono sussistere ancora problemi di copyright.

I siti che offrono AbandonWare liberamente scaricabile prosperano. Il più famoso è sicuramente Home of the Underdogs, fondato da Sarinee Achavanuntakul nel settembre del 1998, e cresciuto fino a diventare il più grande sito abandonware sul Web.

In questo sito è possibile scaricare, leggere le recensioni ed i commenti degli utenti su più di cinquemila videogiochi, oltre a numerosi dei manuali che corredavano le confezioni originali. La maggior parte dei videogiochi e dei programmi contenuti in questo sito riguarda pubblicazioni per sistemi Microsoft (MS-DOS e Microsoft Windows). In rete poi esistono anche siti specializzati per altre piattaforme, anche ormai obsolete come Amiga, Acorn, Commodore e quant’altro.

Il sito può senza dubbio essere considerato il primo e il più grande museo di videogiochi del Web: esso offre praticamente ogni gioco che ha calcato le scene del videogaming, dalle origini ad oggi, purché il programma stesso non sia protetto da diritti d’autore (abandonware): se un gioco presente e scaricabile sul sito diventa nuovamente oggetto di copyright, esso viene naturalmente rimosso per non incorrere in sanzioni, e ne viene fatto un collegamento al sito del rivenditore.

Nonostante il nome (Home of the underdogs) stia a significare la “Casa dei flop”, tra le migliaia di giochi presenti vi sono degli enormi successi commerciali (come ad esempio Metal Gear Solid e Dungeon Master) oltre a quei pezzi che hanno veramente fatto la storia dei giochi come li intendiamo oggi e senza i quali non si sarebbe mai giunti ai livelli odierni (Elite, Ultima, Monkey Island sono solo alcuni esempi).

Vi sono però anche siti di AbandonWare non orientati ai giochi. In Italia segnaliamo The Old(SoftWare Collection, per DOS e Win95: oltre 15.000 programmi dei tempi che furono, ancora disponibili per il libero download o per le nostalgie personali.

ST/10-1,080262

Ecco un altro lavoro stocastico di Iannis Xenakis. Il titolo è codificato: ST sta per stochos, 10-1 significa che è la prima composizione di questa serie per 10 strumenti, 080262 è la data.

L’elemento di interesse di questo brano risiede nel fatto che è uno dei primi ad essere stato composto da un software. All’epoca, infatti, il lavoro di Xenakis aveva richiamato l’attenzione dell’IBM che aveva messo a disposizione alcuni programmatori per formalizzare il suo processo compositivo.

Come in altri brani di questi anni, la statistica e la teoria delle distribuzioni sono alla base dell’intera composizione (vedi Musica e Matematica 03).

Iannis Xenakis – ST/10-1,080262
Paris Instrumental Ensemble for Contemporary Music, Cond. Konstantin Simonovitch
Download in flac format from AGP99

Albert Hofmann

Il Dr. Albert Hofmann, famoso per aver sintetizzato, 64 anni fa, il dietilamide-25 dell’acido lisergico, meglio conosciuto come LSD, è passato a miglior vita due giorni fa. Aveva 102 anni (e poi dicono che fa male 😛 ).

Eccolo nella foto con la sua famosissima molecola e questo è il suo sito.

Polla Ta Dhina

Polla Ta Dhina, del 1962, è il primo lavoro di Xenakis con voci e testo.

Qui le voci sono quelle di un coro di bambini che declama su una sola nota (il LA del corista) l’Inno all’Uomo, signore dei mari e della terra tratto dall’Antigone di Sofocle. C’è un grande contrasto fra la semplicità della parte vocale e l’estensione di quella orchestrale che utilizza cromaticamente tutto lo spazio sonoro, dall’ottavino al contrabbasso.

Anche le tessiture strumentali sono molto complesse e in continuo movimento, andando dai ritmi iniziali dei legni e delle percussioni, a sciami di glissati degli archi, agli accordi tenuti degli ottoni, a ribadire il contrasto.

Iannis Xenakis – Polla Ta Dhina (1962), for children chorus & orchestra
Paris Instrumental Ensemble for Contemporary Music, Children Chorus of Notre Dame de Paris, Cond. Konstantin Simonovitch
Il brano è distribuito da AGP come parte di una incisione ormai fuori catalogo.

Eclipse

Il secondo allievo di Messiaen inserito nel disco ripubblicato da AGP di cui abbiamo parlato un paio di giorni fa, è Alain Gaussin, nato nel 1943.

Questo brano, Éclipse, per piccola orchestra e due pianoforti è costruito intorno a una idea di mutazione. Le fascie sonore statiche iniziali si trasformano lentamente in una serie di ritmi sovrapposti che, a loro volta, mutano in un insieme magmatico di frasi, fino alla violenta cesura percussiva centrale, dopo la quale il magma si ricostituisce, per poi dissolversi nel finale.

Alain Gaussin – Éclipse
Ensemble IntercontemEnsemble Intercontemporain diretto da Eotvos
Att.ne: il video tratto da Youtube inizia con Eclipse che dura fino a 16’19”. Poi continua con altri due brani di altri autori.

Zona di Alienazione

La zona di alienazione, detta anche zona dei 30 Km, zona di esclusione o semplicemente la zona, è un’area di circa 30 km di diametro attorno a Chernobyl interdetta agli esseri umani a causa della radioattività che permane e rimarrà per migliaia di anni in seguito al disastro del 26 Aprile 1986.

Sebbene gli effetti delle radiazioni siano visibili anche sugli animali (sono stati documentati vari casi di albinismo negli uccelli e mutazioni genetiche nei topi), sembra che per la natura, la scomparsa di ogni attività umana abbia effetti così benefici da compensare anche la presenza delle radiazioni. Senza i limiti imposti dall’uomo, infatti, piante e animali prosperano in modo mai visto prima ed è interessante notare come anche gli studiosi abbiano diverse opinioni sulla situazione. Vedi, per esempio, questi due articoli della BBC, il primo intitolato “Wildlife defies Chernobyl radiation“, mentre il secondo avverte “Chernobyl ‘not a wildlife haven’“.

Quest’area è ormai divenuta una TAZ (zona temporaneamente, ma forse anche definitivamente autonoma). La natura se l’è ripresa e anche nella città di Pripyat, praticamente disabitata, non è raro incontrare un lupo, un orso o una volpe che attraversano la strada.

Nonostante i controlli di polizia, comunque, vi sono ancora circa quattrocento persone, soprattutto anziane, che in un modo o in un altro, sono tornate nelle loro case e vivono nell’area circostante la centrale, rifiutandosi di abbandonare le loro abitazioni. Si cibano dei prodotti della terra, mangiando alimenti come verdura e funghi e bevendo l’acqua dei torrenti, altamente contaminati.

Vi confesso che l’idea di andarci e concludere la vita con un blog dalla zona del disastro è affascinante.

Qui sotto, alcune immagini della città e del fiume Pripyat (cliccate sulle immagini per ingrandirle).

Il luna park visto dalla casa della cultura e un panorama della città con il sarcofago sullo sfondo.
L’entrata a Pripyat e alcuni edifici
Navi abbandonate sul fiume Pripyat, nei pressi della centrale

Enka I

Vi facciamo ascoltare un brano di quest’ultimo perché rappresenta molto bene l’atteggiamento giapponese nei confronti del silenzio.

Composta nel 1978, Enka I (esiste anche un Enka II), per soprano e nove strumenti, si ispira allo spirito (non allo stile) di un certo tipo di canzone popolare giapponese. Enka, in Giappone, è un genere musicale popolare, che potrebbe essere paragonato alle canzoni drammatiche di Gilbert Bécaud o Edit Piaf in Francia.

Qui, Susumu Yoshida vuole analizzare, estrarre e ricostruire l’essenza drammatica dell’Enka, ma lo fa con gesti che, a noi occidentali, appaiono estremamente misurati, nella tradizione del teatro giapponese in cui anche la semplice posizione di una mano ha un significato preciso.

giardino di pietre e sabbiaBellissimo e spiazzante è ciò che il compositore dice del silenzio, che abbonda in quest’opera:

La mia musica si basa sul silenzio. È una musica concepita “in negativo” in quanto le note esistono solo per creare e condizionare questo silenzio. Il silenzio non è il Nulla, non è solo il momento in cui non si sente più niente, è una forma di esistenza in sé, che si nasconde dietro alle note.

Questi silenzi non sono cageani e non sono espressivi. Non si può non pensare al giardino di pietre e sabbia del tempio Ryoanji a Kyoto, oppure ai vuoti delle pitture orientali.

Susumu Yoshida – Enka I (1078), per soprano e nove strumenti – mp3streaming audio
Yumi Nara soprano – Orchestra Colonne, Hikotaro Yazaki cond.

Potete scaricare il brano in formato flac dal sito AGP

Rarefazioni di luce: analisi

Ecco una breve analisi di Cesare Valentini del suo brano “Rarefazioni di luce”, al quale abbiamo dedicato un post qualche giorno fa.

“Rarefazioni di luce” è un brano per orchestra d’archi nato da una commissione ricevuta dall’Orchestra da Camera Fiorentina ed ha avuto la prima assoluta a Firenze il 20 maggio 2007 sotto la direzione di Piero Romano. La registrazione che può essere ascoltata nei collegamenti citati si riferisce alla replica avvenuta il giorno seguente. L’ispirazione deriva dalla rarefazione della luce ai primi bagliori dell’alba, non come fatto impressionistico ma come fenomeno del cosmo che si attua sulla terra attraverso l’atmosfera. La prospettiva è dunque di carattere non personale. Il brano segue “Colori del crepuscolo” dell’anno precedente ed avrà la sua naturale continuità in “Universi paralleli” che sarà eseguito in prima assoluta il 29 giugno 2008 a Firenze.

Dal punto di vista strettamente musicale, volendo esprimere i bagliori di luce rarefatta con gli archi ho pensato di ricorrere a “suoni rarefatti” dati dagli armonici, naturali ed artificiali, da glissandi di armonici e non, pizzicati di armonici, controtempi, suoni oltre il ponticello, tremoli di glissandi e pizzicati con la mano sinistra. Il brano si apre con degli accenni, come un’introduzione, di armonici e suoni naturali che sembrano iniziare temi e ritmi ma si spengono subito in pause, come un meccanismo che cerca di partire ma non vi riesce. Il buio predomina anche in agglomerati di accordi che all’ascolto possono sembrare dei clusters ma sono disposti in posizione lata.

Qualche bagliore appare di quando in quando come a rassicurare. Iniziano poi delle strutture di “forma classica” in periodi di otto battute dove i bagliori, dati da glissandi di armonici, cominciano a predominare. Per attuare con maggiori possibilità il gioco dei glissandi, le parti dei violini sono divise in quattro, così ogni sezione può utilizzare una corda per glissare. Le viole sono divise in due parti.

L’intera composizione è quindi divisa in sette, 4 per i violini, 2 per le viole, una ciascuno per violoncelli e contrabbassi. I glissandi, poi, ho ritenuto di scriverli in modo che tutti gli archi potessero andare a tempo evitando il caos. Nei glissandi di maggior estensione sono partito dal primo armonico per arrivare all’armonico più lontano purché udibile che è situato ad una terza di qualche ottava sopra. Non mi sono limitato a scrivere la nota di partenza e l’ultima unite dalla linea del glissando ma ho scritto per intero tutte le note che il dito dell’esecutore avrebbe suonato nel glissare. Creando così anche figure complesse come diciassettimine come si può notare alla battuta 96 in fondo alla pagina in questo collegamento che ne riporta un breve estratto. Con grande stupore degli esecutori che alla prima prova chiedevano come era possibile suonare tutte quelle note. Risposi che dovevano farlo senza pensarci troppo tanto passando il dito sopra la corda quelle note le avrebbero fatte tutte. In questo modo davo loro una ritmica precisa. Vi è un’altra particolarità, i glissandi creano rapporti di quinte vuote fra le corde ma con un’accordatura naturale e non temperata. Come noto gli armonici creano rapporti non temperati poiché fisici.

Finita la seconda serie di passaggi con gli armonici dentro i quali si inserivano altre sonorità, inizia il gioco delle terzine sfalzate e spezzate (mancano ciascuna di una nota) che, dal punto di vista esecutivo, è stato il punto più difficile. Le terzine sono investite dal suono di un glissando dei contrabbassi che parte da una nota acuta ed arriva al registro basso con note marcate. Per far comprendere bene agli esecutori la violenza dell’intervento dei bassi ho scritto in partitura la parola “cattivo!”.

Le terzine nel frattempo continuano alternativamente in alcune sezioni mentre altre si danno il cambio nel “cantare” un tema di contrasto e l’intervento dei bassi ho pensato che fosse fondamentale per rompere l’intricato disegno. Seguono un vorticoso ed incessante con gli archi molto marcati e in omoritmìa, tremoli sugli armonici, scale di pizzicati molto tenui poiché fatti con la mano sinistra ed un lungo accordo finale che raccoglie lo spettro armonico fondamentale della composizione. Per maggiori delucidazioni, per la partitura e le parti staccate per l’esecuzione potete scrivermi a info@cesarevalentini.com

Spettro Elettromagnetico

Non male questo atlante dello spettro elettromagnetico (l’originale era interattivo).

An interactive visualization of the Radio Spectrum, and a database of artistic and social interventions that have been developed in the last decades that employ radio technologies. Projects are catalogued according to the frequencies they occupy.

AES was designed and developed by Bestiario with Irma Vila and Jose Luis de Vicente for the AV festival (New Castle) and CCCB (Barcelona).

 

Io però ho qualche perplessità sull’effettivo significato artistico di una operazione di questo tipo. È un’ottima visualizzazione, ma non c’è nessuna interpretazione. Praticamente mi comunica dei dati scientifici in una bella forma, godibile. Potrebbe essere una nuova interfaccia per ricevitori, ma ogni tanto ho la sensazione che l’etichetta di arte venga applicata con estrema facilità.

D’altra parte, l’arte informativa esiste e ha un senso evidenziare dei dati di fatto sconosciuti ai più (anche qui ne abbiamo parlato). In un suo scritto nemmeno tanto recente, Eno proponeva l’installazione di enormi schermi che mostrassero in tempo reale i dati sul pianeta e sul cambiamento climatico.

Per finire, questa è una buona introduzione allo spettro elettromagnetico, senza alcuna velleità artistica. Si tratta di una playlist in 8 parti di origine NASA, con commento tradotto in italiano dall’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica). Cliccate l’icona in alto a dx per vedere le altre parti).

La canzone più orrenda

Una coppia di artisti concettuali russi (Vitaly Komar e Alex Melamid) ha cercato di determinare, mediante una serie di interviste, quali siano le caratteristiche musicali più odiate in una canzone al fine di comporre il brano più nefando di tutti i tempi. Fra le le cose più citate troviamo le seguenti

The most unwanted music is

  • over 25 minutes long,
  • veers wildly between loud and quiet sections,
  • between fast and slow tempos,
  • and features timbres of extremely high and low pitch,
  • with each dichotomy presented in abrupt transition.
  • The most unwanted orchestra was determined to be large, and features the accordion and bagpipe (which tie at 13% as the most unwanted instrument), banjo, flute, tuba, harp, organ, synthesizer (the only instrument that appears in both the most wanted and most unwanted ensembles).
  • An operatic soprano raps and sings atonal music, advertising jingles, political slogans, and “elevator” music, and a children’s choir sings jingles and holiday songs.
  • The most unwanted subjects for lyrics are cowboys and holidays, and the most unwanted listening circumstances are involuntary exposure to commercials and elevator music.

Poi, naturalmente, l’hanno composta. Eccovi quindi, di Vitaly Komar e Alex Melamid,  The Most Unwanted Song

Secondo gli autori, fatti i debiti calcoli statistici, questo brano dovrebbe essere gradito al massimo a 200 persone al mondo. Per quanto mi riguarda, nel complesso è piuttosto orrendo, però alcuni punti mi piacciono…

Via ArtsJournal

Les Chants de l’Amour – Note di programma

Pubblico la traduzione delle note di programma scritte dallo stesso Gérard Grisey per “Les Chants de l’Amour” (vedi post precedente). Scusate la forma un po’ involuta, ma, data la lunghezza, le ho tradotte con babelfish, correggendo poi i punti errati (devo dire che babelfish se la cava piuttosto bene dal francese all’italiano).

Les Chants de l’Amour – Note di programma di Gérard Grisey

Il primo progetto de “Les Chants de l’Amour”, in realtà la messa in atto formale, data dell’estate 1981. Io concepiti allora l’idea di grandi polifonie vocali avvolte e sostenute da una fondamentale potente. Il programma CHANT concepito alla IRCAM, di cui avevo allora ascoltato alcuni esempi, mi apparì immediatamente come lo strumento adeguato per realizzare questa voce continua e queste pulsazioni respiratorie, vero liquido amniotico delle voci umane.

All’origine dei “Les Chants de l’Amour”, non c’è nessun testo particolare, bensì piuttosto un materiale fonetico così costituito:

  1. Un’introduzione che contiene la dedica del brano in dieci lingue diverse (“canti d’amore dedicati a tutti gli amanti della terra”);
  2. Le diverse vocali contenute nella frase “I love you”. Così sedici vocali diverse per i cantanti ed un centinaio di vocali per la voce sintetizzata;
  3. Diverse consonanti che appaiono gradualmente nel corso del brano.
  4. I nomi di amanti famosi: Tristan, isolde, Orfeo, Euridice, don Quichote, Dulcinea, Romeo, Giuletta…
  5. Litanie attorno alla parola amore, composte in francese, inglese, tedesco ed ungherese, soprattutto per la loro sonorità;
  6. Interiezioni, sospiri, scoppi di risa, halètements, gemiti, pezzetti di frasi, soprattutto per il loro carattere erotico;
  7. “Ti amo”, “Amant”, “amore” registrati in 22 lingue diverse, materiale fonetico per la folla e fonte concreta destinata a essere trattata dall’elaboratore;
  8. Un estratto “di Rayuela”di Cortazar;”
  9. La frase “I love you” base formale semantica di tutta la parte.

Ossia nel totale 28 sezioni, facilmente reperibili poiché ciascuna di essa possiede la stessa forma respiratoria.

La parte elettronica de “Les Chants de l’Amour” proviene principalmente da due fonti sonore: la voce sintetizzata dal programma CHANT e voci parlate registrate, digitalizzate e quindi trattate dall’elaboratore, soprattutto con una serie di filtri. L’interesse della voce sintetica non risiede tanto nell’imitazione della voce umana quanto nelle possibilità infinite di deviazione di queste voci. Vi scopriamo molti campi di percezioni e reazioni emotive legate agli avatars della voce umana.

L’altro versante di questa voce sintetica, cantata e tutta vocalizzata, sono la voce parlata, il rumore delle consonanti e della lingua. Solo l’elaboratore poteva permettermi di registrare queste voci diverse, raggrupparle, moltiplicarle e trasporle per creare vere cascate di voce umana, turbinio di folle ai quattro punti cardinali che vanno ripetendo “Ti amo” nella diversità dei loro timbri e delle loro lingue.. Nel corso di “Les Chants de l’Amour” evolvono vari tipi di relazioni tra le dodici voti del coro e tra il coro come entità e la voce della macchina. Questa voce, a sua volta, divina, enorme, minacciando, seduttrice, specchio e proiezione di tutti i fantasmi delle voci umane, si sdoppia e si moltiplica fino alla folla.

Les Chants de l’Amour

Gérard Grisey – Les Chants de l’Amour (1982-84), per 12 voci e nastro magnetico

La scrittura delle parti affidate ai 12 cantanti è basata non su delle parole, ma su vocali e dittonghi estratti dalla analisi spettrale della frase “I love you”. Vengono inoltre utilizzate alcune interiezioni sonore come sospiri, scoppi di risa o frammenti della stessa frase.

La parte elettronica è stata sintetizzata all’IRCAM mediante il programma “Chant”, la cui caratteristica è di creare delle vocali artificiali molto malleabili che agiscono a tratti da collante, a tratti come elemento complementare o di contrasto rispetto alle voci reali.

Intelligentemente, Grisey utilizza le vocali anche nella maggioranza delle parti cantate, riuscendo così a fondere le voci reali con i materiali generati dal programma.

“Vedo i suoni come fasci di forza orientati nel tempo, infinitamente mobili e fluttuanti”.

La lezione di Stimmung è presente e Grisey la supera, inventando un brano estremamente mobile, con una scrittura a tratti quasi pirotecnica, che unisce i tratti fondamentali dello spettralismo a una notevole forza espressiva.

Barcode

Questo è il mio barcode.

Non c’è dentro il mio nome, ma ci sono sesso, nazionalità, età, altezza, peso.

Trattasi di un lavoro di Scott Blake:

Scott Blake takes barcodes and turns them into art – art that is simultaneously pop and op, intellectual and personal, minimal and ocular. Blake uses the black and white icon of our data-drenched existence to stimulate thought on topics from consumerism to religion and individual identity. He urges the viewer to consider the limitations of digitized human expression and to appropriate these symbols of commodity.

C’è un intero sito dedicato al lavoro di Scott Blake sui barcode.

Ravel e la FTD

Ipotesi recenti suggeriscono che Maurice Ravel, il cui decesso è imputato ad una non ben identificata atrofia cerebrale o all’Alzheimer, soffrisse in realtà di FTD (frontotemporal dementia), una malattia non ancora ben conosciuta, nota anche come morbo di Pick.

Si tratta di una malattia degenerativa che colpisce in età non troppo avanzata (fra i 50 e i 60) attaccando e distruggendo lentamente i lobi temporali del soggetto, riducendone progressivamente le facoltà cognitive. Ma l’aspetto più interessante di questa patologia è che, in alcuni casi, il decadimento cognitivo è accompagnato da esplosioni creative non convenzionali, nel senso che spesso vanno al di là delle convenzioni artistiche del periodo e che, quando il soggetto è già un artista di valore, possono diventare esplosioni di genio.

Se così fosse, il Bolero potrebbe essere il risultato di una di queste. In effetti è stato composto nel 1928, quando Ravel aveva 53 anni e cominciava a mostrare i primi segni della malattia, come testimoniano errori di linguaggio e scrittura. Di questa ipotesi suggestiva, sollevata dal Dr. Bruce Miller, neurologo e direttore del Memory and Aging Center, University of California, si parla in un articolo pubblicato in Medical Hypotheses (sorry, serve una registrazione per leggerlo). La notizia è stata ripresa dal New York Times.

Il tutto, ovviamente, non toglie nulla al genio di Ravel, ma è interessante pensare che le condizioni mentali anomale possano essere in parte responsabili di un’opera di tale grandezza e intensità. Forse Ravel non avrebbe osato così tanto se non fosse stato malato?

Autumn Enso

John Kannenberg’s Autumn Enso is a long-form video painting. Originally premiered at the 2006 Spark Festival in Minneapolis, this quietly evolving series of images combines still photography, video, traditional drawing and meticulously manipulated animation with a live performance of the original album’s sonic source material. Inspired by the circular enso paintings of zen buddhism, Autumn Enso’s delicate balance between representation and abstraction immerses the viewer in a celebration of the cyclical nature of the autumn season.

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Un video sui colori dell’autunno, con musica e immagini, realizzato da John Kannenberg e pubblicato dalla netlabel stasisfield.

CDDB

Certo, il CDDB è una grande idea. Molti se ne servono senza nemmeno saperlo e probabilmente ignorano anche che cosa sia, ma la sua storia è esemplare per quanto riguarda il rapporto fra libera iniziativa, diffusione della conoscenza e major.

Dunque, la storia è questa.

Quando vennero stese le specifiche del CD audio, i progettisti originali, Philips e Sony, non si preoccuparono minimamente di includere nel disco alcun identificativo, come, per es., il titolo del disco, i nomi degli autori e i titoli dei brani.

Come spesso accade, non si resero conto immediatamente delle possibilità offerte dalla tecnologia digitale e un nuovo medium venne visto unicamente come un sostituto del vecchio che era semplicemente un supporto per l’audio, senza nessuna informazione correlata. Non pensarono che, essendo il nuovo formato digitale, sarebbe stato semplice includere un record che riportasse dei dati riguardanti il contenuto. Sul vinile non c’era, quindi perché metterlo sul CD?

Di conseguenza, fra i dati digitali del CD non c’è scritto niente che permetta di identificare titolo, artista e brani. Tutta l’informazione è demandata all’etichetta stampata sul disco.

Il problema è che la tecnologia corre e crea rapidamente nuove modalità di fruizione che spesso sono sganciate da un preciso supporto fisico (le major se ne stanno accorgendo soltanto adesso). Quasi subito ci si rese conto che, anche senza fare niente di illegale, Il contenuto di un CD legittimamente acquistato poteva facilmente essere trasferito su un hard disk per poterlo ascoltare in viaggio o al lavoro tramite un portatile e più tardi, con l’arrivo dell’MP3, con lettori portatili.

Il punto è che, una volta che il contenuto veniva separato dal supporto fisico, anche le informazioni stampate su quest’ultimo andavano perse. Le soluzioni furono due. Le major crearono le specifiche del CD-Text, un formato compatibile con il CD audio in cui esiste uno spazio in cui apporre i dati sul contenuto. Il CD-Text non è però utilizzato universalmente.

La seconda soluzione fu quella di creare su internet un archivio aperto che permettesse di identificare i CD. Venne così creato un database in cui ogni CD era identificato da un “disc-id”, cioè una stringa di lettere e numeri calcolata a partire dal contenuto, prendendo in considerazione la durata e la sequenza delle tracce. Per esempio, il disc-id del CD dei Cure che sto ascoltando è “910d120c”. Questo identificativo è difficilmente duplicabile perché è improbabile (anche se possibile) che esista un altro CD con tracce di uguale durata. Se poi si prendono in considerazione altri dati come il numero della tracce, la loro sequenza e la durata di ciascuna di esse nella sequenza, la ripetibilità dell’id diventa molto difficile.
A ogni id è associato un record di informazioni in formato testo che contiene titolo del disco, artista, titoli dei brani, anno di pubblicazione, etc. In tal modo i players possono collegarsi a internet e reperire le informazioni

Il CDDB (CD database) fu un’invenzione di Ti Kan e Steve Scherf.
Il codice sorgente venne realizzato sotto i regolamenti della GNU General Public License, permettendo così a tutti il libero accesso ad informazioni messe a disposizione da molte persone.
Più tardi, però, il progetto fu venduto e le condizioni di licenza vennero cambiate, prevedendo un costo iniziale per il pagamento dell’utilizzo dei server e del supporto necessario che ricadde sugli sviluppatori commerciali. Inoltre la licenza includeva anche alcune clausole che molti programmatori considerarono inaccettabili: nessun altro database simile poteva essere accessibile come integrazione al CDDB e il logo del database doveva essere esposto durante l’accesso.

Il cambio di licenza motivò il progetto freedb, che ha gli stessi fini, ma è intenzionato a rimanere gratis e libero.

Nel Marzo 2001, il CDDB, divenne proprietà della Gracenote che proibì l’accesso al proprio database a tutte le applicazioni sprovviste di licenza. Le licenze per il CDDB1 (la versione originale del CDDB) non furono più disponibili dal momento in cui venne richiesta ai programmatori la trasformazione in CDDB2 (una nuova versione incompatibile con CDDB1, e automaticamente anche con freedb). In pratica, se qualcuno voleva sviluppare un player che accedesse al CDDB, doveva pagare.

Dopo la commercializzazione del CDDB della Gracenote, molti media player passarono all’utilizzo di freedb, pur mantenendo ‘CDDB’ come termine generico nel riferirsi alla sua funzione di database.

Dall’ottobre 2006, MAGIX ha acquisito freedb che però continua a rimanere gratuito e libero. Ciò nonostante, è partito un altro progetto, chiamato MusicBrainz, che vuol essere molto di più di un semplice database di CD. Il suo obiettivo di creare una enciclopedia della musica a contenuto aperto. È un database online di informazioni riguardante la musica registrata, ma non è un database di musica. MusicBrainz raccoglie informazioni sugli artisti, le loro registrazioni, e le relazioni tra essi. Le voci su ogni lavoro musicale comprendono di base il titolo dell’album,i titoli delle tracce,e la durata di ogni traccia. Queste voci sono mantenute nel rispetto di una guida di stile comune. I lavori registrati possono anche comprendere informazioni sulla data e il paese di pubblicazione, l’ID del CD, l’impronta audio di ogni traccia e hanno un campo opzionale per l’inserimento di testo o annotazioni in allegato. A giugno 2006, MusicBrainz conteneva informazioni su 243,000 artisti, 399,000 album, e 4.8 milioni di tracce.

Tutta la storia è esemplare per quanto riguarda il modo con cui il sistema commerciale tratta l’informazione. Notate che qui non stiamo discutendo di copyright su dei contenuti (canzoni, scritti, etc), ma soltanto di informazioni sul contenuto di un CD, la cui raccolta, alla fine, è un servizio.

Autocelebrazione

È la famosa statua in bronzo del leader coreano Kim-Il-Sung (15 aprile 1912 – 8 luglio 1994) sulla collina di Mansu a Pyongyang.

Cliccate l’immagine per ingrandirla e guardate le dimensioni delle persone rispetto alla statua.

Non è impressionante?

OK, mi arrendo…

Non sapevo che le versioni dell’Ultima Cena fossero così tante.

Il blog Popped Culture ne ha un cinquantina, in crescita. Onore al merito. Qui vi metto quella di Topolino

quella di Doctor House (che mi piace molto, ma chi è Giuda?)

quella di Tarantino

una di quelle della Lego

e una in versione zombie (questo è il mio corpo, questo è il mio sangue…)

Per il resto, andate a vedervele su Popped Culture dove potete anche ingrandirle.

E se qualcuno ritiene che queste imagini siano blasfeme, cominci a prendersela con questa su McDonald in cui il personaggio che sta al posto di Cristo dice “questo è il mio sangue, questo è il mio corpo e questo è il giocattolo gratuito che ci trovate dentro”.

Un’altra!?

L’ondata dei “cult artist”, cioè coloro che riproducono oggetti o persone famosi, spesso utilizzando lo schema di opere altrettanto famose, non accenna a placarsi.

Ecco un’altra Ultima Cena, questa volta opera di Eric Deshamps con i personaggi di Star Wars. Cliccate sulla figura in alto per ingrandirl

Ma la cosa più incredibile è che, vista l’opera, il suo compagno di stanza, Avinash Arora, ne ha fatto un mosaico composto da uno miriade di piccole immagini. Sul sito dell’autore potrete ammirarne i dettagli.

UPDATE
Ma questo è niente! Vedrete domani!!

Questo non è un pesce d’Aprile

I pesci d’Aprile più famosi, tanto da essere riportati anche da wikipedia, sono senz’altro quelli della BBC. L’indiscussa credibilità di cui gode l’emittente inglese ne accresce l’effetto.

  • 1957 – La BBC trasmette un servizio sulla raccolta degli spaghetti che crescono sugli alberi in Svizzera. Migliaia di inglesi telefonano chiedendo dove acquistarli. Uno dei più grandi successi di tutti i tempi.
  • 1965 – La BBC annuncia l’inizio di esperimenti per la trasmissione di odori. Molte persone chiamano per offrirsi come tester.
  • 1976 – Su BBC Radio 2 l’astronomo Sir Patrick Moore comunica che un insolito allineamento planetario avrebbe provocato una temporanea diminuzione della gravità terrestre. Il fenomeno avrebbe raggiunto l’apogeo alle ore 9:47 a. m. del primo Aprile. A quell’ora gli ascoltatori sono invitati a saltare per provarne l’effetto. Dozzine di ascoltatori chiamano sostenendo di averlo chiaramente verificato.
  • 2004 – BBC Radio 2 annuncia l’uscita della Germania dall’Euro. Si dice anche che, data l’ormai totale sparizione del Marco. i tedeschi avrebbero adottato la Sterlina come moneta. Molti cittadini inglesi chiamano indignati, sostenendo di considerare questo atto un attacco alla sovranità inglese.
  • Senza data – sempre BBC – la trasmissione Football Focus annuncia un ingrandimento di 2 piedi in altezza e 4 in larghezza delle porte nel campionato inglese. La verità viene detta solo una settimana dopo quando vengono anche mostrati filmati in cui si vedono varie squadre dilettanti intente ad adeguare alle nuove regole le porte del proprio campo.
  • Più di una volta, in questo giorno, la BBC ha annunciato cambiamenti nella misura del tempo, passando a un sistema basato sul 10 invece che sul 60 (giorni di 20 ore, 10 am + 10 pm, ore di 100 minuti e minuti di 100 secondi).

In campo informatico, invece, sono famosi i pesci d’Aprile dell’Internet Society che pubblica periodicamente dei documenti seri, chiamati RFC, che contengono proposte di modifica degli standard internet, ma, a volte, in questo giorno, ne pubblica alcuni di falsi. Fra i più buffi:

  • RFC 2549 – IP over Avian Carriers with Quality of Service, del 1999 (qualità di servizio in IP su piccioni viaggiatori)
  • RFC 2324 – Hyper Text Coffee Pot Control Protocol (HTCPCP/1.0), del 1998 (protocollo ipertestuale per il controllo di una caffettiera)
  • RFC 1097 – TELNET SUBLIMINAL-MESSAGE Option, del 1989 (messaggi subliminali nel protocollo telnet)

La stampante ci spia

Ed è vero.

Dunque, anni fa qualcuno notò una strana serie di puntini gialli, sbiaditi e quasi invisibili, su un foglio stampato da una laser a colori (vedi immagine qui sotto).

Dapprima si pensò a un difetto, ma poi ci si accorse che anche altre laser lo facevano e che la serie di puntini era sempre diversa. A questo punto qualcuno cominciò a ipotizzare che si trattasse di un codice che permetteva di risalire alla macchina con cui era stato stampato il documento. Ecco una delle sequenze di puntini rivelata da un led a luce blu.

Alcune indagini portate avanti soprattutto dalla EFF, hanno provato che chi parlava di complotto così paranoico non era. In pratica, il governo degli Stati Uniti ha convinto discretamente i principali produttori di stampanti e fotocopiatrici a colori a inserire in ogni copia uno schema di puntini univoco che rende possibile risalire non solo alla macchina che ha stampato il foglio, ma anche, secondo la EFF, anche alla data e all’ora di stampa, come mostrato nell’immagine seguente in cui i punti dello schema di cui sopra sono evidenziati e interpretati.

Naturalmente il governo afferma che il codice serve solo a identificare chi commette reati stampando, per es., banconote false. Resta il fatto, però, che questo codice permette di risalire a marca, modello e numero di serie della macchina che ha stampato un certo documento e tramite il produttore al negozio che l’ha venduta e dal negozio forse anche all’acquirente.

Ora, considerate che questa è una di quelle cose che non vanno a colpire il criminale, ma il cittadino qualunque. Il criminale che intende stampare banconote false o il terrorista sono persone abituate a prendere precauzioni per dissimulare la propria identità e anche se non sono a conoscenza della cosa, a puro titolo precauzionale, non intesteranno certo la fattura a se stessi. Chi invece lo fa è il cittadino comune che adesso non ha niente da nascondere, ma un giorno potrebbe trovarsi in una posizione di protesta o dissidenza.

Be Paranoid!

Qui potete consultare il documento originale della EFF.

Via attivissimo

Retro Sabotage

Retro Sabotage si diverte a riscrivere la storia dei videogame realizzandone anche delle versioni sabotate con cui giocare in rete.

Così Pac-Man diventa un sistema per incitare i giovani giapponesi a consumare di più per evitare la recessione e poi, nella versione Nord Coreana, si trasforma in un gioco che si auto-gioca, mentre si può giocare a Tetris con tanto di sfondo di minareti e bombe americane che cadono.

L’inganno del 2000

Il blog Modern Mechanix ha recuperato un articolo del 1968 in cui si descrive la vita nel 2008 ed è interessante perché, in un certo qual modo, si collega al post precedente e ai discorsi sulla fantascienza in genere.

Leggerlo è divertente, ma fa anche pensare. L’articolo è la classica predizione fantascientifica intrisa di fede scientista che andava di moda negli anni ’60. Alcune cose sono azzeccate, ma la maggior parte delle predizioni è iper-ottimistica, cioè, le cose di cui si parla effettivamente esistono, ma non sono utilizzate con la facilità e la diffusione descritte.

Un esempio banale. Una persona che sta viaggiando in auto riceve una richiesta di informazioni dall’ufficio. Lui fa uno schizzo con uno stilo su uno schermo portatile, lo invia all’ufficio dove viene immediatamente stampato. Con la tecnologia attuale si tratta di una cosa perfettamente possibile, ma non la si vede quasi mai.

È un esempio di quello che io chiamo “l’inganno del 2000” di cui è stata vittima quasi tutta la mia generazione. Da bambino, leggevo articoli come questo e ci credevo. Auto che si guidano da sole, computer che regolano il traffico, giornali che arrivano su uno schermo, città climatizzate e prive di inquinamento e poi lo spazio…

Quando, poi, il 2000 è arrivato davvero, tirando un po’ di somme, la delusione più evidente era, ovviamente, lo spazio. In tutto una decina di persone hanno messo piede sulla luna, ma Marte è decisamente fuori portata e di basi nemmeno l’ombra.

Ma anche altre cose, il cui sviluppo 40 anni fa poteva sembrare giustificabile e razionale, oggi non esistono, anche se potrebbero esistere. È interessante notare, infatti, che, nella maggior parte dei casi, queste predizioni non erano errate sotto il profilo scientifico, bensì sul piano politico ed economico.

In pratica, la ricerca il suo dovere l’ha fatto. È la politica che non è stata in grado di gestirne i risultati nell’interesse pubblico. E il vedere che molte cose che si potrebbero fare facilmente, in realtà esistono solo in qualche isola fa un po’ incazzare.

Insomma. quando ero piccolo mi dicevano “vedrai quando avrai 50 anni…” Adesso ho passato i 50. Non ho visto niente.

La Sentinella

«Qui giace Arthur Clarke. Non è mai stato un grande ma non ha mai cessato di crescere»

Con una ottantina di libri e decine di milioni di copie vendute, Arthur C. Clarke era probabilmente lo scrittore di fantascienza più famoso dopo Isaac Asimov e uno dei primi che noi, ragazzini degli anni ’60, incontravamo iniziando a leggere fantascienza.

Ricordo che, a parte Jules Verne, che avevo letto più o meno a 8/9 anni e un libro per ragazzi di cui non ricordo né l’autore né il titolo, il primo vero romanzo di fantascienza in cui mi imbattei, a 11/12 anni, fu “Tutto bene a Carson Planet” re-titolazione (a quei tempi si usava) di “The war against the Rull” di A. Van Vogt. Subito dopo arrivò “Cronache Marziane” di Bradbury e poi qualche Urania di Asimov e Arthur Clarke, fra cui la famosa Sentinella che intanto era diventata parte di 2001 Odissea nello Spazio.

In effetti, lo stesso Clarke nel 1983 affermava:

Continuo a notare con fastidio che si cita erroneamente La Sentinella come “il racconto su cui si basa 2001”. In realtà il racconto assomiglia al film come una ghianda potrebbe assomigliare a una quercia adulta. (Molto meno, anzi, perché nel film compaiono idee di vari altri racconti). Anche gli elementi che Stanley Kubrick ed io abbiamo effettivamente utilizzati sono stati alquanto modificati. Così la “struttura scintillante, di forma quasi piramidale… incastonata nella roccia come una gigantesca gemma dalle mille sfaccettature” divenne – dopo parecchie modifiche – il famoso monolito nero…
[A. Clarke, in La Sentinella, Interno Giallo, Milano, 1990]

La cosa curiosa, riportata dallo stesso Clarke nel commento al suo racconto che, ricordiamo, è stato scritto nel Natale del 1948, è che anche La Sentinella ha un antenato pubblicato ben 30 anni prima. Si tratta di “The Red One” di Jack London, in cui si parla della “Figlia delle Stelle”, un’enorme sfera rimasta a giacere per intere epoche nella giungla di Guadalcanal.
Evidentemente l’enigma ancora irrisolto “siamo soli nell’universo?” è troppo potente e citando ancora una volta Clarke

Esistono due possibilità: o siamo soli nell’universo non lo siamo. Entrambe sono terrificanti.

Però la frase per cui io lo ricorderò sempre è quella passata alla storia come la sua terza legge:

Una tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.

È sempre stato così Arthur Clarke: rigorosamente scientifico, capace di passare alla storia come l’ideatore del concetto di satellite geostazionario, tanto che quando John Robinson Pierce, ai laboratori Bell, progettò il Telstar I – il primo satellite geostazionario per telecomunicazioni – il brevetto gli fu negato in quanto l’idea era stata già descritta proprio da Clarke.
Scientifico, ma nello stesso tempo ricco di poesia e capace di far sognare, come con le farfalle delle Fontane del Paradiso o con quell’immensa scatola, piena di segreti, che passa e se ne va, senza degnarci di uno sguardo, nel primo libro di Rama.

Comunque è ben triste rendersi conto che quelli che hanno significato qualcosa per me, cioè quelli che in qualche modo hanno segnato la mia gioventù e mi hanno fatto sognare, uno dopo l’altro si stanno spegnendo. È vero che dopo di loro ce ne sono stati altri, ma è anche vero che, dopo una certa età, non stato più disposto a farmi segnare più di tanto.

Alla fine, negli ultimi 20 anni, c’è una persona sola che è riuscita a farmi sognare, ma non è così importante per il resto del mondo…

Byzantine Prayer

Un altro bel brano di Radulescu dal già citato AGP 85. Si tratta di Byzantine Prayer opus 74 del 1988, per 40 flautisti con 72 flauti. Il brano è un requiem per Giacinto Scelsi.

In scena, i 40 flautisti sono distribuiti in 8 gruppi concentrici composti da 1, 2, 3, 5, 8, 13, 5, 3 strumentisti, dal centro verso la periferia. In questa progressione il lettore attento avrà certamente riconosciuto la serie di Fibonacci.

La strumentazione è distribuita come segue:

  • l’esecutore centrale (1) suona un flauto ottobasso (3 8ve sotto il consueto flauto in do);
  • i 2 del primo cerchio hanno un flauto contrabbasso e un basso;
  • i 3 ancora più esterni suonano un flauto in sol (una 4a sotto al flauto in do: alto flute in inglese);
  • il primo gruppo da 5 esecutori impugna altrettanti flauti bassi;
  • i tre gruppi seguenti (8, 13, e ancora 5 esecutori) suonano quello che ritengo essere il comune flauto in do (grand nelle note);
  • con i 3 più esterni si torna ai flauti in sol.

A questo punto non mi è chiaro perché nelle note si parli di 72 flauti, cosa che sarebbe possibile solo se alcuni esecutori dovessero cambiare strumento nel corso del brano, mentre, da questa descrizione, non sembra.

Il brano è formato da un Ritornello Litanico costruito su un teorico spettro di LA e da tre Intermundi che sviluppano altri 6 spettri e fanno largo uso della tecnica della modulazione ad anello per la generazione delle frequenze.

Il suono, infine, si muove circolarmente perché i 40 esecutori sono distribuiti nella sala.

Ricordiamo che i brani contenuti nell’AGP 85 sono liberamente scaricabili in formato flac (compressione senza perdita).

Horatiu Radulescu – Byzantine Prayer opus 74 (1988)

Radulescu

L’AGP 85 è dedicato a Horatiu Radulescu, compositore rumeno che vive in Francia.

Si dedica alla musica spettrale fin dalla fine degli anni ’60 in un modo che, però, si allontana da quello dei più noti francesi Grisey e Murail. In effetti, più che costruire “armonie” o figurazioni, come accade nel caso dei francesi, Radulescu tende a costruire suoni a densità spettrale variabile servendosi di tecniche esecutive appositamente studiate e facendo largo uso del concetto della modulazione ad anello che produce somme e differenze di frequenze date.

Fra i quattro brani contenuti nell’AGP 85, liberamente scaricabili in formato flac (compressione senza perdita), vi faccio ascoltare Frenetico il longing di amare, opus 56 (1984-87).

Questo brano è per basso, flauto contrabbasso (o octobasso) e sound icon. Quest’ultimo strumento altro non è che l’arpa di un pianoforte piazzata in verticale, con accordatura non standard, definita dall’autore in base alle componenti spettrali che intende utilizzare. Le corde vengono suonate con un archetto e in questo pezzo ha un ruolo di bordone, i cui suoni vengono colorati spettralmente dagli altri strumenti.

Horatiu Radulescu –  Frenetico il longing di amare, opus 56 (1984-87)

Stella Rossa su internet

Lo scorso weekend potrebbe essere ricordato come un momento storico per internet.

Per la prima volta, infatti, gli USA non sono più il paese con il maggior numero di navigatori, essendo stati superati dalla Cina. Come, infatti, riporta puntualmente il sempre attento Punto Informatico, citando varie agenzie, gli utenti cinesi hanno superato gli americani 220 contro 217 milioni.

Ma la crescita cinese non si fermerà qui. L’aumento rispetto allo scorso anno è stato del 30% e questo sembra essere anche il trend dell’anno in corso. Considerata la popolazione cinese e il fatto che soltanto adesso una gran parte dei cinesi comincia a guadagnare abbastanza da permettersi una connessione domestica, si può prevedere che il distacco sia destinato ad aumentare e consolidarsi.

Il fatto che tutto ciò avvenga nonostante l’altissimo tasso di controllo e di restrizione operata sulla rete da parte del governo cinese non è un buon indicatore. Altri governi potrebbero pensare che crescita e controllo possano convivere. In questi ultimi anni, infatti, gli stessi paesi occidentali hanno imparato molto dalla Cina in materia di controllo. Ricordiamo, per esempio. che in Italia non vengono oscurati soltanto siti coinvolti in reati penali, ma anche quelli che ospitano alcuni casinò online e gestori di scommesse con sede all’estero, onde impedire agli italiani di sfuggire al monopolio statale e alle tasse connesse.

Quello che si spera, ovviamente, è che l’aumento esponenziale del numero dei navigatori renda la vita sempre più difficile ai controllori e che il fenomeno internet si traduca in una maggiore libertà di informazione anche in Cina.

Forse quello di cui abbiamo bisogno davvero è un bel jolly roger:

C’era una volta… (001)

… il Cracklebox (1975, nome orig. olandese Kraakdoos).Cracklebox

Questo geniale strumento, scaturito dalla mania di Michael Waiswisz di ficcare le dita nei circuiti delle radio a onde corte e alimentato soltanto da una batteria a 9V, utilizzava le proprietà di conduzione elettrica della pelle per connettere le varie parti di un circuito relativamente semplice, ma capace di emettere fischi, borbottii e vari lamenti.
Il corpo umano diventava così parte della circuiteria e la pelle agiva da cavo, potenziometro e condensatore.

Era prodotto dai laboratori STEIM di Amsterdam che, negli anni ’70 ne vendettero circa 4000 esemplari. La produzione era ricominciata alcuni anni fa, ma ora è nuovamente interrotta a causa della mancanza di alcuni componenti ormai obsoleti.

Il mio divertimento preferito, le rare volte che l’ho avuto in mano (prestito del mio amico e collega Roberto ‘Zoo’ Zorzi), era entrare in un grande magazzino con il cracklebox in tasca e accenderlo per qualche secondo guardandomi in giro, insieme a tutti i presenti, per cercare di capire da dove venivano quegli assurdi suoni. E i suoni erano questi:

Dati perduti

È il 2008 e siamo solo a metà marzo.

Quello che segue è un elenco sicuramente parziale della mole di dati sensibili esposti a terzi in violazione della privacy, a causa di negligenze, incidenti, furti o cracking negli USA.

Nell’intero 2007 i casi accertati sono stati 329 e coinvolgono milioni di persone. Questi dati sono raccolti nell’Attrition.org Data Loss Archive and Database. L’archivio è pubblico.

Apprezzate gli effetti collaterali della società dell’informazione.

  • University Health Care (Utah) – [2008-03-13] (Stolen laptop contains 4,800 patients’ names, Social Security numbers, and health information)
  • Harvard University – [2008-03-12] (Personal information of 10,000 including 6,500 Social Security numbers possibly compromised from hack)
  • Blue Cross Blue Shield of Western New York – [2008-03-10] (Missing laptop contains “vital information” of an estimated 40,000)
  • MTV Networks – [2008-03-08] (External breach exposes about 5,000 names and Social Security numbers)
  • Cascade Healthcare Community – [2008-03-06] (Computer virus exposes credit card information, names, and addresses of more than 11,500)
  • Nevada Department of Public Safety – [2008-03-05] (Social Security numbers and addresses of 109 on lost thumb drive)
  • Madeley Health Centre (UK) – [2008-03-05] (Names, addresses, dates of birth and medical treatment details of 238 on stolen memory stick)
  • Kraft Foods – [2008-03-03] (Missing laptop contains names and possibly Social Security numbers of 20,000)
  • Wellesley Health Department – [2008-02-29] (Social Security numbers, names, addresses, and dates of birth for about 480 lost from open envelope)
  • Health Net Federal Services – [2008-02-27] (Social Security numbers for 103,000 posted on web)
  • Mecklenburg County, North Carolina (NC) – [2008-02-25] (400 account numbers in stolen vehicle)
  • Newfoundland Eastern School District – [2008-02-21] (Medicare numbers, names, and addresses of 28,000 students on stolen laptop)
  • Texas A&M University – [2008-02-16] (Names and Social Security numbers of 3,000 inadvertantly posted online)
  • First Magnus Financial – [2008-02-15] (Thousands of documents containing Social Security numbers, credit card information, addresses recovered from trash)
  • Crosslines Ministries of Carthage – [2008-02-15] (Social Security numbers, names, and addresses of 2,000 in stolen files)
  • Lexmark International – [2008-02-15] (Undisclosed number of names, addresses and Social Security numbers disclosed on file-sharing site)
  • Russells Hall Hospital – [2008-02-14] (Medical records of 5,123 on stolen laptop)
  • Tenet Healthcare Corporation – [2008-02-14] (Former employee convicted of identity theft had access to records of 37,000)
  • Middle Tennessee State University – [2008-02-13] (Names and Social Security numbers of about 1,500 on compromised computer)
  • Lifeblood – [2008-02-13] (Missing laptops contain personal information including dates of birth and some Social Security numbers of 321,000)
  • Long Island University – [2008-02-12] (Up to 30,000 notified about potentially compromised letters containing names and Social Security numbers)
  • Modesto California City Schools / Clovis Unified / Los Angeles Department of Water and Power – [2008-02-12] (Stolen hard drive holds names, addresses, birth dates and Social Security numbers of over 15,000)
  • Jefferson County (CO) Public Schools – [2008-02-11] (Stolen computer holds names, addresses, dates of birth, and school information for up to 2,900)
  • MLSgear.com – [2008-02-08] (Names, addresses, credit and debit card information on compromised servers)
  • Memorial Hospital (South Bend, IN) – [2008-02-07] (Social Security numbers, names, addresses, and dates of birth of 4,300 on lost laptop)
  • Diocese of Providence – [2008-02-02] (Names, addresses, and Social Security numbers of 5,000 on stolen computers)
  • Marine Corps Bases Japan – [2008-02-01] (Social Security numbers, names, and other information of 4,000 on stolen laptop)
  • University of Minnesota Reproductive Medicine Center – [2008-01-31] (Medical information of 3,100 on lost flash drive)
  • South Carolina Department of Health and Environmental Control – [2008-01-31] (About 400 names and Social Security numbers on stolen laptop)
  • Davidson Companies – [2008-01-30] (Hacked database contains names, Social Security numbers and account information for 226,000)
  • Horizon Blue Cross Blue Shield of New Jersey – [2008-01-29] (Stolen laptop contains names and Social Security numbers of over 300,000)
  • Wake County (NC) Emergency Medical Services – [2008-01-29] (Names, addresses and Social Security numbers of as many as 4,642 on missing laptop) [update]
  • Georgetown University – [2008-01-29] (Social Security numbers and other personal information of about 38,000 on stolen hard drive)
  • T. Rowe Price Retirement Plan Services – [2008-01-28] (35,000 names and Social Security numbers on stolen computers)
  • Penn State University – [2008-01-25] (Stolen laptop contains Social Security numbers of 677)
  • Fallon Community Health Plan – [2008-01-24] (Medical information and names of 29,800 on stolen laptop)
  • United Kingdom Ministry of Defence – [2008-01-18] (Stolen laptop contains passport details, National Insurance numbers, medical records of 600,000)
  • GE Money / Iron Mountain – [2008-01-17] (Credit card numbers and some Social security numbers of 650,000 on missing backup tape)
  • University of Wisconsin-Madison – [2008-01-16] (Social Security numbers of about 205 employees exposed on web)
  • Wisconsin Department of Revenue – [2008-01-15] (Social Security numbers of 5,000 on mailing labels)
  • Naval Surface Warfare Center Dahlgren Division – [2008-01-15] (Names, Social Security numbers, and financial information found on report obtained by suspected identity thieves)
  • Tennessee Tech University – [2008-01-14] (Lost portable drive contains names and Social Security numbers of 990)
  • California State University, Stanislaus – [2008-01-12] (Credit card numbers, cardholder names and expiration dates exposed)
  • Virginia Department of Social Services – [2008-01-11] (Letters mailed to 1,500 regarding a “potential security breach”)
  • Oldham NHS Primary Care Trust – [2008-01-11] (Personal and medical information of 148 on missing “data sticks”)
  • University of Iowa – [2008-01-11] (Social Security numbers and other information for 216 exposed in Internet)
  • University of Akron – [2008-01-11] (Social Security numbers, names and addresses of 800 on missing hard drive)
  • Select Physical Therapy – [2008-01-10] (4,000 records containing Social Security numbers, credit and debit card account numbers, names, and addresses dumped)
  • University of Georgia – [2008-01-08] (Social Security numbers, names and addresses of 4,250 on hacked server)
  • Wisconsin Department of Health and Family Services – [2008-01-08] (Social Security numbers of 260,000 on mailing labels)
  • Geeks.com – [2008-01-07] (Credit card numbers, names, and addresses possibly compromised on “hacker safe” web site)
  • New Mexico State University – [2008-01-05] (Employee Social Security numbers and names on missing hard drive)
  • Maryland Department of Assessments and Taxation – [2008-01-04] (Social Security numbers for roughly 900 transmitted to unprotected web site)
  • Florida Department of Children and Families – [2008-01-04] (Social Security numbers, birth dates and other information for thousands on stolen laptops)
  • Health Net – [2008-01-04] (Names and Social Security numbers of about 5,000 on stolen laptop)
  • Dorothy Hains Elementary School (Georgia) – [2008-01-03] (Social Security numbers on stolen computer)
  • Workers Compensation Fund – [2008-01-02] (Social Security numbers and other personal information for about 2,800 people on stolen laptop)

Tombeau de Messiaen

Un altro omaggio a Messiaen, dopo la sua scomparsa, stavolta da parte di Jonathan Harvey: si tratta di “Tombeau de Messiaen”, per piano accompagnato da una elettronica misurata ma essenziale formata in gran parte da un pianoforte sintetico accordato sulla scala naturale, che interviene a modificare in modo più o meno sensibile i suoni dello strumento.

Jonathan Harvey – Tombeau de Messiaen (1994) per pianoforte e parte elettronica

Evryali

Il pianista John Mark Harris ha realizzato una bella trasposizione grafica di Evryali, una composizione di Xenakis per solo piano del 1973, basata sul concetto di “arborescenze”, ramificazioni che si sviluppano a partire da un nucleo come si può intuire dal disegno (quella in figura è solo una piccola parte della partitura).

Le forme sono state disegnate su un monitor dal compositore e poi trasposte in notazione tradizionale via software. A permettere questa modalità compositiva basata sulla grafica è la workstation dell’UPIC di cui abbiamo già parlato qui.

Il fatto è che Evryali è composta senza alcun riguardo per l’anatomia umana, per cui alcuni punti della partitura sono semplicemente ineseguibili. Di conseguenza l’esecutore è chiamato a fare delle scelte. John Mark Harris afferma di aver utilizzato il grafico anche come ausilio nel compiere le predette scelte, oltre che per capire la struttura del brano, in quanto la partitura è troppo complicata per farsene un’idea a una prima lettura.

La cosa interessante, però, era che, sul suo sito, l’intero grafico scrollava insieme all’esecuzione ed era molto interessante seguirlo. Purtroppo questa pagina non esiste più. Però ho trovato questo che è uno degli esempi di MuseScore, per cui quello che suona non è un vero pianoforte, ma in questo modo può suonare tutto e il grafico c’è.

Questa, invece, è una esecuzione umana (purtroppo il nome dell’esecutore non è riportato)

Effetto Mozart

L’effetto Mozart è una controversa teoria secondo la quale l’ascolto della musica del predetto compositore rende più intelligenti o almeno migliora certe funzioni intellettuali, soprattutto se somministrato in età prescolare. Il termine è stato coniato nel 1991 da Tomatis e studiato, con riscontri positivi, nel 1993 da Rauscher, Shaw, and Ky.

Da allora sono stati effettuati vari studi con risultati alterni, per cui non è ancora chiaro se questo effetto sia reale o meno. Tuttavia, grazie anche ad alcuni libri di Don Campbell e alla sua raccomandazione di far ascoltare Mozart ai bambini in tenera età per accrescere il loro QI, la nozione di “effetto Mozart” ha acquisito una certa popolarità negli USA, tanto da far scoppiare una moda che, nel 1998, ha portato il governatore della Georgia a stanziare circa 100.000 dollari per regalare una cassetta di musica classica a ogni neonato.

Premesso che, a prescindere dal fatto che l’effetto funzioni, si tratta di un’ottima idea (ammesso che i genitori la mettano in pratica), non si vede perché solo Mozart debba avere il suo effetto e si può ironizzare su tutto ciò cercando di immaginare quale potrebbe essere, per i bambini, l’effetto dell’ascolto di altri compositori. Le seguenti definizioni sono tratte dalle pagine umoristiche dell’Oratorio Society of New York (la traduzione è mia e in un paio di casi ci ho messo del mio).

  • LISZT EFFECT: il bambino parla rapidamente e in modo stravagante, ma non dice mai nulla di veramente importante
  • BRUCKNER EFFECT: il bambino parla molto lentamente e si ripete frequentemente, ma guadagna una certa reputazione di profondità
  • WAGNER EFFECT: il bambino si comporta da megalomane. Potrebbe eventualmente tentare di sposare la propria sorella
  • MAHLER EFFECT: il bambino urla continuamente, con grande estensione e volume, che sta morendo
  • SCHOENBERG EFFECT: il bambino non ripete mai una parola finché non ha utilizzato tutte quelle che fanno parte del suo vocabolario. Qualche volta parla al contrario. A volte la gente smette di ascoltarlo e allora si lamenta di non essere compreso
  • IVES EFFECT: il bambino sviluppa una abilità notevole nel portare avanti diverse conversazioni nello stesso tempo
  • GLASS EFFECT: il bambino si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete e si ripete ancora
  • STRAVINSKY EFFECT: il bambino si lascia andare a esplosioni selvagge, gutturali e profane che spesso provocano risse e pandemonio nella scuola materna
  • BRAHMS EFFECT: il bambino è in grado di parlare in modo bellissimo, a patto che le sue frasi contengano un numero di parole multiplo di tre (3, 6, 9, 12, etc). Inoltre, le frasi di 4 o 8 parole gli riescono stranamente poco ispirate
  • E infine, ovviamente, the CAGE EFFECT: il bambino parla a caso, poi, di colpo, non parla per 4 minuti e 33 secondi. Questo ultimo comportamento è amato dagli insegnanti.
  • Per chi conosce il compositore esiste anche uno RZEWSKI EFFECT: il bambino afferma, in 36 modi diversi, di essere vittima della società capitalista

Suonerie “colte”

Ho sempre desiderato delle suonerie che non fossero le solite canzoncine oppure le orride rielaborazioni di brani classici che si trovano normalmente nei telefoni. Ho anche pensato di farmene qualcuna ed è solo per la mia insana pigrizia che ancora non esistono.

Intanto ci hanno pensato alcuni musicisti e compositori quasi tutti di area “germanica”, fra cui Christian Fennesz, Karlheinz Essl (nella foto), Elliott Sharp, Olga Neuwirth e altri.

Le trovate in ascolto e in vendita qui (cliccate sui nomi della lista a sinistra)

Acouasm

Acouasm si può tradurre con “acufene”.

Per acufene (tinnitus in latino e inglese) si intende quel disturbo costituito da rumori che, sotto diversa forma (fischi, ronzii, fruscii, crepitii, soffi, pulsazioni ecc.) vengono percepiti in un orecchio, in entrambi o in generale nella testa e che possono risultare fastidiosi a tal punto da influire sulla qualità della vita di chi ne soffre. Si originano all’interno dell’ apparato uditivo ma, alla loro prima comparsa vengono illusoriamente percepiti come suoni provenienti dall’ambiente esterno. [wikipedia]

Tuttavia il termine inglese “acouasm” ha una marcata connotazione allucinatoria. Indica, infatti, “a nonverbal auditory hallucination, as a ringing or hissing” [Random House Unabridged Dictionary].

Qui, Robert Scott Thompson, californiano, nato nel 1959, lo usa come titolo di un brano elettroacustico evocativo e soffuso:

…a musical essay on auditory memory, this work emphasizes sonic resonances, reverberating metallic timbres, and similar sounds in order to create an aural image of the psychological condition. A central sonic element is created by vocal simulation synthesis. The chant-like melodies of the synthetic singers are a thread of continuity which frames the overall work providing harmonic coherence and also helping to articulate formal structure.

Robert Scott Thompson – Acouasm (2001)
Nota: acouasm e acousma sono considerati sinonimi in inglese.

 

L’ennesima Ultima Cena

Dopo l’Ultima Cena di Brandon Bird, popolata di James Wood e quella provocatoriamente danzata di Felix Ruckert (vedi tags), ecco quella pubblicitaria del cast di Battlestar Galactica (cliccare sull’immagine per l’originale).

C’è solo un problema: ne manca uno…

Via Il Disinformatico

La voce di un poeta

La voce di un grande poeta è maledettamente emozionante.

Dylan Thomas legge la sua And death shall have no dominion, pubblicata nel 1936 in Twenty-five poems.

And death shall have no dominion, read by Dylan Thomas itself.

Dylan Thomas – And death shall have no dominion (1936)

And death shall have no dominion.
Dead men naked they shall be one
With the man in the wind and the west moon;
When their bones are picked clean and the clean bones gone,
They shall have stars at elbow and foot;
Though they go mad they shall be sane,
Though they sink through the sea they shall rise again;
Though lovers be lost love shall not;
And death shall have no dominion.
And death shall have no dominion.
Under the windings of the sea
They lying long shall not die windily;
Twisting on racks when sinews give way,
Strapped to a wheel, yet they shall not break;
Faith in their hands shall snap in two,
And the unicorn evils run them through;
Split all ends up they shan’t crack;
And death shall have no dominion.

And death shall have no dominion.
No more may gulls cry at their ears
Or waves break loud on the seashores;
Where blew a flower may a flower no more
Lift its head to the blows of the rain;
Though they be mad and dead as nails,
Heads of the characters hammer through daisies;
Break in the sun till the sun breaks down,
And death shall have no dominion.

E la morte non avrà più dominio.
I morti nudi saranno una cosa
Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;
Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,
Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
Benché impazziscano saranno sani di mente,
Benché sprofondino in mare risaliranno a galla,
Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
E la morte non avrà più dominio.
E la morte non avrà più dominio.
Sotto i meandri del mare
Giacendo a lungo non moriranno nel vento;
Sui cavalletti contorcendosi mentre i tendini cedono,
Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;
Si spaccherà la fede in quelle mani
E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;
Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;
E la morte non avrà più dominio.

E la morte non avrà più dominio.
Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,
Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;
Dove un fiore spuntò non potrà un fiore
Mai più sfidare i colpi della pioggia;
Ma benché pazzi e morti stecchiti,
Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;
Irromperanno al sole fino a che il sole precipiterà;
E la morte non avrà più dominio.

Cloches d’adieu, et un sourire

Sempre nell’anno del centenario di Olivier Messiaen, stavolta abbiamo un tributo da parte di Tristan Murail a uno dei suoi maestri.

“Cloches d’adieu, et un sourire… in memoriam Olivier Messiaen”, scritto nel 1992, anno della morte di quest’ultimo, è un breve brano per piano solo che evoca il sesto degli Otto Preludi di Messiaen, “Cloches d’angoisse et larmes d’adieu”. Il pezzo di Murail si collega a quello di Messiaen per delle citazioni ritmiche e intervallari, inframmezzate da varie rotture del tempo.

Tristan Murail – Cloches d’adieu, et un sourire – Dmitrii Shchukin, pianoforte

City Lights

I’ve started CityLights nearly two years ago [2005, nota mia]. It mostly deals with random night shots that are meant to be worked on the computer in order to reenact its original meaning/shape. CityLights has been gradually evolving from a basic folder into the latest set (which comprises more than 600 High Resolution Digital Photos). The traces of Light and its colours make the central composition of the whole work. As in the music of Brian Eno (Ambient Music) CityLights also aims to create new Landscapes to be interacted by everyone’s impressions.
[Joao Santos]

Thiaz Itch

“El baile de los fantasmas” note di copertina:
Questo speciale album dei Thiaz Itch è una raccolta di musiche horror e spaventose del periodo 2005-2007. Mescola dark ambient e beat spettrali, raccontando una storia fantasmagorica e sbalorditiva.

_______________________

This special Thiaz Itch album is a collection of horror and frightening musics from 2005 to 2007. It blends dark ambient and ghostly beats together, recounting a phantasmal stunning story.

About Thiaz Itch:
Born near 1999, half-way between crude-hardcore and infantile naivety, this unstable toon tells the musical stories of his coloured and pixellized universe. By his eclectic influences and his sound research, he intersects marrowy atmospheres and diabolic rhythmics, metal aggressiveness and puerile happiness, for finally producing a musical flow in constant mutation

Download the whole album

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Sing/Lose

Jacob Sudol è un giovane compositore americano. Giovane davvero, una volta tanto, essendo nato a Des Moines, Iowa, nel 1980.

Dal suo blog traggo questo bel brano, “Sing/Lose”, per 15 strumenti, scritto nel 2007.

L’autore dice:

The title “Sing/Lose” refers to the two primary preoccupations in my music, and in this piece – as in all my music – I approach these preoccupations abstractly. For example, “Sing” does not refer literally to singing but to a lyricism in the phrases and timbres, as well as to an almost breath-like musical flow. Likewise, “Lose” does not refer to any specific loss but to Andrei Tarkovsky’s assertion that “the life force of music is materialized on the brink of its own total disappearance.” In this piece “Lose” refers to the eventual disintegration, decay, even death of the work’s organic material and form.

Jacob Sudol – Sing/Lose (2007) for chamber ensemble (15 players)
Performed by the Nouvel Ensemble Moderne conducted by Lorraine Vaillancourt

More about Jacob Sudol

Una storia animata del male

Su YouTube si trova veramente di tutto.

Questo “documentario”, che risulta essere un progetto di alcuni studenti, tratta in breve (5 min.) del concetto di “male” dall’antica Grecia ai nostri giorni.

Secondo le intenzioni degli autori:

The film was intended to show what people have believed in and pointed to as evil throughout history. It was meant to get you to think about what evil really is. It is meant to show that when we get too obsessed with “evil” we might end up taking part in it ourselves.

Al di là di qualsiasi considerazione, trovo i disegni sommamente divertenti.

https://youtube.com/watch?v=T6c-umQ_hlc

Via Open Culture

Prior Art

Prior Art è un bel brano per 10 strumenti di Jason Freeman. Si tratta di un pezzo raffinato e delicato in cui, dietro all’apparente facilità delle parti, si nasconde un complesso equilibrio dinamico e timbrico.

La formazione è

  • flute
  • oboe (doubles on metal wind chimes)
  • bass clarinet
  • horn (doubles on suspended cymbal)
  • piano
  • percussion (vibraphone, crotales, snare drum, tam-tam)
  • violin, viola, cello, and bass

È anche possibile scaricarne la partitura, sia pure in una versione di studio con watermark.

Jason Freeman – Prior Art (2004), performed by Ensemble Surplus, James Avery, conductor, September 2005, Stuttgart, Germany.

Ville Lumière

Guardate questa immagine trovata su wikipedia. Cliccatela per ingrandirla.

Una città che ho amato molto in un certo periodo della mia vita. Non a caso la chiamano Ville Lumière.

CharmingBurka

Markus Kison ha realizzato un burka “bluetooth enabled” che invia una immagine a tutti i cellulari raggiungibili.

Ovviamente, trattandosi di un abito che da noi è percepito come simbolo di oppressione nei confronti delle donne, si suggerisce che queste ultime potrebbero utilizzarlo per rendere manifesta la propria immagine (o un proprio avatar).

L’inventore afferma che

The virtual appeals can not be gathered by the laws of the Koran and so the CharmingBurka fulfills the desire of living a more western life, which some Muslim women have today.

Bisogna sempre vedere cosa ne pensano i giudici della sharia che hanno condannato donne per molto meno.

Francamente, non so se prenderlo come una cosa seria o una provocazione. E se è una provocazione, è una provocazione utile o fine a se stessa?

D’altra parte Markus Klein non è nuovo alle provocazioni. Guardate questo Ticker Cross, un crocifisso collegato in rete con un display che, oltre a esibire la tradizionale scritta INRI, fa scorrere le quotazioni delle azioni in mano al Vaticano.

Via Boing Boing

Vegetable Orchestra

The Vegetable Orchestra performs music solely on instruments made of vegetables. Using carrot flutes, pumpkin basses, leek violins, leek-zucchini-vibrators, cucumberophones and celery bongos, the orchestra creates its own extraordinary and vegetabile sound universe. The ensemble overcomes preserved and marinated sound conceptions or tirelessly re-stewed listening habits, putting its focus on expanding the variety of vegetable instruments, developing novel musical ideas and exploring fresh vegetable sound gardens.

Suonano veramente con carote, zucchine, zucche, porri, cocomeri, sedano. Oddio, “suonano”, diciamo che fanno rumorini.

The Vegetable Orchestra.

Homey Airport

Da circa un mese, l’aeroporto della famigerata Area 51, che vedete in questa foto da satellite (cliccatela per ingrandirla molto) ha formalmente un nome: Homey Airport.

Lo rende noto la newsletter dell’AOPA (Aircraft Owners & Pilots Association). Finora, infatti, l’aeroporto più famoso e segreto d’America compariva sui software di volo e sui GPS soltanto con una sigla: KXTA (acronimo di … cosa?), ma il sottoscritto ricorda ancora i bei tempi in cui il suo radiofaro rispondeva con il morse di Dreamland.

Non pensate, però, che adesso ci si possa tranquillamente atterrare. Nei software per i piani di volo Homey è descritto come “Private, VFR, No Fee, Customs Info Unavailable”.

Il nuovo nome conserva comunque un aspetto inquietante. Homey significa “familiare, casalingo”. Visto il segreto che lo circonda e l’impossibilità di atterrarvi, questo aeroporto è familiare e casalingo per chi?

Per ulteriori informazioni: Dreamland Resort che presenta anche questa stessa foto commentata.

Rihm

Wolfang Rihm è una figura abbastanza importante nella musica contemporanea tedesca. Nato nel 1952 a Karlsruhe, di formazione musicale tradizionale, pur avendo poi studiato con Stockhausen non aderì mai completamente allo sperimentalismo di Darmstadt e Donaueschingen.

Quando compongo io non voglio sforzarmi perché venga fuori la costruzione o il piano dell´opera, ma voglio partecipare al flusso cangiante delle forme; io voglio solo andare dentro, essere trascinato.

Di Rihm si può trovare su AGP la sua seconda opera, Jakob Lenz (1977/78) per solisti, coro e orchestra da camera: due oboi (anche corno inglese), un clarinetto (anche clarinetto basso), un fagotto (anche controfagotto), una tromba, un trombone, un percussionista, un clavicembalo (talvolta, come nelle scene X e XI, amplificato) e tre violoncelli. Spicca la mancanza del violino tra gli archi e del flauto tra i legni. I cantanti sfruttano tutti i tipi di emissione, dal parlato fino all’intonazione vera e propria; anche la recitazione è spesso inserita con una vasta gamma di sfumature e inflessioni.

Il testo è tratto da una novella di Büchner, adattata da Michael Fröhling, incentrata sulla figura del poeta tedesco Lenz. Il quale anticipò il romanticismo proprio come Büchner fu il precursore dell’espressionismo. Il poeta Michael Reinhold Lenz, nato in Livonia nel 1751, fu trovato morto, a Mosca, per strada, un giorno del 1792. La sua fu una vita dura, sofferente ed emarginata, scissa tra l’educazione religiosa pietista e l’attrazione per un naturalismo pagano ed erotico. Continuando nella catena di rimandi che caratterizza il lato evocativo della scrittura di Rihm, ricordiamo che Lenz fu, per un certo periodo, amico di Goethe. Proprio una frase del Faust , nella prima parte, simbolizza l’atroce contrasto interiore di Lenz: «Due anime, ahimé, dimorano nel mio petto; e una è sempre divisa dall’altra». Nel 1778, Lenz manifestò i primi veri e propri sintomi di schizofrenia, e le sue condizioni sono registrate in un diario tenuto dal pastore Johann Friedrich Oberlin, che lo ospitò a Waldbach. Fu proprio questo diario a fornire a Büchner il materiale per la sua novella. Nella partitura di Rihm aleggia un filo conduttore che, attraverso Lenz e Woyzeck di Büchner giunge a Berg. Non solo in alcune tracce stilistiche, ma anche in analogie simboliche, come nel ruolo di baritono affidato a Lenz, che coincide con quello di Wozzeck nell’opera di Berg.

Da AGP potete scaricare l’opera in formato FLAC suddivisa in quattro file con note.

Schoenberg è morto

L’opera d’arte è principalmente genesi

scriveva Paul Klee, per il quale l’arte era una metafora della creazione. Egli concepiva l’opera come ‘formazione della forma’, non come risultato. Analogamente, Boulez parlerà dell’opera che “genera ogni volta la sua propria gerarchia”.

Proprio a liberare le possibilità di una generazione funzionale tende Boulez quando individua la serie come il suo nucleo: “Predecessore principalmente prescelto: Webern; oggetto essenziale delle investigazioni nei suoi riguardi: l’organizzazione del materiale sonoro”.

Non sembra dimenticare, ma nemmeno lo ricorda esplicitamente, che fu proprio Webern a parlare di una musica tale per cui “si ha la sensazione di non essere più di fronte a un lavoro dell’uomo, ma della natura”.

Nota bene: Webern, non Schoenberg. Soltanto un anno dopo la morte, infatti, Boulez seppellirà definitivamente Schoenberg denunciando ogni aspetto della sua estetica come retrivo, contraddittorio e contrario alla nuova organizzazione del mondo sonoro da lui stesso ideata:

Dalla penna di Schoenberg abbondano, in effetti, – non senza provocare l’irritazione – , i clichés di scrittura temibilmente stereotipi, rappresentativi, anche qui, del romanticismo più ostentato e più desueto.

Si tratta del famoso articolo, apparso sulla rivista “The Score” nel 1952, pieno del dogmatismo ingenuo che solo un 27nne può esibire, che termina con l’enunciato in lettere maiuscole: SCHOENBERG È MORTO. [da noi è pubblicato in Note di Apprendistato, Einaudi, 1968]. È l’atto finale di condanna dell’incapacità di Schoenberg di adeguare interamente il suo linguaggio compositivo alla novità del metodo dodecafonico e l’indicazione di Webern come l’esempio da seguire.

Pierre Boulez – Strutture per 2 pianoforti Libro I° (1952)

A dimostrare quanto sopra dichiarato a grandi lettere, Boulez scrive il primo libro delle Strutture per 2 pianoforti che costituisce, in pratica, un manifesto dell’estensione del principio seriale a tutti i parametri in uno strutturalismo tanto raffinato quanto totalitario.
Mostreremo, ora, alcune tracce analitiche della prima sezione (Structure I/a), basandoci sullo storico articolo che György Ligeti pubblicò sulla rivista «Die Reihe» (trad: La Serie) nel 1958.

Tutto, in quest’opera, è predeterminato. L’intera composizione è totalmente dedotta da un’unica formula originaria: una serie che, in omaggio a Messiaen, è tratta dalla prima linea del Mode de valeurs.

NB: per ingrandire le immagini, cliccarle.

Alla serie vengono applicate le trasformazioni di rito (inversione, retrogrado e inversione del retrogrado) e a ognuna di esse, le 11 trasposizioni, ottenendo, così, le classiche 48 serie.
A partire dalle trasposizioni della serie originale (O) e della sua inversione (I), Boulez genera poi due tabelle numeriche ottenute sostituendo alle note i numeri che le note stesse hanno nella serie originaria (questo è ciò che Boulez chiama “cifratura” della serie).

Queste due matrici, lette sia in moto retto che retrogrado, sono poi impiegate per determinare le durate, le dinamiche, i modi di attacco e l’ordine in cui sono introdotte le 48 serie di altezze e di durate nell’intera composizione, come segue:

Altezze
Tutte le 48 serie canoniche appaiono nel pezzo ma, si badi bene, una e una sola volta ciascuna, equamente suddivise fra i 2 pianoforti (24 ciascuno).

Durate
Vengono costruite 4 tabelle di durate formate di 12 serie ciascuna (totale 48 serie, come le altezze), con il seguente metodo: nelle matrici di cui sopra, ogni numero rappresenta una durata ottenuta moltiplicandolo per una unità base pari a una biscroma. Così
1 = 1 biscroma,
2 = 2 biscrome = 1 semicroma,

12 = 12 biscrome = semiminima puntata.
Le 12 durate (da 1 biscroma a 12 biscrome), quindi, sono

Di conseguenza la durata più breve nella sezione 1/a è la biscroma e la più lunga è la semiminima puntata.

Dinamiche
Boulez costruisce una corrispondenza fra numeri e dinamiche secondo questo schema

A differenza delle durate, però, qui non si creano 48 serie, ma solo 2 utilizzando le diagonali delle 2 tabelle già viste

La tabella ‘O’ è utilizzata dal Piano I e la ‘I’ dal Piano II. Per esempio, la serie del Piano I è la seguente:

12 7 7 11 11 5 5 11 11 7 7 12
ffff mf mf fff fff quasi p quasi p fff fff mf mf ffff
2 3 1 6 9 7 7 9 6 1 3 2
ppp pp pppp mp f mf mf f mp pppp pp ppp

Si tratta di 24 dinamiche cioè lo stesso numero delle serie usate da ogni pianoforte. Di conseguenza, ognuna delle 24 serie sarà eseguita con una di queste dinamiche nella sua interezza.
Notare che in questa serie alcune le dinamiche si ripetono. Notare anche che non tutte sono presenti (es. 4, 8 e 10 non appaiono nella serie O). E’ un effetto delle scelte organizzative che darà adito a varie critiche.

Modi di attacco

Esistono 10 modi di attacco (i numeri vanno da 1 a 12, ma ci sono dei buchi)

In modo analogo alle durate, la serie dei modi di attacco è determinata dalle altre diagonali delle tabelle

Anche qui la ‘O’ è assegnata al Piano I e la ‘I’ al Piano II e anche qui si ha una serie di 24 per cui ogni modo di attacco è utilizzato per una serie intera. Sono solo 10 grazie al fatto che, come per le dinamiche, le serie derivate dalle diagonali non contengono tutti i 12 valori.

Ordine delle serie di altezze

Le due matrici sono utilizzate anche per determinare l’ordine con cui vengono usate le serie. La Structure 1/a è divisa in 2 sezioni principali in ognuna delle quali ogni pianoforte usa 12 serie, come segue

Pianoforte Serie nella Sezione A Serie nella Sezione B
1 Tutte le serie di O nell’ordine I1 Tutte le serie di RI nell’ordine RI1
2 Tutte le serie di I nell’ordine O1 Tutte le serie di R nell’ordine R1


Ordine delle serie di durate

Come per le altezze, come segue

Pianoforte Serie nella Sezione A Serie nella Sezione B
1 Tutte le serie di RI nell’ordine RI1 Tutte le serie di I nell’ordine R1
2 Tutte le serie di R nell’ordine R1 Tutte le serie di O nell’ordine RI1

Forma Globale

Come già visto, ogni pianoforte suona 12 delle 24 serie in ciascuna delle 2 sezioni. Dato che ogni serie di altezze è accompagnata anche da una serie di durate che comprende tutti e solo i 12 valori, ogni serie ha anche la stessa durata metrica, cioè 1+2+3+…+12 = 78 biscrome. Il brano, quindi, può essere visto come un insieme di sotto-sezioni, ognuna delle quali dura come una serie.
Questo, però, non significa che ognuna delle due sezioni dura 12 volte la serie perché, essendo il pianoforte polifonico, è anche possibile l’esecuzione di più serie contemporaneamente. Inoltre, in almeno in 2 punti, ogni piano esegue una serie come solista.
Le 2 sezioni, quindi, sono divise in sotto-sezioni in ognuna delle quali ogni piano esegue contemporaneamente da 0 (tacet) a 3 serie (voci), secondo la seguente tabella

Sezione A Sezione B
Sotto-sezione 1 2a 2b 2c 3 4a 4b 5 6 7 8 9 10 11
Serie Piano 1 1 2 2 0 3 1 2 1 3 1 2 2 1 3
Serie Piano 2 1 2 1 1 3 1 3 0 2 2 2 2 1 3
Totale
2
4
3
1
6
2
5
1
5
3
4
4
2
6
Totale 24
Totale 24

La densità del pezzo quindi, varia secondo quanto riportato nella linea ‘Totale’, in modo non seriale né simmetrico.

Metronomo

L’indicazione metronomica delle varie sezioni è ‘lento’, ‘molto moderato’ o ‘moderato, quasi vivo’. Se, per brevità, li indichiamo con L, M e V e scriviamo i tempi della Structure 1/a, notiamo la seguente simmetria (che comunque non ha a che fare con il principio seriale):

M:V:L:V:M

Ottave
La distribuzione delle note sulle ottave è generalmente arbitraria. Si possono desumere solo due principi:

  1. l’estensione e gli ampi intervalli tipici del serialismo;
  2. quando la stessa nota ricorre in due o più serie sovrapposte, è suonata all’unisono.

Pause

L’uso delle pause è ristretto ai casi in cui delle note sono suonate in staccato. In questi casi, a volte, la loro durata è abbreviata e la rimanenza è riempita con pause. In generale, comunque, le pause sono usate solo per chiarire la scrittura.
Sembra che Boulez abbia voluto deliberatamente evitare di interrompere l’esposizione delle serie inserendo pause non giustificate.

Tempi
I cambiamenti di metro sono frequenti, ma non sembrano conformarsi a un piano e sembrano avere la sola funzione di aiuto all’esecuzione. In ogni caso, una sensazione ritmica è generalmente assente in queste pagine. A volte sorge per qualche secondo, ma viene immediatamente annullata.

Così si presenta la prima pagina della partitura che si può ascoltare qui:

Le radici del serialismo integrale

Torniamo su Messiaen nel centenario della sua nascita.

Olivier Messiaen non è mai stato un serialista, se non occasionalmente, a titolo sperimentale. Ciò nonostante, una sua composiziona è stata alla base dell’idea di serialismo integrale negli anni ’50.

Messian – Mode de valeurs et d’intensités (1950)

In questo brano, tratto dai “Quattro studi sul ritmo” del 1950, si può ritrovare il primo indizio di organizzazione totale dei parametri di altezza, durata, intensità e modi di attacco. Le idee contenute in questa composizione suscitarono grande interesse in Boulez e Stockhausen, entrambi allievi di Messiaen.
Qui Messiaen non usa delle serie, quindi non si può parlare di serialismo. Si tratta, invece, di modi, cioè di scale da cui il compositore trae liberamente le note senza rispettarne l’ordine.
Il punto è che, in questo brano, ad ogni altezza è associata una durata, un’intensità e un modo di attacco. La figura seguente mostra le tre divisioni del modo adottato nel pezzo. Ogni divisione verrà usata in una voce diversa (cliccare sull’immagine per ingrandire).

Così, per es., in questo pezzo il Mib alto (div. I, nota 1) comparirà sempre come biscroma, ppp, legato alla nota successiva; il Lab con taglio in testa sarà sempre una croma, forte, eseguita in staccato (notare che, essendo staccato, parte della sua durata può essere espressa come pausa, come nella pgina seguente; ciò nonostante, la durata totale sarà sempre una croma), ecc. (anche qui, cliccare sull’immagine per ingrandire)

In quegli anni, l’impressione suscitata da questo brano fu grande. Non a caso, Boulez ne riprese la serie nelle sue Structures per due pianoforti del 1952.

Ma la cosa interessante è che, nel 1986, lo stesso Messiaen ebbe a dire

J’ai été très contrarié de l’importance absolument démesurée que l’on a accordée à une petite oeuvre, qui n’a que trois pages et qui s’appelle “Modes de valeurs et d’intensités”, sous le prétexte qu’elle aurait été à l’origine de l’éclatement sériel dans le domaine des attaques, des durées, des intensités, des timbres, bref, de tous les paramètres musicaux.
Cette musique a peut-être été prophétique, historiquement importante, mais, musicalement, c’est trois fois rien…
[“Olivier Messiaen, musique et couleur” – Nouveaux entretiens avec Claude Samuel – Belfond – 1986]

Messian – Mode de valeurs et d’intensités (1950)

Hans Reichel

UPDATE 2023

All’epoca della stesura di questo articolo (2008) Hans Reichel era ancora fra noi. Purtroppo è deceduto nel 2011.


Hans Reichel, chitarrista improvvisatore tedesco, ma anche liutaio, inventore di nuovi strumenti e tipografo.

Una sua recente invenzione è il daxophone. Si tratta di un idiofono dalla forma simile a una lama fissato a un blocco di legno che contiene uno o più microfoni a contatto. Pizzicato, percosso o trattato con un arco, il daxophone produce dei suoni simili alla voce umana, spesso umoristici.
L’altezza delle note viene variata con il dax: un blocco di legno con una parte tastata e un’altra liscia che, premuto sulla lama e inclinano, varia la lunghezza della parte vibrante, un po’ come un ponticello mobile. Lo si vede in azione in questo breve video e in altri simili.

Ma Reichel è anche noto per le sue sorprendenti elaborazioni della chitarra e del liuto che comprendono vari tipi di strumenti a doppio manico, come quello visibile nella foto.

Across the universe

Nella notte fra lunedì e martedì, a mezzanotte UTC (l’una ora italiana), la NASA ha lanciato via radio Across the universe da una antenna presso Madrid verso la stella polare.

Il tutto per celebrare i 40 anni della canzone (uscita nel 1969 ma composta nel 1968), i 45 anni del NASA’s Deep Space Network e i 50 anni della stessa NASA.

Il brano dei Beatles, principalmente opera di John Lennon, viaggerà alla velocità della luce per 431 anni percorrendo 2.5 quadrilioni di miglia fino a raggiungere Polaris, la stella del nord.

Across the universe, appunto…

Suguru Goto

Suguru Goto is a composer/performer, an inventor and a multimedia artist and he is considered one of the most innovative and the mouthpiece of a new generation of Japanese artists. He is highly connected to technical experimentation in the artistic field and to the extension of the existing potentialities in the relation man-machine. In his works the new technologies mix up in interactive installations and experimental performances; he is the one who invented the so called virtual music instruments, able to create an interface for the communication between human movements and the computer, where sound and video image are controlled by virtual music instruments in real-time through computers. Lately, he has been creating the robots, which perform acoustic instruments, and he is gradually constructing a robot orchestra.

Di Suguru Goto vi presentiamo due video. Il primo, “Robotic Music”, presenta dei robot percussionisti cioè il tipo più studiato, essendo il più semplice da costruire e controllare (e il termine “semplice” è riduttivo perché si tratta sempre di una faccenda complessa).
Qui il valore musicale è relativo, essendoci anche un importante lavoro di ricerca. In ogni caso, come solo di batteria non è poi male.

Il secondo, invece, è una performance più complessa in cui un esecutore umano che veste una tuta che incorpora dei sistemi di controllo, “dirige” una esecuzione robotica e interagisce con un video in cui una figura parzialmente umana esegue le sue stesse mosse.
I due, un corpo “aumentato” e un corpo virtuale, sono praticamente complementari.
L’aurore afferma:

“Augmented Body and Virtual Body” is conceived as a music theater piece, that the elements cross and hybridize themselves in continual links/ratios of exchanges and flow without fixing itself towards any directions. The idea would be that what is real, which is artificial, what is virtual, on the verge of themselves, and to create relations of pure intensities, which degrees zero of expression without its value of positive or negative.

 

LEDs

Austrian-born artist Erwin Redl uses LEDs as an artistic medium. Working in both two and three dimensions, his works redefine interior and exterior spaces. Born in 1963, Redl began his studies as a musician, receiving a BA in Composition and Diploma in Electronic Music at the Music Academy in Vienna, Austria. In 1995, he received an MFA in Computer Art at the School of Visual Arts in New York, where he now lives.

Redl’s works have received attention both nationally and internationally. With his piece Matrix VI (detail), he lit the face of New York’s Whitney Museum of American Art for its 2002 Biennial Exhibit. Works such as Matrix II, which was shown in New York, Germany, France, Austria, and Korea, and Fade I, which animated the Eglise Sainte-Marie Madeleine in Lille, France, explore volume and allow people to move through lit spaces.

Photos from “Ecstasy: In and About Altered States” (2005)

Via Unidentified Sound Object

Ballet Mécanique

Il Ballet Mécanique (1924) era un progetto del compositore americano George Antheil (che viveva a Parigi) e del filmaker Fernand Léger, con la partecipazione di Man Ray.
Dal punto di vista musicale, si trattava di un brano per strumenti meccanici che suonano senza intervento umano. Visti i tempi, è un’idea tipicamente dadaista, come del resto è il film

Tuttavia è difficile dire chi dei due lavorò sull’opera dell’altro. Léger affermò di aver iniziato il film già nel 1923, ma altre fonti dicono che fu lui a contattare Antheil quando quest’ultimo stava già componendo la musica.

Nello stesso modo, è difficile capire cosa andò male, ma fra i due non doveva esserci molta comunicazione perché, alla fine, la musica durava 30 minuti e il film solo 17.

Forse Antheil si lasciò prendere la mano, ma è innegabile che le due opere siano collegate. Alla prima del film, senza musica, nel 1924 a Vienna, venne fatto esplicito riferimento alla musica di Antheil.
Da allora, però, le due opere sono state presentate separatamente con una eccezione nel 1935 in cui il film venne accompagnato da una riduzione pianistica eseguita dal vivo. La difficoltà principale sembra risiedere nel fatto che con i mezzi dell’epoca era impossibile sincronizzare una pellicola e una musica di questo tipo, anche se fosse stata eseguita da strumentisti umani, cosa che non era nelle intenzioni del compositore. Intenzioni che, comunque, erano destinate a rimanere sulla carta semplicemente perché all’epoca non si era in grado di costruire meccanismi che, pur non essendo collegati, restassero perfettamente sincronizzati su tempi lunghi.

In concerto, il balletto è creato da strumenti musicali meccanici: pianoforti automatici, campanelli elettrici, marimbe meccaniche, motori ad elica e altre macchine.
Come si può immaginare, una strumentazione siffatta non può produrre una partitura tradizionale. Il brano è estremamente percussivo e pieno di suoni non intonati.

L’orchestrazione del 1927 prevede 18 pianole (pianoforti automatici a rullo) in 4 parti, 2 pianoforti normali, 3 xilofoni, 7 campanelli elettrici, 3 motori ad elica, sirena, 4 casse e un tam-tam. Nello stesso anno, Antheil ne arrangiò la prima parte per piano-roll che fu eseguito alla “Deutsche Kammermusik Baden-Baden 1927” (il rullo è poi andato perduto) mentre nel 1953 ne realizzò una versione abbreviata con un organico ridotto.

Film e partitura vennero messi insieme solo negli anni ’90. La versione del 1927 venne eseguita soltanto nel 1999 dall’Università del Massachusetts e dal Lowell Percussion Ensemble utilizzando sistemi MIDI con un computer centrale che inviava i dati a tutte le macchine, assicurando il sincronismo. In pratica, un gigantesco MIDIFile con 1240 battute, 630 cambi di tempo e circa 200.000 note (NB: suddivise fra 24 parti).

Nel 2000 la musica e il film furono definitivamente accostate e dal 2005 esiste anche un DVD.

Quella che vi mostriamo in questo film (in formato mov = quicktime) è la performance “live” della musica, cioè con le macchine che eseguono la partitura dal vivo senza il film, installata nel 2006 presso la National Gallery of Art di Washington DC e realizzata da Paul Lehrman and LEMUR (League of Electronic Musical Urban Robots).
Il video è di circa 41 Mb, ma ne vale la pena: il brano è storico e di grande energia.

Su wikipedia trovate anche una breve analisi musicale del brano. Qui un sito dedicato all’opera.

George Antheil – Ballet Mécanique in una esecuzione totalmente meccanica (MIDI)

Questo è il film originale, restaurato

 

The Kenny G Eliminator

Whoa!

Un clarinetto trasformato in una pistola steampunk! Questo il sito. E se non vedete questa figura scrollate IN SU ↑

Il commento dice ±:

Se sono anni che provi a suonare il clarinetto e ancora non sei riuscito a combinare nulla, puoi sempre trasformarlo in una pistola retrò…

Ristikiehtova

Sentite un po’ questo ragazzo finlandese. In effetti è un po’ più pop di quello che metto di solito, ma mi colpisce il modo in cui passa con assoluta tranquillità dalla tonalità, al rumorismo, alla new age, al delirio.

Lui si definisce horror new age.
Lo trovate qui su jamendo, dove potete anche scaricare il disco completo, ma intanto vi metto due brani su quattro dal suo ultimo lavoro, Sairaalarantengat 1, con relativi testi.

Hi, listen to this boy from finland. He’s a little more pop with respect to my usual posts, but I like the way he move from tonal music to noise then to new age and to a sort of delirium.

You can find and download this album from jamendo. Here are two tracks with text.

Eksynyt vessaan

  • Eksynyt vessaan
    Tyhjä, kylmä käytävä
    Yksin virua
    Kukaan ei taida kuulla
    Aseptinen kuolema
  • Lost in a bathroom
    Empty, frigid corridor
    Waste away alone
    No one seems to hear
    An aseptic death

Ja savu nousee

  • Ja savu nousee
    Lääkäri liukuu ohi
    Salva lotisee
    Hansikkaat napisevat
    Mitä tapahtuu?
  • And smoke arises
    A doctor glides past by
    Salva is (making wet noise)
    Gloves snap
    What is happening?

Segnalato da cometa

A Winter Album

13 piccoli pezzi per piano di giovani (relativamente) compositori americani.

Partiture liberamente scaricabili. Musica vagamente minimale. Il tutto qui sul sito di Daniel James Wolf, composer.

Il triangolo delle Bermude delle auto

Secondo il Boing Boing, che lo riprende dal New York Daily news, le auto si guastano misteriosamente se vengono parcheggiate in un raggio di 5 isolati dall’Empire State Building a NY. In figura l’area incriminata.

Le luci funzionano, il clacson va, ma l’auto non parte. L’opinione popolare addossa la colpa alla miriade di antenne piazzate su quello che è tornato ad essere il grattacielo più alto della città.

Dopo il 9/11, infatti, i trasmettitori radio-TV sono tornati in forze sull’Empire che ormai ospita 13 antenne TV e 19 ripetitori FM.

Via Boing Boing

Percezione delle altezze

Una ricerca di cui è stata data notizia su Nature #451 del 10 Gennaio (abstract qui; per l’intero testo è necessaria la registrazione) rivela che gli umani e i pipistrelli sono gli unici mammiferi a distinguere mediamente differenze di altezza così sottili (più di 10 per ottava; lo so che i musicisti ne sentono ben di più: qui si dice che anche un umanoide qualsiasi è in grado di distinguere un Do da un Re).

I gatti percepiscono solo differenze pari a circa una ottava (circa), i topi arrivano a 1/3 di ottava, i macachi arrivano al massimo a mezza ottava. In un comunicato stampa, uno degli autori, Itzhak Fried, afferma

It is indeed a mystery why such [frequency] in humans came to be. Why did we do this? Such selectivity is not needed for speech comprehension, but it may have a role in musical skill.

Che possa avere un ruolo nella abilità musicale mi sembra lapalissiano. La vera questione è perché abbiamo sviluppato questa capacità. Deriva forse dallo sviluppo del linguaggio oppure si è formata per qualche altra ragione e tutto ciò ha favorito lo sviluppo di un linguaggio complesso?

A chi è interessato a queste problematiche e legge bene l’inglese segnalo l’interessantissimo blog Babel’s Dawn.

Krypton

Krypton

Krypton is a solo project of Krzysztof Berg from Szczecin in Poland (born in 1986). He’s been fascinated in sounds since 1999, when he recorded his first track on some popular music software in that times.

Krzysztof Berg about Krypton:

It’s hard to consider krypton’s music – mostly it’s electronic music with enormous variety of deep & atmo sounds. Most often krypton experiments with many different sounds simultaneously, that’s why many people consider his music little “strange”. For a while now, he’s been more focused on the silent & dark melodies, structure and arrangement of his songs. His music is for all people but not for everyone.

The last work by Krypton is “Silent Drama” published by the netlabel Test Tube.

From Silent Drama

Download the whole album

Personalmente, questa musica eterea mi piace e la ascolto volentieri, ma da un po’ ho dei dubbi sull’artisticità della faccenda. Con i sistemi attuali, mettere in piedi pezzi del genere è maledettamente semplice e non particolarmente innovativo.

Non che la semplicità in sé sia un problema. Anche comporre come Cage era semplice, ma all’epoca aveva un suo senso. Anche i loop del primo Eno erano semplici, ma erano una novità.

D’altra parte, Krypton è piuttosto raffinato, per cui lo segnalo. Chi vivrà vedrà…

Olio e Vetro

Queste registrazioni sono il risultato delle ricerche di Nikita Golyshev nel periodo che va da Marzo ad Agosto 2007.

L’obiettivo principale dell’esperimento era lo studio delle proprietà acustiche di sostanze come l’olio piazzate in diversi tipi di contenitori come bicchieri di cristallo e provette mediche.

Come tali, non hanno un diretto significato musicale, ma i suoni così ottenuti sono comunque interessanti, tali da essere pubblicati dalla netlabel Musica Excentrica.

L’intero corpus di 15 frammenti è pubblicato qui in formato MP3 oppure qui in FLAC. Intanto ve ne metto qui alcuni.
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These records are the result of research made by Nikita Golyshev in a period between March and August of a year 2007. The main objective of this experiment was to detect some acoustic properties of oil as substance, placed in different capacities such as crystal glasses and medical bulbs.

The obtained 15 sound fragments are collected by the frequency and spectrum analysis of oil behaviour, its molecular changes in various environments (aggressive and non-agressive) and wide range of oil interactions with metal.

All fragments are here in MP3 format or here in FLAC.

Sing “Happy Birthday”

Tanto per farvi sapere che sono un acquario di gennaio, come Mozart (ma io non credo all’astrologia).
Fra i nati proprio in questo giorno ci sono anche Federico il Grande (non quello con cui suono, nonostante le dimensioni), John Belushi, Sharon Tate, Nastassja Kinski, Django Reinhardt e qualcun altro meno importante per la razza umana.

Born today, 54 years ago at 6 am, under a January’s Acquarius (but I don’t believe in astrology).

Retorno a la nada

“Retorno a la nada”, album di debutto di David Velez (aka Lezrod) e della netlabel Zymogen, pieno di ritmi obliqui su cui si muovono drone, beep, click e disturbanti scricchiolii.

I sette brani che lo compongono sono tutti rappresentativi, tanto che sono indeciso su quali mettere. Ve ne piazzo alcuni, ma andate ad ascoltarvi e scaricare l’intero album qui.
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For the first release of zymogen.net we bring you the debut album of David Velez, Lezrod, a brand new artist from Bogotà, Colombia.
Raln (Retorno a la nada), represents an exploration into David’s personal style of composition; these songs were produced between april and september of this year, while David was exploring many different ways to express his feelings with music, but always with his very personal style of composition. Download.

Lezrod – Retorno a la Nada (2005)

Popolazione zero

Una delle domande che, per una ragione o per l’altra, ogni tanto mi capita di pormi è la seguente:

  • quanto durerebbe la nostra cosiddetta civiltà senza di noi? Se la razza umana semplicemente sparisse in un solo istante, ma senza distruzioni, cataclismi o guerre, una semplice sparizione improvvisa, per quanto durerebbero le nostre infrastrutture senza alcun intervento umano? Per quanto tempo, per esempio, ci sarebbero l’acqua, il gas, la corrente, internet?

E voi mi dite, a qual pro? Nessuno, ovviamente. Si tratta solo di una congettura che però mette in luce il fatto che noi, come singole persone, non sappiamo quasi nulla sulle infrastrutture che ci mantengono in vita.

Prendiamo, per esempio, la corrente elettrica. Da cosa dipende la fornitura di elettricità che arriva a casa vostra? Se dipendesse da una fonte rinnovabile (tipo centrale idroelettrica), forse potrebbe anche continuare per anni. E se invece dipendesse dal petrolio o dal carbone, quanto durerebbero le scorte? E in ogni caso, la fornitura continuerebbe anche se non ci fosse un umano che, in certe occasioni, preme un determinato bottone?

Ovviamente qualcuno che può rispondermi c’è, probabilmente anche fra di voi. Magari c’è qualcuno che lavora all’ENEL o alla Telecom o anche al comune e sa queste cose.

Era un po’ che non ci pensavo, ma la faccenda mi è tornata in mente per due ragioni: la prima è che ho visto “Io sono leggenda”, film a mio avviso abbastanza deludente, tanto che, mentre lo guardavo, mi sono trovato a chiedermi se il fatto che nell’appartamento del protagonista ci fossero tutte le comodità, anche dopo anni, fosse realistico.
La seconda ragione è che, vagando nella rete, ho incocciato “Life After People“, una serie prodotta da History Channel la cui programmazione inizia proprio stasera negli USA.

Probabilmente, la domanda più corretta è: con quali modalità queste reti degradano? Un pezzettino alla volta o un crollo totale? E in quanto tempo?

Allora, c’è nessuno in grado di soddisfare la mia curiosità?

Scacco matto

mateFra ricorrenze e coccodrilli, questo è un periodo un po’ triste come può esserlo quando vedi morire alcune persone che nella tua gioventù hanno significato qualcosa, chi più, chi meno.

Devo ammettere che qualche volta mi chiedo se non sarà così anche per me: io morirò e qualcun altro scriverà qualcosa su un blog. Forse non mi dispiacerebbe…

Comunque non avrei mai pensato di trovarmi a scrivere un coccodrillo per Bobby Fischer. Uno, perché era giovane (64 anni), due perché, sì, giocavo a scacchi da ragazzino, ma mai ad altissimi livelli. C’è stato un momento in cui, qualche volta, pensavo che mi sarebbe piaciuto diventare veramente bravo, ma mi sono rapidamente reso conto che non avevo voglia di studiare scacchi 5/6 ore al giorno.

Così, quando Fischer andò a giocare il suo epico match per il campionato mondiale in Islanda, nel 1972, contro Spassky, io ero un semplice amatore. Però quel match me lo ricordo bene. Fischer si lamentava di tutto: della mancanza del bowling in Islanda, delle telecamere, delle luci, del tavolo e delle sedie, del contrasto delle pedine sulla scacchiera. Disse che la vista dalla sua stanza era troppo bella. Niente di tutto questo aveva a che fare con gli scacchi.
O forse sì, perché, dopo due incerte partite iniziò ad esibire un gioco aereo, leggero, elegante e pieno di novità, senza mai ripetere due volte la stessa variante in apertura e spesso utilizzando varianti che non aveva mai usato in carriera, cosa stranissima in un campionato del mondo in cui le aperture sono analizzate a fondo da un team di esperti che consigliano e aiutano il giocatore prima delle partite e durante le sospensioni e che, tipicamente, ci vanno cauti.

Ricordo ancora l’impressione che mi fece andando a vincere una partita quasi alla Alekhin, sacrificando uno splendido alfiere che da solo valeva la sicurezza di arrivare al finale in buona posizione. Nonostante su di lui gravasse una enorme responsabilità (eravamo in piena guerra fredda e perfino Kissinger gli aveva telefonato prima del match), Fischer, dall’alto dei suoi 28 anni e del più incredibile QI mai misurato fra gli studenti d’America, non giocava a conquistare un vantaggio posizionale e consolidare, ma usava tutti pezzi in combinazione per attaccare.

Tre anni dopo la vittoria, quando ormai la sua popolarità negli USA era enorme, rifiutò di difendere il titolo contro Karpov solo perché la federazione internazionale rifiutò di accogliere alcune sue proposte di modifica delle regole e scomparve. Non giocò a scacchi in pubblico per quasi venti anni, per riemergere dall’isolamento solo nel 1992 per una riedizione dell’epica sfida di 20 anni prima contro Spassky.

Però questa sfida era stata organizzata in Jugoslavia, allora sottoposta a un duro embargo da parte dell’ONU, che comprendeva anche gli eventi sportivi. In una conferenza stampa prima dell’incontro, un Fischer istrionico sputò su un documento del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che gli proibiva di giocare negli stati Balcanici a causa delle sanzioni economiche al momento in vigore. Per tutta risposta, venne incriminato e venne emesso un mandato di cattura per il suo arresto. Da allora non tornò negli Stati Uniti e arrivò a odiare il suo ex paese al punto da esprimere in pubblico la sua soddisfazione per gli attentati del 9/11.

Nel 2004 venne arrestato all’aeroporto Narita di Tokyo dalle autorità nipponiche per conto degli Stati Uniti d’America, ufficialmente per un passaporto irregolare, con la possibilità di essere estradato negli USA dove rischiava fino a 10 anni di carcere. E qui c’è un aneddoto toccante.
Boris Spassky, il suo antico amico e avversario, a suo tempo emigrato in Francia, scrisse al presidente americano dicendo, fra l’altro

La legge è legge, non lo metto in dubbio, ma quello di Fischer non è un caso comune. Bobby ed io siamo amici dal 1960, quando vincemmo ex aequo al torneo di Mar-del-Plata. Bobby ha una personalità tormentata, me ne accorsi subito: è onesto e altruista, ma assolutamente asociale. Non si adegua al modo di vita di tutti, ha un elevatissimo senso della giustizia e non è disposto a compromessi né con sé stesso né con il prossimo. È una persona che agisce quasi sempre a proprio svantaggio. Non voglio difendere o giustificare Bobby Fischer. Lui è fatto così. Vorrei chiederle soltanto una cosa: la grazia, la clemenza. Ma se per caso non è possibile, vorrei chiederle questo: la prego, corregga l’errore che ha commesso François Mitterrand nel 1992. Bobby ed io ci siamo macchiati dello stesso crimine. Applichi quindi le sanzioni anche contro di me: mi arresti, mi metta in cella con Bobby Fischer e ci faccia avere una scacchiera.
Firmato Boris Spassky, decimo campione del mondo di scacchi (l’intero testo è qui)

Venne rilasciato, evitando l’estradizione, qualche mese dopo quando il Governo islandese gli concesse il passaporto. Dopo il ritiro in Islanda si persero nuovamente le sue tracce fino all’inizio di dicembre 2006, e qui c’è un secondo aneddoto.
Su un canale della televisione islandese si sta diffondendo una trasmissione sugli scacchi. Due grandi maestri si sfidano in diretta. Ad un certo punto il giocatore con il nero sbaglia e perde. I due avversari cominciano allora ad analizzare la posizione per trovare quale sia la continuazione corretta. Nel corso dell’analisi giunge una telefonata allo studio televisivo. È Bobby Fischer il quale, in diretta dice al conduttore televisivo: “vorrei segnalare che la continuazione vincente per il nero è la seguente”. Fornisce quindi una sequenza di tre mosse assai spettacolari. I due grandi maestri si affrettano a controllare e convengono che il piano corretto è quello proposto da Bobby. Malgrado Fischer vivesse da recluso ha dimostrato di non aver perso l’abilità di creare, sulla scacchiera, mosse geniali.

Al di là di questo, era un altro tipo piuttosto paranoico, asociale e spesso apertamente anti-ebraico. Ma vale il discorso che abbiamo già fatto per Stockhausen: accettare tutto il pacchetto o rifiutare tutto il pacchetto.

A simple process

Century of Aeroplanes, di cui ci siamo già occupati, ha prodotto un nuovo EP, “A simple process” che

is a collection of 6 compositions, each of which is based around a simple melodic fragment. These fragments are then altered by various processes (i.e. adding notes, transposing, shifting the beat placement). The compositions end when the process has run its course

Il risultato è un tranquillo ambient, con evidenti reminiscenze di un vecchio Eno, ma non è male e la progettualità compositiva applicata a del materiale di estrazione praticamente pop gli vale una citazione.

L’intero disco è scaricabile qui.

100 and kicking

Oltre a quello di Messiaen, c’è un secondo centenario quest’anno: quello della nascita del compositore americano Elliott Carter (1908).

E quanto ho scritto non è un errore: la data di morte manca perché Carter è ancora vivo e conta di festeggiare alla grande il proprio centenario l’11 dicembre.
Dico alla grande perché non solo è vivo, ma è perfettamente in sé e compone ancora: nel 2007, per es., ha scritto 8 brani fra cui uno per pianoforte e orchestra (Interventions), un quintetto con clarinetto, un pezzo per coro e gli altri per strumento solista.

Lo stile di Carter, in epoca giovanile, fu definito neoclassico o “lirismo melodico” in quanto risentiva dell’influenza di Stravinskij e Hindemith, ma virò poi decisamente verso l’atonale a partire dagli anni ’50, approdando a una scrittura a tratti anche molto complessa, tanto che per lui venne coniato il termine “metric modulation” per descrivere i frequenti cambiamenti di tempo nei suoi lavori.

Ciò nonostante, mantenne sempre una certa dose di espressività e dramma:

I regard my scores as scenarios, auditory scenarios, for performers to act out with their instruments, dramatizing the players as individuals and participants in the ensemble.

Il suo personale sistema compositivo (volto spesso a far derivare tutte le altezze di un brano da un solo accordo “chiave”, o da una serie di accordi) non impedisce a Carter di muoversi in ambiti decisamente lirici, né di garantire una perfetta intelleggibilità del testo cantato, talora anche in modo decisamente “semplice”. Del resto, nonostante il suo usuale rigore compositivo, Carter occasionalmente sceglie di “deviare”, di creare delle eccezioni al suo proprio sistema.

Elliott Carter – Night Fantasies (1980) for solo piano
Ursula Oppens, piano

Night Fantasies is a piano piece of continuously changing moods, suggesting the fleeting thoughts and feelings that pass through the mind during a period of wakefulness at night. The quiet, nocturnal evocation with which it begins and returns occasionally, is suddenly broken by a flight series of short phrases that emerge and disappear. This episode is followed by many others of contrasting characters and lengths that sometimes break in abruptly and, at other times, develop smoothly out of what has gone before. The work culminates in a loud, obsessive, periodic repetition of an emphatic chord that, as it dies away, brings the work to its conclusion.

In this score, I wanted to capture the fanciful, changeable quality of our inner life at a time when it is not dominated by strong directive intentions or desires — to capture the poetic moodiness that, in an earlier romantic context, I enjoy in works of Robert Schumann like Kreisleriana, Carnaval, and Davids-bündlertänze.

Devo dire che questo brano per piano non mi dispiace, mentre non amo particolarmente i brani in cui predomina la vena neoclassica.
Gli interessati possono trovare anche una lunga intervista stampata qui, nonché un programma radiofonico e altri estratti della sua musica, fra cui il secondo quartetto all’Internet Archive.

E sia il degrado!

Il Disegno di legge S1861, approvato mentre noi facevamo festa (?) nella notte fra il 21 e il 22 Dicembre 2007 ha fatto due cose: ha trasformato la SIAE in Ente pubblico economico e ci ha fatto graziosamente sapere che cosa può essere messo in rete e a quali condizioni.

L’articolo 70 della vecchia Legge 22 aprile 1941 n. 633 (e successive modifiche) sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio viene modificato con l’aggiunta del comma 1-bis e diventa

      1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.

Questo comma è stato giustamente attaccato da tutte le parti. Non vedo, infatti, quale utilità possa avere la pubblicazione in rete di immagini e musica a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico. Se io mettessi in rete le dispense di musica contemporanea che ho scritto per i miei studenti (fine didattico), ma per farlo dovessi degradare i brani musicali ivi contenuti (che essendo di musica contemporanea sono ancora soggetti al diritto d’autore), le suddette dispense non servirebbero a nessuno. Così come non si capisce cosa se ne faccia uno scienziato di immagini a bassa risoluzione.

Tuttavia, questa legge ha una interessante conseguenza che, nell’indignazione generale, mi pare sia sfuggita.

Il suddetto art. 70 fa parte del Capo V delle legge 633 che elenca eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. Questo comma, quindi, mi dà il diritto di mettere in rete qualsiasi brano musicale, anche attualmente soggetto al diritto d’autore, purché non a scopo di lucro (come in questo e molti altri siti e blog; non ci vendo niente e non c’è nemmeno la pubblicità), a fine didattico/scientifico (e qui basta scrivere una dotta analisi musicale del brano) purché sia sufficientemente degradato.

Quindi, supponendo che qui ci sia una bella analisi didattica di Solsbury Hill di Peter Gabriel e a questo punto potrei dire:

ascoltate Solsbury Hill di Peter Gabriel.

Allora, avete sentito? Vi piace? Come? Fa schifo? Non posso farci niente. È degradato, ai sensi della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma questo non è un problema, anzi, è una fantastica opportunità! D’ora in poi possiamo, anzi dobbiamo, per legge, degradare tutto. È fantastico!

Si dia il via a una colossale operazione artistica!

Sia il degrado!!

D’ora in poi non ci deve essere blog che non metta brani di Tiziano Ferro, Ramazzotti, De Gregori, Jovanotti, ma anche di Sting, di Madonna, di Bono fino a Schoenberg, Webern, Berio, Stockhausen, Nono, degradati al punto da essere opere nuove!
E questo pezzo che non so di chi sia? Non importa, nel dubbio, degrada!

E quando gli avvocati di Tiziano Ferro, Ramazzotti, Jovanotti, Sting, Bono, Madonna, etc. ci scriveranno dicendo: “La diffido dall’esporre al pubblico opere del mio assistito così orribilmente deturpate”, noi risponderemo “C…o vuoi!? È LA LEGGE ITALIANA CHE ME LO IMPONE!”

E infine, noi della musica contemporanea possiamo solo guadagnarci. Posso mettere in linea tutto Hymnem di Stockhausen. Voglio vedere quale funzionario SIAE oserà dire che non è degradato. Ma non li sentite, tutti questi disturbi radio che interrompono gli inni nazionali!

A proposito, i pittori non si salvano. Ecco quattro versioni di un poetico quadro di René Magritte secondo i dettami della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma così sono opere nuove! E carine, per di più.
Wow! Sono così belli che quasi quasi li firmo e li deposito. Faranno parte di una serie che chiamerò “Downgraded Magritte”. Fantastico!
Come disse Dalì «Non comprate i quadri contemporanei, fateveli!»
Lunga vita alla Legge 633 (e successive modifiche).

Però c’è un problema. Se adesso sono quadri miei, per metterli in rete, li devo ulteriormente degradare. E così farò dei nuovi quadri che firmerò e depositerò. E che poi, per metterli in rete, dovrò nuovamente degradare. Aaaaagh!

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Spero che abbiate capito la provocazione. Ma questa legge è veramente paradossale e fuori da un qualsiasi buonsenso. Cosa hanno nella testa i nostri politici? Vermi?

UPDATE 20150621

Questo disegno di legge è stato approvato definitivamente dal Senato il 21.12.2007. Ma poi che fine ha fatto? È stato mai promulgato un regolamento che stabilisca i livelli di degrado?

Sonmi451

Bella e quieta questa Vladivostock, del belga Bernard Zwijzen, aka Sonmi451, tratta dal suo “The Quiet EP” (appunto), quattro tracce che mescolano ambient e a modo suo, melodia.

Sonmi451 – Vladivostok

Sorry, I forgot the site. The whole EP can be downloaded from here.

Il gradino di Hillary

Esistono solo tre veri sport: l’alpinismo, la corrida e l’automobilismo; tutto il resto è soltanto un gioco.
[Ernest Hemingway]

Seguendo la via di sud-est, nella parte finale, la vetta dell’Everest si raggiunge camminando su questa cresta, dal colle sud, passando per il “Balcone” (una piccola piattaforma a 8400 m. con vista a sud e ad est) e la cima sud (un ripiano grande come un tavolo a 8750 m) fino alla sommità (8848 m).

L’ultima difficoltà, a meno di 100 m. dalla cima, è costituita da un risalto roccioso alto 12 m. Una banalità a una quota “umana” (almeno per uno scalatore; sono sempre 12 m.), ma un ostacolo quasi insuperabile a 8760 m., dopo una lunga ascesa e con l’ossigeno che arriva al massimo al 50% del normale solo grazie alle bombole (altrimenti sarebbe il 30%).
Il nome di questa parete è Hillary Step, a ricordare Sir Edmund Hillary, che per primo ha scalato l’Everest insieme allo sherpa Tenzing Norgay.
Oggi l’Hillary Step si supera grazie a una serie di corde fisse, ma fa paura pensare a come devono essersi sentiti quei due quando se lo sono trovato di fronte, alle 10 del 29 Maggio 1953 dopo molte ore di cammino, con le attrezzature dell’epoca. È stato Hillary a issarsi, con enorme sforzo, centimetro dopo centimetro, fino alla cengia che lo sovrasta e ad aprire la strada per gli ultimi metri, relativamente facili, fino alla vetta.

Quindi questo post è dedicato a Edmund Hillary che qualche giorno fa ha superato il suo ultimo gradino. Adesso l’Everest si chiama Sagarmatha in Nepal (सगरमाथा la Dea dei cieli) e Chomolungma in Cina (ཇོམོགླངམ la Dea madre della terra in tibetano), ma l’Hillary Step ha un solo nome, ovunque.

E poi è dedicato anche a te, tanto per dirti che, anche se hai la testa a grandi altezze, sono sempre contento di vederti e non sono arrabbiato…

Ornitologia e musica

Updated 20150604

Tanto per restare in campo ornitologico e ascoltare un po’ di di Messiaen, godetevi questa Grive-Musicienne tratta dai Petites esquisses d’oiseaux del 1985 per pianoforte solo (grive musicienne = Turdus philomelos, è il Tordo bottaccio; vive in tutta Europa, Asia, Africa del nord ai margini di boschi e foreste ed è chiamato philomelos non a caso; ecco il canto originale di cui potete vedere anche il sonogramma, entrambi tratti da xeno-canto).

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È incredibile come i canti degli uccelli si possano sentire chiaramente in questo pezzo, come se fossero riprodotti pari pari e nello stesso tempo il brano sia costruito e sviluppato con grande coerenza.
Sentite come i brevissimi frammenti del canto del tordo vengano trattati come dei moduli tematici e sviluppati sia dal punto i vista melodico che ritmico.

Nathan Carterette, pianoforte.

Messiaen 100 anni

Il 2008 è il centenario della nascita di Olivier Messiaen, una figura gigantesca nella scena musicale del ‘900, alla cui scuola si formarono anche compositori come Pierre Boulez, Yvonne Loriod (sua allieva che ne divenne la seconda moglie), Karlheinz Stockhausen, Iannis Xenakis e George Benjamin.

È quasi impossibile elencare in un post tutte le innovazioni apportate da questo compositore francese che riesce a fondere aspetti apparentemente lontani tra loro in un crogiolo in grado di provocare disappunto sia nei puristi tradizionalisti che negli avanguardisti incendiari: in realtà tale disappunto risiede nell’impossibilità di iscrivere l’autore nelle facili catalogazioni storico-critiche o ideologiche prevalenti nel Novecento musicale.

Ma, per coloro che hanno saputo vedere con chiarezza, Messiaen è sempre stato un punto di riferimento importante. Boulez, per esempio, gli ha praticamente dedicato il Primo Libro delle Strutture per due pianoforti utilizzando la serie tratta da Mode de valeurs et d’intensitées (1950) come materiale base per la sua composizione, che sarà quasi un manifesto del serialismo integrale.

Fra i suoi contributi, non si possono non citare due espedienti compositivi legati ad una personale nozione di simmetria applicata sia a livello ritmico che melodico/armonico. Si tratta dei ritmi non retrogradabili e dei modi a trasposizione limitata.

I primi sono ritmi palindromi, cioè identici se letti da sinistra a destra o viceversa (come la parola ANNA).
Un esempio è nel secondo rigo dell’immagine, tratta da Prélude, Instants défunts, in cui si vede una figurazione ritmica che risulta identica se letta nelle due direzioni. Ritmi come questo, che restano inalterati in seguito ad una inversione temporale e in cui Messiaen vede “il fascino dell’impossibilità”, generano una sensazione di immobilità temporale che trova la sua controparte armonica nei modi a trasposizione limitata.

Questi ultimi sono modi su cui non si possono effettuare le 12 trasposizioni canoniche (12 considerando l’enarmonia; parliamo di modi, non di tonalità).
Per esempio, la scala maggiore non è a trasposizione limitata perché, enarmonicamente parlando, ogni trasposizione di mezzo tono genera una successione di note nuova, che non si sovrappone a nessun altra.
La scala a toni interi (Do, Re, Mi, Fa#, Sol#, La#), invece, trasposta di mezzo tono genera una nuova successione (Do#, Re#, Fa, Sol, La, Si), ma, alla successiva trasposizione (Re, Mi, Fa#, Sol#, La#, Do), si ripresenta il caso precedente. Quindi questa scala può essere trasposta una sola volta.

Un esempio un po’ più complesso è la scala alternata detta anche octofonica o diminuita, che procede per toni e semitoni alternati rigorosamente e si può trasporre due volte:

Do, Re, Re#, Fa, Fa#, Sol#, La, Si

Do#, Re#, Mi, Fa#, Sol, La, La#, Do

Re, Mi, Fa, Sol, Sol#, La#, Si, Do#

poi si ritorna al primo caso.

Il suo vocabolario espressivo, comunque, va ben oltre questi, sia pur famosi, artifici. Citiamo anche le sue evoluzioni ritmiche realizzate per aumentazione o diminuzione, aggiungendo o togliendo un piccolo valore temporale a ogni ciclo ritmico. E i suoi primi suggerimenti spettrali, costruiti al pianoforte con accordi in cui a una fondamentale f venivano sovrapposte note più o meno armoniche con dinamica inferiore, in un tentativo di fonderle con il suono di base (per es. in Prélude, La colombe o Le loriot, nel Catalogue d’oiseaux).

Inoltre, Messiaen affascina anche per alcuni tratti extra-musicali, che comunque hanno avuto un impatto notevole anche sulla sua musica.

Per prima cosa, era un sinesteta: associava cioè le percezioni uditive a quelle visive (colori) che con il tempo si sono fatte sempre più precise, fino a giungere a descrivere minuziosamente i colori da lui associati al suono di scale, accordi, timbri strumentali, nella prefazione alle Trois Liturgies.

Poi per la sua passione ornitologica che si integra nella sua musica sia in forma tematica che con opere apertamente dedicate al canto degli uccelli [es. Catalogue d’oiseaux, per piano (1956–58), Réveil des oiseaux, piano e orchestra (1953), Oiseaux exotiques, piano e orchestra (1955–56) e altre].
Delle sue modalità di trasposizione dei canti degli uccelli, Messiaen dice:

L’uccello… canta a tempi estremamente veloci che sono assolutamente impossibili per i nostri strumenti; dunque sono obbligato a trascriverlo ad un tempo più lento. Per di più, questa rapidità è associata ad una estrema acutezza, essendo un uccello in grado di cantare in registri così alti da essere inaccessibili ai nostri strumenti; perciò trascrivo il canto da una a quattro ottave sotto. E non è tutto: per la medesima ragione sono obbligato a sopprimerne i microintervalli che i nostri strumenti non riescono a suonare.

Infine, la sua fede, che personalmente non capisco e non condivido, ma che è sempre stata per lui una forza.
Con grande scandalo degli ideologi a lui contemporanei Messiaen radicò la sua fonte d’ispirazione alla panca dell’organo della Sainte Trinité, su cui restò assiso finché visse. Nei suoi scritti egli proclama una candida sequela alla Santa Romana Chiesa, ma mentre ad Igor Stravinsky o a Franz Liszt la fede cattolica ispirò musica essenziale e castigata, Messiaen trae dalla sua esperienza di cristiano una fastosità e una sovrabbondanza espressiva tali da farlo erroneamente definire “panteista” o “sentimentale”. I testi delle Trois petites Liturgies rivelano una conoscenza profonda della filosofia tomistica e della spiritualità ceciliana e solesmense. La trascrizione musicale delle sue esperienze religiose si rivela così troppo concentrata e complessa per chi si aspetta da esse facili ascolti, ma inspiegabilmente mantiene di volta in volta freschezza, tenerezza o ferocia che possono provenire solo da chi non fa del misticismo intellettuale l’unica forma di ispirazione.

La pagina che segue, pubblicata in wikipedia (cliccate l’immagine per ingrandire), tratta da Oiseaux exotiques, mostra con chiarezza alcune delle caratteristiche molto personali di questo compositore:

  • l’uso di ritmi arcaici ed esotici. Nei righi in basso si vedono due figurazioni etichettate come “Asclépiade” e “Saphique” che sono antichi ritmi greci, mentre il Nibçankalîla che inizia in ultimo rigo, ultima battuta, è un decî-tâla dalla Śārṅgadeva, una lista di 120 unità ritmiche che appartiene alla tradizione indiana (Messiaen si è rifatto spesso al corpus ritmico dei tala indiani).
  • i canti degli uccelli notati minuziosamente, indicandone anche il nome. La garralaxe à huppe blanche e la troupiale des vergers sono, appunto, uccelli.

Ascolta Oiseaux exotiques da YouTube

Ascolta Oiseaux exotiques da YouTube

Per approfondire consiglio la voce a lui dedicata in wikipedia italiana e inglese.

[alcune parti e immagini di questo post sono tratte pari pari da Wikipedia]

A new band in town

non vorrei sembrare insistente, ma…

there’s a new band in town!

S.N.O.W.

S.N.O.W. è il risultato di improvvisazioni, viaggi nell’immaginario, dialoghi attraverso il suono, costruzione (elaborazione) di scenari aperti ad ogni possibile variazione, stratificazioni di idee o scarti improvvisi verso altri scenari e soluzioni. Ogni suono, ogni rumore è lo spunto per uno sguardo oltre il visibile, il reale.
L’improvvisazione è avventura, mistero e sorpresa, viaggio dentro e fuori di sé.
I titoli rappresentano ciò che noi abbiamo visto e vissuto attraverso il suono, ed è un suggerimento per chi si appresta all’ascolto, ma qualsiasi scenario è possibile, poiché le atmosfere, i timbri e i colori si prestano a molteplici e personali interpretazioni emotive.

Cliccate qui per il sito ufficiale e una volta arrivati sulla S.N.O.W. page, ascoltatevi pure il background, ma cliccate anche una delle lettere S.N.O.W. che portano alle pagine interne con ascolto integrale.

Happy New Brain

Ecco una mappa 3d del cervello in forma di isola, con tanto di nomi geografici adatti. Si può scaricare da qui.

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The above map’s original data was created from a reference photo of a real human brain which was used to build the 3d terrain. This digital elevation model was then used to create contour line data, relief shading and to plan where the roads and features should be placed for map compilation. Real New Zealand public domain data was then added for the surrounding islands. Original site.

Musica e Matematica (03)

Su YouTube si trovano anche altri video che permettono di seguire una partitura di ascolto insieme alla musica.

Eccone uno di Metastaseis (Metastasis), un brano per orchestra composto nel 1954 da Xenakis, in cui gli eventi sonori erano definiti quasi completamente su base statistica.

In effetti, il processo compositivo di Xenakis è strettamente collegato alla matematica. Per risolvere problemi quali la distribuzione dei suoni e delle figure, la densità, la durata, le note stesse, Xenakis utilizza molto spesso distribuzioni statistiche, il calcolo combinatorio, ma anche le leggi fisiche e la logica simbolica.
Il suo approccio è conseguente alla sua critica al serialismo integrale espressa nel suo scritto “La crise de la musique serielle”, che si può sintetizzare come segue:

  • L’applicazione della serie a tutti i parametri compositivi al fine di ottenere un controllo totale sulla composizione produce invece una incontrollabile complessità che “impedisce all’ascoltatore di seguire l’intreccio delle linee e ha come effetto macroscopico una dispersione non calcolata e imprevedibile dei suoni sull’intera estensione dello spettro sonoro”.
    Ne consegue una evidente contraddizione fra l’intento compositivo che vorrebbe essere totalmente deterministico e l’effetto sonoro.
  • Dato che il serialismo permette di trasporre la serie su ognuna delle 12 note e permette anche di utilizzare l’inversione, il retrogrado e l’inversione del retrogrado con relative trasposizioni, allora esso non è che un caso particolare del calcolo combinatorio [cioè la branca della matematica che studia i modi per raggruppare e/o ordinare secondo date regole gli elementi di un insieme finito di oggetti – da wikipedia].
    Di conseguenza, il calcolo combinatorio costituisce una generalizzazione del metodo seriale e quindi un suo superamento.

Da queste due considerazioni e dalla preparazione di carattere fisico e matematico, oltre che musicale, di Xenakis nasce un approccio compositivo totalmente nuovo. Se la contraddizione del serialismo è dovuta alla sua complessità che genera una dispersione non calcolata dei suoni, si tratta dunque di trovare nuovi criteri di controllo. La linea deduttiva di Xenakis si può riassumere nei seguenti passi:

  1. il serialismo integrale, adottando i meccanismi della trasposizione, inversione e retrogrado è approdato quasi spontaneamente al calcolo combinatorio
  2. le scienze statistiche, di cui il calcolo combinatorio fa parte, hanno messo a punto strumenti matematici e concettuali capaci di studiare e definire fenomeni complessi
  3. il calcolo delle probabilità, concettualmente e storicamente legato al calcolo combinatorio e sua potente generalizzazione, si presenta come lo strumento più idoneo per determinare l’effetto macroscopico generato da una polifonia lineare di alta complessità
  4. la serie viene quindi sostituita con il concetto di insieme sonoro organizzato mediante distribuzioni statistiche che permettono di controllare le varie caratteristiche sonore quali altezze, densità, durate, timbro, etc.
  5. il livello di controllo [quello su cui lavora il compositore] si innalza dal singolo suono all’insieme sonoro. L’aspetto microscopico della composizione può essere anche disordinato, ma a livello macroscopico si ha una chiara percezione di una figura sonora.

Chiariamo questi postulati (soprattutto il 5).
Se io faccio fare a 40 archi una lunga nota scelta a caso ma con distribuzione uniforme (tutte le note hanno la stessa probabilità) fra il DO3 e il DO4, la percezione sarà quella di un cluster cromatico di 8va.
Altro esempio: se n strumenti suonano note a caso con altezze distribuite in modo uniforme fra il DO3 e il FA3 e durate scelte nello stesso modo fra semicroma e croma, la percezione sarà quella di una fascia con movimento interno la cui velocità dipende dalla durata media e il cui timbro dipende dalla distribuzione strumentale.
Il compito del compositore non è più di scegliere le singole note, compito lasciato alla distribuzione statistica, ma quello di determinare la forma dell’insieme stabilendo quali distribuzioni statistiche governano i vari parametri sonori e i movimenti dell’insieme attraverso il controllo dei parametri delle suddette distribuzioni.

Notate che l’impostazione concettuale di Xenakis non è dissimile da quella di Stockhausen, quando crea il concetto di gruppo e sposta la sua attenzione dal singolo suono al gruppo ed è analoga a quella di Ligeti quando compone per fascie introducendo l’idea di micro-polifonia.

La posizione di Xenakis, determinata anche dalle sue conoscenze matematiche, è, però, estrema. Lui abbandona completamente il livello del singolo evento sonoro, per porsi a un livello più alto, quello degli insiemi di suoni. Se consideriamo che anche quello che il compositore strumentale definisce “suono singolo” è, in realtà, un agglomerato di suoni semplici (armonici e/o parziali sinusoidali), questa posizione è ampiamente giustificata. I possibili livelli di controllo dell’evento sonoro sono molti: dal “comporre il suono” dell’elettronica in sintesi additiva, fino all’organizzazione dell’evento privo di una precisa determinazione del risultato sonoro (Fluxus). Spetta al compositore decidere dove porsi.

Notate, infine, che questa musica di Xenakis è statistica, non casuale. La casualità c’è, ma si annulla nella molteplicità degli eventi.

Ecco il video. Volendo potete anche andare a vederlo su YouTube che vi permette anche di ingrandirlo a tutto schermo.

E per darvi modo di ascoltarli meglio, ecco un isolamento dei famosi glissandi le cui trame riproducono la struttura delle superfici del padiglione Philips progettato da Le Corbusier con l’assistenza di Xenakis nel 1958 per l’esecuzione del Poème Électronique di Edgar Varèse (immagini qui e qui).

Mycenae Alpha

Lo stesso d21d34c55, di cui al post precedente, ha realizzato anche questo video sulla partitura di Mycenae Alpha (1978) di Xenakis.

Qui però non si tratta di un disegno a posteriori, ma è il disegno stesso che genera il suono tramite una sorta di sintesi granulare. Uno dei software del CEMAMu (Centre d’Etudes de Mathématiques et Automatique Musicales), il centro di ricerca in cui Xenakis lavorava, permette, appunto, questo.

Si tratta dell’UPIC (Unité Polyagogique Informatique du CEMAMu), una tavoletta grafica 75×60 cm su cui il compositore può disegnare delle forme che vengono trasformate direttamente in suono dal computer a cui è collegata (e a mio avviso, spesso e volentieri sembra che si preoccupi più del disegno che del suono).

Artikulation

Negli anni ’70, Rainer Wehinger ha creato una partitura analitica e d’ascolto per Artikulation, un lavoro elettronico di Ligeti, composto nel 1958 allo studio di Colonia.

Un volonteroso il cui nick è d21d34c55, ha passato il tutto allo scanner e ha creato un video sincronizzato con l’audio, mettendolo poi su YouTube.
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In the 70’s, Rainer Wehinger created a visual listening score to accompany Gyorgy Ligeti’s Artikulation.

A person whose nick is d21d34c55 has scanned the pages and synchronized them with the music, posting the video on YouTube.

Musica italiana su AGP

L’AvantGarde Project (AGP), che si occupa di rimettere in circolazione registrazioni dell’avanguardia storica ormai fuori catalogo perché mai ristampate su CD e non più distribuite nell’originale in vinile, chiude il 2007 e inizia il 2008 all’insegna della musica italiana.

AGP84, infatti, propone una serie di brani per vari strumenti (arpa, flauto, oboe fra gli altri), tratti dalla produzione di Bartolozzi, Castiglioni, Clementi, Donatoni, Pennisi, Sciarrino, Sinopoli e Valdambrini.

AGP83, invece, è dedicato a Berio che dirige la propria Sinfonia e le Epifanie. Queste due opere sono ancora in circolazione, ma non in questa versione, che risulta essere l’unica diretta dall’autore ed è veramente un peccato che vada perduta solo perché non sembra esistere una convenienza economica a ristamparla. Tuttavia la registrazione manca del quinto e ultimo movimento della Sinfonia e questo può essere stato un motivo plausibile per abbandonarla.

Tutti i brani sono scaricabili in formato FLAC (compressione senza perdita).

Disclaimer: stando ad AGP, queste registrazioni sono fuori catalogo. Resta inteso che, se un proprietario del copyright esiste e me lo fa sapere, toglierò i link dal post (nulla è sul mio sito; io mi limito a segnalare AGP).

Intanto potete ascoltare Addio a Trachis. di Sciarrino per arpa sola e un brano per oboe di Bartolozzi, Collage, ricco di multifonici.

Il brano di Sciarrino abbandona i virtuosismi per ritrovare quegli sprazzi di melodia, tipici del compositore siciliano.
Collage (1968) è un’opera aperta che consta di una quarantina di brevi frammenti esposti senza un ordine fisso. L’operazione di collegamento è lasciata all’interprete.
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The AGP83 and AGP84 issues are devoted to the italian music.

AGP84 presents a collection of works by Italian composers, culled from five different LPs. The works are for a variety of ensembles, featuring harp, flute, and oboe, among other instruments. The installment includes a PDF file with liner notes from three of the five LPs.

AGP83 is the third devoted to music by Luciano Berio. It includes four movements from the Sinfonia and the Epifanie conducted by the composer itself.

Now listen to

  • Salvatore Sciarrino – L’Addio a Trachis (1980) – Claudia Antonelli, arpa
  • Bruno Bartolozzi – Collage (1968) – Lothar Faber oboe

Canti degli uccelli d’Europa (e non)

Updated 20150604
dusky seaside sparrow

Come ultimo post del 2007, vi segnalo questi siti che contengono canti di uccelli europei e non, registrati sul campo.

I formati sono wav a 8 bit, SR 22050 e MP3.
I siti sono belli è contengono molto materiale, anche se, ad essere sincero, non capisco perché usare un formato come wav a 8 bit, SR 22050. Suppongo per risparmiare spazio, ma il fatto è che un mp3 a SR 44100 e 128 kbps è più piccolo e ha più banda.

Infine, tanto per fare qualche esempio, ecco qualche uccellaccio esotico: il canto della Sariama cristata, e quello, giustamente malinconico, del Passero marittimo (Ammodramus maritimus nigrescens, vedi figura) ormai estinto.

I siti sono:

Suoni e Canti degli uccelli d’Europa contiene anche i sonogrammi e una sezione dedicata agli uccelli rari

Al posto di quello sotto, che ora è dedicato all’osservazione ma non ospita più i canti, vi metto un altro sito molto ricco (segnalato da Simone B.):

xeno-canto

Fuglelyder (birdsongs and calls; norvegese, ma con nome scientifico in latino; praticamente gli stessi file, ma in mp3)

S.N.O.W.

S.N.O.W. [Sound, Noise & Other Waves] è il nome ufficiale del nostro duo.

Qui accanto trovate la cover del nostro primo CD. Cliccatela e una volta arrivati sulla S.N.O.W. page, ascoltatevi pure il background, ma cliccate anche una delle lettere S.N.O.W. che portano alle pagine interne con ascolto integrale.
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S.N.O.W., [Sound, Noise & Other Waves], is the official name of our free improvisation duo.

Here on the sidebar is our first CD cover. Click to jump to the site, then click the S.N.O.W. characters to enter.

Line up:
Federico Mosconi: electric guitar, sound effect processing
Mauro Graziani: Max/MSP laptop, keyboard

Test tube collection

La netlabel portoghese test tube sta diventando rapidamente una delle mie preferite. Prima di tutto per la sua produzione, sempre orientata allo sperimentalismo e alla drone music. Poi per la dimensione del suo catalogo: più di 100 releases in 4 anni non sono poche per una etichetta non-profit, il tutto senza sacrificare la qualità.
Infine, per la cura delle copertine, ideate dalla stessa etichetta.

In realtà test tube è l’emanazione non-profit dell’etichetta mono¨cromatica. Mentre quest’ultima è una vera e propria etichetta che distribuisce fisicamente e a pagamento le proprie produzioni, test tube le diffonde gratuitamente via internet in Creative Commons.

Oggi test tube mette in vendita un DVD con gran parte della propria produzione a soli € 9.50.
Si tratta dei primi 75 dischi (da 001 a 075 pubblicati dal 2004 a metà del 2007), per un totale di più di 400 brani e oltre 40 ore di musica.

Tutti gli album inseriti nella raccolta si possono ascoltare da queste pagine: 2004, 2005, 2006, 2007 (solo fino alla release 075).

L’acquirente può anche personalizzare la copertina, scegliendo una fra le 10 piante disponibili.
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This is a special offer by the netlabel test tube: a collection of everything released + some bonus stuff included (it’s a secret) on one DVD-R beautifully packaged in 10 different sleeve designs to choose from!
Roughly 400 tracks and more than 40 hours of excellent music from the 5 continents, ranging from pop-rock/dancefloor radio-friendly tunes to experimental, minimal, drone and improv. electronic and acoustic music. Really eclectic stuff!

You can listen to all the albums that are in the DVD going to the test tube archive pages: 2004, 2005, 2006, 2007 (until the release 075).

Price is very low: € 9.50 outside Portugal.

rhythm ‘n’ drones

Jo Jena è un gruppo sperimentale di Francoforte dalla cui produzione ho pescato questo album del 2005 che alterna ritmi e ‘ronzii’ (è questo il significato acustico di ‘drone’) in modo eccellente.

Personalmente, preferisco i ronzii, ma anche i ritmi non sono male. La cosa più interessante, comunque, è che ci sono sempre dei ritmi nei drones e dei drones nei ritmi.

Il tutto è distribuito dall’ottima netlabel TestTube.
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Contrasts, micro-tonalities, complements, embryo structures, drones. All this, in the casual and systematic exploration of the moment, elevates ‘Rhythm & Drones’ to intemporality, thus inhabiting the present and the history, so we could freely trail this ‘trans-temporality’ without preconceptions.
[Bruno Barros]

Jo Jena – rhythm ‘n’ drones (excerpts) – download the whole album

 

Simon Stockhausen

Ho visitato il sito di Simon Stockhausen, figlio di tanto padre e vi ho trovato molta musica che può rientrare in diversi generi, da uno pseudo jazz alla contemporanea, fino al pop (fra cui una serie di pezzettini composti per il campionato del mondo di calcio del 2006).

Vi linko alcuni estratti del brano che mi ha colpito di più: queste Berliner Geschichten (Berlin stories) del 1999, composte da registrazioni eseguite sul campo a Berlino mixate con parti orchestrali, a formare un insieme fluttuante e in continua trasformazione.

Devo dire, comunque, che le cose per me più interessanti sono le più vecchie che, fra l’altro, ricordano a tratti il padre, mentre non riesco ad apprezzare i brani che utilizzano altri linguaggi, per di più in un modo che mi sembra piuttosto banale. Effettivamente il muoversi con naturalezza fra generi molto diversi è riuscito, finora, soltanto a pochissimi compositori.

E d’altra parte, fare il compositore portando un nome del genere può anche aprire diverse porte, ma il costruirsi una identità svincolata da quella del padre deve essere piuttosto difficile…

Simon Stockhausen – Berliner Geschichten (1999)

師走 : gli insegnanti corrono

Dato che, a quanto ne so, parecchi fra voi sono insegnanti di vario ordine e grado, vi farà piacere sapere quanto segue.

Rispolverando un po’ del mio malandato giapponese, mi torna in mente che, in Giappone, il mese di Dicembre viene chiamato anche shiwasu (師走) che letteralmente significa “teachers running” (insegnanti che corrono). Il primo dei due ideogrammi, infatti, è “shi”: insegnante, maestro, mentre il secondo è la radice del verbo hashiru che significa correre, muoversi rapidamente.

Tutto ciò a riflettere il fatto che Dicembre è un mese così “busy” che perfino gli insegnanti, che normalmente ciondolano qui e là senza avere molto da fare, sono in estrema agitazione perché ci sono un sacco di carte da presentare e cose da chiudere.

A peggiorare la considerazione di noi insegnanti c’è anche il fatto che una mia amica giapponese mi ha tradotto shiwasu con “teachers run around” che a prima vista sembra uno dei tanti phrasal verb tipo run about, ma invece c’è una bella differenza. Secondo il Merriam-Webster, infatti, run around significa “mettere in atto una azione evasiva e/o ritardante in risposta a una richiesta precisa”.

Andiamo bene… 😯

AK-47 con glamour

Ecco un vero, utile regalo di natale, cazzo!
Un bel kalashnikov carrozzato Hallo Kitty! Nel 2007 era in vendita su GlamGuns: armi con glamour.
Le note al prodotto dicono

This fully functional firearm fires standard 7.62mm 125 or 150 grain ammunition with a muzzle velocity of approximately 710 meters per second and a maximum effective range of approximately 300 meters. Several choices in stock wood are available. With a limited run of only 500, buy now before they’re gone! A mere $100 extra includes Glambo’s signature wood-burnt into the opposite side of the handguard. A perfect gift for the young lady of the house.
A bargain at only $1072.95!

Fortunatamente il sito è una parodia 🙂 che però ci offre lo spunto per raccontare la storia di quello che è davvero uno dei prodotti di maggior successo di tutti i tempi.

L’AK-47 (acronimo per Автомат Калашникова образца 1947 года, Avtomat Kalashnikova modello 1947) fu ideato da Mikhail Kalashnikov e entrò in produzione nel ’47.
Secondo la leggenda, il sergente dei carristi Kalashnikov, ferito nella battaglia di Bryansk (seconda guerra mondiale, fronte russo), nel suo letto d’ospedale avrebbe a lungo riflettuto sulla possibilità di realizzare un’arma che potesse garantire all’Unione Sovietica un’adeguata supremazia d’armamento. Avendo saputo che i comandi strategici del Cremlino erano alla ricerca di un’arma da breve raggio che potesse usare una cartuccia di calibro 7,62 mm, già usata per il poco soddisfacente Simonov SKS, avrebbe subito pensato alla possibilità di realizzare qualcosa di simile all’StG-44, lo strabiliante sturmgewehr tedesco, mantenendone le qualità e correggendone i difetti.
La CIA, ribatté che si trattava di pura propaganda, sostenendo che si cercasse di sfruttare il nome di un eroe di guerra per ammantare di sentimenti idealistici una frenetica ricerca condotta da diversi gruppi di armaioli; comunque la ricerca, anche secondo gli americani, puntava a costruire l’arma intorno al calibro, ed il progetto fu sviluppato con questo preciso obiettivo.

Che l’AK-47 fosse in qualche modo ispirato dall’StG-44 anche i sovietici cessarono presto di smentirlo. Dal rifinitissimo fucile d’assalto tedesco aveva mutuato la classe di dimensionamento ed il tipo di dislocamento, i concetti di recupero del gas, i caricatori ricurvi. Per mitigare i principali difetti dell’arma germanica aveva invece radicalmente abbandonato il tipo di realizzazione: se l’StG era un costosissimo capolavoro di forgia, il Kalashnikov sarebbe stato composto di economico scatolato di lamiera stampata, con vantaggio di peso e di facilità nella produzione di massa. Anche la meccanica fu rivista in quest’ottica.
Da parte statunitense si tende a sminuire l’ispirazione dell’StG, sostenendo che sarebbe stato invece il fucile americano Garand M1 ad essere “copiato”, sebbene molti esperti neutrali non avallino questa presunta primogenitura.
La massa della singola cartuccia è di 18.21 grammi, mentre quella del proiettile è di 8 grammi. Ha un’energia in uscita di 1.990 Joule.

Nel 1959, ne comparve una nuova versione alleggerita a soli 3.14 Kg: praticamente può manovrarlo anche un bambino. Apparve poi anche la versione con calcio metallico ripiegabile, ancora più maneggevole.
Ne vennero poi prodotte varie versioni, più o meno modificate e con nomi differenti, in tutti i paesi del Patto di Varsavia, ma anche in Cina, Corea del Nord, Israele, Finlandia, India, Egitto, Cuba, Iran, Marocco, Pakistan, Vietnam, Venezuela e Iraq (dove si chiama Tabuk, come una storica battaglia avvenuta ai tempi del Profeta).

Se un successo si giudica dal numero delle imitazioni, questo lo è. Ma è anche il fucile più utilizzato da governi non troppo leciti, ribelli, criminali, civili, nonché dai gruppi rivoluzionari di tutto il mondo e lo si è visto nei Balcani, in Afghanistan (fra l’altro, nel famoso video di Bin Laden), in Somalia… L’AK-47 o qualche sua variante è usato da circa 55 eserciti. In molti luoghi del mondo è decisamente a buon mercato: in Africa, per esempio, costa fra i 30 e i 120 dollari.

È finito anche nella bandiera nazionale del Mozambico, come negli stemmi di Zimbabwe, Timor Est, Burkina Faso, Hezbollah e nel logo dei guardiani della rivoluzione iraniani. In alcuni paesi africani, una sua forma abbreviata, Kalash, è usata come nome maschile.

Nel 2006, il musicista e pacifista colombiano César Lopez ne ha trasformato alcuni in altrettante chitarre, chiamate escopetarre. Quella che vedete in figura è stata esposta alle Nazioni Unite, come emblema della conferenza sul disarmo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[parte del testo proviene da wikipedia, vers. italiana e inglese]

The Human Clock

Questa è decisamente notevole. Una grande idea di Craig Giffen. Sono rimasto colpito a guardare la pagina per un bel po’ (sì, sono affascinato dagli orologi almeno quanto gli antichi cinesi, anche se li odio (gli orologi, non i cinesi), così come odio il tempo che passa).

The Human Clock è un orologio fatto di immagini, migliaia di immagini da tutto il mondo, ognuna delle quali ha dentro di sé un orario (ora:minuti).

Poi un software provvede a selezionare una delle foto che mostrano l’ora locale a chi si collega. C’è anche un pannello di controllo che permette di specificare la propria time zone e di scegliere fra la versione digitale e quella analogica. Semplice ed efficace.
The Human Clock esiste dal 2001, per cui forse qualcuno di voi lo conosceva già, ma internet è grande. Ora Craig Giffen è imprgnato nella realizzazione dello Human Calendar.
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Here is The Human Clock by Craig Giffen.

It’s a clock made by pictures, a thousand shots from many countries, each showing the time in the format hour:minute. Then a software selects a picture showing the local time.

Christopher Conte

Christopher Conte è un norvegese trapiantato a New York. Ha studiato arte, anatomia e lavora nel campo delle protesi.

Combinando scultura, medicina e biomeccanica, aiuta gli altri, ma ha anche modo di costruire cose come queste… che per di più si muovono…
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Christopher Conte was born in Bergen, Norway where he began drawing at age 3. At 6, shortly after moving to New York, he began taking college art classes at Hofstra University following a recommendation from his first grade teacher.
While still in high school he attended St. John’s University and in the eleventh grade received a scholarship to Pratt Institute in Brooklyn, New York. Once at Pratt, he also studied human anatomy at Columbia Presbyterian Hospital through a program sponsored by Columbia University.
After earning a Bachelors Degree in Fine Art (BFA) from Pratt Institute, he entered the prosthetics field and began making artificial limbs for amputees in New York. Combining an abiding love for sculpture, medical science and biomechanics, the field enables Chris to apply his natural talents to help others in less fortunate situations, which he still does to this day.
Creating sculpture that served no practical purpose beyond being art remained his greatest diversion. In 2007, Chris began offering these unique pieces for sale to the public for the first time.

Lezrod

Lezrod è il nick del colombiano David Velez.

In questo album, Exploraciones sonoras de paisajes surreales y espacios infinitos, Lezrod ci introduce in una atmosfera acquatica in cui suoni liquidi si mescolano a rumori meccanici come quelli che potrebbero generarsi nella sala macchine di un ipotetico Nautilus…

L’album è pubblicato dalla netlabel Test Tube e scaricabile da questa pagina.
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Had David Velez, in his Lezrod disguise, inspired himself in the works of Jules Verne for this release, and I would say that he was showing us around the mighty submarine Nautilus, and then taking us in a guided journey through the deep sea.
Is the name “Submar” an abbreviation for Submarine? Only David will know for sure. But in this first piece, everything is dark. Sounds that could almost be labeled industrial group together and are splintered with samples of water moving. Almost no rhythm, apart from the waves of static and the flow and ebb of distant echoes of dark sounds. A gloomy landscape, with the comforting melancholy that only Lezrod can achieve.
The title says it all: sonic explorations of surreal landscapes and infinite spaces. This is the best description one could give.
[Luís Marta]

Lezrod – Exploraciones sonoras de paisajes surreales y espacios infinitos (2006)

Full download from Test Tube

Obscuritas Luminosa, Lux Obscura

Un affascinante e recente brano di Konstantinos Karathanasis, trentaduenne compositore greco emigrato negli USA.

Costruito intorno ad un’unica altezza (SI), questo pezzo, per sei strumenti e suoni elettronici, è come un singolo, ultra concentrato raggio di luce che penetra il vuoto, il silenzio, con gli strumenti che agiscono come delle lenti, dei prismi, che gradualmente modificano il colore del suono allargandolo alle note vicine e via via più lontane.
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The following excerpt from an old Greek text of the 7th century AD encapsulates the central idea of the piece: ‘… And as all things come from the One, from the mediation of the One, so all things are born from this One by adaptation …’ There is one pitch (B), which as a single ultra-concentrated beam of light penetrates the vacuum, the silence. The instruments and the electronics act like lenses and prisms that slowly change the color of this single B and magnify it to the neighboring pitch areas. Since this process is gradual, like wine fermentation, special attention is given to various subtle changes, in the micro-intervals and their beatings, attacks and dynamics, colors and textures. Once the magnifications of the single pitch expand to its partials, the fermentation process is accelerated and new dimensions open up that at some point incorporate even chance.

The role of the electronics is to unify the instrumental fragments and thus to provide coherence through the piece. Although obscure at the beginning, progressively the computer becomes the seventh player in the ensemble, and after a certain point it develops in to an all-inclusive ocean, where the instruments swim, like exotic fish. The electronics are based in various real-time techniques in Max/MSP, mostly live phase vocoding and sampling, infinite decay reverbs, flangers, harmonizers, and granular synthesis.

Konstantinos Karathanasis – Obscuritas Luminosa, Lux Obscura (2005)
for flute, clarinet, viola, cello, piano, percussions, electronics

DG Web Shop

Ecco il negozio online della Deutsche Grammophon.

Tutti brani senza DRM, portabili su qualsiasi player che però costano leggermente di più degli altri: un CD costa € 11.99 (in qualche caso anche meno) e i singoli brani € 1.29, però il prezzo di questi ultimi non è fisso: se un brano è particolarmente lungo, può costare di più. In ogni caso si fa attenzione a evitare che l’acquisto dei brani singoli sia conveniente rispetto all’acquisto del CD completo, come invece accade a volte in iTune e altri servizi di vendita online che applicano ciecamente un prezzo fisso ai singoli pezzi.

Bisogna però segnalare che qui la musica è in MP3 a 320 kbps, molto migliore dei 192 (o peggio) degli altri servizi. Da una etichetta di tale fama, magari qualcuno si sarebbe aspettato la possibilità di scaricare l’originale in un formato compresso senza perdita, come FLAC o APE, ma probabilmente questo avrebbe significato uccidere i negozianti non online e a conti fatti, smettere o quasi di vendere CD fisici.

Il catalogo comprende, a oggi, 2427 titoli. Che un produttore di questo prestigio, ma anche, per sua natura, abbastanza conservatore, si sia deciso al gran passo e per di più senza applicare meccanismi di protezione è comunque indicativo della ineluttabilità di questo passaggio. Certamente la DGG può permettersi più di altri di non applicare protezioni perché il suo pubblico non è fatto di ragazzini, però fa piacere non avere limiti nella fruizione del prodotto.

Anche i termini di vendita sono apprezzabili. Stabiliscono che l’acquirente ha il diritto di trasferire il prodotto su qualsiasi lettore e anche di metterlo su CD. Deve però farne uso personale e osservare le leggi sul copyright in vigore nel suo paese.

Segnalato da federico
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Here is the Deutsche Grammophon web shop.

Currently there are 2427 titles all distributed without DRM. You can transfer your download to portables players and burn it on CD. But on the other hand, you agree that this is only for personal use and that your use is reguled by the copyright law.

Single CD price is € 11.99 (lower in some case) and the single piece cost € 1.29 (but pieces which last more than 10 minutes can cost more). All the music is in MP3 format at 320 kbps, a very high quality with respect to other online shops that sell music at 192 or lower kbps.

Ripensando a Stockhausen

Ci pensavo oggi in treno e così ho deciso di scriverne.

Di solito i post che cominciano così finiscono per essere un assemblaggio di retorica e luoghi comuni. Non questo. Vorrei evitare la retorica, come quella di un po’ di cose che ho letto in giro sulla scomparsa di KS. Gente che fino a ieri non ne parlava neanche di striscio, oggi esce con post che parlano di genio, etc etc.

Generalmente, non tengo un blog per guardarmi l’ombelico, ma stavolta faccio un’eccezione. Allora, cerco di dirvi cos’era per me Stockhausen.

Cosa ammiravo in Stockhausen

  • La capacità di innovare e la quantità delle sue innovazioni. Molti dei cambiamenti nella musica dei secondi anni ’50 sono venuti da lui.
    Ci sono dei compositori che sono ricordati per uno o due contributi importanti. Quelli di KS sono molti. Un certo tipo di strutturalismo, un diverso modo di vedere il serialismo, la momente form, le nuove sonorità pianistiche, la musica intuitiva, l’idea dell’unità del tempo musicale, la rivisitazione dell’opera e poi l’elettroacustica degli anni ’50, il microfono come strumento, la sua fede nell’elettronica e potrei andare avanti un bel po’…
  • Il suo coraggio. Coraggio nell’andare fuori dal mainstream e poi essere il mainstream, coraggio nello scrivere in una partitura istruzioni come “…arriva a uno stato di non pensiero…”, coraggio nel chiedere il cielo sul soffitto del Teatro alla Scala…
  • La cura posta nell’esecuzione e nella messa in scena delle proprie opere arrivando a volte a rifiutare una esecuzione anche importante se non venivano rispettati tutti i dettagli.
  • Infine, anche qualcuno dei suoi deliri. Era quasi simpatico quando sosteneva di venire da Sirio.

Cosa detestavo in Stockhausen

  • In una sola parola: lui come persona. Lo dico una buona volta senza usare parafrasi, come quelle dei giornali (tipo: il suo narcisismo gli attirava qualche critica).
    Non voglio offendere qualcuno che magari lo amava o lo frequentava quotidianamente, ma, dal punto di vista di uno che ci ha parlato insieme solo qualche volta e leggeva le sue interviste, KS appariva come uno che pretendeva di avere sempre ragione e sputava sugli altri con una facilità unica. Per lui, quasi tutto quello che non era Stockhausen era praticamente privo di valore.
    Un esempio fra tanti: intervista con Odifreddi; si parla della musica delle sfere:

    PO: Cosa pensa dell’opera di Hindemith L’armonia del mondo, costruita appunto in base alla versione kepleriana di questo motto pitagorico?
    KS: Mi sembra molto ingenua: quasi la visione musicale di un agricoltore.

    Ma, porca miseria, è Hindemith. Puoi non essere d’accordo con la musica che ha scritto e motivarlo, ma non puoi farlo fuori dando dell’ingenuo a lui e a tutti gli agricoltori.
    Esistono vari aneddoti di questo tipo. Ciò che lui pensava, diventava assoluto e veniva corroborato da esempi spesso assolutamente campati in aria, ma che lui pretendeva fossero corretti:

    Il pensiero seriale è divenuto parte della nostra consapevolezza e resterà qui per sempre … Anche le stelle sono distribuite in modo seriale …
    [cit. in Cott, 1973]

    Ci sono molte altre storie del genere. Vedi anche le dichiarazioni di Ligeti in “Lei sogna a colori?” oppure l’intera “Intervista sul genio musicale”.
    Eppure una persona di tale livello non aveva certo bisogno di tutta questa auto-affermazione, ma probabilmente non sarebbe stato così geniale altrimenti. La sua genialità era sorretta anche dall’incrollabile convinzione di essere sempre nel giusto. Una volta presa una strada, KS non aveva dubbi. E il coraggio che mostrava nelle sue partiture derivava anche da questo atteggiamento.
    Se fosse stato un politico sarebbe stato molto pericoloso. Fortunatamente ha fatto il compositore.

D’altronde, spesso la vita è così: bisogna prendere tutto il pacchetto o rinunciare a tutto il pacchetto.

Cronologie

Su classical.net si trovano un po’ di liste cronologiche, timelines e statistiche basate sulle date di nascita e morte dei compositori.

Niente che non si possa trovare in una qualsiasi wikipedia, ma qui i dati sono tutti uniti, ordinati in vari modi e in formati facilmente scaricabili. La timeline, poi, è utile per vedere al volo chi era contemporaneo di chi.
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Some useful chronological lists and composer timelines here at classical.net.

Nothing’s gonna change my world

Tanto per restare in tema, oggi hanno sparato a John Lennon.
La lista delle canzoni attribuite a Lennon, con e senza Beatles, è qui.

Grazie a Deezer, possiamo goderci questa playlist del nostro in modo del tutto legale (mi rendo conto sempre di più che Deezer è un passo avanti incredibile per la diffusione della musica in rete, ammesso che lui funzioni e che telecom ci dia una linea decente; in effetti alle 18 sono casini).
Fate doppio click su uno dei titoli se la musica non parte cliccando il play. Come al solito i fortunati possessori di Internet Explorer devono cliccare un paio di volte, una per attivare l’oggetto, l’altra per usarlo (ma perché non vi scaricare un browser decente?).

La cosa interessante delle playlist come questa è che vengono fatte seguendo un ordine che non ha niente a che fare con quello temporale. Dopo aver cercato Beatles su Deezer, ho fatto un pallido tentativo di ottenere una lista ordinata in base alla data, ordinando l’elenco per album.
Per i Beatles, però, è inutile, perché le case discografiche hanno messo in giro una tale quantità di raccolte e antologie che nello stesso disco ti trovi cose temporalmente lontanissime. Così ho abbandonato l’idea e ho preso i pezzi come venivano. Il risultato è che spesso ci sono dei salti temporali che, in un istante, ti buttano in un’atmosfera completamente diversa. D’altronde la non-sequenzialità è post moderna…
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Continuing this obituary theme, 27 years ago John Lennon had been shot.
Thanks to Deezer, we can enjoy this Lennon playlist. A complete list of the songs credited to Jonh Lennon is here.
Please, double click a title in the list if the music don’t start clicking the play button.

free music

RIP Karlheinz Stockhausen

È morto il compositore Karlheinz Stockhausen; aveva 79 anni.

Stockhausen, riferisce la fondazione che porta il suo nome in un comunicato, è deceduto mercoledì 5/12 a Kuerten, nell’ovest della Germania.
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The composer Karlheinz Stockhausen passed away on December 5th 2007 at his home in Kuerten-Kettenberg and will be buried in the Waldfriedhof (forest cemetery) in Kuerten.

Oskar Sala

Cosa ci fa Alfred Hitchcock sul Trautonium di Oskar Sala?

Ebbene, non molti sanno che Oskar Sala e il suo Trautonium hanno creato gran parte degli effetti sonori nel film “Gli Uccelli”.

Ecco un estratto.
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See Alfred Hitchcock playing (?) the Oskar Sala’s Trautonium.

Sala was a pupil of Friedrich Trautwein, the inventor of the trautonium, and studied with Paul Hindemith in 1930 at the Berlin conservatory.

Oskar Sala further developed the trautonium into the Mixtur-Trautonium. Sala’s invention opened the field of subharmonics, the symmetric counterpart to overtones, so that a thoroughly distinct tuning evolved. Sala presented his new instrument to the public in 1952 and would soon receive international licenses for its circuits. That same year, composer Harald Genzmer delivered the score to the first Concert For Mixtur-Trautonium And Grand Orchestra.

In the 1940s and 1950s he worked on many film scores. He created the non-musical soundtrack for Alfred Hitchcock’s film The Birds. He received many awards for his film scores, but never an Oscar.

Here is an excerpt from The Birds soundtrack.

Congotronics

Konono N°1 was founded over 25 years ago by Mingiedi, a virtuoso of the likembé (a traditional instrument sometimes called “sanza” or “thumb piano”, consisting of metal rods attached to a resonator). The band’s line-up includes three electric likembés (bass, medium and treble), equipped with hand-made microphones built from magnets salvaged from old car parts, and plugged into amplifiers. There’s also a rhythm section which uses traditional as well as makeshift percussion (pans, pots and car parts), three singers, three dancers and a sound system featuring these famous megaphones.
Konono N°1 is the first volume of Crammed’s new series Congotronics, which is devoted to electrified traditional music from the Congo.
Out now: Congotronics vol.2, entitled Buzz and Rumble in the Urban Jungle, is a CD+DVD featuring no less than six different Kinshasa bands. (audio excerpts below)
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Anche nelle attività creative l’Africa costruisce riciclando la spazzatura del primo mondo.

Konono N°1 è una band formata da musicisti provenienti dall’area di confine fra Congo e Angola. Il loro repertorio attinge largamente alla Bazombo trance music, ma, grazie anche ai loro impianti autocostruiti, hanno sviluppato un stile che, dal punto di vista fonico, sfiora il rock sperimentale e la musica elettronica.

Nella foto a sinistra, per esempio, potete vedere un mixer e un microfono costruiti a mano e quasi totalmente in legno.

In quella a destra, invece, una serie di ikembé elettrificati (uno strumento tradizionale noto anche come sanza e conosciuto da noi nella versione caraibica con il nome di kalimba) nelle versioni bassa, solista e accompagnamento (da sin. a des.).

C’è da scommettere che fra poco, diventeranno di moda.

Dopo il primo CD di Konono N°1, ora esce il secondo, in formato CD+DVD nella serie Congotronics dell’etichetta Crammed/SSR. È una compilation di 6 bands e si intitola Buzz and Rumble in the Urban Jungle.
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Estratti audio / Audio excerpts
Konono N°1 – Lufuala Ndonga (mp3)
Masanka Sankayi (RealAudio)
Basokin (RealAudio)

1/2 Mensch

Gli Einstürzende Neubauten occupano quel territorio di confine in cui confluiscono estetiche legate sia al rock che alla scena rumorista tedesca derivante dalla musica concreta. A differenza di questi ultimi, però, loro tendono ad inserire il materiale concreto in una forma rock, tipicamente con funzioni percussive (su oggetti di metallo e legno) o di drone (usando trapani, fresa e sega a nastro).

Sono fra i fondatori della corrente Industrial che sconvolse la scena musicale europea (e non) all’inizio degli anni 80 con l’utilizzo di strumentazioni atipiche, comprendenti martelli pneumatici, lamiere metalliche, tubi flessibili, compressori e altri elementi capaci di creare un suono alienante, ricco di dissonanze, rappresentativo della moderna civiltà industriale.

Dagli anni 90 in poi, la loro foga distruttiva si è stemperata in brani più lineari.
Devo dire che li preferivo iconoclasti, come in questo estratto di circa 9 minuti dal film Halber Mensch (half humans) di Sogo Ishii.
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A 9 minutes excerpt from the Sogo Ishii film Halber Mensch (half humans) featuring the Einstürzende Neubauten.

 

Alchemists of Sound

Su YouTube si trova questo Alchemists of Sound, documentario della BBC sul BBC Radiophonic Workshop, uno studio creato per la produzione di effetti sonori e nuova musica per la radio, attivo dal 1958 al 1998.

Il documentario è ben fatto, nel solito stile formale e qualche volta un po’ ridicolo della BBC e ha una certa rilevanza storica perché mostra le metodologie di lavoro di quegli anni. Ovviamente è in inglese, ma la pronuncia è abbordabile.
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The rather popular & high quality BBC documentary Alchemists of Sound about the BBC Radiophonic Workshop is on YouTube.

A Little Suite for Christmas

Natale si avvicina e per me le feste comandate sono periodi nefandi e depressi, così cerco di addolcirle con un po’ di musica, magari a tema, ma diversa dal solito.

George Crumb ha scritto questa Little Suite for Christmas per piano solo nel 1980.

Si tratta di un brano dolce e silenzioso, ma nello stesso tempo molto energico, giocato su un dialogo fra suono e silenzio, con eruzioni sonore, lunghe pause e frasi esitanti.
Qui Crumb rinuncia all’amplificazione e agli oggetti inseriti su/fra le corde che usava nel Makrokosmos, ma si concentra sul suono dello strumento, con corde lasciate vibrare, pedali, armonici, risonanze e pizzicati.

Il risultato è contemplativo e affascinante. Un pezzo che mostra come si possa scrivere musica contemporanea ma accessibile e godibile nello stesso tempo.

  • George Crumb – A Little Suite for Christmas for piano – Aleksandra Listova

1982

Ecco come si faceva musica elettronica qualche anno fa. Visto che qualcuno di voi ci è nato nel 1982, magari così si fa un’idea.
Oggi tutto questo (e anche di più) sta in un laptop.
Questo spiega anche perché, per uno come me, sia così facile usare software come Max/MSP: ho passato anni collegando scatolette e tirando cavi.
Tutto ciò, però, rivela anche un’altra cosa. Chiunque abbia usato Max/MSP si sarà accorto che una patch di media complessità produce un intrico di cavi virtuali paragonabile a quello nella foto. Il che significa che i software attuali non sono affatto una rivoluzione, ma mimano virtualmente la realtà degli anni ’80.
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A good image showing the electronic musician of the 80s.
Now all this devices (and more) run on a laptop.

Regali per musicisti…

NB: questo post è del 2007. Meglio leggere Regali per musicisti 2014.

Music Thing ha pubblicato una lista di regali per musicisti che costano meno di € 140 (i regali, non i musicisti).
È principalmente orientata al pop, ma magari qualcosa si trova…
Vi consiglio questa chitarra Hello Kitty (qui la versione giapponese; quella europea è una banale simil Squier strat). Ma date un’occhiata anche al violino elettrico a 7 corde (con tasti… agh!).

Se invece volete spendere, ecco gli 11 crazy expensive Christmas gifts for musicians.
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Here is the Music Thing’s 20 non-boring Christmas gifts for musicians which cost less than £100

But take a look at this 11 crazy expensive Christmas gifts for musicians list.

La città delle tenebre

HakNam, la città delle tenebre, l’antica città murata di Kowloon è stata finalmente demolita 15 anni fa, nel 1983. Si trattava di un impressionante agglomerato urbano di 200 x 100 metri di solido cemento, con costruzioni alte 10, 12 e in qualche caso anche 14 piani, che era arrivato ad ospitare fino a 50000 persone.

Nato ai tempi della dinastia Song (960-1279) come avamposto per la difesa del sud, l’insediamento di Kowloon è ben più vasto della città murata. Il suo nome, Kau-lung (Traditional Chinese: 九龍, Simplified Chinese: 九龙) significa “nove dragoni” e deriva dagli otto picchi che la circondano (il nono era l’imperatore medesimo).
Quella che sarebbe diventata la città murata (o fortificata) era stata costruita come fortino a metà dell’800, ai tempi dell’annessione inglese dell’isola di Hong Kong con il trattato di Nanchino (1842).

Nel 1898, poi, l’enclave inglese di Hong Kong venne estesa ai cosiddetti Nuovi Territori sul continente, ceduti per 99 anni, escludendo, comunque, la città fortificata, che allora ospitava 700 persone. La Convenzione per l’estensione dei territori di Hong Kong stabiliva che la Cina avrebbe potuto tenervi truppe, purché non interferissero con il potere britannico sulla penisola.
Con il rispetto della parola data che distinse l’Impero Britannico, l’esercito inglese attaccò il forte solo un anno dopo, per trovarlo, però, completamente deserto.

Da quel momento, la questione della sovranità sulla città fortificata rappresentò sempre un buco nero diplomatico. Gli inglesi se ne disinteressarono, usandola al massimo come un luogo turistico in cui respirare un po’ di aria della vecchia Cina, mentre la popolazione ricominciò a crescere fino alla IIa guerra mondiale, quando i giapponesi occuparono Hong Kong e sfrattarono gli abitanti.
Dalla fine della guerra in poi la popolazione cinese riprese possesso della città che divenne il rifugio di migliaia di profughi in fuga di fronte alla rivoluzione comunista e di molti criminali comuni.

Il vero boom, però, si ebbe dal 1974 in poi, dopo che una spedizione di 3000 poliziotti fece piazza pulita dei componenti di una Triade che aveva stabilito la propria sovranità su quel luogo.
Libera dalla malavita organizzata e priva di qualsiasi controllo statale, Kowloon ricominciò a crescere come un’entità biologica. Le costruzioni si svilupparono l’una sull’altra senza alcun piano e vennero eseguite anche moltissime modifiche praticamente senza nessun intervento da parte di architetti o ingegneri. Migliaia di metri cubi vennero semplicemente assemblati in un patchwork monolitico, riducendo gradualmente gli spazi fino ad arrivare a situazioni paradossali in cui finestre si aprono letteralmente sul muro o sulle finestre del vicino.

In breve tempo, le strade come noi le conosciamo scomparvero dalla città murata. Gli unici spazi fra gli edifici si ridussero a stretti vicoli in cui raramente riusciva ad filtrare un raggio di sole.
Nel 1987 Kowloon raggiunse l’incredibile cifra di circa 50000 abitanti stipati in 0.026 km2 che corrisponde all’iperbolica densità di 1.500.000 esseri umani per km2.

Ciò nonostante, l’idea che la città delle tenebre fosse solo un luogo ad elevato tasso di criminalità è totalmente errata. Era sicuramente un luogo di illegalità diffusa: case da gioco, droga, prostituzione erano comuni a Kowloon, più o meno al livello di una qualsiasi metropoli. Ma la cosa notevole è che un luogo del genere sia riuscito ad esistere per tanto tempo privo di qualsiasi intervento statale.
La corrente elettrica veniva semplicemente rubata alla rete di Hong Kong, con un intrico di cavi e impianti autogestiti per distribuirla e soltanto alla fine degli anni ’70, dopo un incendio, le autorità intervennero installando delle linee quasi regolari. Per molti anni gli abitanti si procurarono l’acqua scavando una settantina di pozzi entro il perimetro della città e solo negli ultimi 20 anni il governo aveva installato delle tubature che portavano acqua pulita e controllata fino ai limiti della zona.

In realtà, la città murata è stata per molto tempo una TAZ, una zona temporaneamente autonoma, sganciata dai poteri locali e auto-organizzata in cui fiorivano una serie di attività come negozi, piccole fabbriche, studi medici e perfino scuole e asili nido, tutti privi di alcun permesso, ma necessari e professionali. C’erano anche molti ristoranti, un tempio e uno “yamen”, un ufficio in cui un saggio amministrava la giustizia e dirimeva le controversie, relitto di un lontano passato cinese.

E così la vita andava avanti, la gente si muoveva all’interno della città murata svolgendo servizi e raggiungendo il posto di lavoro, mentre i bambini, dopo la scuola, venivano portati a godere di un po’ di sole nei giardini sui tetti.

Il punto è che il tutto era organizzato e sostenuto autonomamente dalla cittadinanza a dispetto delle diversità e dei conflitti che in un luogo a così alta densità abitativa potevano facilmente esplodere, dimostrando così un incredibile spirito di adattamento e di tolleranza.

Non sono moltissimi i siti che ricordano ancora la città delle tenebre. Come tutte le TAZ, il potere, di qualsiasi tipo esso sia, cerca di lasciar sfumare il suo ricordo.
Oltre a wikipedia, c’è il il sito di una spedizione giapponese, ultima a visitarla dopo lo sgombero e prima della demolizione. C’è anche un ottimo post con molte immagini su Bizzarro Bazar.
Altre testimonianze su YouTube qui e qui.

viral symphOny

Post-conceptual digital artist and theoretician Joseph Nechvatal pushes his experimental investigations into the blending of computational virtual spaces and the corporeal world into the sonic register.

Realtime “field recordings” of the audio manifestations of his custom created computer viruses have been reworked and reprocessed by Andrew Deutsch and Matthew Underwood, resulting in the sonic landscape of the ‘viral symph0ny’.

With resonances of Yasunao Tone, Fluxus, Oval, and Merzbow, this 28-minute composition is supplemented by a further 50 minutes of audio, comprising the original raw data field recordings.

Listen to: viral symphOny – 1st mvt

Joseph Nechvatal : original concept viral structures
Mathew Underwood : nano, micro, meso and macro structures
Andrew Deutsch : meso and macro structures
Stephane Sikora : C++ programming

Joseph Nechvatal site and blog

Download viral symphOny from Internet Archive

AGP 57

Tanto per restare in tema di Harry Partch, l’Avantgarde Project (AGP), che si occupa di diffondere vecchie registrazioni non ristampate in CD. ha rilasciato il numero 57 che contiene tre brani del nostro.

Questo archivio era stato proposto anni fa, poi ritirato perché questi pezzi erano distribuiti in una nuova esecuzione, ma oggi viene nuovamente distribuito in considerazione del suo valore storico.

Il formato è FLAC (compressione senza perdita). Lo trovate qui.

Numbers Stations

Quando ero piccolo (5/6 anni) non c’era la TV in casa, ma c’era una grossa radio. Onde corte, medie, lunghe.
Una delle mie passioni era proprio ascoltare la radio e soprattutto tutti quegli strani suoni che uscivano dalle onde corte. Ma più di tutto mi appassionavano certe stazioni dalle quali si sentivano voci che parlavano in strane lingue con la cadenza che non era quella di una trasmissione normale, discorsiva, ma piuttosto quella di chi leggeva degli annunci, un po’ nello stile della BBC quando mandava istruzioni ai partigiani francesi con frasi in codice ben scandite, tipo “la gatta ha mangiato tutti i gattini”, oppure come il famoso verso dalla Chanson D’Automne di Paul Verlaine trasmesso in due tranche per annunciare l’invasione: “I lunghi singhiozzi dei violini d’autunno”, prima e poi, a 2 giorni dallo sbarco, l’ultima parte: “mi feriscono il cuore con monotono languore”.

Alcune stazioni, poi, erano piuttosto particolari perché trasmettevano solo serie infinite di numeri, tipicamente in inglese. “One, five, seven, six, eight”; pausa; “nine, eight, two, three, four”; pausa. E così via…
Io conoscevo i numeri in inglese e a volte li trascrivevo cercando di capire se c’era una regola, ma non ne ho mai trovate. Naturalmente immaginavo storie di spie che ricevevano le trasmissioni e poi si lanciavano a decifrare il messaggio.

Quello che allora non sapevo è che era vero. Molto probabilmente era proprio così. Quelle erano le famose numbers stations.
Io lo avrei saputo solo molti anni più tardi, all’università, ma ormai la cosa è nota, al punto da essere riportata anche da wikipedia:

Le numbers station sono stazioni radio in onde corte di origine sconosciuta. Generalmente le trasmissioni contengono una voce che legge sequenze di numeri, parole o lettere (usando talvolta un alfabeto fonetico).

Possono essere individuati tre tipi di numbers station:

  • stazioni in fonia, dove i numeri vengono pronunciati da una voce o da un sintetizzatore vocale
  • stazioni che trasmettono in codice Morse
  • stazioni che trasmettono apparente rumore

Le voci trasmesse sono spesso prodotte da un sintetizzatore vocale e usano un’ampia varietà di lingue, in particolare negli USA spesso sono udite in spagnolo, mentre in Europa le trasmissioni sono generalmente in inglese, tedesco o francese o ancora in lingue slave. Inoltre sono per la maggior parte femminili, più raramente maschili o infantili.

La convinzione popolare, supportata dalle poche prove esistenti sull’argomento, ricondurrebbe queste stazioni operazioni di spionaggio. Questa ipotesi non è stata mai pubblicamente confermata da nessuna agenzia governativa tra quelle che potrebbero gestire una numbers station, tuttavia è accaduto che una stazione, coinvolta in spionaggio, sia stata pubblicamente perseguita da un tribunale di un altro stato.

In realtà le onde corte sono ideali per una comunicazione one way (solo invio, senza risposta) e quindi per mandare ordini o avvisi, perché

  • Non hanno bisogno di ripetitori in quanto vengono riflesse dagli strati alti dell’atmosfera e quindi viaggiano seguendo la curvatura terrestre raggiungendo qualsiasi luogo; è solo questione di potenza della trasmissione
  • Si ricevono con una radio normale e non sospetta
  • Sono complesse da localizzare: bisogna tracciare il segnale in base alla direzione da cui arriva con maggior potenza e poi triangolare

In definiva vanno benissimo per inviare da uno stato, dei messaggi ai propri agenti in uno stato straniero. Il fatto che possano essere intercettate da chiunque non è un problema perché le trasmissioni potrebbero essere criptate con un codice molto forte, come il cifrario di Vernam.

Alcune di queste stazioni hanno anche ricevuto dei nicknames, come “The Lincolnshire Poacher” che trasmette da Cipro, è attribuita all’MI5 e invia le prime due battute dell’omonima canzone folk prima di ogni gruppo di numeri. Oppure la sua “cugina” asiatica che trasmette da Guam con lo stesso formato ed è chiamata “Cherry Ripe” (e naturalmente qui la canzone di stacco è Cherry Ripe). O ancora “Magnetic Fields”, che usa musica di Jean Michel Jarre, o “Atención” che trasmette da Cuba in territorio USA.
Il gruppo ENIGMA, costituitosi proprio per studiare le numbers station, le ha classificate secondo la lingua e le modalità di trasmissione. Nel 1997, l’etichetta Irdial-Discs ha pubblicato un set di 4 CD contenente registrazioni di tali trasmissioni: “The Conet Project: Recordings of Shortwave Numbers Stations”.
Oggi tutto questo materiale è distribuito liberamente dall’Internet Archive.

Ecco alcuni esempi

L’oscuro lavoro del bassista

Sometimes someone ask me what a bass player exactly does in a rock band. Some people think the bass plays only a few notes.
Well, I don’t know what today’s bass players do, but I know what they could do. Click the link below to see two videos. In the first there are the Who playing Wont Get Fooled Again. In the second, the bass player only.
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Quando, da piccolo, suonavo in una rock band, suonavo il basso. Mi divertivo molto perché il basso è uno strumento che nessuno ascolta e così potevo fare quasi tutto quello che volevo.

Ancora oggi, trovo gente che si chiede cosa faccia esattamente il basso, oltre a quelle poche note che per caso si sentono.
Bene, che cosa faccia nel panorama pop attuale non lo so, ma so cosa dovrebbe fare. Cliccate qui sotto e date un’occhiata. Ci trovate il video di una canzone degli Who dei tempi andati e poi un altro della stessa canzone in cui si vede e si sente solo il basso (va detto che Entwistle era un caso raro; un altro così era Jack Bruce).

L’intera canzone – The whole song

Solo il basso – Bass player only

Pubblicato in Pop

Delusion of the Fury

Di Harry Partch abbiamo già parlato su queste pagine. Artista personalissimo, a cavallo fra il ‘900 storico e il contemporaneo (1901-1974), capace di ideare e costruire una propria strumentazione che non si basa sul temperamento equabile e per questo isolato, ma ciò nonostante sempre presente a sé stesso e consapevole del suo essere compositore (ricordiamo che durante la grande depressione vagava come un senzatetto e tuttavia era in grado di pubblicare un giornaletto dal titolo Bitter Music – Musica Amara), Partch ha sempre portato avanti la sua sfida all’estetica corrente, quale essa fosse.

Con la sua musica, non tonale, non atonale, ma anzi completamente esterna a questo dualismo, (sviluppando quell’atteggiamento prettamente americano che già troviamo in Ives e altri), Harry Partch raggiunge livelli di grande potenza, come in questa ultima opera del 1965-66, eseguita una sola volta mentre era ancora in vita.

Delusion of the Fury: A Ritual Of Dream And Delusion, per 25 strumenti (mai utilizzati tutti insieme), 4 cantanti e 6 attori/ballerini/mimi, accosta un dramma giapponese nel primo atto a una farsa africana nel secondo, realizzando quel concetto di teatro totale che integra musica, danza, arte scenica e rituale da sempre caro all’autore.

L’opera non ha un vero e proprio libretto, nel senso narrativo dell’opera europea. Tutta l’azione è danzata e/o mimata.
Nelle parole di Partch, il primo atto è sostanzialmente un’uscita dall’eterno ciclo di nascita e morte rappresentato dal pellegrinaggio di un guerriero in cerca di un luogo sacro in cui scontare la penitenza per un omicidio, mentre l’ucciso appare nel dramma come spettro, dapprima a rivivere e far rivivere al suo assassino il tormento dell’omicidio, trovando infine una riconciliazione con la morte nelle parole “Prega per me!”.
Il secondo atto è invece una riconciliazione con la vita che passa attraverso la disputa, nata per un equivoco, fra un hobo sordo e una vecchia che cerca il figlio perduto. Alla fine, i due vengono trascinati di fronte a un confuso giudice di pace sordo e quasi cieco che, equivocando a sua volta, li scambia per marito e moglie e intima loro di tornare a casa, mentre il coro intona all’unisono un ironico inno (“come potremmo andare avanti senza giustizia?”) e la disputa si stempera nell’assurdità della situazione.
L’opera si conclude con stessa invocazione del finale del primo atto (“Pray for me, again”), lanciata da fuori scena.

Qui il video originale

Ancora morphing

Fantastico! Ce ne sono altri due, più brevi, dedicati a Van Gogh e Picasso.
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Incredible! Two more morphing videos showing Van Gogh and Picasso portraits.

MunArt

Per il centenario di Bruno Munari, un sito a lui dedicato.

Ci ho trovato questa poetica citazione di Buzzati sulle macchine inutili:

…ciascuna ha una sua speciale personalità; alcune hanno persino i loro estri bizzarri, un giorno sono vivaci e agitatissime, e il giorno dopo cadono in un incomprensibile letargo… Una volta lasciate a se stesse, le macchine inutili si sottraggono al controllo umano acquistando una esistenza autonoma e lo stesso Munari che le ha create, candido negromante, non riesce più a signoreggiarle. Ancora al buio più nero esse continuano a girare.
Noi dormiamo e loro no. Ci svegliamo e sono ancora là che ruotano, accompagnando con dolcezza l’irreparabile fuga del tempo
[Dino Buzzati, 1948]

Donne nel cinema

Con le stesse modalità di cui abbiamo parlato due giorni fa (l’autore è lo stesso), ecco un video sulle donne nel cinema. Questa volta l’elenco completo è qui sotto.
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Another morphing video. This time about women in film.

The list:
Mary Pickford, Lillian Gish, Gloria Swanson, Marlene Dietrich, Norma Shearer, Ruth Chatterton, Jean Harlow, Katharine Hepburn, Carole Lombard, Bette Davis, Greta Garbo, Barbara Stanwyck, Vivien Leigh, Greer Garson, Hedy Lamarr, Rita Hayworth, Gene Tierney, Olivia de Havilland, Ingrid Bergman, Joan Crawford, Ginger Rogers, Loretta Young, Deborah Kerr, Judy Garland, Anne Baxter, Lauren Bacall, Susan Hayward, Ava Gardner, Marilyn Monroe, Grace Kelly, Lana Turner, Elizabeth Taylor, Kim Novak, Audrey Hepburn, Dorothy Dandridge, Shirley MacLaine, Natalie Wood, Rita Moreno, Janet Leigh, Brigitte Bardot, Sophia Loren, Ann Margret, Julie Andrews, Raquel Welch, Tuesday Weld, Jane Fonda, Julie Christie, Faye Dunaway, Catherine Deneuve, Jacqueline Bisset, Candice Bergen, Isabella Rossellini, Diane Keaton, Goldie Hawn, Meryl Streep, Susan Sarandon, Jessica Lange, Michelle Pfeiffer, Sigourney Weaver, Kathleen Turner, Holly Hunter, Jodie Foster, Angela Bassett, Demi Moore, Sharon Stone, Meg Ryan, Julia Roberts, Salma Hayek, Sandra Bullock, Julianne Moore, Diane Lane, Nicole Kidman, Catherine Zeta-Jones, Angelina Jolie, Charlize Theron, Reese Witherspoon, Halle Berry

Quarti di tono

Dai quarti di tono incidentali di Van Halen, passiamo ai quarti di tono intenzionali di Charles Ives (1874–1954) con questi Three Quarter-Tone Pieces for Two Pianos del 1924 (sono gli anni in cui, in Europa, i Viennesi formalizzano le regole della dodecafonia).

È interessante e anche divertente sapere qualcosa di più sul rapporto tra Ives e la microtonalità e sul modo in cui quest’ultima viene ottenuta in questi pezzi.
Rendere microtonale un pianoforte, in effetti, è un problema. A prima vista, sembra che ci siano solo due modi: o si riaccorda interamente il pianoforte, perdendo, però, metà dell’estensione, oppure si ricorre a uno strumento appositamente costruito.
C’è, però, una terza via ed è quella utilizzata da Ives in questi pezzi: usare due pianoforti uno dei quali è accordato 1/4 di tono più alto dell’altro. Ovviamente i due strumenti devono essere uguali e i due pianisti devono essere molto accurati sia come tempo che come tocco e dinamiche perché il tutto deve suonare come un unico strumento e vi sono accordi e frasi in cui l’uno esegue note complementari all’altro.

I rapporti fra Ives e la microtonalità sono curiosi e risalgono all’infanzia in una famiglia di musicisti. Il padre, però, era anche un appassionato di bricolage. Aveva costruito una specie di arpa fra cui aveva teso 24 o più corde per sperimentare con i quarti di tono. In seguito, come racconta lo stesso Ives, aveva composto alcune canzoni in quarti di tono e cercava di convincere la famiglia a cantarle, tentativo rapidamente abbandonato per essere ripreso solo come forma di punizione.
Ciò nonostante, al piccolo Charles, alcune di queste canzoni, quelle che erano temperate e usavano i microtoni solo come note di passaggio, piacevano.

Ives ricorda anche il padre aveva l’orecchio assoluto, ma lo considerava una cosa disturbante e quasi vergognosa, affermando che “tutto è relativo; solo i pazzi e le tasse sono assoluti”. E ad un amico, diplomato al conservatorio di Boston, che gli chiedeva come mai, nonostante il suo orecchio, insistesse nel produrre dissonanze al piano, rispose “Io avrò anche l’orecchio assoluto, ma, grazie a Dio, il piano non ce l’ha”.

L’influenza del padre spiega anche l’atteggiamento di Charles Ives nei confronti della tonalità: “Non vedo perché la tonalità, come tale, debba essere eliminata, così come non vedo perché debba sempre essere presente”.
Così, mentre in Europa si preparava un conflitto ideologico atonale contro tonale, in America si assestavano i fondamenti di quell’atteggiamento neutrale che avrebbe prodotto gente come Cage, Feldman, Wolff e molti altri, estendendo la sua influenza fino al presente.

In questo brano, il primo e il terzo movimento erano stati concepiti per un unico pianoforte con due tastiere. Un ordigno del genere era stato effettivamente costruito in via sperimentale e in pratica, era costituito da due arpe, due meccaniche e due tastiere sovrapposte, incluse nello stesso box. Questi due movimenti sono basati su una serie di accordi, quasi nello stile di un inno, che all’inizio lasciano all’orecchio il tempo di assorbire le stranezze prodotte dai quarti di tono. Si nota in modo particolare nel I° mov. che presenta all’ascoltatore il materiale sonoro in modo graduale, quasi didattico. Ciò non toglie che, alle nostre orecchie educate al sistema temperato, l’insieme dia spesso l’impressione di un pianoforte scordato.
Su questo tessuto, si dispiega poi una linea cantabile che, nel III° mov., riprende e distorce una canzone popolare (America, my country ‘tis of thee), sottolineando il verso “land where my fathers died!”.
L’allegro, invece, è vigoroso e vivace, diviso ritmicamente fra i due pianoforti.

Ecco anche una tesi di Myles Skinner in inglese che discute l’utilizzo della microtonalità nella musica occidentale moderna.

Charles Ives – Three Quarter-Tone Pieces for Two Pianos (1924)
Elizabeth Dorman and Michael Smith, piano

-3

-3Quella nel cerchio giallo è la temperatura esterna, misurata all’aeroporto, che arriva sul mio computer via internet.

È la prima volta che la vedo sotto zero, ma siamo solo a metà novembre…
Sarà un lungo inverno…

Se volete consolarvi, a Yakutsk c’è il sole e la temperatura è meno 31. E siamo solo a metà novembre…

Classica Viva

Che esista una netlabel italiana dedicata alla musica classica fa solo piacere. Che ne esistano due fa ancora più piacere.
Quindi blogghiamo anche Classica Viva che ci ha gentilmente segnalato la sua presenza (e speriamo ne saltino fuori altre).

logoA differenza di OnClassical, Classica Viva vende principalmente tracce singole in formato MP3, quasi tutte a € 0.50 ciascuna (per tutte c’è un preview) indirizzandosi, così, verso un target un po’ diverso da quello dei già citati colleghi. È difficile, infatti, che un audiofilo si accontenti di un MP3, ma d’altra parte in questo modo è molto più facile raggiungere settori di pubblico più vasti.
In effetti le statistiche di Nielsen SoundScan relative al 2006, di cui abbiamo riferito, mostrano una decisa crescita (+22.5%) della musica classica, che viene generalmente spiegata con la disponibilità di singoli brani su servizi come iTunes e simili.
Il fatto è che certi brani di classica, anche se spesso non completi (tipo, un solo movimento di una sonata), sono innegabilmente belli ed emozionanti anche per le orecchie di un pubblico non abituato al genere e il trovarli in lista su iTunes a € 0.99 fa sì che, quando qualcuno spende una ventina di euro in singoli brani, magari ne metta dentro un paio, mentre non acquisterebbe mai un intero album.
Per completezza, però, bisogna ricordare che questi acquisti sono trainati da un catalogo che, in massima parte, è pop ed è invece difficile che questo tipo di acquirente vada su un sito dedicato solo alla musica classica. Non so. Magari il prezzo di 0.50, sensibilmente minore, può fare la differenza. Vedremo…
In ogni caso, ricordiamo che Classica Viva vende anche normali CD a € 12 e registrazioni complete di concerti.

L’attività di questa etichetta, comunque, non si ferma alla musica registrata. Distribuisce anche partiture, libri e audiolibri con il contorno di varie iniziative fra cui un blog e una rivista online (le altre iniziative le lascio scoprire a voi altrimenti non c’è gusto).
Ovviamente le auguro tutto il successo che merita.

Qualche appunto, invece, lo farei non come musicista, ma come informatico.
Prima di tutto, secondo me, ci vorrebbe un pulsante per fermare la musica che parte quando si carica il sito. Non che non ami Rameau (e il suono del clavicembalo di Ligoratti è bello anche con gli schifosissimi altoparlanti del portatile), ma il punto è che, quando ho caricato la pagina, stavo ascoltando dell’altra musica.
Secondariamente, sempre imho, java farà le scritte scorrevoli, ma stressa anche il processore e rallenta un po’ tutto, il che, considerando che le pagine sono piuttosto piene, non è una bellissima idea.

Dal blog di Classica Viva, la Ciaccona di Bach-Busoni nell’interpretazione di Stefano Ligoratti

500 anni di arte

Questo notevole video mostra, in un sorprendente gioco di morphing, circa 500 anni di pittura.

Lo fa concentrandosi su un genere: quello del ritratto femminile, sacro e profano, passando attraverso 90 opere ordinate più o meno storicamente: da un’icona di Novgorod della fine del 12mo secolo fino a un Picasso del 1946. Qui trovate l’elenco completo.

La colonna sonora è la sarabanda dalla Suite no. 1 per violoncello solo di J. S. Bach, esecutore essendone Yo-Yo Ma.
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Here is a morphing video showing the evolution of female portrait in western art, from a Novgorod icon (2nd half of the 12th c.) to Picasso. Click here for the complete list.

Better resolution version:

100 Immagini

Anna FrankDigital Journalist, un sito affiliato all’Università del Texas, ha pubblicato le 100 foto che hanno cambiato il mondo, tratte da LIFE Magazine (il link di entrata è in fondo alla pagina introduttiva).

Al di là della retorica nel titolo, la mostra, perché di mostra si tratta, è bellissima, emozionante e a tratti scioccante. Sono quasi tutte immagini storicamente significative e fanno pensare.
Questa è la prima: la ragazzina un po’ malinconica, qui a destra, è Anna Frank.
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Digital Journalist, a web site affiliated with the University of Texas, has posted 100 world-changing photographs by the iconic LIFE magazine. You can read the introduction to the collection here, or start with the first powerful image and then advance through a sampling of the other impact-filled images that topped their list.

from Open Culture

Barry Truax

Truax ca. 1949La prima volta che incontrai Barry Truax (nella foto a 2/3 anni), al CSC di Padova alla fine degli anni ’70, io ero uno studente e lui era già un guru della computer music che aveva al suo attivo il POD (un software per la composizione assistita da computer) e una convincente sistematizzazione compositiva della modulazione di frequenza e alcuni brani che la sfruttavano, come Sonic Landscape e Androginy.

Già allora Truax utilizzava il concetto di “paesaggio sonoro”, mutuato dal World Soundscape Project, di cui aveva fatto parte nel 1973. Più tardi sarebbe stato uno dei pionieri della sintesi granulare.

I lavori di Barry che preferisco sono le composizioni elettroacustiche in cui dà prova di grande maestria nella elaborazione del suono, come “Basilica“, interamente basato sulle sonorità delle tre campane della cattedrale di Quebec City (Truax è canadese, vive e lavora a Vancouver) o “Temple“, elaborazione di campioni vocali registrati nella riverberante cattedrale di San Bartolomeo, a Busetto (Italia) o ancora “Steam“, dedicato alla grande varietà di fischietti e corni da nebbia che popolano il paesaggio sonoro del Canada. Nello stesso modo mi piacciono i suoi brani di sintesi, come “Arras“, ispirato agli arazzi dell’omonima città francese. (estratti audio sotto la parte in inglese)
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Truax from Wikipedia

Barry Truax (born 1947) is a Canadian composer who specializes in real-time implementations of granular synthesis, often of sampled sounds, and soundscapes. He developed the first ever implementation of real-time granular synthesis, in 1986, the first to use a sample as the source of a granular composition in 1987’s Wings of Nike, and was the first composer to explore the range between synchronic and asynchronic granular synthesis in 1986’s Riverrun. The real-time technique suites or emphasizes auditory streams, which, along with soundscapes, inform his aesthetic.
Truax teaches both electroacoustic music and computer music and acoustic communication at Simon Fraser University. He was one of the original members of the World Soundscape Project. His students include John Oswald.
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Barry Truax works excerpts (from the author’s site where you can listen to many other sound examples)

  • Basilica (1992) for two or eight digital soundtracks
  • Temple (opening) (2002) for eight digital soundtracks
  • Steam (2001) for alto flute and two digital soundtracks (Chenoa Anderson, alto flute)
  • Arras (1980) for four computer-synthesized soundtracks

Addio Norman Mailer

armies of night Il fine ultimo dell’arte è intensificare e se necessario, esasperare la coscienza morale della gente.
[Western Review No. 23 (Winter 1959)]

Con la fierezza dell’artista, devi sempre suonare la piccola tromba della tua sfida contro le mura di ogni potere che esiste.
[The Eternal Adam and the New World Garden (1968)]

In un matrimonio ci sono quattro fasi. Dapprima c’è la festa, poi il matrimonio, poi i figli e infine la quarta fase senza la quale non puoi dire di conoscere una donna: il divorzio.
[News summaries (31 December 1969)]

L’orrore del XX° secolo è la dimensione di ogni nuovo evento e la pochezza della sua risonanza.
[A Fire on the Moon (1970)]

Ho sentito qualcosa muoversi verso l’omicidio dentro di me. Mi sono sentito come un fuorilegge, un fuorilegge psichico, e mi piaceva…
[Dichiarazione dopo il rifiuto di pubblicare The Deer Park a causa di sei righe che non ha voluto rimuovere (1985)]

Localizzatori Acustici

war tubes

Questi impressionanti oggetti erano localizzatori acustici mobili in forza all’esercito giapponese negli anni ’30 (quello a destra nella foto è l’imperatore Hiroito).
Data la loro somiglianza allo strumento, venivano anche chiamati “tube da guerra”. Definizione impropria in quanto non emettevano alcun suono, ma si limitavano a ricevere e sperabilmente evidenziare a distanza il suono degli aerei in arrivo.

Sotto, invece, vediamo un fantastico paesaggio, con dei localizzatori fissi che danno alla scena un aspetto quasi alieno.

Credo che pochi saprebbero dire senza esitazione a che cosa servono queste costruzioni.

Sono (erano) dei localizzatori acustici, cioè delle strutture progettate prima dell’avvento del radar (fine anni ’30, primi ’40), per intercettare le onde sonore e concentrarle in un punto di ascolto, grazie anche ad un microfono.
Quelli che vedete nelle immagini si trovano in Inghilterra, nel Kent e sono stati costruiti intorno al 1930. Erano in grado di intercettare il suono di un aereo a 20/30 miglia di distanza. Muniti di un microfono, avevano una precisione di circa 1.5 gradi.

sound mirrors

 

L’uomo approssimato

Bello come il primo (le project flou), “L’homme approximatif“, nuovo lavoro di Daniel Palomo Vinuesa + collettivo serendipity.

Pseudo jazz con influenze elettroacustiche, ma Vinuesa spazia fra molti generi e crea un concept album che trae la sua ispirazione dai lati meno ovvi della scienza: l’incommensurabilità fra il raggio e la circonferenza, fra il lato e la diagonale del quadrato, grande disastro e rovina di Pitagora. Ma anche Darwin e Galileo e poi Tesla, scienziato e apprendista stregone e il caos: Poincaré.

The Mazurka Project

Visto che ultimamente siamo in vena romantica 8) parliamo anche di questa interessante ricerca.

Il Progetto Mazurka si basa sull’analisi di una porzione significativa delle incisioni delle mazurke di Chopin utilizzando la tecnologia digitale per esaminare il timing e la dinamica.

Le incisioni prese in considerazione vanno dagli anni ’20 ai nostri giorni e vengono esaminate e confrontate sia per ricavarne delle tendenze generali, sia confrontate per evidenziare somiglianze e differenze.
Fra le prime spicca questo grafico che mostra come i pianisti tendano sempre più a battere la fiacca 😛 . Scherzi a parte, è interessante notare una tendenza a un marcato rallentamento metronomico nell’esecuzione delle mazurke in questi ultimi 90 anni, come mostra il grafico.

grafico MM nel tempo

Per esempio, l’esecuzione della Mazurka in LA minore Op. 68, No. 2 è passata mediamente dai 110 MM del 1920 agli 80 di oggi, con la durata che va da circa 2′ (con punte di 1′ 35″) fino ai 3′ 20″ circa degli anni 2000, con punte di 5′ 57″.
Spicca l’incredibile Michelangeli che ha inciso questo brano nel 1941, 1962 e 1971 con durate rispettive di 3′ 01″, 3′ 06″ e 3′ 04″, differenze praticamente nulle.

Lo studio delle esecuzioni è molto accurato. Altri grafici mostrano le somiglianze e le differenze dal punto di vista ritmico. Altri ancora evidenziano le deviazioni rispetto al tempo metronomico, mostrando che alcuni esecutori tendono mediamente a rispettarlo, mentre qualcun altro è costantemente in leggero ritardo o in leggero anticipo, al punto che questa può essere considerata una caratteristica esecutiva.

Fra le altre cose, queste analisi mostrano quanto utile possa essere in mezzo digitale in un contesto di analisi (in questo caso si tratta del software Sonic Visualizer arricchito da plugin appositi).
Peraltro, i grafici delle somiglianze mostrano chiaramente l’identità delle esecuzioni chopiniane di Hatto e Indjic, parte dell’ormai famoso Hatto’s Hoax e in effetti, anche se per altre vie, il computer ha avuto una parte non banale nello smascherare questa penosa truffa.
_____________________________________________

The Mazurka Project is based on Chopin’s complete Mazurkas, involving analysis of a significant proportion of existing recordings of them, and making use of recently developed techniques for the mechanical capture of timing and dynamic information. The intention is not only to throw light on the interaction of compositional and performance style, using this in turn as a basis for interpreting geographical and chronological trends in the recorded performances, but also to explore the possibility of linking such analysis to the cultural meanings the Mazurkas have supported over the past 150 years.

This project is directed by Nicholas Cook (Royal Holloway, University of London). Technical development for data capture is being carried out by Andrew Earis (Royal College of Music) and analyzed by Craig Sapp (craig.sapp@rhul.ac.uk) who worked in the monkey house at the London Zoo prior to joining CHARM.

OnClassical

Ecco una netlabel dedicata alla musica classica e per di più, fa piacere dirlo, si tratta di una iniziativa italiana.

OnClassical vende musica via internet, ma è importante far notare che, all’atto dell’acquisto, la musica non è distribuita solo in MP3, la cui qualità, nel caso della musica classica, può essere discutibile, ma anche in FLAC (compressione senza perdita, CD quality, 44.1 kHz, 16 bit) e in qualche caso, anche in Hi-Res FLAC (88 kHz, 24 bit).
Come ormai è d’uso, per ogni CD esiste una funzione di pre-ascolto.

Cell

CellNella bolgia dei libri d’autunno, la mia bolgia, perché l’autunno è un momento in cui compro molti libri, soltanto adesso sono riuscito a leggere questo Cell di Stephen King.
King ha immaginazione. E non costringendosi entro le mura della realtà, la sua immaginazione può creare paesaggi affascinanti e/o terrorizzanti.

In Cell, un segnale trasmesso simultaneamente su tutta la rete dei cellulari spazza via in un istante qualsiasi substrato culturale dal cervello di chi fa una chiamata, riducendolo agli istinti primordiali: uccidere e sopravvivere. Una colossale formattazione gobale.
Naturalmente, data la diffusione di questi malefici oggetti, l’umanità rimasta tale è in minoranza e costretta a nascondersi e a spostarsi di notte per sfuggire all’aggressività dei “phoners”, i quali, però, non rimangono a lungo a questo livello neanderthaliano. Si scopre in breve che quello che hanno subito è stato un reboot, una ripartenza con un programma nuovo. Comunicano per via telepatica, si riuniscono in stormi, come gli uccelli che si muovono in gruppi sincronizzati, apparentemente senza comunicazione alcuna.

In questo caos, si muove il protagonista, come al solito, in King, un alter ego dell’autore (stavolta non è un romanziere del Maine, ma un fumettista del Maine) il cui scopo è attraversare il paese per raggiungere e sperabilmente salvare il figlio, un ragazzino di 10 anni, probabilmente ormai un phoner integrale, mentre quel che resta dell’umanità normale viene indirizzata verso una zona in cui non c’è campo.
Ma il cuore del romanzo non è la resistenza al cambiamento e nemmeno la ricerca della salvezza. Sono loro, i phoners. Una nuova umanità creata per via tecnologica, una nuova razza.

Un romanzo simpatico, facile e a tratti affascinante, di cui si possono dare innumerevoli interpretazioni, dall’apocalittico all’integrato.
Ma anche se non viaggia sulla rete dei cellulari, non possiamo fare a meno di notare che un segnale capace di riformattare il cervello esiste già e si chiama televisione.

Pseudophone

Un buon lavoro questo Reach di Pseudophone, godibile, ricco di atmosfere fatte di flussi sonori ciclici che lentamente si sovrappongono e si inseguono.

Pseudophone strives to craft cinematic pieces that “tell a place”—a space so full of character a story will unfold there almost entirely by itself. Every tool in the Psueophophone studios—whether stringed or controlled by faders, whether banged on or dialed in—is musical. In Pseudophone’s world every sound is sacred, and any sound can be composted. What is more sacred than a story? The Spirit moves across the water, and the words appear in the beginning, and in the end.

Reach is a travelogue of sorts, but the destinations are unmapped. It is a sonic diary of places told, a soundtrack of possible journeys—both outward and within. Yet we hope you find it not so much a long voyage as a dreamy sail—no coins are required for the boatman.

[Pseudophone]

Pseudophone – The Reach
Koniuto – voice, schemes & treatments, assemblage
Kim Mitchell – voice

Negative Sound Institute netlabel

Sonic Map of Battersea Park

Molto bella questa mappa sonora di Battersea Park (Londra). Bella perché di solito nella mappe sonore ci si limita a collegare delle registrazioni a dei punti su una mappa geografica per dare all’ascoltatore un’idea realistica dell’ambiente.

Qui, invece, non c’è alcun ambiente realisticamente ricostruito, se non sotto l’aspetto sonoro. Si sente quello che accade, ma non lo si vede. L’ascoltatore si muove in un ambiente buio da cui emerge una moltitudine di eventi sonori che suggeriscono l’atmosfera di un parco. Ma non si vede mai nulla e così l’ascoltatore è invitato a costruirsi un paesaggio mentale orientando il microfono verso le sorgenti sonore e camminando attraverso il parco.
Bello anche l’effetto stereo.

L’idea è analoga alla Dark Room realizzata dal sottoscritto, con l’aiuto di Lemi, per Verona Risuona 2006. Anche là una stanza buia in cui spuntavano suoni dal nulla, con gli ascoltatori invitati a “farsi il proprio film”.


Attenzione: quando la mappa si avvia, la prima cosa da fare è cliccare con il mouse nella finestra nera, perché a volte l’oggetto non si attiva da solo e bisogna farlo anche ogni volta che si rientra dopo avere eventualmente cambiato finestra.
I punti bianchi, fermi o in movimento, sono sorgenti sonore. Per muovere il cerchio rosso, che è il microfono, si usano le frecce, non il mouse. Le frecce sin/des (←→) orientano il microfono sul cerchio, mentre quelle alto/basso (↑↓) lo fanno avanzare nella direzione in cui è orientato (un po’ come guidare l’auto).

Altre info su questa realizzazione di Gaya Gajewska

Jobsintown

JobsintownSimpatica (ma un po’ triste) allegoria di come siamo riusciti a ridurre (e si sono lasciate ridurre) le generazioni più giovani in questo paese.

In realtà è la pubblicità di una agenzia tedesca, jobsintown.de, che è la stessa dell’Ass-Kisser Project, ma quest’ultima campagna è un po’ più raffinata e significativa.

Cliccate qui per ingrandire e vederne altre.

Segnalato da: federico

Otto canzoni per un re pazzo

Le “Eight Songs for a Mad King” scritte da Peter Maxwell Davies nel 1969, sono ispirate alla follia senile di re Giorgio III° di Gran Bretagna e a un carillon, tuttora esistente e appartenente a Sir Stephen Runciman, che si racconta venisse usato dal re nella pretesa di insegnare a cantare agli uccelli del parco.

Si tratta in realtà di un monodramma di circa 30 minuti con libretto di Randolf Stow basato su testi dello stesso Giorgio III° (testi qui), pensato per l’attore e cantante sudafricano Roy Hart, baritono dall’enorme estensione vocale (più di 5 ottave) e proprio per questo raramente eseguita in seguito (Roy Hart, morì in un incidente poco dopo la prima).
La partitura è per flauto (+ottavino), clarinetto, violino, violoncello, pianoforte (+clavicembalo, dulcimer), percussioni (+vari fischietti, didjeridu), oltre all’attore protagonista che è l’unico a muoversi liberamente sul palcoscenico, essendo gli altri esecutori rinchiusi in grandi uccelliere.

Nel corso dell’opera, il re dialoga anche individualmente con gli altri strumenti che a volte incarnano le sue allucinazioni: p.es. il flauto diventa la Lady-in-Waiting del terzo brano, mentre il violoncello rappresenta il Tamigi nel brano no. 4 e il percussionista è il custode del re.

Un’opera innovativa nel 1969, anche dal punto di vista grafico, che a tratti incorpora musica di corte dell’epoca.

Here with the score

and here with the scenic action

Altre partiture online

Aggiunti altri siti di partiture online alla mia pagina.

  • Sheet Music Archive
    Musica classica da Bach a Rachmaninoff – parzialmente libero: download gratuiti limitati a 2 al giorno
    Classical music from Bach to Rachmaninoff – free downloads are limited to 2 per person per day
  • Chopin Early Editions
    Immagini digitali dalla Chopin Collection presso la biblioteca dell’Università di Chicago – JPG a pagina singola
    Digitized images of all scores in the University of Chicago Library’s Chopin collection. – Single page JPG
  • Sibley Music Library
    Partiture ma anche articoli dall’Eastman School of Music
    Musical scores and papers from the Eastman School of Music

Quarti di tono, sì!

Cosa succede se i tuoi campionamenti vengono suonati a 48K invece che a 44.1?

Ecco cosa succede! Ce lo mostra Van Halen in un concerto registrato a Greensboro, NC, dieci giorni fa.
Sopportate l’intro e ascoltate cosa accade quando il nostro tenta di suonare sul riff… :mrgreen:

Da create digital music che ha avuto anche la spudoratezza di piazzarlo nella categoria “alternative tunings”.



Golden Streams

Sempre da musicalgorithms, ecco una breve composizione realizzata basandosi sui metodi esposti nel post Matematica e musica (01) sovrapponendo alcune serie generate dalla sezione aurea φ.

Il compositore è Jonathan Middleton e il titolo del brano riflette le modalità compositive: Golden Streams: Readymade No. 1. Esiste in due versioni, con e senza batteria e io preferisco di gran lunga quest’ultima.

Golden Streams senza batteria.
Golden Streams con batteria.

Il formato è mp4 audio (aac). Se avete qualche difficoltà, eccolo anche in RealAudio con e senza batteria.

HD Map

hd map

Con i nuovi hard disk da centinaia di Gb il file manager tradizionale sta entrando in crisi. È sempre più difficile trovare qualcosa in una lista sterminata di directory e sotto-directory.
Se pensate che per il 2011 sono annunciati nuovi HD da 4 Terabytes, capite che la questione si farà seria.
L’immagine che vedete è la mappa del mio hard disk fatta da questo programma di mapping. Quadrati e rettangoli sono file il cui tipo è evidenziato con il colore. P.es. i rettangoli azzurri sono file audio, i gialli sono immagini, il rosso è un video, ecc. La grandezza del blob riflette la dimensione del file.

Andandoci sopra con il mouse esce il nome del file e naturalmente esiste uno zoom. Il prossimo passo è implementare una serie di azioni sul file e si avrà un nuovo tipo di file manager.
Il modo in cui vediamo il computer sta cambiando.

Matematica e musica (01)

La trasposizione diretta della matematica in musica, di solito produce dei risultati abbastanza banali. C’è però qualche eccezione. Una è questa.

  1. Si calcolano le prime n (poniamo 100) cifre di un numero trascendente, uno di quei numeri non riducibili a frazione che hanno infinite cifre dopo la virgola, come π (pi-greco), φ (phi, la sezione aurea) o e (la base dei logaritmi naturali).
    In questo caso, usiamo la sezione aurea φ (phi). Il risultato è
    1.61803398874989484820458683436563811772030917980576
    286213544862270526046281890244970720720418939113748
  2. Si prendono le cifre così come sono, senza badare al punto decimale, cioè
    1,6,1,8,0,3,3,9,8,8,7,4,9,8,9,4,8,4,8,2,0,4,5,8,6,8,3,4,3,6,5, … etc.
    Questa sarà la nostra base per produrre altezze e durate. L’idea è che la generazione delle cifre decimali in questi numeri non è del tutto casuale. Infatti le cifre non hanno la stessa distribuzione, ma soprattutto la serie è ricca di ripetizioni, configurazioni ripetute, etc.
  3. Per ottenere le altezze, trasformiamo le nostre cifre in note con una codifica. Poniamo 1 = LA basso del piano e saliamo per semitoni. Quindi il DO più basso sarà 4 e poi, per ottave, gli altri DO saranno 16, 28, 40, 52, 64, 76, 88.
  4. Ora, riscaliamo l’intera serie, che va da 0 a 9, in modo che il minimo (0) corrisponda a 40 (C3) e il massimo (9) a 64 (C5). Otteniamo seguente serie di note:
    42,56,42,61,40,48,48,64,61,61,58,50,64,61,64,50,61,50,61,45,40, … etc
    In generale, risulta che

    • 0 = 40 = C3
    • 1 = 42 = D3
    • 2 = 45 = F3
    • 3 = 48 = G#3
    • 4 = 50 = A#3
    • 5 = 53 = C#4
    • 6 = 56 = E4
    • 7 = 58 = F#4
    • 8 = 61 = A4
    • 9 = 64 = C5

    Naturalmente avremmo potuto usare anche un altro intervallo, più o meno ampio di 2 ottave ottenendo risultati diversi.

  5. Ora piazziamo le durate. Decidiamo che
    • 0 = semicroma
    • 1 = croma
    • 2 = semiminima
    • 3 = minima

    e riscaliamo la serie numerica come sopra, ma restringendola fra 0 e 3 senza decimali. Ne consegue che

    • 0, 1, 2 = 0 = semicroma
    • 3, 4, 5 = 1 = croma
    • 6, 7, 8 = 2 = semiminima
    • 9 = 3 = minima

    ottenendo la serie seguente: 0,2,0,2,0,1,1,3,2,2,2,1,3,2,3,1,2,1,2, … etc.
    In questo esempio usiamo sempre durate canoniche (non irregolari) per non avere difficoltà di scrittura. Niente però impedisce di usare anche durate irregolari, affrontando qualche problema di scrittura. P.es, usando anche la durata di una croma terzinata, potreste trovarvi una successione come: semiminima – croma terzinata – semiminima e voglio vedere come lo scrivete. Oddio, in tanti brani contemporanei si fa anche di peggio, ma in questo esempio stiamo sul semplice.

  6. Bene. A questo punto abbiamo una serie di altezze e una di durate di pari lunghezza. Decidiamo un metronomo e suoniamo. Ecco il risultato finale. Simpatico, nervosetto, un po’ alla Xenakis anche se meno complesso.

Al lettore attento non sarà sfuggita una particolarità. Usando la stessa serie di partenza per altezze e durate, la durata aumenta via via che le altezze si alzano. Per evitarlo, basta retrogradare una delle due serie risultanti. In questo esempio abbiamo retrogradato le durate.

Cambiando l’estensione, poi i risultati sono diversi. Qui le altezze sono riscalate fra 4 e 64 usando buona parte dell’estensione del piano e rendendolo praticamente insuonabile da un umano a questa velocità.
Ecco infine una sovrapposizione di quest’ultimo frammento (1-64) e del precedente (40-64 con durate in retrogrado)

Chris Gilmour

Chris Gilmour è un artista inglese che vive a Udine.

I suoi materiali sono cartone e colla con cui crea riproduzioni di oggetti reali, spesso a grandezza naturale.

______________________

Chris Gilmour is an english artist living in Udine, Italy.

He creates lifesize replicas of everyday objects solely out of cardboard and glue.

Riflessioni su Deezer

deezer_logo

Ci sono alcune annotazioni da fare su servizi come Deezer:

La prima è che si tratta sicuramente di un bel passo verso il superamento dell’attuale modello di business per andare verso un sistema di distribuzione diffusa. Un passo che le netlabel hanno già fatto da tempo, ma senza star.
Puntualizzo: non voglio sminuire l’importanza delle netlabel, anzi, le stimo molto per le novità che distribuiscono (e presto ci sarò anch’io), ma per arrivare al grande pubblico, attualmente le star sono necessarie e perché la gente si abitui, il concetto di nuovo modello di distribuzione deve essere ribadito più e più volte.

Il punto in Deezer è la generalità. Ho collegato il portatile all’hifi, mi sono iscritto (l’iscrizione è gratuita, devi dargli una mail valida in cui ti mandano la pw e presumibilmente un tot di pubblicità, ma io ne avrò 20) e adesso sto facendo zapping fra le 11 pagine di Springsteen con un po’ di nostalgia per quando guidavo sulle strade d’America, dove il levare serve solo per aspettare il battere.
Mi sto facendo una playlist con un po’ di ballate, ma ieri, mentre lavoravo, mi sono ascoltato una bella fetta della produzione di Peter Gabriel.
Per uno come me, che non ascolta molto pop e che non ha bisogno di avere sempre musica nelle orecchie perché ho già la mia e a volte anche quella dei miei allievi e spesso mi piace ascoltare i suoni del mondo, una cosa come questa è già sufficiente. Basterebbe che avesse anche buona parte della musica sperimentale e la classica per essere del tutto soddisfacente.
In fondo, Deezer abbatte anche il P2P. Perché dovrei andare a cercare illegalmente della musica quando è già qui? Vero, da Deezer non si scarica, si ascolta e basta. Hanno fatto un bel lavoro per rendere difficile l’accesso all’url del brano; in pratica l’unico modo di “scaricarsi” un brano è collegare via software l’output all’input e darlo in pasto a un programma di hd recording, non banale per la massa.
Ma perché dovrei registrarmi i brani se per sentirli mi basta collegarmi e lanciare la mia playlist? Sicuramente qualcuno può dirmi “per metterli in un lettore e ascoltarli in treno o in auto”. Vero, ma a questo punto il problema è piuttosto un altro: quello della pervasività della rete. Il giorno (lontano) in cui vivremo in città cablate via wireless oppure il collegamento via cellulare costerà 2 lire questo problema sarà superato (vedi “Il futuro del mercato musicale“).

Quello che dobbiamo superare noi, invece, è la volontà di possesso. Non serve possedere qualcosa se è sempre disponibile. A cosa serve possedere il disco quando posso ascoltare la musica sempre? A qual pro possedere un’auto se esistesse un valido servizio di car sharing, come esiste in certe città, p.es. a Berlino? Perché avere una TV se posso vedere quello che voglio, quando voglio, su un monitor via internet? Secondo me è questo quello a cui si deve tendere: condivisione delle risorse non essenziali. E non essenziale è quasi tutto. Quando lo dico, qualcuno mi dà del comunista… manco fosse un insulto…

UPDATE!
Mi dicono che il car sharing esiste anche in Italia: vedere qui!

Ma torniamo a Deezer. In assenza di una ricerca avanzata, l’altra cosa interessante è la possibilità di ordinare i risultati della ricerca per titolo. Così saltano fuori le varie versioni dello stesso brano, magari eseguite anche da gruppi diversi. Per esempio, non sapevo che esistessero 5 versioni di Atlantic City, tutte diverse.

Infine, un’ultima annotazione.
Deezer non è il parto di chissà quale genio d’oltreoceano. Un rapido “whois” mostra che il servizio è francese. La sede è a Parigi in Boulevard de Sebastopol e i nomi dei responsabili nelle liste del RIPE, Jonathan Benassaya e Benjamin Bejbaum,sanno tanto di algerino. Bel colpo, ragazzi! 🙂

Deezer

Segnalato da Tertium Auris

Tanto per smentire il post precedente, piazzo questa segnalazione nella notte che precede l’upgrade day.

Deezer è un simpatico servizio in cui si possono cercare e ascoltare canzoni gratuitamente e legalmente, nonché creare le proprie playlist e condividerle.
L’area è fondamentalmente pop con un po’ di classica. È possibile anche richiedere l’inserimento di brani attualmente non presenti.
La disponibilità pop, comunque, è molto buona e va anche piuttosto indietro nel tempo. Tutto dipende dal grado di notorietà dell’individuo, es. di Robert Wyatt si trova Rock Bottom più due brani sparsi, dei Soft Machine 4 album, dei Genesis quasi tutto.
Il sistema di ricerca, però è idiota: qualsiasi parola si introduca viene cercata in titolo della canzone, band, album. Non ho trovato una ricerca avanzata.

Nocturnal

Nocturnal è uno degli ultimi brani di Edgar Varèse (1883-1965), lasciato incompiuto e terminato dal suo allievo e assistente Chou Wen-chung nel 1968 facendo, a mio avviso, un ottimo lavoro (non si avverte la mano di qualcun altro).
Ecco un estratto delle note di programma.

Nocturnal is a world of sounds remembered and imagined, conjuring up sights and moods now personal, now Dantesque, now enigmatic. Perhaps one should not read too much into a composer’s choice of words, but how, knowing Varèse’s unique career, could one resist wondering about the line, ‘I rise, I always rise after crucifixion’? What about the mocking, threatening, babbling emanations from the chorus, often directed to sound ‘as if from underground’ and ‘harsh’? Then there are the sounds remembered — the liquid beat on the wood block, the shrill whistling of the winds, the tenacious shimmering of the strings — the insistent sound of a mass of shuffling feet, the flourishes of drum beats, the sudden crashing outbursts. A phantasmagorical world? Yes, but as real as Varèse’s own life.

In completing the score … two principles were followed: (1) continuation of some of Varèse’s principal material of the original portion, following suggestions in his cryptic notes; (2) addition of new material from the few more elaborate sketches found, so as to illustrate more fully his ideas for this work and his concepts in the use of vocal sounds. All the details, whenever not specified in the sketches, are worked out according to the original portion or other sketches in which similar situations are found. The original portion ends with the words, ‘dark, dark, dark, asleep, asleep,’ sung by the soprano. This is clearly indicated in the published score. The added portion is purposely kept to the minimum length possible, just enough to include all suitable additional material and to provide structural coherence.

[Chou Wen-chung ]

 

venerdì 13 ottobre 1307

Oggi, 700 anni fa, l’Ordine Templare veniva distrutto da una mossa a sorpresa di Filippo IV il Bello, gli esponenti arrestati e i loro beni confiscati. La mossa riuscì in quanto venne astutamente avviata in contemporanea contro tutte le sedi templari; i cavalieri, convocati con la scusa di accertamenti fiscali, vennero arrestati.
Le accuse che investirono il Tempio furono infamanti: sodomia, eresia, idolatria. Vennero in particolare accusati di adorare una divinità pagana, il Bafometto. Nelle carceri del Re gli arrestati furono torturati finché non iniziarono ad ammettere l’eresia. Il 22 novembre 1307 il Papa Clemente V, di fronte alle confessioni, con la bolla Pastoralis præminentiæ ordinò a sua volta l’arresto dei templari in tutta la cristianità.

Era venerdì 13 ottobre 1307.

Cibo dalle Americhe

america
Dunque, ieri si celebrava la scoperta ufficiale dell’America (perché quella non ufficiale sembra proprio essere stata fatta dai Vichinghi). Pensandoci, chissà perché, mi sono messo a elencare tutte le cose commestibili arrivate in Europa solo dopo quell’evento e la lista è abbastanza impressionante.
Abbiamo, in ordine sparso:

  • cacao: come si facesse prima a vivere senza cioccolata è un mistero
  • pomodori: a quanto sembra quelli antichi erano gialli, da cui il nome. Prima, la pasta, che già esisteva, veniva condita con burro o simili, una montagna di formaggio e a volte, pepe
  • patate, il che, per uno diventato grande a patatine fritte…
  • peperoni e peperoncino, altra parte fondamentale della mia dieta
  • mais (o granturco); la polenta c’era già, ma era prodotta con altri cereali: orzo e farro, segale, miglio, grano saraceno e anche frumento
  • i cosiddetti fagioli bianchi di Spagna, ma anche i fagiolini verdi (tegoline) e i fagioli di Lima
  • tacchino
  • arachidi
  • vaniglia
  • ananas
  • alcune delle mie bevande preferite, come rum, tequila e simili
  • infine lo zucchero, che arrivava già in Europa, ma solo dopo la scoperta dell’America iniziò ad arrivare in grandi quantità.

In cambio abbiamo portato il frumento, il riso, i cavalli, le mucche, i maiali, il cristianesimo, ma soprattutto le epidemie.
Malattie come il vaiolo, l’influenza, la varicella ecc. erano pressoché inesistenti in America. La maggioranza di questi virus e batteri era presente nei corpi degli animali da soma come cavalli, bovini o suini, che furono trasportati dagli europei. Nel continente antico questi virus erano presenti da millenni per cui le popolazioni di Europa, Asia e Africa avevano sviluppato anticorpi a queste malattie. Nel Nuovo Mondo invece, questi mammiferi non erano presenti e gli indigeni erano stati pressoché isolati dal Continente Antico per più di 40 millenni. Il risultato fu un genocidio (involontario): si stima che circa l’80 per cento della popolazione indigena delle Americhe perì in un periodo di tempo che va dal 1492 al 1550. Circa un decimo dell’intera popolazione mondiale di allora (500 milioni circa) fu eliminato dalle malattie.

Grand Alap: A Window in the Sky

The word alap refers to the opening passage of Raga music. In the music of India, the alap tends to display improvisational materials which relate to the music which will follow, yet it contains a deep expressivity. In the work Grand Alap, the opening passage serves as a kind of ritual offering to all surrounding spirits and is a request for permission to begin the performance. This practice has occurred in the music-making practices of cultures throughout parts of Asia for many centuries, including Cambodia. The subtitle ‘A Window in the Sky’ is a reference to the recent scientific discovery of hundreds of newly found galaxies (with the assistance of the Hubble telescope) and perhaps relates to the expository quality of the work, and its expansiveness.

Grand Alap requires the percussionist to be male and the cellist to be female, as each of them has a vocal part which is both separate and related to their instrumental parts. Each of them is required to articulate certain phonemes as well as to sing. Some of the phonemes used are derivative of the sounds used to communicate percussion techniques in regions of South and Southeast Asia while others resemble words in a few ancient languages. A few words have meaning in the Khmer (Cambodian) language, which derives from Pali and Sanskrit: ‘Soriya’ is the sun, ‘Mekhala’ is the goddess of water, and the words ‘Mehta/Karona’ refer to the concept of greater compassion.

Grand Alap consists of countless fragments strung together like beads on a necklace in a complete circle. Some of these fragments bear distinct references to particular personae. The sections entitled ‘Entering into Trance’ and ‘In Trance’ require that the percussionist execute those fragments while in a kind of altered state, or as if thrown into an unearthly dimension. In the section entitled ‘An Angel Voice’ the cellist is to sing a musical phrase with a pure and balanced expression, as if coming from a heavenly place. ‘Rising On the Seventh Day’ symbolizes a ‘rebirth’ of the soul, which is a reference to traditional Khmer theatre, and ‘Departure of the Angel’ is the very last fragment of the work.

The vocal lines in Grand Alap have numerous functions. While at times they are an integral part of the texture and sonority, they also represent the locus of each musical personae or fragment, which are then strung together, as stated before, in a kind of necklace. Sometimes the vocalizations extend instrumental sounds or vice versa while at other times they are interlocked with instrumental sounds. The role of the voices is also often ‘broken’ and detached from the instrumental activity, allowing for instrumental sound to develop alone at certain moments. Instrumental display is continuous throughout the piece, while the voices can be said to contribute dots and dashes, or curves of expressive colors in a painting which emerge out of the canvas. Here, the surface of the canvas is represented by the ever-present instrumental sonority.

Grand Alap was commissioned by Maya Beiser and Steven Schick and made possible by the commissioning program of Meet the Composer/Reader’s Digest. This work grew out of a series of collaborative sessions between the composer and the commissioning performers.

Chinary Ung was born in 1942 in Cambodia and began studying the clarinet in Phnom Penh. He emigrated to the USA in 1964, finishing his clarinet studies and enrolling in composition at Columbia University.
Graduating in 1974, he turned back to his home country, studying Khmer musical traditions for the next decade.
Since 1995 he has taught at the University of California, San Diego.
About his music he says:

I believe that imagination, expressivity, and emotion evoke a sense of Eastern romanticism in my music that parallels some of the music-making in numerous lands of Asia. Above all, in metaphor, if the Asian aesthetic is represented by the color yellow, and the Western aesthetic is represented by the color blue, then my music is a mixture — or the color green.

Chinary Ung – Grand Alap: A Window in the Sky (1996), per violoncello e percussioni
Iva Casian-Lakos, cello, voice – John Ling, percussion, voice


My note:

C’è una interessante estetica che si va sviluppando in anni relativamente recenti: quella di coloro che hanno assorbito ed elaborato elementi culturali lontani e diversi. È qualcosa che va al di la di quello che il pop etichetta banalmente come world music. Non si tratta semplicemente di piazzare una melodia orientale su un ritmo occidentale o viceversa o ancora di suonare rock con lo shamisen.
Se ascoltate questo brano noterete come l’atmosfera oscilli continuamente fra est e ovest, con la sonorità tipicamente occidentale del violoncello, che a tratti si fa orientale con scale e pedali, le percussioni che stanno ora qui ora là e le voci che sono trattate con emissione molto orientale. È un bel mix, frutto di studio, di idee, non banale e non superficiale.
Personalmente, come atteggiamento (non come musica), mi ricorda un po’ Takemitsu quando faceva affiorare atmosfere tipicamente giapponesi da insiemi strumentali del tutto occidentali.

Praise Ye The Lord

praise

The Legendary Guitar Amp Tape

On March 15, 1969, The Velvet Underground played its last show of a three-day engagement at The Boston Tea Party in Boston, Massachusetts. The entire set was recorded by a fan directly from Lou Reed’s guitar amplifier. The result is that Lou’s guitar is out in front of everything else. Vocals and bass are nearly inaudible, so the songs become raw blasting instrumentals.
This is one of the most interesting Velvet Underground recordings available and definitively a very special experience…


PLAY LOUD!

The Velvet Underground – Sister Ray (RealAudio)

More tracks here

UPDATE
Sometimes the site is unavailable due to the Geocities band limit. Try later.

I Radiohead saltano il fosso

Da vari giorni, ormai, tutti parlano dell’iniziativa dei Radiohead che hanno deciso di tagliare fuori le major del disco e vendere il nuovo disco, In Rainbows, direttamente dal proprio sito.
Hanno colpito anche le modalità della vendita, con il pubblico chiamato a fare un’offerta libera per la versione digitale del disco.
In breve, i prodotti in vendita sul sito radiohead.com sono due, l’uno fisico, l’altro digitale:

  • quello fisico è un lussuoso discbox comprendente due CD e due vinili con materiale inedito. Uno dei CD è un mixed con alcuni brani, immagini e artwork vario. L’acquisto include anche la versione digitale del disco.
    Il box è a prezzo fisso: £ 40 (circa € 60) e sarà spedito a partire dal 3 dicembre (si accettano prenotazioni).
  • Il prodotto digitale, invece, è il nuovo disco senza il materiale extra contenuto nel box. Suppongo che il formato sia MP3, ma ne ignoro la qualità (nulla è riportato sul sito; sarebbe bello poter scaricare anche un formato senza perdita). Soprattutto, però, non si specifica se il formato digitale è affetto da DRM (protezione contro la copia). I download inizieranno il 10 ottobre, ma anche qui si può prenotare.
    Il punto interessante di questa seconda opzione, però, è il prezzo: come si dice sul sito, “really, it’s up to you”. Trattasi, cioè, di offerta libera: l’acquirente può offrire un prezzo qualsiasi scrivendolo nelle apposite caselline. Il minimo è nulla (ma se scrivi £ 00.00 finisci in una lunga coda, poi passi; non ho provato ad andare avanti, al limite si può offrire 1 penny + 45 pence di commissione carta di credito).

Non si tratta di una novità: gia la netlabel Magnatune (di cui abbiamo già parlato) e il negozio canadese Sheeba, fanno così (anche se Magnatune ha un’offerta minima di € 4). Quello che è importante, però, è che a farlo sia una delle più famose band del pianeta, il che dà coraggio anche agli altri e se non bastasse, offre alla gente un argomento sensato: “questo significa che vendere un disco a pochi soldi è possibile, quindi, perché dovremmo pagare € 18?”.
In effetti, come riferisce il Times, la notizia, annunciata con 4 righe sul blog della band, ha lasciato attoniti parecchi dirigenti delle major. Sempre secondo il Times, uno di loro ha dichiarato:

Sembra un’altra campana a morto; se la migliore band del mondo vuole andare avanti senza di noi, qual è il futuro del business musicale?

Fra le star, aveva cominciato Prince, vendendo il proprio disco come allegato a un periodico, anche se in cambio di un sostanzioso assegno.
Ora Thom Yorke ricara la dose spiegando la posizione della band con parole educate, ma pesanti (all’inglese):

I like the people at our record company, but the time is at hand when you have to ask why anyone needs one. And, yes, it probably would give us some perverse pleasure to say ‘F___ you’ to this decaying business model.

Trad. mia
Mi piace la gente della nostra compagnia discografica, ma è venuto il momento di chiedersi se qualcuno ha ancora bisogno di loro. E sì, probabilmente c’è anche un certo piacere perverso nel mandare questo decadente modello di business a farsi fottere.

Alla nuova luna

Una poesia di Quasimodo (da “La terra impareggiabile”, 1958) scritta in occasione del lancio dello Sputnik-I, prima Luna artificiale.

Alla nuova Luna

In principio Dio creò il cielo
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo,
e al settimo giorno si riposò.
Dopo miliardi di anni l’uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d’una notte d’ottobre,
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.

Sputnik 1

sputnik

UPDATE 2023

50 anni fa, lo Sputnik 1 (in russo Спутник, satellite) fu il primo satellite artificiale in orbita nella storia. Venne lanciato il 4 ottobre 1957 dal cosmodromo di Baikonur, nell’odierno Kazakistan, grazie al vettore R-7 (Semyorka). In russo la parola Sputnik significa compagno di viaggio, inteso come satellite in astronomia. Fu progettato dall’Unione Sovietica, anche grazie ai missili tedeschi V2 reperiti nella Seconda Guerra Mondiale. Il programma Sputnik ebbe inizio nel 1948, quando si intuì la possibilità di modificare missili militari in vettori per il lancio di satelliti. L’annuncio del successo del lancio venne dato da Radio Mosca la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1957. Con il lancio dello Sputnik 1 l’Unione Sovietica prese in contropiede gli Stati Uniti, che solo il 31 gennaio 1958 mandarono in orbita il loro primo satellite: l’Explorer 1. Gli strumenti a bordo dello Sputnik 1 rimasero funzionanti per 21 giorni. Lo Sputnik 1 aveva lineamenti ben più semplici di un satellite artificiale odierno, era infatti formato solo da una sfera pressurizzata di alluminio di 58 cm di raggio e da 4 antenne lunghe circa 2,5 metri. Bruciò durante il rientro in atmosfera il 3 gennaio 1958 dopo circa 1400 orbite e 70.000.000 km.
Ecco un’immagine ad alta risoluzione dell’oggetto.
[da Wikipedia]

Un mese dopo, il 3 novembre, venne lanciato lo Sputnik 2 con a bordo la cagnetta Laika.

Il beep-beep dello Sputnik, che si poteva ricevere più volte al giorno, quando il satellite passava sugli USA, fu una doccia fredda sia per la nascente industria aerospaziale americana che per politici e militari. Nell’ottica della guerra fredda, infatti, chi poteva mettere in orbita un satellite avrebbe potuto facilmente fare lo stesso con una bomba.

R.E.M. Reloaded

remdrive xv

Dopo aver convinto una dozzina di band a risuonare l’intero Ok Computer dei Radiohead a dieci anni dall’uscita, il blog Stereogum ha fatto la stessa cosa per Automatic for the People dei R.E.M., del quale si festeggia il quindicesimo anniversario.
L’ascolto, a fronte dell’originale, è un ottimo test per capire come sia mutato il sound negli ultimi 15 anni.
Il disco, che in questa versione ha assunto il titolo di Drive XV, coinvolge band come Veils, Rogue Wave, Meat Puppets e può essere scaricato liberamente da questa pagina.
Potete ascoltarlo anche da qui grazie al player di Stereogum.

you should see the stereogum.com drive xv player here if you have flash

Pubblicato in Pop

Passages of the Beast

Passages of the Beast (1978) by Morton Subotnick

From 1977 Subotnick began to explore the relationship between performers and technology in a series of “ghost” pieces for instruments and interactive electronics. In these compositions, the ghost score is a silent digital program which activates electronic modules to modify the instrumental sounds with regard to pitch, timbre, volume, and location of the sounds. Each work has its own digital program which controls a standardized ghost box. The ghost electronics were designed by Donald Buchla and built by John Payne according to the composer’s specifications; funding was provided by a grant from the Rockefeller Foundation. There are fourteen ghost works (composed between 1977 and 1983), and, at present, Subotnick feels he has finished this series. While the ghost pieces have used electronics to modify instrumental sounds, it appears Subotnick’s next compositional period will involve having instruments control computer generated sounds.
Subotnick states:

The title Passages of the Beast refers to the rites of passage, of beastness to humanness, the passion of the beast and human awareness joined. The clarinet is treated as both a very old instrument (through a series of invented fingerings to get some of the non-diatonic qualities back into the technique) and a modern instrument, paralleling, more or less, the transition or passages from beast to human. The almost programmatic quality of the work is in keeping with the mainstream of my work for more than a decade. Passages, in particular, deals metaphorically with the evolution of the human spirit, and was one of a group of works which led up to the final (as of this writing) piece in the series, The Double Life of Amphibians, a ninety minute staged tone poem which received its world premiere at the 1984 Olympics Arts Festival in Los Angeles.

 

The Tides of Manaunaun

La prima composizione per pianoforte con massiccia presenza di cluster.

Henry Cowell (1897-1965) – The Tides of Manaunaun (c. 1912) – Sorrel Hays, piano

The Tides of Manaunaun was written as a prelude to an opera based on Irish mythology. In Irish mythology, Manaunaun was the god of motion and of the waves of the sea; and according to the mythology, at the time when the universe was being built, Manaunaun swayed all of the materials out of which the universe was being built with fine particles which were distributed everywhere through cosmos. And he kept these moving in rhythmical tides so that they should remain fresh when the time came for their use in the building of the universe.
[Henry Cowell]

An Idyll for the Misbegotten

George Crumb – An Idyll for the Misbegotten (1986)
per flauto amplificato e 3 percussioni
Kristen Halay flauto, Brian Scott, W. Sean Wagoner, Tracy Freeze percussioni

I feel that ‘misbegotten’ [trad: figlio illegittimo, bastardo] well describes the fateful and melancholy predicament of the species homo sapiens at the present moment in time. Mankind has become ever more ‘illegitimate’ in the natural world of plants and animals. The ancient sense of brotherhood with all life-forms (so poignantly expressed in the poetry of St. Francis of Assisi) has gradually and relentlessly eroded, and consequently we find ourselves monarchs of a dying world. We share the fervent hope that humankind will embrace anew nature’s ‘moral imperative.’
[George Crumb]

Crumb suggests, “impractically,” that the music be “heard from afar, over a lake, on a moonlit evening in August.” (Crumb) Over a slow bass drum tremolo, the flute begins its haunting melody, which over the course of the piece includes quotations of Claude Debussy’s solo flute piece Syrinx and spoken verse by the eighth-century Chinese poet Ssu-K’ung Shu: “The moon goes down. There are shivering birds and withering grasses.” Far from a traditionally peaceful idyll, the music’s energy and dynamics gradually rise and fall, with a sense of desolation throughout.

Myanmar

Un pensiero per la Birmania.

Uno dei brani più famosi della musica classica birmana. Anticamente veniva eseguito a palazzo reale e nelle occasioni in cui il re si rivolgeva al popolo.
E mentre ascoltate leggetevi

Rudyard Kipling, Mandalay

che avrà anche degli accenti un po’ da romantico colonialismo d’altri tempi e a tratti è buffa, però ha rappresentato per molto tempo la Birmania nell’immaginario occidentale…

By the old Moulmein Pagoda, lookin’ eastward to the sea,
There’s a Burma girl a-settin’, and I know she thinks o’ me;
For the wind is in the palm-trees, and the temple-bells they say:
“Come you back, you British soldier; come you back to Mandalay!”
Come you back to Mandalay,
Where the old Flotilla lay:
Can’t you ‘ear their paddles chunkin’ from Rangoon to Mandalay?
On the road to Mandalay,
Where the flyin’-fishes play,
An’ the dawn comes up like thunder outer China ‘crost the Bay!

‘Er petticoat was yaller an’ ‘er little cap was green,
An’ ‘er name was Supi-yaw-lat — jes’ the same as Theebaw’s Queen,
An’ I seed her first a-smokin’ of a whackin’ white cheroot,
An’ a-wastin’ Christian kisses on an ‘eathen idol’s foot:
Bloomin’ idol made o’mud —
Wot they called the Great Gawd Budd —
Plucky lot she cared for idols when I kissed ‘er where she stud!
On the road to Mandalay . . .

When the mist was on the rice-fields an’ the sun was droppin’ slow,
She’d git ‘er little banjo an’ she’d sing “Kulla-lo-lo!”
With ‘er arm upon my shoulder an’ ‘er cheek agin’ my cheek
We useter watch the steamers an’ the hathis pilin’ teak.
Elephints a-pilin’ teak
In the sludgy, squdgy creek,
Where the silence ‘ung that ‘eavy you was ‘arf afraid to speak!
On the road to Mandalay . . .

But that’s all shove be’ind me — long ago an’ fur away,
An’ there ain’t no ‘busses runnin’ from the Bank to Mandalay;
An’ I’m learnin’ ‘ere in London what the ten-year soldier tells:
“If you’ve ‘eard the East a-callin’, you won’t never ‘eed naught else.”
No! you won’t ‘eed nothin’ else
But them spicy garlic smells,
An’ the sunshine an’ the palm-trees an’ the tinkly temple-bells;
On the road to Mandalay . . .

I am sick o’ wastin’ leather on these gritty pavin’-stones,
An’ the blasted Henglish drizzle wakes the fever in my bones;
Tho’ I walks with fifty ‘ousemaids outer Chelsea to the Strand,
An’ they talks a lot o’ lovin’, but wot do they understand?
Beefy face an’ grubby ‘and —
Law! wot do they understand?
I’ve a neater, sweeter maiden in a cleaner, greener land!
On the road to Mandalay . . .

Ship me somewheres east of Suez, where the best is like the worst,
Where there aren’t no Ten Commandments an’ a man can raise a thirst;
For the temple-bells are callin’, an’ it’s there that I would be —
By the old Moulmein Pagoda, looking lazy at the sea;
On the road to Mandalay,
Where the old Flotilla lay,
With our sick beneath the awnings when we went to Mandalay!
On the road to Mandalay,
Where the flyin’-fishes play,
An’ the dawn comes up like thunder outer China ‘crost the Bay!

Parallel Lines

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/50/Simultaneous_MIDI_control_and_Buchla_touch_keyboard.jpg

MORTON SUBOTNICK (b. 1933, Los Angeles) is a pioneer in the field of electronic music as well as an innovator in works involving instruments and other media. He was the first composer to be commissioned to write an electronic composition expressly for phonograph records, Silver Apples of the Moon (Nonesuch, 1967), a work that was later choreographed by the Netherlands Ballet, Ballet Rambert of London and the Glen Tetley Dance Company. Subotnick was co-founder of the San Francisco Tape Music Center (now at Mills College) and was Music Director of Ann Halprin’s Dance Company and the San Francisco Actor’s Workshop. He served as Music Director of the Lincoln Center Repertory Theatre during its first season and was director of electronic music at the original Electric Circus on St. Mark’s Place in New York City. Subotnick has held several faculty appointments, including Yale University, and was Composer-in-Residence in West Berlin under the auspices of the DAAD. Since 1970, he has chaired the composition department of the California Institute of the Arts.

PARALLEL LINES is one of Subotnick’s “ghost” pieces for live soloist and electronics. The ghost series is a unique method of blending electronics with live performances so that the effect of the electronics is not audible unless the performer is making a sound. The electronic ghost score is a digital control system which activates an amplifier, a frequency shifter, and a location device. These process the instrumental sound according to the plan of each composition. The ghost electronics were made possible by a Creative Arts grant from the Rockefeller Foundation, and were designed by Donald Buchla to the composer’s specifications and constructed by John Payne at the California Institute of the Arts. Other ghost pieces include Last Dream or the Beast for singer and tape, Liquid Strata for piano, The Wild Beasts for trombone and piano, Passages of the Beast for clarinet, and Two Life Histories for male voice and clarinet. The composer writes:

PARALLEL LINES was commissioned by Laurence Trott and the Piccolo Society. The title has to do with the way in which the ‘ghost’ electronics interact with the piccolo. In previous ‘ghost’ pieces the electronics were used to produce an acoustic environment within which the solo manifested itself, but in this case the ‘ghost’ score is a parallel composition to the piccolo solo. The ghost score amplifies and shifts the frequency of the original non-amplified piccolo sound. The two (‘ghost’ and original piccolo sounds), like a pair of parallel lines, can never touch, no matter how quickly or intricately they move.
The work, a continuation of the butterfly-beast series, is divided into three large sections: (1) a perpetual-motion-like movement in which all parts play an equal role; (2) more visceral music, starting with the piccolo alone and leading to a pulsating ‘crying out,’ and (3) a return to the perpetual motion activity, but sweeter.

[from ANABlog]

Morton Subotnick – Parallel Lines – Laurence Trott, piccolo soloist
Members of the Buffalo Philharmonic and Buffalo Creative Associates; Michael Tilson Thomas, conductor

Nuvole

Nel suo libro sui sistemi caotici (Caos, la nascita di una nuova scienza – 1987, Rizzoli), James Gleick spiega che la forma delle nuvole è considerata dagli scienziati un problema profondo perché è un fenomeno caotico, imprevedibile nei particolari, ma governato da regole coerenti, ricorrenti e prevedibili nel loro insieme.
A quanto pare, se ne occupò anche Goethe e non dal punto di vista poetico, ma da quello scientifico: La forma delle nuvole e altri saggi di meteorologia – J. Wolfgang Goethe, Archinto, 2000.
Non ci si stupisce, quindi, che siano nati anche dei gruppi di appassionati osservatori delle medesime, in grado di mostrarci incredibili immagini come questa, immortalata presso Anstruther Harbour, Fife, Scotland.
Trovate l’originale, più grande, sul sito della Cloud Appreciation Society.

nuvola

Schoenberg su YouTube

L’Arnold Schönberg Center e gli eredi del compositore, di cui abbiamo già parlato elogiandone la politica di apertura, hanno recentemente piazzato su YouTube vari spezzoni video con esecuzioni, testimonianze storiche, interviste e altro materiale tratto dall’archivio.
Si trovano facilmente cercando in base al nome dell’utente che è ascvideo (Arnold Schönberg Center video). In ogni caso, cliccate qui.

Una delle cose belle è che i video storici hanno spesso come sottofondo la sua musica. Guardandoli pensavo che ormai mi sembra quasi melodica e mi è tornata in mente una citazione di Cage a proposito della sua Winter Music:

We’ve played ‘Winter Music’ quite a number of times now: I haven’t kept count.
When we first played it the silences seemed very long and the sounds seemed really separated in space, not obstructing one another. In Stockholm, however, when we played it at the opera as an interlude in the dance programme given by Merce Cunningham and Carolyn Brown early one October, I noticed that it had become melodic.

Tutto è destinato a diventare melodico, prima o poi….

Via Alex Ross

Devolution

Quando li ho rivisti in YouTube non ho resistito alla tentazione di piazzare qui un video dei primi Devo, gruppo degli anni ’70 che già allora esplorava il concetto di Devolution, dandogli il corretto significato di inversione del processo evolutivo; in soldoni: stiamo tornando alle scimmie.
Eccoli eseguire con fare robotico la loro cover di Satisfaction.

Pubblicato in Pop

Il lupo perde il pelo ma…

Andate a vedervi la home page della Pontificia Accademia delle Scienze.
Il tipo barbuto, con l’espressione seria, ma gioviale, che sta in copertina, è Galileo Galilei, con tanto di telescopio. Proprio quello che, qualche secolo fa, fu costretto dall’Inquisizione a rinnegare il suo Dialogo sopra i massimi sistemi in cui sosteneva la validità del modello copernicano.

Ormai papa Giovanni Paolo II° ha riconosciuto l’errore e così Galileo può anche finire sulla home page della maggiore istituzione scientifica del Vaticano. Tutto bene, se non che il fisico Stephen Hawking racconta questo gustoso aneddoto, relativo allo stesso GP2:

…nel 1981 il mio interesse per gli interrogativi sull’origine e il destino dell’universo fu richiamato in vita mentre partecipavo a un convegno sulla cosmologia organizzato dai gesuiti in Vaticano. […]
Al termine del convegno i partecipanti furono ammessi alla presenza del santo padre. Il papa ci disse che era giustissimo studiare l’evoluzione dell’universo dopo il big-bang, ma che non dovevamo cercare di penetrare i segreti del big-bang stesso perché quello era il momento della Creazione, quindi l’opera stessa di Dio.
Fui lieto che il papa non sapesse quale argomento avessi trattato poco prima nella mia conferenza al convegno: la possibilità che lo spazio-tempo fosse finito ma illimitato, ossia che non avesse alcun inizio, che non ci fosse alcun momento della Creazione.
Io non provavo certamente il desiderio di condividere la sorte di Galileo…
[S. Hawking, Dal big-bang ai buchi neri, Rizzoli 1988, pag. 136]

Il lupo perde il pelo…

Sarà…

BLOGRegular pubblica questa dichiarazione di Mirella Freni, intervistata da Leonetta Bentivoglio su Repubblica di qualche giorno fa

Sia io che Luciano abbiamo studiato col maestro Campogalliani, e quando dissi a quest’ultimo che sapevo poco di musica lui m’intimò: guai a te se impari il canto scandendo uno-due-tre-quattro! Hai sensibilità, doti naturali, non perdere la tua naturalezza!

Sarà…
Lungi da me l’idea di criticare Mirella Freni e/o il suo maestro, ma capisco bene i pianisti che, quando si trovano ad accompagnare i cantanti, si lamentano perché questi ultimi “non vanno a tempo neanche a pagarli in oro”.
Accidenti, andare a tempo non significa scandire uno-due-tre-quattro. Significa sentire e assecondare con naturalezza una pulsazione interna al brano, senza però andare dove si vuole solo perché la tua sensibilità ti ci porta. La sensibilità va assecondata, ma anche controllata. e soprattutto educata.
Per esempio, penso che molti pianisti, all’inizio, da piccoli, tendano a suonare uno “smelenso” Chiaro di Luna, ma poi si capisce il pezzo e la sensibilità si adegua senza sentirsi costretta. Un interprete non deve seguire solo il proprio istinto del bello, ma anche interrogarsi su quello che sta facendo.
Secondo me, idee come “non contare, segui la tua sensibilità”, magari hanno prodotto un Pavarotti, ma anche decine di pessimi musicisti.
Forse ne vale la pena, ma non ne sono sicuro…

Le magliette dei bianchi morti

È l’espressione con cui gli africani indicano gli abiti usati che provengono dall’occidente, perché nessuno di loro può credere che questi vestiti vengano buttati solo perché noi non abbiamo più voglia di indossarli.

Torno a casa dopo mezzanotte, mi faccio un gin tonic, accendo la tv e piombo in mezzo a un documentario (ovviamente RAI3) che segue il viaggio di una maglietta da un contenitore di abiti usati in Germania fino all’Africa. Il titolo è “Mitumba – The second hand road”, regista e produttore Raffaele Brunetti.
La storia è molto più complessa di quanto si possa immaginare. A suo modo è una storia estrema. Non è una denuncia. È solo una storia che chiarisce anche un po’ di meccanismi del mercato di cui in genere non ci rendiamo conto.

Dunque, la nostra maglietta viene buttata in un raccoglitore di vestiti usati dalla mamma di un bambino tedesco a cui la maglietta è “scappata”. Lei pensa che questi vestiti regalati vadano a coprire, gratis, gente bisognosa, ma non è esattamente così.

I contenitori, in genere, sono gestiti da organizzazioni non profit, come la Caritas o la Croce Rossa. Dunque, in questo caso, Caritas e/o Croce Rossa (o altri) raccolgono gli abiti usati dai contenitori e poi li vendono a una azienda che tratta abiti usati. Il prezzo è basso, si vendono a peso e il prezzo è calcolato in base ai costi del ritiro, più un margine di guadagno, oppure la ONG non gestisce nemmeno il ritiro, ma lo affida a una organizzazione privata in cambio di una percentuale. In tal modo organizzazioni come quelle citate si auto-finanziano.
L’azienda che gestisce abiti usati dà una lavata a tutto e poi suddivide la merce per tipologia, stato di conservazione e colore. Da qui, gli abiti possono prendere diverse strade. Per esempio, i capi ben conservati degli anni ’70 finiscono nelle boutique dell’usato giapponesi, dove sono considerati oggetti di culto. Altri tipi di capi finiscono nei nostri negozi dell’usato. I capi totalmente distrutti e inusabili vengono ceduti alle aziende che riciclano i tessuti. Tutto il resto finisce nel terzo mondo.
Ma non ci finisce gratis. Non può. Come “non esiste un pasto gratis” [Milton Friedman], così non esiste un costo zero. Esistono invece aziende che si occupano del trasporto dei vestiti, ormai confezionati in grosse balle, fino all’Africa, in uno dei 21 punti di raccolta sparsi in vari stati africani. Il prezzo, naturalmente, cresce in base ai costi di trasporto. Poi, altre organizzazioni locali, grandi o piccole, acquistano una o più balle, le aprono e distribuiscono i singoli capi sul territorio, vendendoli sia direttamente che a rivenditori, “negozi” che agiscono a livello di villaggio.
Gli africani comprano i nostri abiti usati che offrono garanzie di qualità e durata superiori a quelle dei capi prodotti nel loro paese e ormai chiamano Mitumba, che originariamente significa “balla”, tutto l’abbigliamento di seconda mano proveniente dal primo mondo. Lo apprezzano talmente che si sono registrate truffe consistenti nel vendere vestiti nuovi di fabbricazione cinese spacciati per Mitumba.
In alcuni paesi africani i vestiti usati costituiscono la prima voce di importazione, infatti il 90% della popolazione si veste di seconda mano. Li chiamano “I vestiti dei bianchi morti” proprio perché in Africa è inconcepibile pensare di disfarsi di cose ancora utilizzabili a meno che il proprietario non sia morto.
Ma il significato del termine mitumba ormai è in espansione. In Kenya si parla, infatti, di mitumba economy per indicare la consuetudine di costruire servendosi della spazzatura degli altri.

Tutto questo mi ricorda un aneddoto narrato da Jared Diamond nel suo “Armi, acciao e malattie”. Yali, abitante della Nuova Guinea e uomo politico in quel paese da poco sulla via dell’autogoverno, pone in modo diretto all’autore, bianco e scienziato, una questione fondamentale: “Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?”, dove il termine “cargo” si estende dalla nave all’insieme dei beni materiali che la nave trasporta.
Anche qui un’insufficienza linguistica. Anche qui una cultura non riesce a reagire all’opulenza di un’altra.

Mitumba, the Second Hand Road – documentary by Raffaele Brunetti.

The T-shirt of Felix, a 10-year-old German boy, winds up in an old clothes collection point, the starting place for a journey spanning two continents: donated, collected, bought and sold several times over, finally worn by Lucky, a 9-year-old boy who lives in a small Tanzanian village. In some African countries, used clothing ranks first in imported goods. In fact, 90% of the population wears second hand clothes, called “dead white men’s clothes” because no one in Africa would throw away anything still good unless it came from a dead person. Deals, persons and places along the secret route trade routes of the used clothing business, a hidden road that reveals a surprising reality.

Raffaele Brunetti is a documentary producer and director. Since 1987 he has made documentaries in Italy, the Near East, and the Mediterranean. In his early career he worked with Japanese TV networks (NHK, TBS, NTV, FUJI TV). He then collaborated with National Geographic, BBC, Arté, Yle, History Channel, contributing to over 100 award-winning documentaries. In recent years he has directed historic and fiction documentaries.

L’Amour Outragè

Un bel brano elettroacustico di Massimo Biasioni tratto dal sito del DAW07 (Digital Art Weeks 2007) di Zurigo.

Il materiale di partenza usato per la composizione di “l’amour outragè” è la registrazione di un frammento tratto dalla “Platée” di Rameau eseguito dalla soprano Annamaria Calciolari, ed il titolo del brano si riferisce al testo di detto frammento.

La principale tecnica di sintesi usata è quella granulare, allo scopo di ottenere graduali passaggi da situazioni in cui altezza e timbro vocale sono indeterminati, a situazioni in cui la voce è perfettamente riconoscibile. Fra i parametri di sintesi più controllati uno è quello della durata dei grani: in caso di grani di durata molto corta (entro i 25 millisecondi) la sensazione uditiva di altezza si perde, per tornare percepibile con grani di durata superiore. Per la realizzazione del brano sono stati utilizzati i software Max/Msp e Pro-Tools. Esistono due versioni del brano: la versione principale quadrifonica, da utilizzare in eventuali esecuzioni pubbliche, ed una versione stereofonica su cd. La durata è di 10 minuti.

Massimo Biasioni è nato a Trento nel 1963, diplomato in violino, composizione, musica corale e direzione di coro, nonché musica elettronica. Ha composto lavori da camera e per orchestra, per strumenti tradizionali ed elettronici, video e musica teatrale. Alcune delle sue composizioni sono state eseguite in festival importanti, incise su CD e trasmesse via radio.

Massimo Biasioni – L’Amour Outragè – 2006

Different Trains

Sempre dagli archivi della Fondazione Pulitzer, Different Trains di Steve Reich (anche se a me non piace più di tanto).

Program Notes

Different Trains, released in 1989, captures Reich harnessing a return to using speech patterns in his work, as in ‘Rain,’ with a spare though startling string accompaniment in the form of the Kronos Quartet.
The ‘Different Trains’ theme originates from Reich’s childhood, several wartime years spent travelling with his governess between his estranged parents, his mother in Los Angeles and his father in New York. Exciting, romantic trips, full of adventure for the young Reich but many years later, it dawned on him that, had he been in Germany during the ethnic cleansing by the Nazis, his Jewish background would have ensured that the trains he would have been riding on would have been very ‘different trains.’
He set about collecting recordings to effectively recreate and document the atmosphere of his travels to contrast with those of the unfortunate refugees. By combining the sound of train whistles, pistons and the scream of brakes with extracts of speech by porter Lawrence Davis, who took the same rides as Reich between the big apple and Los Angeles, governess Virginia and three holocaust survivors (Paul, Rachel and Rachella), Reich creates music of great intensity and feeling.
The rhythmic patterns and pitch of the voices establishes the phrases and course of the music heard in the quartet: ‘crack train from New York,’ and ‘1939’ for example, heard in the invigorating, steam-driven opening movement, America-Before The War. The slow, middle section, Europe-During The War, finds the refugees in the midst of their nightmare, ‘no more school’ and being herded into the cattle wagons. ‘They shaved us, They tatooed a number on our arm, Flames going up to the sky- it was smoking.’ Sirens from the Kronos help to convey the despair and confusion of the Jewish plight. Reconciliation is achieved in part three, After The War, where Paul, Rachel and Rachella are transported to live in America.
There is an incredibly poignant moment when Paul proclaims ‘… the war was over,’ Rachella, in sheer, fragile disbelief, asks ‘Are you sure?.’ The New York Times hailed Different Trains as ‘a work of… astonishing originality’ and the piece was subsequently awarded a Grammy in1989 for Best Contemporary Compostion.

Steve Reich – Different Trains – members of the Saint Louis Symphony Orchestra

iPod bloccati

UPDATE 2024

Secondo questo sito, ormai chiuso ma citato anche da arsTECHNICA, i nuovi iPod hanno un codice (un checksum) crittografico che impedisce agli utenti di usarli con applicazioni di terze parti. La notizia è ripresa e confermata anche da Boing Boing.
Traducendo, questo significa che iTunes resta l’unico software capace di gestire un iPod. In soldoni, vuol dire che coloro che preferivano usare Winamp o qualche altro player per gestire l’iPod, con i nuovi modelli non potranno più farlo.
Con la nuova serie, il nuovo Nano, il Classic e l’iTouch, soltanto iTunes è in grado di accedere alla lista dei brani e alle playlist, mentre gli altri player vedono zero file.
Questo però significa anche che gli iPod non potranno più essere utilizzati con sistemi operativi su cui non esiste iTunes, primo fra tutti Linux.
Ma notate che tutto ciò non ha niente a che fare con la pirateria. Serve piuttosto a limitare le scelte di chi acquista un iPod.
La cosa potrebbe sembrare assurda: considerato che questo taglia fuori gli utenti Linux, Apple spende del denaro in ingegnerizzazione per eliminare alcune funzionalità dell’apparecchio e limitare il numero dei potenziali clienti.
Perché lo fa? Una prima spiegazione è evitare che i suoi competitors possano costruire dei software che possano caricare in iPod dei brani che non provengono da iTunes. Ora che parecchie major del disco iniziano a vendere brani senza protezione (DRM), si impedisce agli utenti di acquistare i brani ovunque e caricarli nell’iPod e in pratica questo significa legarli a iTunes.
Inoltre Apple introduce queste restrizioni con il Digital Millennium Copyright Act dalla sua parte, per cui eludere questa protezione è un atto illegale.
È un po’ come vendere un’auto che funziona solo con una determinata marca di benzina, quando sul mercato ne esistono di più economiche e soprattutto senza restrizioni, ma, magari, meno comode.
Questo gioco è stato fatto altre volte: una azienda lancia un prodotto che ha successo e conquista una solida posizione sul mercato. Poi, quando le altre aziende reagiscono con prodotti più innovativi o a prezzi inferiori, introduce limitazioni per legare a sé almeno gli utenti che ha.
In questo gioco, quelli che pagano il prezzo maggiore sono, come accade spesso, gli utenti. Costoro, poi, reagiscono a quella che considerano una ingiustizia e qualcuno fabbrica un crack e questo è illegale.

C.v.d, qualcuno ha già implementato un crack.

Ma ormai tutta la storia non ha più senso.

Credo in Us

Credo in Us di John Cage.

Dated: New York, July, 1942. Revised October 1942
Instrumentation: 4 performers: pianist; 2 percussionists on muted gongs, tin cans, electric buzzer and tom-toms; one performers who plays a radio or phonograph;
Duration: 12′
Premiere and performer(s): August 1, 1942 at Bennington College in Bennington, Vermont, performed with the choreography by Merce Cunningham and Jean Erdman

The work was composed in the phraseology of the dance by Cunningham and Erdman. For the first time Cage uses records or radios, incorporating music of other composers in his own works. He suggests music by Dvorak, Beethoven, Sibelius or Shostakovich. Cage describes the work as a suite with a satirical character.
Jean Erdman recalls that for the first performance a ‘tack-piano’ was used (a piano with tumbtacks inserted onto the felt of the hammers). The pianist mutes the strings at times or plays the piano body (as a percussionist).

Black Angels

Black Angels (Images I), quartetto d’archi amplificati di George Crumb, probabilmente l’unico quartetto ispirato alla guerra in Vietnam. È una bella partitura, anche graficamente. I titoli dei movimenti, poi, sono fantastici (mi piace molto il 2.3 “Sarabanda de la Muerte Oscura”).

Movements
I. DEPARTURE

  1. Threnody I: Night of the Electric Insects
  2. Sounds of Bones and Flutes
  3. Lost Bells
  4. Devil-music
  5. Danse Macabre

II. ABSENCE

  1. Pavana Lachrymae
  2. Threnody II: Black Angels!
  3. Sarabanda de la Muerte Oscura
  4. Lost Bells (Echo)

III. RETURN

  1. God-music
  2. Ancient Voices
  3. Ancient Voices (Echo)
  4. Threnody III: Night of the Electric Insects

Program Notes (from the author’s site)

Black Angels (Images I)
Thirteen images from the dark land

Things were turned upside down. There were terifying things in the air … they found their way into Black Angels. – George Crumb, 1990

Black Angels is probably the only quartet to have been inspired by the Vietnam War. The work draws from an arsenal of sounds including shouting, chanting, whistling, whispering, gongs, maracas, and crystal glasses. The score bears two inscriptions: in tempore belli (in time of war) and “Finished on Friday the Thirteenth, March, 1970”.

Black Angels was conceived as a kind of parable on our troubled contemporary world. The numerous quasi-programmatic allusions in the work are therefore symbolic, although the essential polarity — God versus Devil — implies more than a purely metaphysical reality. The image of the “black angel” was a conventional device used by early painters to symbolize the fallen angel.

The underlying structure of Black Angels is a huge arch-like design which is suspended from the three “Threnody” pieces. The work portrays a voyage of the soul. The three stages of this voyage are Departure (fall from grace), Absence (spiritual annihilation) and Return (redemption).

The numerological symbolism of Black Angels, while perhaps not immediately perceptible to the ear, is nonetheless quite faithfully reflected in the musical structure. These “magical” relationships are variously expressed; e.g., in terms of length, groupings of single tones, durations, patterns of repetition, etc. An important pitch element in the work — descending E, A, and D-sharp — also symbolizes the fateful numbers 7-13. At certain points in the score there occurs a kind of ritualistic counting in various languages, including German, French, Russian, Hungarian, Japanese and Swahili.

There are several allusions to tonal music in Black Angels: a quotation from Schubert’s “Death and the Maiden” quartet (in the Pavana Lachrymae and also faintly echoed on the last page of the work); an original Sarabanda, which is stylistically synthetic; the sustained B-major tonality of God-Music; and several references to the Latin sequence Dies Irae (“Day of Wrath”). The work abounds in conventional musical symbolisms such as the Diabolus in Musica (the interval of the tritone) and the Trillo Di Diavolo (the “Devil’s Trill”, after Tartini).

The amplification of the stringed instruments in Black Angels is intended to produce a highly surrealistic effect. This surrealism is heightened by the use of certain unusual string effects, e.g., pedal tones (the intensely obscene sounds of the Devil-Music); bowing on the “wrong” side of the strings (to produce the viol-consort effect); trilling on the strings with thimble-capped fingers. The performers also play maracas, tam-tams and water-tuned crystal goblets, the latter played with the bow for the “glass-harmonica” effect in God-Music.

George Crumb – Black Angels (Images I) performed by the Miró Quartet Daniel Ching (violin), Sandy Yamamoto (violin), John Largess (viola), Joshua Gindele (cello)

Music for Elevators

coverLa netlabel bulgara Mahorka pubblica ben tre volumi di musica per ascensori.
Non so in Bulgaria, ma negli USA, complice anche l’altezza degli edifici, la musichetta negli ascensori è molto diffusa e quasi sempre è idiota, irritante, insipida. Fa pensare che il suo unico fine sia quello di far sì che la gente esca in gran fretta dall’ascensore, una volta raggiunto il piano.
E forse è proprio così, ma, nel mio caso, sebbene questi pezzi non siano né grandi novità, né colpi di genio, se mi trovassi ad sentirli in un ascensore, forse continuerei a vagare fra i piani per la curiosità di ascoltare il brano seguente.

Alcuni estratti dal terzo volume

Potete scaricare i 3 volumi dall’internet archive / Download site
Music for Elevators Vol. 1
Music for Elevators Vol. 2
Music for Elevators Vol. 3

Il soccombente

cover
Sebbene legga molto, sono sempre stato restio a scrivere di libri perché c’è già tanta gente che lo fa, probabilmente meglio di me. Ogni tanto, però, ci pensavo. Adesso ci provo con un libro che affonda le sue radici nella musica, o almeno in un certo modo di vedere la professione di esecutore, anche se in realtà di musica si parla ben poco.
Ho da poco terminato Il soccombente di Thomas Bernhard, scritto nel 1983 e pubblicato da Adelphi.

Un libro profondo e nello stesso tempo uno dei più deprimenti che abbia mai letto.
La trama ruota intorno ad un semplice, ma cruciale evento: a un corso tenuto da Horowitz a Salisburgo nel 1953 si incontrano e fanno amicizia tre giovani pianisti. Due sono brillanti e promettenti. Il terzo è Glenn Gould: qualcuno che non brilla e non promette, perché è.
Da quel momento la vita dei primi due rotola inesorabilmente verso la tragedia.
I due si trovano a frequentare come loro pari un genio che suona lo stesso strumento in un modo per loro inarrivabile. La grandezza di Gould è troppo per essere sopportabile e le loro menti, che sembravano essere quelle di due giovani musicisti avviati a una brillante carriera, non reggono il confronto con colui che è, forse, il più importante virtuoso del pianoforte del secolo scorso.
Come artisti, essi miravano all’eccelso, con in testa quell’ideale romantico di tracciare i confini della perfezione che è il sogno impossibile di molti giovani esecutori e che, per loro, prima di quell’incontro, sembrava quasi raggiungibile.
Invece quell’esperienza rivela la loro fragilità, l’incapacità di accettare i propri limiti che si manifesta dapprima con l’abbandono dell’attività musicale e il rifiuto assoluto di avvicinarsi ancora allo strumento e infine con l’atto estremo del più debole dei due – il soccombente, appunto – che non riesce a concepire il sopravvivere a Glenn Gould, sorpreso da un ictus al pianoforte mentre suonava, forse, le sue Variazioni Goldberg.

L’intera storia è raccontata dall’unico superstite in un modo non lineare, per cui la trama non è l’elemento portante (ed è per questo che mi sono permesso di raccontarla). La prosa non facile ma profonda di Bernhard, in un flusso da subito ininterrotto, descrive invece la tragedia del non riuscire ad essere, di fronte a qualcuno che, invece, è. E, nota bene, forse non è così per suo merito (nonostante l’indiscutibile impegno di Gould che passava al piano l’intera giornata e parte della notte, dormendo pochissimo), quanto piuttosto per grazia ricevuta.
Vi si trovano inoltre le tematiche care a Bernhard: l’autodistruzione e l’invettiva contro Salisburgo.
Personalmente, nonostante non fosse nelle intenzioni dell’autore, ci vedo anche una dimostrazione dei nefasti effetti dell’ideale romantico in musica. I due giovani, infatti, sarebbero sicuramente diventati degli ottimi pianisti se solo fossero stati in grado di abbandonare quella tensione verso l’assoluto, responsabile ultima della loro autodistruzione.

Libri autunnali

Ieri ero di buon’umore e sono andato a comprare i libri per sopravvivere in autunno (per di più è ricominciato il calcio… non si può vivere…).
Stranamente sono tutti romanzi (di solito leggo anche saggi).
Vi metto anche qualche nota di copertina.
Da quale inizio?

  • Andrei Kurkov – I pinguini non vanno in vacanza
    Sulle reazioni dei russi al crollo dell’Unione Sovietica
    I pinguini sono animali programmati per vivere in gruppo.
    Anche i sovietici erano animali collettivi.
    Poi il crollo…
  • J.G. Ballard – Il mondo sommerso
    Ricercatori e scienziati perlustrano intere città sommerse in seguito allo scioglimento delle calotte polari causato dal riscaldamento globale. Fantascienza, per ora. Ma è del 1962.
    Uno dei pochi libri di Ballard che non mi ricordo e che quindi forse non ho letto
  • Kenzaburo Oe – Il salto mortale
    I personaggi fanno parte di una setta millenarista a Tokyo. Dio, terrorismo, sesso, creatività, futuro.
  • David Foster Wallace – Oblio
    Otto racconti. Indipendentemente dalla trama, DFW è bravo da morire.
  • Ilja Stogoff – Boys don’t cry
    Da San Pietroburgo a Kuala Lampur. Romanzo di non formazione. Risse e sesso orale a 30° sotto zero.
  • Luke Rhinehart – L’uomo dei dadi
    Uno psicanalista manda a puttane una vita ordinata e si affida al caso prendendo decisioni sulla base del lancio dei dadi.
  • Kawabata Yasunari – Bellezza e tristezza
    Ognuno dei personaggi appare dominato da un’idea ossessiva e su tutti incombe un presagio di tempesta…
    Ormai un classico. L’ho letto da piccolo (Kawabata si è suicidato del 1972), ma mi piace l’idea rileggerlo da grande.
  • David Foster Wallace – Infinite Jest
    Un libro di 1300 pagg. che in gran parte ho già letto, ma non era mio. Adesso è uscito in economica.
  • Neal Stephenson – Snow Crash
    Già letto, ma in prestito. Mi piace averlo.

nest

cover

Nest is the collaborative project of Otto Totland and Huw Roberts. The two started working together after forging a strong friendship as former members of the Miasmah label. This self-titled EP is their first work publicly released.
Both pianists, there is little wonder that after exploring a plethora of musical styles, the two find themselves most at home writing traditionally structured pieces, with the ivories a major element throughout. The EP demonstrates clearly the innate ability the two have for song writing, borrowing from the world of film soundtracks and contemporary classical composers to craft delicate instrumental compositions.
Alongside their favoured instrument can be variously heard the plucked strings of the Welsh harp, violins, woodwind instruments, field recordings, percussion and a heady dose of mind wobbling effects.

The album is available from the Serein netlabel in 320kbps MP3

Listen to
Lodge
Trans Siberian

Musical Erratum

Nel 1913, Duchamp creò un ‘musical erratum’ che portava lo stesso titolo del suo Grande Vetro, “La mariée mise à nu par ses célibataires, même” (il che, visto che oggi è un giorno di matrimoni (non il mio) mi sembra appropriato).
Più che di un brano, si tratta di un metodo compositivo che utilizza un imbuto, delle palline e un trenino con vagoncini aperti.
Le palline sono numerate per indicare le note e vengono buttate a caso nell’imbuto posizionato sui vagoncini del trenino che avanza lentamente. In tal modo ogni vagoncino viene riempito casualmente da una pallina e la loro sequenza designa la serie dei suoni nella composizione.
Duchamp non esprime preferenze di organico, salvo indicare che gli strumenti devono essere di nuovo tipo. Questa versione, eseguita da Mats Persson and Kristine Scholz nel 1980, utilizza un panoforte preparato le cui corde sono messe in vibrazione da un disco rotante collegato a un motore elettrico.

Marcel Duchamp
La mariée mise à nu par ses célibataires, même (musical erratum)
Version by Mats Persson and Kristine Scholz

Light_Paper_Sound

Light_Paper_Sound è una installazione in cui dei video vengono proiettati su superfici tridimensionali di carta che in tal modo assumono varie colorazioni e sfumature che cambiano nel tempo. Nello stesso tempo delle tracce audio sono diffuse da altoparlanti.

This exhibition is an installation using randomly selected video projected on three dimensional paper surfaces synced with audio tracks played on speakers in the environment. The overall effect creates a unique environment of dynamic color and sound.

The works collaborators are artists Joseph Gray (sculpture/video) and Gabriel Herbertson (audio) with original music by Beth Fleenor (clarinet) and Paris Hurley (violin).

Pianolina

Pianoline
Vincenzo mi ha segnalato questo bellissimo giochino in cui ogni quadratino, muovendosi e rimbalzando dentro il rettangolo, suona la propria nota ad ogni contatto con le pareti e con altri quadratini. In tal modo si generano melodie e armonie (sono disponibili anche quadratini con accordi) che cambiano nel tempo in base alla velocità dei singoli oggetti.
Ci si aspetta che così si possano generare solo insiemi indifferenziati di note, ma non è vero. Gli esempi mostrano che, con una accurata disposizione degli oggetti e della loro velocità relativa è possibile accennare anche Beethoven e Satie (provateli, sono nel menu a destra).
È interessante notare che Beethoven perde rapidamente di significato, mentre Satie conserva sempre la sua atmosfera. Gli sciocchi diranno che questo dimostra che la prima è grande musica, mentre la seconda è solo un insieme indifferenziato di note. Invece la realtà è che la prima è un insieme a bassa entropia in cui ogni modifica, anche piccola, dei tempi e/o dell’ordine delle note altera il significato, mentre nella musica di Satie l’entropia è maggiore e un certo grado disordine non altera il senso dell’insieme. Un altro modo di dirlo è rilevare che Beethoven è sequenziale, mentre Satie non lo è.
La vera sorpresa, però, è l’arrangement intitolato a Grotrian (il produttore tedesco di pianoforti sul cui sito si trova Pianoline).

A beautiful piano-game based on relative speed of little squares bouncing on a rectangle.

Johann Ludwig Bach

JLB
No, non è un errore di stompa, ne esiste un altro.
Johann Ludwig Bach (1677-1731) era un lontano cugino di JSB ed è stato il primo Bach a trovare un impiego stabile presso una corte, avendo servito alla corte di Meiningen per 28 anni, a partire dal 1699.
Che JLB esistesse si sapeva, ma gran parte della sua musica è andata perduta. Ci sono pervenuti solo 11 mottetti, 22 cantate sacre e 2 secolari, una messa funebre, una suite orchestrale e un doppio concerto per violino, il tutto raramente eseguito.

Su Apple Music potete ascoltare parti dei suoi 11 mottetti

Postclassic Radio

Postclassic Radio, tenuta dal compositore e musicologo Kyle Gann, fa parte del circuito Live365 e trasmette “Weirdly beautiful new music from composers who’ve left the classical world far behind.”

L’ascolto è libero beccandosi un po’ di pubblicità (raramente); a pagamento senza.
Cliccate qui, poi l’icona gialla/nera

Il circuito Live365, comunque, è molto attivo nell’area della musica sperimentale. Vi segnalo anche:

  • free103point9 nyc – Transmission art, free jazz, noise, dub, mash-ups, avant folk, turntablism, generative sound, field recordings, and other fringe styles.
  • Iridian Radio – Music that’s smart, but still warm to the ears -John Adams, Kronos Quartet, Bang on a Can, Philip Glass, Laurie Anderson
  • Le radio gestite dall’etichetta innova.mu
    • innova.mu-Experimental – Radical music you won’t hear elsewhere Harry Partch, electroacoustic, experimental, computer generated, homemade instruments
    • innova.mu-Classical – New Classical music by today’s finest American composers: chamber, vocal, choral, orchestral
    • innova.mu-World – World, ethnic, international, tribal, folk, traditional Native American
    • innova.mu-SonicCircuits – The best selections from 10 years of the famous electronic music festival
    • innova.mu-Avant Jazz – Avant jazz, free Downtown improv, radical Ancient Futurism to blow your mind

Giger + Arcimboldo

Salad

Salad: un’immagine di Till Nowak che omaggia Giger e Arcimboldo.
Nella realtà ha l’aspetto di un dipinto, ma è una stampa su tela passata poi con una speciale vernice (grazie Vinz per la correzione).

In November 2006 Till Nowak created the image “Salad“. For this image he created 12 digital vegetable models in 3ds max using photographic references. They were combined to become a tribute to the fantastic biomechanical creations of H.R. Giger and the vegetable portraits of Giuseppe Arcimboldo.

Crumb – Makrokosmos I

Un lavoro importante di Crumb sono i quattro libri del Makrokosmos (1972-1974). I primi due libri sono per pianoforte solo (amplificato), mentre il terzo (chiamato anche Music for a Summer Evening) è per due pianoforti e percussioni ed il quarto (noto anche con il titolo Celestial Mechanics) per pianoforte a quattro mani.
Il nome di questo ciclo allude ai sei libri pianistici del Microcosmos di Béla Bartók; come il lavoro di Bartók, il Makrokosmos è costituito da una serie di brevi pezzi dal carattere differenziato. Oltre a quella di Bartók, George Crumb ha riconosciuto in questo ciclo influenze di Claude Debussy, sebbene le tecniche compositive utilizzate siano molto differenti da quelle di entrambi gli autori citati. Il pianoforte viene amplificato e preparato sistemando vari oggetti sulle sue corde; in alcuni momenti il pianista deve cantare o gridare alcune parole mentre sta suonando.

Note di programma dell’autore / Author’s program notes:

The title and format of my Makrokosmos reflect my admiration for two great 20th-century composers of piano music — Béla Bartók and Claude Debussy. I was thinking, of course, of Bartók’s Mikrokosmos and Debussy’s 24 Preludes (a second zodiacal set, Makrokosmos, Volume II, was completed in 1973, thus forming a sequence of 24 “fantasy-pieces”). However, these are purely external associations, and I suspect that the “spiritual impulse” of my music is more akin to the darker side of Chopin, and even to the child-like fantasy of early Schumann.

And then there is always the question of the “larger world” of concepts and ideas which influence the evolution of a composer’s language. While composing Makrokosmos, I was aware of certain recurrent haunting images. At times quite vivid, at times vague and almost subliminal, these images seemed to coalesce around the following several ideas (given in no logical sequence, since there is none): the “magical properties” of music; the problem of the origin of evil; the “timelessness” of time; a sense of the profound ironies of life (so beautifully expressed in the music of Mozart and Mahler); the haunting words of Pascal: “Le silence éternel des espaces infinis m’effraie” (“The eternal silence of infinite space terrifies me”); and these few lines of Rilke: “Und in den Nächten fällt die schwere Erde aus allen Sternen in die Einsamkeit. Wir alle fallen. Und doch ist Einer, welcher dieses Fallen unendlich sanft in seinen Händen hält” (“And in the nights the heavy earth is falling from all the stars down into loneliness. We are all falling. And yet there is One who holds this falling endlessly gently in his hands”).

Each of the twelve “fantasy-pieces” is associated with a different sign of the zodiac and with the initials of a person born under that sign. I had whimsically wanted to pose an “enigma” with these subscript initials; however, my perspicacious friends quickly identified the Aries of Spring-Fire as David Burge, and the Scorpio of The Phantom Gondolier as myself.

Il primo libro, del 1972, ha come sottotitolo “Twelve fantasy pieces after the Zodiac” e infatti i movimenti sono ispirati ai segni zodiacali.

Potete ascoltarlo tutto o selezionare i singoli movimenti riportati sotto:

Part 1: 00:09 – Primeval Sounds (Genesis 1), Cancer 04:26 – Proteus, Pisces 05:44 – Pastorale (From the Kingdom of Atlantis, сa. 10,000 B.C.), Taurus 07:51 – Crucifixus [Symbol], Capricorn

Part 2: 10:25 – The Phantom Gondolier, Scorpio 13:12 – Night-Spell 1, Sagittarius 17:00 – Music of Shadows (for Aeolian Harp), Libra 19:50 – The Magic Circle of Infinity [Symbol], Leo

Part 3: 21:16 – The Abyss of Time, Virgo 23:46 – Spring Fire, Aries 25:31 – Dream Images (Love-Death Music), Gemini 29:40 – Spiral Galaxy [Symbol], Aquarius

Opus 21

Described by The New Yorker as “a vibrantly broad-minded new-music group,” Opus 21 features works by composers from many different genres, including contemporary classical, jazz, pop, and world music, as well as those whose works fall in the hard-to-define categories in between. The ensemble was founded by composer Richard Adams and gave its debut performance at Merkin Concert Hall in New York City in Spring 2003. Opus 21 has since established itself as a truly innovative new music group, and has revamped the traditional concert-going experience by presenting side by side a diversity of art music and crossover works geared toward audiences with eclectic, wide-ranging musical tastes.

Comprised of virtuoso performers from diverse musical circles, Opus 21 is capable of performing works by composers from many different genres. Its programming has ranged from the contemporary classical works of William Bolcom, John Harbison, and Steve Reich, to the jazz compositions of Dave Brubeck and Fred Hersch; from the art rock music of Frank Zappa to a collaborative performance with legendary Motown pianist Joe Hunter.

The goal of Opus 21 is to create a collaborative venue for performers, composers, and audiences whose interests extend beyond a single type of music. Its programs seek to increase public awareness and understanding of art music in the twenty-first century, introduce the public to works it might not otherwise hear, and build bridges between audiences of different musical backgrounds. The group also maintains an open call for scores in order to be able to present the music of both established and emerging composers. In all its activities, Opus 21 is committed to the proposition that great music is without boundaries.

Opus 21 is an independent, not-for-profit performing arts organization.
Site: opus21.org

reality and madness, time and death, sin and salvation

philip k dickSul New Yorker, Adam Gopnik, lui stesso scrittore, pubblica una bella celebrazione di Philip K. Dick, lo scrittore che, secondo Ursula K Le Guin, “ci intrattiene parlando di realtà e pazzia, tempo e morte, salvezza e peccato”.
E anche quello che, in certi giorni, mi permette di dire che “mi sento come in un romanzo di Philip Dick”.

In the current issue of the New Yorker, Adam Gopnik has a beautiful essay celebrating the surrealist science fiction author Philip K. Dick.

Groucho Marx

groucho marx grave

Al di fuori del cane, un libro è il miglior amico dell’uomo;
dentro il cane, c’è troppo buio per leggere.

Outside the dog, a book is a man’s best friend;
inside the dog it’s too dark to read.

[Groucho Marx, Oct. 2, 1890 – Aug. 19, 1977]

Sua è anche la famosa (fra di noi) battuta:

«Suono al conservatorio. Ma non mi aprono mai.»

e molte altre.

groucho dollar

Ein Kinderspiel

Finalmente, sul solito YouTube, c’è qualche novità.
Abbiamo qui un breve estratto di musica per piano di Helmut Lachenmann, compositore tedesco vivente, già allievo di Nono e Stockhausen, il cui lavoro viene spesso definito “musica concreta strumentale” per le sonorità materiche che crea, spesso anche con strumenti non del tutto ortodossi.
Qui abbiamo un breve saggio della sua ricerca sonora sul pianoforte. In questi due brevi brani, tratti da “Ein Kinderspiel” (sette piccoli pezzi per piano) del 1980, sfrutta ampiamente le risonanze create dal pedale e da cluster di tasti premuti e lasciati senza smorzatori grazie al pedale tonale.
I brani sono il num. 1 (Hänschen klein) e il num. 7 (Schattentanz).
A mio avviso l’esecuzione potrebbe essere un po’ più accurata: nel primo brano qualche acciaccatura non si sente proprio, ma Wolfgang Behrens non è un pianista professionista e comunque la sua performance è sufficientemente intensa.

Wolfgang Behrens, international commentator and author, gives a monumental performance of this contemporary work, performed in Lilienfeld, Austria, in front of a live audience. Complete with short introduction (German language).
[Notes from YouTube by kunzeo]

The work is “Ein Kinderspiel” (seven little pieces for piano) composed in 1980.
Wolfgang Behrens plays pieces 1 (Hänschen klein) and 7 (Schattentanz) only.

 

Libri Liberi – Free Books

Per chi legge l’inglese, segnaliamo alcuni libri di vario genere distribuiti con licenza Creative Commons, che si possono liberamente scaricare da internet in vari formati (pdf, postrscript, html).
In genere, nello stesso sito, si può anche ordinare il libro stampato.
Ovviamente si tratta di libri recenti. I classici sono disponibili da tempo su Project Gutenberg, Free-Books, Liber-Liber,
Classici Stranieri e altri.

Here are some books published under a Creative Commons license and freely available on the net.
Often you can also order a printed copy from the same site.
Of course, this are new books. The classics are all available from Project Gutenberg, Free-Books and other sites.

from : classicistranieri.com

Ubuntu Linux & realtime Jack

Questo è un post per addetti ai lavori.

Mi sto rendendo conto che, con Ubuntu 7.xx (Feisty Faune), molti hanno difficoltà nel lanciare jackd (un server audio professionale su linux) con l’opzione realtime (-R, necessaria per avere bassa latenza) come utente normale, ma riescono invece a farlo solo come superuser (con sudo), con la rogna di dover lanciare nello stesso modo anche tutti i client.
Alcuni lamentano anche che con la versione precedente si poteva farlo (ed è vero).
La soluzione è molto semplice:

  1. Controllate che il vostro utente sia inserito nel gruppo audio. Se l’utente è quello creato durante l’installazione, dovrebbe già esserlo. Comunque aprite una console (terminale) e scrivete

    id

    che mostra user id, group id e tutti i gruppi a cui l’utente appartiene. La risposta dovrebbe essere qualcosa come

    uid=1000(nome_utente) gid=1000(nome_utente)
    groups=4(adm), 20(dialout), 24(cdrom), 25(floppy),
    29(audio), 30(dip), 44(video), 46(plugdev), 104(scanner),
    112(netdev), 113(lpadmin), 115(powerdev), 117(admin),
    1000(nome_utente)

    [al posto di 1000 potreste vedere un altro numero]

    Se c’è già il gruppo 29(audio), allora tutto ok, altrimenti aggiungete l’utente al gruppo audio.

  2. Editate il file /etc/security/limits.conf come superuser con il comando

    sudo gedit /etc/security/limits.conf
    [al posto di gedit potete mettere il vostro text editor preferito]

  3. Alla fine del file, prima della riga
    # End of file
    aggiungete quanto segue:

    @audio - rtprio 99
    @audio - nice -10
    @audio - memlock 256000

    [il valore 256000 è adatto a una RAM di 512K; è la memoria da bloccare e dovrebbe essere circa la metà della vostra RAM; mettete 512000 se avete 1 Gb e così via]
    [il valore nella seconda linea (nice) è proprio -10 (meno 10); imposta la priorità e senza il meno avrete una proprità schifosa]

  4. A questo punto è necessario riavviare il computer.

    Ora potete anche lanciare jackd in realtime come utente con il comando

    /usr/bin/jackd -R -dalsa -dhw:0 -r44100 -p1024 -n2
    [ovviamente potete aggiungere anche altre opzioni]oppure con un front-end grafico come qjackctl o simili.

  5. Naturalmente è meglio installare anche il kernel low-latency.

Floating Under Ice

Floating Under Ice (aka Contemplating the Great Whale).

Un nuovo brano del nostro duo.
È un pezzo un po’ trance in cui una serie di oggetti sonori fluttua su una fascia continua.

NB: ancora una volta devo sconsigliarvi di ascoltarlo con gli schifosissimi altoparlantini del computer. Devo dire che sono stato molto indeciso se metterlo qui o meno, pensando a come sarà ascoltato nella maggior parte dei casi. Il problema è che, con altoparlanti di bassa qualità, la fascia in background maschera vari suoni e alcune frasi spariscono quasi completamente; il pezzo perde di definizione e profondità e tutto si confonde. Piuttosto scaricatelo e mettetelo su un cd. Sorry.

A trance piece by our free improvisation duo.
Please don’t listen through the little computer’s speakers.

Federico Mosconi: electric guitar, various effect processing
Mauro Graziani: Max/MSP laptop

Floating Under Ice (aka Contemplating the Great Whale)
Floating Under Ice

La sedia di Glenn Gould

sedia
Per quasi tutta la sua vita, dal 1953 fino alla morte avvenuta nel 1982 a 50 anni, sia a casa che in concerto, Glenn Gould suonò il piano seduto sulla stessa, miserabile sedia fabbricata, su sua indicazione, dal padre. Questo oggetto, chiamato da molti “la sedia da campeggio” perché oltretutto cigolava ignobilmente, permetteva a Gould di posizionarsi a 35 cm dal suolo, approcciando lo strumento “dal basso”, una situazione che forse lo favoriva perché, venendo dall’organo, era abituato ai manuali a varie altezze (aveva iniziato a dare concerti già a 12 anni come organista anche se, solo l’anno successivo, suonava con la Toronto Symphony Orchestra in qualità di pianista).
Peraltro, una tale posizione magari andava bene per la musica che prediligeva (Bach & Händel), ma gli impediva di generare il volume necessario ad interpretare gran parte dei romantici (e in effetti, quando incise le trascrizioni di Liszt delle sinfonie di Beethoven, ricorse ampiamente alla sovraincisione; non che sia necessario suonare i romantici comunque, anzi…).

Nel corso della storia della musica, già due pianisti di inizio secolo erano famosi per aver personalizzato le loro sedie: Joseph Hoffmann e Ignace Paderewski.
Joseph Hoffmann, non molto noto ai più, era un grandissimo pianista di piccolissima statura a cui era stato dedicato il terzo concerto di Rachmaninov, concerto che però non poteva suonare a causa delle sue mani così piccole. Ingegnere e inventore a tempo perso, disegnò una piccola sedia le cui caratteristica principale era quella di essere inclinata in avanti. Oggigiorno si trovano ancora delle sedie «Hofmann» in certi conservatori americani.
Ignace Paderewski, oltre ad essere stato un famoso pianista, fu anche primo ministro della Polonia. La sedia Paderewski si distingueva per uno schienale piuttosto rigido e un sedile decorato con nappe.

Il terzo pianista ad entrare nella leggenda dei «pianisti con la sedia» fu Glenn Gould. Tutto iniziò nel 1953, attorno ad un “capitolato tecnico” che, come si potrà immaginare, fu molto esigente :

  • la seduta doveva essere più bassa di una normale e, ovviamente, doveva essere regolabile in modo estremamente preciso;
  • contrariamente allo schienale leggermente inclinato all’indietro (7° mediamente) di tutte le altre sedie, la sedia di Glenn doveva avere lo schienale quasi ad angolo retto rispetto al sedile. Questo per portare il pianista in avanti quando quest’ultimo tendeva ad indietreggiare ;
  • la sedia, infine, doveva essere leggera, solida, doveva piegarsi ed essere facilmente trasportabile, proprio per accompagnare Gould in tutto il mondo, in concerto oppure in studio.

Il padre di Glenn Gould, Bert Gould, trovò una risposta seppur parziale alle numerose pretese del figlio. Prese così a modello una sedia pieghevole da giocatore di carte. Modificò con astuzia l’altezza della seduta segando dieci centimetri di ogni gamba. In seguito, preparò dei martinetti che saldò su delle piastre che vennero a loro volta avvitate su ogni gamba. I martinetti erano loro stessi costituiti da tenditori di cavo «œil à œil» segati in due.
La regolazione delle gambe serviva non soltanto per adeguare la sedia a certi pavimenti ma anche per adattarla ai diversi repertori musicali. Gould interpretava Bach stando molto vicino alla tastiera, semplicemente stando seduto sulla traversa anteriore della sua sedia con il naso all’altezza della tastiera. Invece, per opere come il valzer di Ravel, si distanziava un po’ più dal suo strumento.

Malgrado un’altezza dal pavimento di circa 35 centimetri (ossia 10 centimetri al sotto della norma di qualsiasi sedia, e questo è considerevole !), Gould sentiva che la sua posizione di fronte alla tastiera non era ancora del tutto ottimale. Così,invece di abbassare ancora di più la sedia (questo lo avrebbe costretto a suonare con le ginocchia contro il mento), fece produrre dei blocchetti in legno dipinti di nero per rialzare il pianoforte di tre centimetri. In totale, grazie a questo complesso sistema (il pianoforte un po’ più alto, la sedia un po’ più bassa) Gould si trovava a circa 13 centimetri al di sotto della posizione normale adottata dalla maggior parte dei pianisti. Da qui nasce la sua posizione così particolare e così caratteristica di fronte al pianoforte.

Riguardo alla definizione della sedia, il suo colore originale non era il nero. Oggi completamente scrostata, la sedia di Glenn sembra essere stata in origine dipinta con una vernice colorata, per diventare nera solo in seguito per confondersi con l’estetica tradizionale delle sale da concerto.

L’inizio del primo film di Bruno Monsaingeon su Gould (L’Alchimiste, 1974), visibile qui sotto, rappresenta benissimo il rapporto fra Glenn e la sua sedia. Il dialogo dice:
– Che strano strumento che avete !
– (Glenn fa finta di credere che parlo del suo piano. Continua a suonare alcune note) Trovo che abbia veramente un bel suono!
– Non parlo del piano, parlavo di questo… di questa… di questa cosa che non so come chiamare (punto il dito sulla sua sedia)
– Questa « cosa » !(Glenn finge di essere indignato e si mette ad imitare un accento a metà tedesco, a metà francese)!”Zignori non dizprezzare un mempro della famillia”
– ??… Cosa volete dire con « membro della famiglia » ?
– E’ un compagno di viaggio, senza il quale non posso funzionare, senza il quale non posso suonare. Sono 21 anni che ce l’ho, questa … « cosa » ! Che si può d’altronde qualificare come una sedia !
– Avete veramente dato dei concerti lì sopra?
– Non ho mai dato un concerto senza di lei. Almeno da 21 anni.
– Volete dire… che vi è così vicina quanto lo è potuto essere Bach ?
– (Glenn riflette un istante) … … … Oh, molto più vicino in verità !

Oggi questa sedia è stata riprodotta da Cazzaro S.p.A. ed è in vendita alla abominevole cifra di € 990 (+ € 42 di spedizione) con l’intelligente slogan “La sedia di Glenn Gould a casa tua!”.
No ragazzi, non è la sedia di Gould, è la vostra riproduzione. Oltretutto, non avete nemmeno avuto bisogno di sforzarvi molto, visto che l’originale è esposto al dipartimento musicale della biblioteca di Ottawa ed è inutile che ve la tiriate così tanto, come se aveste fatto un lavoro incredibile. Quella che avete fatto è solo una “cheap imitation”, una imitazione a buon mercato, che a buon mercato non è.
L’aveste venduta a € 50, sareste stati anche simpatici. A € 990, mi sembra solo una presa in giro.
Vi ricordo che € 990 sono circa 50 CD. Spero che la gente che ama la musica li spenda il questo modo.
Di buono c’è solo che le avete dedicato un bel sito da cui ho tratto la maggior parte del testo e l’estratto del film di Monsaingeon.

Shamisen

[NB: la descrizione dello strumento è tratta da HÔGAKU: musica tradizionale giapponese]

Lo shamisen (chiamato anche sangen [tre corde]) è uno strumento a corda della famiglia del liuto con una piccola cassa armonica di forma approssimativamente quadrata formata da una fascia di legno ricoperta da entrambi i lati di pelle di gatto o di cane. Il manico è lungo e sottile e penetra attraverso tutta la lunghezza della cassa fuoriuscendo dalla parte opposta; su questo spuntone del manico alla base della cassa sono legate le tre corde di seta, che passano poi su un ponticello appoggiato sulla parte inferiore della cassa armonica e su un secondo ponticello fisso alla sommità del manico (capotasto), per finire sui tre lunghi piroli di accordatura. Il manico è privo di tasti (ponticelli) e il cavigliere dei piroli è curvato all’indietro rispetto alla direzione del manico. La lunghezza totale dello strumento è 95 – 100 cm.
In generale la corda più bassa dello shamisen non è appoggiata sul capotasto ma su una tacca posta di fianco ad esso e passa sopra una protuberanza della superficie del manico (sawari no yama) contro cui urta quando è in vibrazione. Questo dispositivo serve a produrre un suono ronzante (chiamato sawari) che è una importante caratteristica timbrica dello strumento e che viene emesso quando la corda è lasciata “vuota”, sia che essa venga suonata direttamente, sia (in misura minore) quando vibra per risonanza con le altre corde.
Benché sia stato introdotto in Giappone in epoca relativamente tarda, lo shamisen ebbe un successo immediato ed una enorme diffusione sia nella musica classica che in quella popolare, tanto che oggi lo si può forse considerare come lo strumento più importante della musica giapponese. Tra i principali generi in cui esso svolge una parte di primo piano si possono citare il jôruri (musica del teatro classico dei burattini), il nagauta (musica del teatro kabuki) ed il jiuta (musica vocale da camera).

Lo shamisen viene suonato con un grosso plettro di legno chiamato bachi; il suonatore siede in posizione seiza e tiene lo strumento in diagonale, appoggiandone la cassa sulla coscia destra.

Le tre corde possono essere accordate in tre modi:

  • 4a e 5a (es. DO – FA – DO)
  • 5a e 4a (es. DO – SOL – DO)
  • 4a e 4a (es. DO – FA – SIb)

Il brano che ascoltiamo è chiamato Tsugaru aiya bushi [Canto aiya di Tsugaru]. Aiya è uno stile e tsugaru è la regione all’estremo nord di Honshu (l’isola principale dell’arcipelago giapponese) e corrisponde all’odierna prefettura di Aomori.
Si tratta di musica tradizionale, ma in Asia non c’è distanza fra musica tradizionale e repertorio classico (per es., secondo la visione asiatica, i valzer di Strauss sarebbero musica tradizionale austriaca, ma anche gli autori molto caratterizzati geograficamente, come i compositori russi, alcuni spagnoli e altri ancora, verrebbero inseriti nella musica tradizionale).
In questo genere musicale si lascia spazio anche all’improvvisazione, ma questa esecuzione è abbastanza misurata.

Questo video mostra bene la tecnica esecutiva.
L’esecutore è Yu Takahashi, in concerto presso la Chiesa di Sant’Ambrogio, Milano, 16 febbraio 2012.

FlyGuy

Questo, nel 2007, era FlyGuy di Trevor van Meter.
Forse è un po’ pretenzioso metterlo sotto Arte Visuale, in fondo era solo una animazione flash di un tipo con l’aria da impiegato che volava sotto il vostro controllo (lo si guidava semplicemente con le frecce) e incontrava persone e oggetti con cui a volte interagiva.
Ma era così fiabesca, naïve e sorprendente che valeva la pena di perderci un po’ di tempo.
In fondo, una poltrona con le ali che ti offre il the, un guru seduto su una nuvola con una massima diversa ogni volta e una fotocopiatrice volante non si incontrano tutti i giorni.
La musichetta di fondo, poi, era banale, ma deliziosa e l’UFO che si trovava volando molto in alto (dove il cielo diventa nero e stellato) era una gag sorprendente.

È morto, con Flash, nel 2001. Ora si ritrova su youtube con una voce di commento, ma non è più controllabile, oppure sul solito Internet Archive dove funziona in toto via emulatore Flash

Koto

Kazue Sawai esegue un brano al koto.
Questo strumento è un cordofono appartenente alla famiglia della cetra introdotto dalla Cina in Giappone durante il periodo Nara (710 – 794 d.C.).
All’inizio il koto venne usato per lungo tempo solamente presso la corte imperiale. Questo stato di cose cambiò nel XVII secolo soprattutto ad opera di Yatsuhashi Kengyô (1614-1684) che sì applicò a rendere il koto maggiormente accessibile presso la popolazione. Ideò una nuova accordatura, detta hirajoshi, che divenne una delle più utilizzate e creò composizioni divenute dei classici della letteratura per questo strumento come Rokudan e Midare, che è il brano che ascoltiamo qui.
Si tratta quindi di un esempio di musica classica giapponese del ‘600.
È interessante osservare come la musica classica giapponese sia altamente formalizzata. Questo brano, per esempio, appartiene alla categoria dei danmono che è una forma classica di brani per koto solamente strumentali, composti da diverse sezioni chiamate dan [lett. “gradino, ripiano, livello”]. Nella forma più tradizionale di danmono, ogni dan è formato da 104 haku [pulsazione, battito, unità fondamentale di misura del tempo] e costituisce una variazione su un unico tema.
Questo brano, però, fa eccezione perché i vari dan non sono formati dallo stesso numero di beat e proprio per questo si intitola Midare [乱 lett. “confusione, caos”].

Per quanto riguarda il koto, il corpo dello strumento è costituito da una cassa armonica, lunga circa due metri e larga tra i 24 ed i 25 cm, costruita, in genere, con legname di Paulownia (Paulownia Tomentosa o kiri, in giapponese). Su di essa corrono tredici corde di uguale diametro ed aventi stessa tensione, ognuna delle quali poggia su di un ponticello mobile (ji, 柱).
Questo fatto va sottolineato perché è un sistema completamente diverso da quello occidentale in cui si usano corde di vario diametro e tensione.
Qui le corde sono tutte uguali e tirate alla stessa tensione. Per ottenere note diverse, quindi, l’unico sistema è variare la lunghezza della corda. Infatti ognuna di esse ha il proprio ponte che viene piazzato in punti diversi.
Le corde, poi, sono pizzicate con la destra, mentre la sinistra non suona, ma crea abbellimenti sotto forma di vibrati e di veloci glissati, sia nell’attacco che in coda al suono, ottenuti premendo la parte della corda che sta oltre il ponte. Naturalmente il fatto che tutte le corde abbiano la stessa tensione facilita questo compito perché così una data pressione genera un glissato della medesima estensione su ogni corda, cosa che non avverrebbe se la tensione fosse diversa.
L’esecutore si pone in ginocchio o seduto di fronte allo strumento e pizzica le corde tramite l’ausilio di tre plettri (tsume) fissati al pollice, all’indice ed al medio della mano destra.
Lo spartito per koto si presenta generalmente sotto forma di intavolatura che si legge dall’alto in basso e da destra verso sinistra (il senso di lettura normale anche nel giappone moderno: i libri sono impaginati così, sebbene ormai sia diffusa anche la scrittura orizzontale).
Il koto viene paragonato al corpo di un drago cinese disteso. Per tale motivo, le diverse parti di cui esso è formato assumono dei nomi che ricordano quelle del mitico animale, come ad esempio:

  • Ryuko (schiena del drago): è la parte superiore della cassa armonica,
  • Ryuto e ryubi (testa e coda del drago): sono le estremità dello strumento.

Kazue Sawai è considerata uno dei massimi virtuosi viventi di questo strumento.

Ora, invece, vediamo la stessa interprete impegnata in una composizione contemporanea per koto.

Compositore: Tadao Sawai (Composto nel dicembre 1988. Per commemorare il decimo anniversario della fondazione dell’Istituto Sawai Koto. Eseguito per la prima volta da Kazue Sawai)

Lo strumento a 17 corde, inventato da Michio Miyagi, ha una storia di circa 70 anni (nota: all’epoca della sua composizione), e ha superato di gran lunga il suo scopo originale come supplemento per basso, ed è stato recentemente utilizzato come strumento solista . Naturalmente, il processo per arrivare a questo punto è dovuto ai grandi sforzi degli esecutori, dei compositori e delle persone che creano gli strumenti, ma la profondità e la forza del suono della 17 corde, così come la lunghezza del suono persistente, sono fattori importanti. Il suo fascino continuerà a catturare i cuori delle persone. E ora sembra che Jushichigen stia diventando il fiore all’occhiello del mondo musicale giapponese. [Testo: Tadao Sawai, Trad. Google]

Robot Drum

I giapponesi, nella loro ossessione per i robot, non trascurano la musica.
Qui vedete alcuni robot impegnati al tamburo tradizionale daiko.
Quello che fanno può sembrare banale, ma non lo è. Se uno dei due esegue un ritmo regolare, l’altro suona in controtempo, il che significa che il secondo ascolta il primo e trattandosi di robot, non è poco.

La vita nella guerra fredda – Novaya Zemlya

novaya zemlya
La curiosità è l’unica cosa che non mi è mai mancata. Le prime volte che andavo in Russia, per esempio, mi chiedevo spesso cosa diavolo c’era a Novaya Zemlya.
Questo grosso ‘isolone’ (circa 90.000 Kmq, con il punto rosso in figura), il cui nome (Но́вая Земля́) significa “nuova terra” (l’ennesima “terranova”), è piazzato per la sua intera superficie oltre il Circolo Polare Artico, fra la costa della Siberia e la banchisa polare, ed è in realtà un arcipelago formato da due isole principali chiamate, con la solita grande fantasia, Се́верный (severny = settentrionale) e Южный (yuzhny = meridionale). Però le due isole sono così vicine e le coste coincidono in modo tale che è difficile considerarle separate.
Sono divise solo da una sottile linea d’acqua, una sorta di fiume marino che attraversa l’isola da parte a parte, lo stretto di Matochkin (Ма́точкин Шар), che mette in comunicazione il mare di Barents e il mare di Kara, entrambi luoghi topici durante quella guerra mai combattuta apertamente, teatri di innumerevoli operazioni ufficialmente mai esistite.
Così, quando chiedevo a qualcuno cosa diavolo c’era a Novaya Zemlya, i miei amici mi ammonivano a non fare troppe domande, aggiungendo, con un tono più o meno scherzoso, che, di questo passo, prima o poi lo avrei visto di persona, con un biglietto di sola andata.
rompighiaccioUfficialmente, all’epoca, sull’isola si trovavano soltanto due insediamenti, Krasino sull’isola meridionale, e Matočkin’šar’ su quella settentrionale, nonché il centro amministrativo di Belushya Guba, con l’annessa base aerea di Rogachevo, in cui viveva la maggior parte degli abitanti dell’isola (meno di 3000 – qui il sito della base con molte foto stupende dal punto di vista naturalistico,ma anche affascinanti per l’isolamento dei luoghi, come in questa immagine invernale di un rompighiaccio in arrivo).
In realtà, Novaya Zemlya è stata dal 1954 uno dei principali siti dei test nucleari sovietici.

Qui sono esplose circa 130 bombe nucleari, di cui 88 nell’atmosfera, 39 sottoterra e 3 sott’acqua. Qui è esplosa anche la più potente bomba atomica mai costruita, la cosiddetta Tsar Bomba, un ordigno la cui potenza è stata stimata in 57 megatoni (circa 3000 bombe di Hiroshima), ma che in origine aveva una potenza doppia (100 megatoni: 6000 bombe di Hiroshima), ridotta in fase di test per evitare un fallout radioattivo eccessivo.
È stato calcolato che se una simile bomba fosse stata lanciata su Londra avrebbe distrutto ogni cosa nel raggio di 30 km (l’intera città e i sobborghi) e incendiato tutto ciò che si fosse trovato entro 90 km dal luogo dell’esplosione.
La bomba fu sganciata il 30 ottobre 1961 alle ore 8:33 da un aereo ad alta quota nella baia di Mityushikha e fu fatta esplodere a 4000 metri dal suolo con l’ausilio di un gigantesco paracadute finalizzato a frenarne la caduta e quindi a consentire al velivolo di allontanarsi indenne.
La nube a fungo risultante dall’esplosione raggiunse un’altezza di 60 km, l’onda d’urto fece tre volte il giro del mondo (impiegando per il primo circuito 36 ore e 27 minuti) e il lampo dell’esplosione risultò visibile ad oltre 1000 km di distanza. Ci fu anche un black out delle comunicazioni radio di circa 40 minuti in tutto l’emisfero settentrionale (provate a pensarci: un black out radio di 40 minuti sull’intero emisfero).
Tuttavia, contrariamente a quanto si può pensare, fu una delle esplosioni atomiche più “pulite” in quanto trasse oltre il 97% della sua potenza dalla fusione nucleare (qui potete vedere un filmato dell’esplosione da You Tube).
Il risultato di tutti questi test è che l’isola è costellata di basi, stazioni di controllo, tunnel per le esplosioni sotterranee e altri insediamenti che oggi diventano visibili anche alle persone comuni grazie a Google Earth.
Da questa pagina di wikimapia potete accedere a tutti questi luoghi un tempo segreti, oggi ampiamente documentati.

Sawako

tiny tiny press image
Sawako is a sound sculptor and timeline-based artist who understands the value of dynamics and the power of silence. Beginning in video art, Sawako shifted her focus from the video camera to sound. Once through the processor named Sawako, fragments in everyday life – field recordings, instruments, voice and electronic sounds – float in space vividly with a digital yet organic texture. Her unique sonic world has been called “post romantic sound” by Boston’s Weekly Dig.

Quest.Room.Project

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Un altro interessante gruppo russo.

A gentle flute motive introduces us to the world of Quest.Room.Project from Russia, and one might at first expect a relaxed listening experience. But by the time more voices chime in, it becomes obvious that these spotlights are going to be swallowed by shadows of tragic compassion. “Room Number: Fiducial Banality” is organised in 4 parts (one could as well define them as movements, because there are some key themes occuring throughout the entire release) and each of them features a room with distinct acoustic characteristics:
“The reason for surfacing” appears like a shadow of a doubt that gradually turns into overwhelming certainty. Almost inaudible at the beginning, “Assemblage” soon escalates to several emotional outbursts, before exhaustion will take its tribute in “Possession” and create a haunted, threatening atmosphere. As reminiscence of the beginning, “Combined Exercises” begins with a flute solo and continues to pick up previous motives to escalate them to a wall of sound. Finally the dissonances wither away and make room for the last remnants of the ever occuring flute theme. A cycle has been completed and we are at the beginning again…
Bogdan Dullsky, the creative head behind the Quest.Room.Project, describes his intentions as “a search of space for the life leaving for borders of habitual linearity”. But “Room Number: Fiducial Banality” doesn’t attempt to descibe a solution to break free: It’s left up to the listeners themselves to recognise their personal ever returning patterns of life and change them by their own strategy. or – as Bogdan concludes – as an “attempt to live by some own rules on which borders it is possible to breathe freely”.

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Kronos Quartet & Tom Waits

In September 2003, Kronos teamed up with Tom Waits for a concert at Lincoln Center in New York to benefit the humanitarian organization Healing the Divide, and a live recording of the performance was released on July 10th.
Other performers that night included Philip Glass, Anoushka Shankar, and Foday Musa Suso.

Un’altra esibizione con la stessa formazione

0:00 Way Down In The Hole (Intro by James Hetfield)
5:02 Cold Cold Ground
9:44
Little Drop Of Poison
12:52
The Part You Throw Away
17:30 God’s Away On Business
21:03
Day After Tomorrow
26:48
What Keeps Mankind Alive
29:58
Diamond In Your Mind

Tom Waits – Vocals, Guitar, Organ David Harrington – Violin, John Sherba – Violin, Hank Dutt – Viola, Jeffrey Zeigler – Cello, Larry Taylor – Upright Bass
Performed at The Shoreline Amphitheatre, Mountain View, California, United States

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MIDI Controllers

Controller Zone è una interessante pagina che raccoglie link ai produttori di una serie di superfici di controllo MIDI, cioè quegli oggetti che permettono di inviare dati MIDI tramite faders, potenziometri e bottoni, oppure con sistemi un po’ meno usuali come un theremin MIDI o un sistema che genera dati a partire dalle onde cerebrali.

Zen Savauge

inconnu
Zen Savauge fa una specie di psychedelic dub avvolgendo l’ascoltatore con ritmi lenti, suoni riverberati e scratch da vinile. Di questo album, Inconnu, dice:

Inconnu, which stands for “unknown” in french, is conceptually based around the idea of finding and exploiting the unknown beauty in the chaos of nature. One major interpretive theme is that of the microscopic, macroscopic, and melancholic world in which we are connected to holistically. That idea was expressed through the use of random molecule-esque sounds bits layered underneath turbulent, looming dubbed-out melodies flowing about a motion of beat (which in my mind reflects the animation of life). The overall emotion of the tracks as a whole is that of a stark, beautiful, melancholy which is how i subjectively view the state of world.
These ideas and concepts as well as most all the track titles were derived from my reading the book “Chaos” written by James Gleick.

Zen Savauge – Inconnu play or download

Ballerina on a Boat

Un cartone animato dell’era sovietica, Ballerina on a Boat, diretto da Lev Atamanov con musiche di Alfred Schnittke.

Found on YouTube a cartoon from the soviet era directed by russian animation master Lev Atamanov, and score by Alfred Schnittke.

Harry Partch: Castor & Pollux

Castor & Pollux (1952) è un balletto strutturato in due grandi sezioni, la prima intitolata Castor e la seconda Pollux (i due dioscuri, figli di Zeus e di Leda, identificati con la costellazione dei Gemelli).
La strumentazione è quella tipica dei lavori di Partch, progettata e costruita da lui stesso e accordata sulla scala naturale. Qui abbiamo: kithara, surrogate kithara, harmonic canon, diamond marimba, cloud chamber bowls & bass marimba. Tutti gli strumenti si possono vedere e ascoltare qui.
Proprio la strumentazione caratterizza le due sezioni. Ognuna di esse, infatti, è divisa in quattro parti: tre duetti e un tutti. In entrambe le sezioni, i duetti sono intitolati:

  1. Leda and the Swan (insemination)
  2. Conception
  3. Incubation
  4. Il tutti finale si intitola Chorus of Delivery From the Egg.

Gli strumenti utilizzati in ogni sotto-sezione sono:

CASTOR
1. Leda and the Swan (Kithara II, Surrogate Kithara, and Cloud-Chamber Bowls)
2. Conception (Harmonic Canon II and High Bass Marimba)
3. lncubation (Diamond Marimba and Low Bass Marimba)
4. Chorus of Delivery From the Egg (All the foregoing instruments)

POLLUX
1. Leda and the Swan (Kithara II. Surrogate Kithara, and Low Bass Marimba)
2. Conception (Harmonic Canon II and Cloud-Chamber Bowls)
3. lncubation (Diamond Marimba and High Bass Marimba)
4. Chorus of Delivery From,the Egg (All the foregoing instruments)

CASTOR & POLLUX is a dance-theater work with a beguiling program. It is structured in two large sections, each section comprised of three duets and a tutti. The first section is entitled CASTOR, the second, POLLUX. The first duet of each section is titled Leda and the Swan (insemination); the second, Conception; the third, Incubation; and the tutti. Chorus of Delivery From the Egg. By its contrapuntal texture. CASTOR & POLLUX shows well the melodic capabilities of the instruments, and the two tutti section grand finales to the glory of birth.

Ancora Procol Harum

Tanto per continuare a parlare dei Procol Harum (una delle mie band preferite quando ero piccolo; la presenza contemporanea del piano e dell’organo era una grande idea), ascoltate un po’ questa canzone (Pilgrim’s Progress). Se orecchiate l’armonia (per i meno addetti, seguite la parte dell’organo), noterete che è praticamente identica alla più famosa Whiter Shade of Pale.
Al gruppo è stato dedicato l’asteroide 14024 scoperto nel 1986.

Procol Harum again (a favorite band when I was a boy).
Listen to this song (the first) called Pilgrim’s Progress, from a German TV show, about 1972.
You’ll see that the harmony is very closed to the famous Whiter Shade of Pale.

 

Pubblicato in Pop

Opere buone

ANSA – Tokyo, 14/07/2007

Un misterioso personaggio da circa un mese sperpera il suo patrimonio riempiendo di banconote i bagni pubblici in Giappone. Il denaro finora ritrovato dagli avventori nelle toilette pubbliche e’ di decine di migliaia di euro. Il ‘cerimoniale’ osservato dall’uomo misterioso e’ sempre lo stesso: una banconota da 10.000 yen (60 euro) e’ chiusa in una busta accompagnata dalla scritta ‘opere buone’. All’interno oltre al denaro c’e’ un messaggio che esorta a compiere buone azioni.

Boulez – Première Sonate

La prima sonata di Boulez, conposta nel 1946, eseguita da Idil Biret.
Note di programma di Jacques-Marie Lonchampt.

La prima Sonata è in due movimenti. Se conservano una certa dualità compositiva, non si tratta ovviamente più di dualità tematica ed ancora meno armonica, come era il caso nella definizione “classica” della sonate, bensì piuttosto del confronto tra diversi tipi di scritture, che si oppongono per il tempo, l’intensità, il fraseggio e si raccolgono in sezioni contrastanti.
Il primo movimento, “lento”, comincia con la presentazione di quattro elementi molto semplici: intervallo (in questo caso, sesta), appoggiatura, suono isolato e tratto incisivo, che si oppone agli altri tre altri per la sua aggressività, che contrasta con la morbidezza dell’insieme. Quest’elementi si combinano in uno sviluppo generalmente calmo, a volte interrotto da una caratteristica rabbia, che chiuderà questa sezione in un soprassalto ancora più veemente. Il tratto incisivo domina la seconda parte, più nervosa, alterndosi con passaggi in staccato. Un ritorno degli elementi iniziali indica la ri-esposizione, variata ed accorciata ma chiaramente identificabile, seguita di una coda sugli stessi elementi, che vanno finalmente a sovrapporsi in un ampio aggregato, seguito in modo inatteso di un ultimo ritorno, pianissimo, quasi beffardo rispetto alla caratteristica iniziale.
Il secondo movimento comincia con un gioco di “ping-pong” staccato tra i diversi registri, simile alle variazioni opus 27 di Webern. In seguito si assisterà ad una lunga lotta tra una sorta di toccata, che esplora nervosamente in un movimento vivo e regolare tutta la tastiera, ed i passaggi più legati e annegati nel pedale, quasi dei “mobiles” armonici che vanno della dolcezza a un’espressione più intensa. La conclusione del movimento, interrotta inizialmente da silenzi, finora rari, cederà in extremis il posto ad un ultimo ritorno della toccata.

A Salty Dog

Una delle più belle progressioni armoniche nella storia del pop (1969).

“All hands on deck! We’ve run afloat!”
I heard the captain cry
“Explore the ship! Replace the cook!
Let no one leave alive!”
Across the straits, around the horn
How far can sailors fly?
A twisted path, our tortured course
And no one left alive

We sailed for parts unknown to man
Where ships come home to die
No lofty peak, nor fortress bold
Could match our captain’s eye
Upon the seventh sea-sick day
We made our port of call
A sand so white, and sea so blue
No mortal place at all

We fired the guns and burned the mast
And rowed from ship to shore
The captain cried, we sailors wept
Our tears were tears of joy
Now many moons and many Junes
Have passed since we made land
Salty Dog, the seaman’s log
Your witness in my own hand

[NB; a salty dog, lett. un cane salato, è l’espressione inglese per un lupo di mare]

Pubblicato in Pop

Fontana Mix + Aria

Fontana Mix e Aria sono due composizioni di Cage del 1958-59 registrate qui in esecuzione simultanea e sovrapposta.
Fontana Mix è in realtà un sistema compositivo utilizzato per la prima volta nella stesura del Concerto per Piano e Orchestra (1957-58). Consiste di 10 fogli e 12 trasparenti. I fogli contengono ciascuno 6 linee curve. Dei 12 trasparenti, 10 contengono punti dispersi casualmente (7, 12, 13, 17, 18, 19, 22, 26, 29 e 30 punti), uno ha una griglia e uno ha solo una linea retta.
Piazzando i trasparenti con punti sui fogli con le curve e interpretando il tutto con l’aiuto della linea retta e della griglia, si possono ottenere indicazioni compositive.
Con questo metodo, nel 1958-59, Cage ha realizzato, presso lo studio di fonologia della RAI di Milano con l’assistenza di Marino Zuccheri, i due nastri che tradizionalmente compongono Fontana Mix.
Con lo stesso metodo, ha anche composto Water Walk Sounds of Venice, Aria, Theatre Piece e WBAI. Quest’ultimo altro non è che una serie di indicazioni liberamente combinabili per la regia del suono in brani che coinvolgono registratori, controlli di volume/tono e altoparlanti ed è spesso usato nella realizzazione di Fontana Mix.
Aria (1958) è una partitura di 20 fogli ognuno dei quali dura un massimo di 30 secondi. Il testo impiega vocali, consonanti e parole in varie lingue. La notazione consiste di linee ondulate in vari colori e 16 quadrati che rappresentano rumori vocali. I color denotano differenti stili di canto, determinati dall’esecutore.

Forse la festa sta per finire

Chissà perché qui quasi nessuno parla mai della teoria del picco di Hubbert.
Si tratta di una teoria scientifica, proposta, nella sua formulazione iniziale, nel 1956 dal geofisico americano Marion King Hubbert, riguardante l’evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata. In particolare, l’applicazione della teoria ai tassi di produzione petrolifera, risulta oggi densa di importanti conseguenze dal punto di vista geopolitico, economico e ingegneristico.
La teoria permette di prevedere, a partire dai dati relativi alla “storia” estrattiva di un giacimento minerario, la data di produzione massima della risorsa estratta nel giacimento, così come per un insieme di giacimenti o una intera regione.
In particolare, la storia di produzione della risorsa nel tempo segue una particolare curva a campana, detta appunto curva di Hubbert, che presenta in una fase iniziale una lenta crescita della produzione, che man mano aumenta fino ad un punto di flesso e quindi al picco per poi cominciare un declino dapprima lento, e quindi sempre più rapido.
Hubbert basò inizialmente la sua teoria sull’osservazione dei dati storici della produzione di carbone in Pennsylvania, giungendo solo in seguito ad una trattazione matematica generalizzata applicabile anche ad altri casi.
Estrapolando la sua teoria al futuro della produzione di petrolio degli stati continentali americani, Hubbert fece la previsione (nel 1956) che agli inizi degli anni ’70, gli USA avrebbero raggiunto il loro “picco di produzione” petrolifera.

Le conclusioni di Hubbert furono inizialmente trattate con “sufficienza” dagli ambienti scientifici ed economici, situazione che cambiò radicalmente nei primi anni 70, quando, effettivamente, i 48 stati continentali USA raggiunsero il loro picco di produzione. La concomitanza di questi eventi con le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 fece di Hubbert forse il geofisico più famoso del mondo.

Negli ultimi anni diversi studiosi in tutto il mondo (tra cui Colin Campbell, Jean Laherrère ed altri) hanno ripreso le sue teorie riuscendo, in primo luogo ad estendere l’analisi a tutti gli stati americani, ed in seguito cercando di estrapolare e formalizzare meglio i suoi risultati al fine di prevedere il picco di Hubbert della produzione mondiale di petrolio e gas naturale.
Sebbene tali analisi risultino molto più complicate a causa della grande incertezza sulle riserve petrolifere di molti stati (in particolare mediorientali), la maggior parte delle analisi fa cadere il “picco di Hubbert mondiale” all’incirca nel secondo decennio del XXI secolo o, più precisamente, tra il 2006 e, al più tardi, il 2020, anche in previsioni di eventuali crisi economiche che potrebbero temporaneamente ridurre la richiesta di petrolio.
Altri studi collegati, che tengono in conto anche lo sviluppo di fonti petrolifere “non convenzionali”, quali le sabbie bituminose, gli scisti bituminosi, e i gas liquefatti (detti anche NGL) non giungono comunque a ‘spostare’ di molto in avanti queste date.
[da wikipedia]

Ne consegue che, se Hubbert ha ragione, tra 15/20 anni si dovrebbero cominciare a sperimentare gli effetti di una produzione petrolifera in discesa a picco, avviata verso la fine. E non sarà un bel vedere…

UPDATE
Sincronicità junghiana.
Proprio adesso arriva da Nicola questo link al report di Luglio della IEA, International Energy Agency.

Flora

Flora (1989) di Tod Machover è un brano audio/video in cui la parte audio è una sovrapposizione ed elaborazione della voce del soprano Karol Bennett.
Ne risulta un contrappunto dal sapore un po’ arcaico che evolve in nuvole di suoni elettronici e moduli ritmici.
Commissionato dalla Fuji Television, la parte video (non disponibile qui) è stata creata dal computer graphics artist Yoichiro Kawaguchi.

This piece was composed by Tod Machover in 1989, on commission from Fuji Television in Tokyo, and as a collaboration with Japanese computer graphics artist Yoichiro Kawaguchi. The music does not attempt to slavishly follow the content or progression of his video; rather it uses Kawaguchi’s astonishing mixture of abstract, synthetic images and organic, life-like evolution as a metaphor for the musical composition, where melodies become splintered, and voices turn into electronic clouds and snap back again into lively rhythmic punctuations.

La funzione della musica

the function of music is to comfort the disturbed and to disturb the comfortable

from Renewable Music

UPDATE
In verità ho postato questa definizione solo perché la trovo curiosa in quanto dà luogo a una reductio ad infinitum e mi chiedo se l’inventore (che non so chi sia) o qualche lettore se ne sia reso conto.
Infatti, secondo la definizione, se qualcuno è disturbato (disturbed), la musica lo rimette a suo agio (comfortable). Ma a questo punto, essendo a proprio agio, la musica lo dovrebbe disturbare, e così via…

Cattiverie (1)

Questa fin’adesso non l’avevo mai raccontata perché non è proprio politically correct, comunque adesso ho le p…e girate e la metto.

Dunque, siamo negli USA e c’è Bocelli che canta in TV.
Lui e lei si stringono commossi davanti allo schermo e lui dice: “Però, come canta bene Pavarotti…”
E lei fa: “Sì, ma deve aver fatto una dieta; guarda com’è dimagrito…”
Lui: “È vero. Ma non deve avergli fatto bene: sembra orbo…”

Le isole senza lunedì

beringVisto che siamo in tema di ferie…

Lo stretto di Bering, situato fra l’Alaska e l’estremo oriente della Russia, è largo solo 53 miglia (circa 85 km). Considerato che nel mezzo dello stretto ci sono due isole, l’una russa e l’altra americana, separate da un braccio di mare di soli 3 km e che l’intero stretto è ghiacciato per tutto l’inverno, è la zona in cui l’Eurasia e l’America arrivano praticamente a toccarsi, è l’unico luogo in cui è possibile attraversare quell’immane fossa che è l’Oceano Pacifico, ma è anche il punto di contatto fra due realtà culturali diverse e per decenni nemiche.
Non è sempre stato così. Durante le ere glaciali, l’area dello stretto emergeva dalle acque formando un ponte di terra, detto Beringia, che poteva essere attraversato a piedi. I primi esseri umani arrivarono nel continente americano in questo modo durante l’ultima era glaciale, e si diffusero successivamente verso sud.
Lo stretto prende il nome da Vitus Bering, un esploratore russo (danese di nascita) che lo attraversò nel 1728. L’isolamento, il clima estremo, ma soprattutto le tensioni geopolitiche hanno fatto di questo luogo un limbo ghiacciato ai confini della realtà.
Ma la cosa più curiosa sono le due isole che si trovano esattamente nel mezzo.
islands
Diomede IslandsLe isole Diomede, così chiamate perché Bering vi mise piede il 16 agosto 1728, giorno di San Diomede, (russo: острова́ Диоми́да; ostrova Diomida, in inglese: Diomede Islands o Gvozdev Islands) sono due isolette rocciose conosciute con vari nomi: la più occidentale (russa) è detta, a seconda delle diverse lingue e culture, Grande Diomede (Big Diomede), Imaqliq, Nunarbuk, Isola di Ratmanov; l’isola orientale (USA) è invece detta comunemente Piccola Diomede, oppure, in alternativa, Isola di Krusenstern o Inaliq.
Le isole sono entrambe abitate principalmente da eschimesi che vivono in villaggi stabili dedicandosi alla pesca. Il villaggio USA, su Little Diomede, si chiama, ovviamente, Diomede City, dove city sembra essere un termine un po’ eccessivo, visto che gli abitanti, nel 2000, erano 146 (19.8 per km2, un luogo piuttosto tranquillo).
Fu al tempo della vendita dell’Alaska dalla Russia zarista agli Stati Uniti (1867) che il confine (linea gialla) venne fatto passare fra le due isole separando

equidistantly Krusenstern Island, or Ignaluk, from Ratmanov Island, or Nunarbuk, and heads northward infinitely until it disappears completely in the Arctic Ocean.

Ma non è solo il confine a dividere le due isole. Ci passa anche la linea di cambiamento data ed è la cosa più divertente perché questo significa che, quando a Little Diomede sono le 12 di lunedì, a Big Diomede sono le 12 di martedì. Di conseguenza gli americani possono letteralmente vedere il domani guardando verso ovest e dato che il domani appare invariabilmente uguale all’oggi, presumo che i casi di depressione non siano pochi. Di contro, il luogo è consigliato a coloro che non amano i cambiamenti.
Il lato positivo è che si possono vivere due volte le feste passando dall’isola ad ovest a quella a est. Quando, per es, a Big Diomede sono le 4 di mattina del primo dell’anno e ormai la festa sta scemando, basta farsi una camminata di 3 km sul ghiaccio per trovarsi in un villaggio in cui sono le 4 di mattina del 31/12, andare a dormire e rifarsi il capodanno.
La cosa letteralmente grandiosa è che qui si possono saltare completamente i lunedì.
Ragionate. Se ci si trova in Big Diomede alla mezzanotte della domenica, una camminata (o una remata) ci porta in Little Diomede alla mezzanotte del sabato. Si continua divertirsi, poi si va a dormire la domenica e alla mezzanotte della domenica si ritorna in Big Diomede, dove sta iniziando il martedì. Fantastico. Il lunedì è completamente sparito, sostituito da una doppia domenica. Wow!
Nell’immagine qui sotto: Diomede City.
Diomede Village

Chiamala se vuoi censura

Ruckert
L’Italia si conferma ormai uno stato esplicitamente confessionale, in pieno balzo all’indietro nel tempo rispetto a tutto ciò che il laicismo degli anni sessanta e settanta sembrava aver gettato nel dimenticatoio. Ormai si attaccano anche l’arte e i videogiochi.
La notizia arriva ancora da Punto Informatico.
Il capogruppo alla Camera dell’UDC, Luca Volonté, ha chiesto al Ministro dell’interno, al Ministro per i beni e le attività culturali e al Ministro delle comunicazioni quali provvedimenti intendessero prendere in merito al balletto “Messiah Game” del coreografo tedesco Felix Ruckert, presentato alla Biennale di Venezia e al videogame “Operation Pedopriest” realizzato da Molleindustria e ispirato alle ben note vicende dei preti pedofili.
Allora, un po’ di particolari. Secondo le note di programma, il balletto di Ruckert (di cui vedete una bellissima scena dall’Ultima Cena)

prende in prestito alcuni episodi del Nuovo Testamento – il Battesimo, la Tentazione, l’Ultima Cena, la Crocifissione, la Resurrezione – e ne dissolve l’iconografia lasciando trasparire il punto che gli sta a cuore: il rapporto ambiguo e dialettico, simbolizzato dalla figura di Gesù Cristo, tra dominio e sottomissione, tra devozione e possesso/potere. Tutte le relazioni tra i ballerini, che interpretano a turno la figura centrale, sono infatti governate emotivamente e fisicamente da giochi di potere: Felix Ruckert mostra quanta devozione ci possa essere nel dominio e quanta forza nella sottomissione mettendo in gioco sessualità e spiritualità, carne e fede.

Il bailamme su questo spettacolo che rivisita la passione di Cristo in versione sadomaso, mostrando l’ambiguità dei giochi di potere, è partito dalle dichiarazioni del patriarca di Venezia, Angelo Scola e finito in una interrogazione di Isabella Bertolini, vice presidente dei deputati di Forza Italia che ha a suo tempo dichiarato

Rutelli deve intervenire per impedire lo svolgimento di una manifestazione oscena e provocatoria. La campagna di odio e di offesa contro la religione cattolica va bloccata

Prendiamo atto che, secondo il centrodestra, gli spettacoli che, a giudizio dello stesso centrodestra, offendono la religione cattolica, vanno bloccati, senza dare a nessuno la possibilità di vederli, discuterli criticarli. Due considerazioni:

  1. Quando il centrodestra è al governo, la proposizione di cui sopra diventa “secondo il governo, gli spettacoli che, a giudizio dello stesso governo, offendono la religione cattolica, vanno bloccati”. Vista così, la cosa è quantomeno inquietante.
    Ma soprattutto colpisce la dabbenaggine di costoro. Sembra che i consulenti di Sua Emittenza non abbiano ancora insegnato loro che il modo migliore per affondare un spettacolo è passarlo sotto silenzio. Con il bailamme che hanno scatenato, anche se fossero riusciti a bloccarlo, hanno solo regalato a Ruckert molti spettatori in più in tutte le repliche europee prossime venture.
    Il punto è che non vanno a scontrarsi con uno qualsiasi. Ruckert ha lavorato con Pina Bausch, è il fondatore e curatore di xplore-sensual extremes / extreme sensualities, un festival annuale dedicato alla sessualità creativa a Berlino e di lui hanno scritto che è “sovversivo ed eccitante” (Sueddeutsche Zeitung), “pura seduzione dei sensi” (Die Welt), ma anche “irritante e offensivo” (Tagesspiegel). In questa cose si muove come un pesce nel mare. Sarà stato contentissimo di tutto questo casino.
    Ne conseguono due ipotesi:

    • il centrodestra non capisce che così facendo fa solo il gioco di ciò che vuole contrastare, e allora è incompetente, infatti, se non fosse stato per lui, non ne avremmo nemmeno parlato e non ne avreste saputo nulla, mentre adesso, la prossima volta che vedrete Ruckert in cartellone vi fischieranno le orecchie e magari ci andrete.
    • il centrodestra si rende conto che tutto ciò non serve a un’acca, ma lo prende come occasione per ergersi a paladino della cristianità di fronte all’elettorato moderato e alle gerarchie ecclesiastiche, cioè usa il fatto come strumento di lotta politica e allora è in malafede.
  2. La seconda ovvia considerazione è che non si vede, allora, perché non debbano essere bloccati anche gli spettacoli che in qualche modo offendono musulmani, ebrei, induisti, buddisti, taoisti, discordiani, aderenti al culto della vacca morta e perché no, adoratori di satana (purché lo adorino senza commettere reati).

operation pedopriestOra, invece, veniamo al gioco “Operation Pedopriest”. Tradotto in italiano, chissà come mai, con “Operazione Pretofilia”, il gioco è una pura operazione di satira. Il comunicato di Molleindustria diceva

Ancora una volta il clero è al centro delle polemiche per gli abusi ai danni dei minori. Il Vaticano ha creato una task force per garantire l’impunità dei preti pederasti. Assumi il comando delle operazioni pretofile: consolida l’omertà, insabbia le indagini, contieni lo scandalo finchè l’attenzione mediatica non sarà calata.
Non lasciare che la giustizia secolare si intrometta negli affari della Chiesa!

Il gioco inizia con una fittizia lettera del papa in cui si ordina di insabbiare tutto e questo è quello che deve fare il giocatore.
Nell’interpellanza del capogruppo dell’UDC, è descritto in questo modo

In data 25 giugno 2007 è stato rinvenuto un gioco flash, che può essere scaricato da chiunque in file «zip» dal portale www.molleindustria.it realizzato con lo scopo di attaccare la Chiesa in generale e Papa Benedetto XVI (inserendo nella prima pagina una falsa lettera autografa – Magnum Secretum). Il gioco riproduce simulazioni di stupri su bambini, e benché virtuali, alla luce della nuova normativa 38 del 2006, essi non possono essere riprodotti e divulgati

Per quanto riguarda le simulazioni di stupri di cui sopra, facciamo notare che i personaggi del gioco sono disegnati come nella figura a destra (grazie a TerrorPilot per l’immagine). In merito Molleindustria ha dichiarato:

E’ risaputo che i cristiani siano in generale molto predisposti alla sospensione dell’incredulità, ma mai avremmo pensato che dei minuscoli personaggi stilizzati potessero essere scambiati per reali. Ma se quei bambini virtuali, alti appena una manciata di pixel, fossero stati seviziati e divorati da perfidi alieni, l’onorevole Volontè si sarebbe scomodato in loro difesa? Non sarà forse il riferimento tragicamente reale, più che la qualità della rappresentazione, a dar tanto fastidio ai cattolici?

A mio avviso, la faccenda dei preti pedofili e della loro difesa è una delle cose più schifose mai fatte dalle gerarchie ecclesiastiche in epoca moderna e tutti i veri cattolici dovrebbero almeno indignarsi e scrivere lettere affinché i colpevoli, invece di essere trasferiti da qualche parte fuori vista dove poter continuare a delinquere, vengano mandati a spalare guano in qualche isoletta verso i 50 urlanti.

Dopo un po’ di interpellanze e dibattiti, il governo ha deciso: forte con i deboli e debole con i forti, ha difeso l’autonomia e libertà di espressione della fondazione Biennale mentre si è abbattuto sul videogame confermando di ritenere quel gioco e la pagina che lo ospita materiali da rimuovere dalla rete Internet (il che è solo bello da dire: come se il governo italiano avesse il controllo della rete. Inutile dire che il gioco rimane disponibile online, sia come file sulle reti di sharing che come gioco giocabile direttamente online su siti e portali dedicati: cercate Operation Pedopriest in Google).

L’idiozia italiota

Secondo Punto Informatico, Wikipedia Italia è arrivata alla sofferta decisione di eliminare le fotografie raffiguranti opere architettoniche in Italia di progettisti ancora in vita, o morti da meno di 70 anni (come previsto dalla Legge 633/1941 sul diritto d’autore). Questo perché la legislazione italiana, a differenza di molti altri paesi, non contemplerebbe il cosiddetto “panorama freedom” (diritto di panorama), che permette a chiunque di fotografare e riprodurre quanto pubblicamente visibile senza preoccuparsi di dover trovare il progettista e pagargli i diritti d’autore.
Già in Italia si costruisce poco, ma così anche le opere di Piano, Fuksas, Piacentini e di tutta l’architettura moderna italiana non potranno essere viste da nessuno (almeno quelle residenti sul territorio nazionale, perché in tutti gli altri paesi il suddetto diritto esiste).
Così, mentre la Germania finanzia lo sviluppo di Wikipedia, l’Italia la diffida dall’uso di fotografie di quadri presenti nei propri musei, come ha fatto nel gennaio 2007 la Soprintendenza per il Polo Museale fiorentino e vieta la pubblicazione delle immagini di tutte le opere architettoniche moderne presenti nel proprio territorio.
C’è da chiedersi se, a questo punto, anche Google Earth sarà costretto a mascherare le sue foto satellitari con bollini neri sparsi per tutto il nostro paese.

In realtà un sistema per ovviare a questa legge idiota ci sarebbe. Basterebbe che l’Ordine interpellasse i propri aderenti o i loro eredi chiedendo di concedere motu proprio il diritto di panorama. Ma la vedo male…

I remember you well, in Chelsea Hotel…

chelsea hotel
…così inizia la canzone in cui Leonard Cohen ricorda la sua (breve) storia con Janis Joplin.
Ma la lista degli artisti che hanno abitato questo storico edificio al 222 West della 23ma strada è sterminata.
È il luogo in cui Dylan Thomas morì alcolizzato il 4 novembre 1953, Arthur Clarke scrisse 2001 Odissea nello Spazio, Allen Ginsberg e Gregory Corso si scambiarono idee e poesie, Sid Vicious accoltellò la sua girlfriend, Nancy Spungen, il 12 ottobre 1978 e Charles R. Jackson, autore di The Lost Weekend (portato in film da Billy Wilder: Giorni Perduti) si suicidò il 21 settembre 1968.
Ma è anche il luogo in cui vissero e scrissero persone come Mark Twain, William S. Burroughs, Arthur Miller, Gore Vidal, Tennessee Williams, Jack Kerouac, Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre, Thomas Wolfe, Patti Smith, Virgil Thomson, Dee Dee Ramone, John Cale, Édith Piaf, Joni Mitchell, Bob Dylan, Jimi Hendrix, Richard Hell (e anche il sottoscritto per circa un mese :mrgreen: ).
Ci abitò la troupe di Andy Warhol quando girava The Chelsea Girls (1966) e qui vissero, spesso pagando i conti con quadri o foto, artisti come Christo, Arman, Richard Bernstein, Ralph Gibson, Robert Mapplethorpe, Frida Kahlo, Diego Rivera, Robert Crumb, Jasper Johns, Claes Oldenburg, Vali Myers, Donald Baechler, Willem De Kooning e Henri Cartier-Bresson.
“A rest stop for Rare Individuals”, così, a buon diritto, recita il sito del Chelsea Hotel per cui, però, sembra ormai giunta la fine. La famiglia Bard (attualmente rappresentata dal 72enne Stanley e da suo figlio David) che lo amministrava con illuminata magnanimità dal 1946, rifiutandosi di cedere alla logica degli alti prezzi degli alberghi di Manhattan è stata estromessa dal consiglio di amministrazione, che ha affidato il timone dell’hotel a un team reduce dalle ristrutturazioni di tre alberghi extralusso.
Così la storia di un hotel del quale The New York Times Book Review ha scritto che

si può considerare uno dei pochi luoghi civilizzati della città, se per civiltà si intende la libertà dello spirito, la tolleranza delle diversità, la creatività e l’arte

potrebbe finire, sacrificata sull’altare del libero mercato, diventando un luogo frequentabile solo da star extralusso che di storia non ne hanno e nemmeno la fanno.
In questo caso, il Chelsea Hotel potrebbe diventare solo un territorio dello spirito, come è stato per il Beat Hotel, leggendario centro della beat generation a Parigi, che ormai non esiste più. Ora al numero 9 di rue Git-le-Coeur è situato lo sciccoso Relais-Hotel du Vieux Paris.

Dancing in the S.N.O.W. with Tanks

Dancing in the S.N.O.W. with Tanks (danzando nella neve con carri armati) è un altro brano del nostro duo che accosta le vibrazioni delle campanine ortodosse a sonorità di tipo industriale.
Il titolo viene da un mio antico ricordo: quello di un monastero ortodosso con intorno un parco, la neve alta, il vento e il fruscio dei passi della gente che si avvia verso la chiesa mentre diverse campanine suonano ripetutamente creando un sottofondo continuo, ma fuori, subito al di là del parco, si muovono carri armati.
Alla fine, quando i carri hanno preso posizione e i soldati entrano nel parco, io e la mia interprete siamo gli unici rimasti fuori ed è calata una pace minacciosa, ma sensibile, tanto che anche i soldati avanzano lentamente, attenti a non fare rumore…
(ciò non toglie che immediatamente dopo sequestrano la mia macchina fotografica e riducono la pellicola a un groviglio di plastica accartocciata)

NB: con la banda ridotta degli schifosissimi altoparlantini del computer se ne sente metà (forse meno). Mancano i bassi e gli acuti estremi e sia le fasce continue che gli intermezzi rumoristici perdono completamente di profondità. Sorry.

Federico Mosconi: electric guitar, various effect processing
Mauro Graziani: Max/MSP laptop

Dancing in the S.N.O.W. with Tanks

Non sono i primi

Igudesman & Joo non sono i primi a farci ridere con i classici. Guardatevi Dudley Moore, nei primi anni ’60, mentre si lancia in una parodia della sonata beethoveniana usando il tema del Ponte sul Fiume Kwai.

In this clip from the 1950’s-60s British comedy group “Beyond the Fringe,” Dudley Moore plays a very funny but also very musically well-done parody of a Beethoven Piano Sonata, using the famous whistling tune from “Bridge Over the River Kwai” as a thematic subject.

La gente e i loro avatar

avatar
NAME Choi Seang Rak BORN 1971 OCCUPATION Academic LOCATION Seoul, South Korea AVATAR NAME Uroo Ahs AVATAR CREATED 2004 GAME PLAYED Lineage II HOURS PER WEEK IN-GAME 8 CHARACTER TYPE Dwarf Warsmith SPECIAL ABILITIES Craft siege weapons, whirlwind in battle.

Il New York Times presenta una gallerie di persone e dei loro avatar in giochi come Second Life et similia.
Da quanto si vede, nella maggior parte dei casi, l’avatar è quello che la persona vorrebbe essere, ma non può essere a volte per forza maggiore, altre volte solo per pigrizia o mancanza di decisione. Spesso, infatti, è quasi identico alla persona, solo migliorata: più magra, più muscolosa, più proporzionata…
Altre volte è un essere completamente diverso, nato dalla curiosità di scoprire come si vive con il corpo di qualcos’altro (i cambiamenti di sesso, per es., sono comuni).
Ma non è sempre così. Per qualcuno è diverso. I miei avatar, per esempio, incarnano sempre la parte peggiore di me, quella più distruttiva, assetata di sangue e di maleficio.
Una statistica sarebbe interessante…

Ispirato da un post di Genius Loci

Sonic Visualizer

sonic visualizer

Un ottimo software per l’analisi del suono e per di più open source e gratuito sviluppato presso il Centre for Digital Music at Queen Mary, University of London.
Prodotto per Linux e Windoze (io ho provato solo il primo, ma suppongo siano uguali), dispone, fra l’altro, di FFT, spettrogramma 2D, stima del pitch e possibilità di inserire annotazioni in overlay. Su Linux è in grado di utilizzare tutti i LADSPA plugins per l’elaborazione audio. Ottimo per il ricercatore e per il musicista elettronico. Cliccate sull’immagine per ingrandirla.
Ecco il sito da cui scaricarlo e la pagina delle features.

Grand pianos on the beach

pianosVicino a Schiermonnikoog, Friesland (Netherlands, 53º 30′ 2.74″ N 6º 9′ 50.46″ E) si trovano (trovavano?) questi enormi pianoforti abbandonati sulla spiaggia, immortalati in una foto di Gerard Kip.
Qui l’immagine in dimensioni originali.

Near Schiermonnikoog, Friesland (Netherlands, 53º 30′ 2.74″ N 6º 9′ 50.46″ E) there are (was?) this big grand pianos on the beach. Photo by Gerard Kip.
Click here for a larger image.

UFO!

kenneth arnoldIeri, 24 giugno, era il 60° anniversario del primo avvistamento UFO dell’era moderna: quello di Kenneth Arnold (a sin.), dopo il quale, nel giro di poche settimane, si scatenò una serie di centinaia di avvistamenti negli Stati Uniti, ma anche in altri stati, che culminarono, il 2 luglio 1947, nel famoso Incidente di Roswell.
In realtà tutta questa faccenda resta uno dei grandi enigmi del secolo scorso, tema di innumerevoli racconti, film, serie televisive (vedi X-Files) e sempre in dubbio fra realtà, fantasia e ipotesi di complotto (vedi la storia del Majestic-12 di cui parleremo).

Il 24 giugno del 1947, Kenneth Arnold, un ricco uomo d’affari americano, raccontò di avere visto dal proprio aereo privato, senza identificarli, nove oggetti simili a dischi volanti librarsi in formazione serrata vicino al monte Rainer, nello stato di Washington. Questo avvistamento portò all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale il fenomeno UFO, dando vita all’ufologia. In realtà si trattava, probabilmente, di nove aerei ad ala volante della Northtop, vincolati al silenzio radio e radar e senza insegne militari, che venivano collaudati a quei tempi nei dintorni di Seattle, vicino a dove oggi giorno si trovano le fabbriche della Boeing.

Brevemente, dopo il suo avvistamento, Arnold atterrò a Yakima (Washington), dove fece un normale rapporto all’Amministrazione dell’Aeronautica Civile. Quando sulla via del ritorno si fermò a Pendleton, Oregon per far rifornimento, raccontò la sua storia ad un gruppo di ascoltatori curiosi fra cui vi erano anche dei giornalisti. Diversi anni più tardi Arnold disse ai giornalisti che “il loro moto era irregolare, come un piattino lanciato sull’acqua”, da cui fu coniato il termine di “flying saucer” (letteralmente “piattini volanti”). Un altro termine con cui vengono più comunemente descritti gli oggetti che Arnold vide è “dischi volanti” (o semplicemente “dischi”). Arnold sostenne di essere stato frainteso in quanto la descrizione che aveva fornito era riferita al movimento degli oggetti piuttosto che al loro aspetto.
In ogni caso la vera forma descritta da Arnold era molto complicata. Subito dopo il suo avvistamento, egli descrisse gli oggetti come sottili e piani, arrotondati nella parte anteriore ma tagliati nella parte posteriore e terminanti con due punte, più o meno come un piattino o un disco. Per esempio, in un’intervista rilasciata alla radio due giorni dopo l’avvistamento, egli li descrisse come “qualcosa come un piatto da torta che è stato tagliato a metà con una specie di un triangolo convesso nella parte posteriore”. Nella storia pubblicata lo stesso giorno, venne riportata la seguente citazione: “Avevano la forma di piattini ed erano così sottili che potevo vederli a mala pena”. Il giorno seguente nel Portland Oregon Journal, la citazione di Arnold fu “Avevano l’aspetto di mezzelune, ovali davanti e convesse dietro. … sembravano dei grandi dischi piatti”.

In seguito a questo avvistamento e ai successivi, l’aeronautica americana dette il via a un progetto di ricerca per accertare la reale natura di tali casi.
Il primo, partito alla fine del 1947 fu il cosiddetto Project Sign che, sebbene ufficialmente non arrivasse a nessuna conclusione, in base a quanto dichiarato dal capitano Ruppelt (di cui parleremo), giunse invece ad affermare che gli UFO non erano aerei di costruzione terrestre. Quando, però, questa stima arrivò al Pentagono, fu dichiarata inconsistente e il progetto venne chiuso alla fine del 1948.
Il successore di Sign fu il Project Grudge che, a quanto sembra, aveva un mandato di debunking (atteggiamento scettico al fine di arrivare a una smentita) ed effettivamente la sua conclusione riportava la maggior parte dei casi a fenomeni naturali o oggetti volanti conosciuti, sebbene un 23% rimanesse senza spiegazione.

E così si arriva alla fine del 1951, quando parecchi generali USAF, scontenti per lo stato delle ricerche, chiusero Grudge, dando il via al famosissimo Project Blue Book all’inizio del 1952 (il nome si ispirava ai libretti blu in cui venivano riportati i risultati degli esperimenti nelle università).
Il già citato capitano Ruppelt fu il primo direttore del progetto e fu lui a coniare l’acronimo UFO (unidentified flying object), più neutro e scientifico dei vari piattini volanti e simili.
Lo sforzo di Ruppelt era teso ad affrontare il problema in maniera scientifica, uniformando il modo in cui venivano stesi i rapporti, creando un questionario standard che gli avvistatori dovevano completare e schedando il tutto in forma rigorosa per rendere possibile una analisi statistica, arrivando infine a pubblicare il Project Blue Book Special Report No. 14 (1951) le cui conclusioni erano che, su 3200 casi esaminati, il 68% era spiegabile, nel 9% non c’erano sufficienti informazioni e il 22% doveva essere considerato inspiegabile.
In fondo, il risultato era simile a quello di Grudge, ma l’innovazione di Ruppelt fu di classificare anche la qualità della documentazione degli avvistamenti da eccellente a povera. Ebbene, risultò che ben il 35% dei casi con documentazione eccellente risultavano inspiegabili contro il 18% di quelli con documentazione povera, contrastando le teorie degli scettici che affermavano che l’assenza di una spiegazione era dovuta alla povertà della documentazione.

Nel 1952, dopo una serie di avvistamenti sia visivi che radar intorno all’aeroporto di Washington, la CIA creò un gruppo di scienziati guidati dal Dr. Robertson (fisico del Caltech) per indagare.
Vista l’origine, non sorprende che il gruppo arrivasse alla conclusione che il fenomeno era un falso, forse appositamente costruito per mascherare le vere minacce al sistema difensivo USA o per minare la fiducia della gente nel governo. Essi suggerirono di iniziare una vasta campagna di smentite nonché di ridicolizzare l’intera faccenda attraverso i media coinvolgendo anche compagnie cinematografiche come Walt Disney.
Nei dicembre del 1953, per esempio, fu proibito al personale militare di parlare ai media di UFO e la documentazione venne classificata. Nello stesso tempo le risorse destinate al Blue Book vennero via via ridotte e l’autonomia del gruppo limitata fino a quando, nel 1954, Ruppelt venne sostituito dal capitano Hardin con l’ordine di ridurre al minimo il numero degli avvistamenti inspiegabili. Nel 1956, infatti, gli UFO erano scesi dal 22% a meno dell’1%.
Questa situazione continuò a peggiorare con il capitano Gregory, direttore dal ’56 al ’58. I casi definiti “possibili” UFO divennero “probabili” e l’attività investigativa piombò a zero.

L’atteggiamento di basso profilo venne mantenuto anche con i successivi direttori (maggiori Friend e Quintanilla) e negli anni ’60 l’iniziativa in questo campo passò nelle mani dei media e delle organizzazioni non governative, spesso sostenute anche da personalità di spicco, come l’astronomo Allen Hyneck (che a volte, però, si lasciavano prendere la mano dalla notorietà).
L’interesse dei media, comunque, ravvivò la discussione sul problema portandola fino al Congresso e sollevando aspre critiche alla gestione dell’affare. Fortunatamente negli USA le leggi sulla declassificazione dei documenti governativi esistono e sono applicate per cui, dopo un certo tempo (circa 20 anni, ma cambia in base al livello di segretezza) le carte devono essere messe a disposizione del pubblico e i media possono così esaminarle.
Ciò nonostante, il Progetto Blue Book venne infine chiuso il 30/01/1970 e la documentazione venne trasferita alla Maxwell-Gunter Air Force Base in Alabama, un luogo “accessibile ma non troppo”.
L’atteggiamento attuale della USAF è che non esiste nessuna prova che identifichi i casi definiti inspiegabili come causati da attività extra-terrestre.

In realtà questa faccenda è un vero casino perché si incrocia anche con documenti che sembrano suggerire ipotesi di insabbiamento, come quella del Majestic-12, un comitato apparentemente creato nel 1947 dal presidente Truman allo scopo di nascondere la verità sugli UFO o quella della vera funzione dell’Area 51 o ancora l’affaire Bob Lazar.

In quanto all’opinione del sottoscritto, lasciatemi dire che mi piacerebbe tanto che questi maledetti extra-terrestri dessero una prova della loro presenza, ma che comincio a disperare, anche perché, da buon egocentrico, penso che se veramente esistessero avrebbero sicuramente cercato di mettersi in contatto con ME! 8)

NB: buona parte di questa storia è tratta da wikipedia, versioni italiana e inglese

Tania Chen & Li-Chuan Chong

tania chen
Una lunga e bella improvvisazione di Tania Chen (pno) & Li-Chuan Chong (laptop) distribuita dalla netlabel Interlace.
Apprezzo molto il fatto che Tania Chen, giovane ed emergente pianista e compositrice contemporanea, si dedichi anche all’improvvisazione e riesca a mantenere intatto il suo linguaggio anche in tale contesto.

A long and beautiful improvisation by Tania Chen (pno) & Li-Chuan Chong (laptop) from the site of the netlabel Interlace.
I am pleased to see that Tania Chen, young and emerging exponent of contemporary piano music, is also writing her own music and playing improvised music with piano, electronic and voice.

Tania Chen (pno) & Li-Chuan Chong (laptop) – December, 10 2005 – recordings of sets from the INTERLACE series

Ruby Tuesday

AnteScriptum per te: niente paura, non sono triste; me la sto solo tirando un po’ :mrgreen:

Ho sempre amato le canzoni lente dei Rolling Stones perché chi ha davvero dentro il rock ha dentro anche una buona dose di malinconia…
E fra tutte ho sempre amato Ruby Tuesday, dal testo all’apparenza sciocchino, ma con quel bel verso “While the sun is bright Or in the darkest night No-one knows She comes and goes” e il finale dell’inciso “Still I’m gonna miss you”.
Adesso su absonderpop trovo questo post in cui sono raccolte molte (tutte?) le versioni di questo brano: dall’originale degli Stones fino a questa bella interpretazione di Melanie Safka (ascoltatela!), passando anche per una versione jazzata by Sex Mob.
Ascoltandole, forse noterete che, a parte l’originale, questa canzone viene meglio alle donne che agli uomini (my opinion), a parte Julian Lennon che a tratti riesce quasi ad assomigliare a suo padre e dell’originale mantiene sia la rullata che la parte di flauto dolce che fu di Brian Jones.
So che, dati i miei gusti musicali, dovrebbe piacermi quella di Battiato, ma non ci riesco: se la tira troppo. È solo una canzone, maledizione!

Cilindri e dischi

cilindro
solchi

1877: Edison registra la voce umana (“Mary had a little lamb”) mediante solchi incisi su un cilindro di stagno.
Per avere un’idea della resa, questa è la voce di Edison registrata da uno dei suoi fonografi. Non è male pensando all’epoca, ma ovviamente è voce parlata, quindi a banda limitata; la musica sarebbe venuta molto peggio. È interessante notare come Edison si rendesse perfettamente conto dei suoi limiti: il fonografo, infatti, non venne pubblicizzato come apparecchio per incidere musica, ma come dittafono per ufficio o per l’archiviazione di discorsi e di testimonianze di vari tipi (processi, riunioni, etc). La storia lo smentirà in breve.
Il fonografo fu brevettato nel 1878.
Negli anni seguenti altri inventori cercarono di migliorare il prototipo di Edison apportando varianti tali da giustificare altri brevetti (non si brevetta l’idea, ma l’oggetto). Nel 1885, Bell e Tainter brevettarono il “grafofono” che usava cilindri ricoperti di cera, mentre, nel 1887, Berliner creò il “grammofono” che incideva un disco al posto del cilindro.
Quest’ultimo fu il primo ad arrivare alla produzione di massa nel 1888 con un disco di 7 pollici che girava a 30 giri/min. (2 min di durata). Ma, solo un anno dopo, Edward D. Easton fondò la Columbia Phonograph Co. con l’idea di commercializzare un sistema a cilindri. Era l’inizio della lotta “cilindro contro disco” che continuerà fino al 1913.
Sopra: il Fonografo di Edison e i solchi di “Mary had a little lamb”.

victorNel 1890 abbiamo il primo jukebox a cilindri. Esposto al San Francisco’s Palais Royal Saloon e funzionante a monete, incassò più di $ 1000 in 6 mesi nonostante disponesse di soli 4 cilindri.
La produzione di massa inizia nel 1893: Berliner vende 1000 grammofoni e 25000 dischi. In pochi anni vengono fondate varie etichette discografiche, fra cui Victor e Odeon.
Nel 1903, in Europa, si vendono dischi da 10 pollici (circa 25 cm, durata 4 minuti) di artisti famosi come Caruso. Viene registrato l’Ernani, di Verdi, su 40 dischi. Si realizza un prototipo di disco inciso su ambo i lati. A lato: il famoso logo della Victor.
1908: i primi famosi cantanti americani dell’epoca (John Lomax, John McCormack) firmano contratti discografici.
Nel 1910 erano già disponibili dischi a 78 giri con formati da 7 a 21 pollici e durata fino a 8 minuti. Nel frattempo (1909) era stata inventata la bakelite, una resina plastica con cui i dischi venivano costruiti e stampati a caldo.

Anche per i musicisti si apre l’era della riproducibilità tecnica che, insieme alla radio inventata nel 1894, rivolta letteralmente il modo in cui si concepisce la musica.

I Colori della Città Celeste

I colori interni di questo brano emenano da cinque citazioni dall’Apocalisse (Rivelazione IV, 3; VIII,6; IX,1; XXI,11; XXI,19-20), come lo stesso Messiaen spiega qui sotto.
I riferimenti ai canti degli uccelli si spiegano sapendo che Messiaen era anche un appazionato ornitologo. Inoltre era anche un sinesteta e precisamente percepiva colori insieme ai suoni.

The form of the piece depends entirely on colours. The themes, melodic or rhythmic and the complexes of sounds and timbres evolve like colours. In their perpetually renewed variations, there can be found (by analogy) colours that influence their neighbors, shading down to white, or toned down to black. These transformations can be compared to the superimposition of plays enacted on several stages, the simultaneous unfolding of several different stories that assume and call out for it. Plainsong Alleluias, Greek and Hindu rhythms, permutations of note-values, the bird-song of different countries were all collected and used in this work. All these accumulated materials are placed at the service of colour and of the combinations of sounds that assume and call out for it. The sound-colours, in their turn, are a symbol of the Celestial City and of Him who dwells there. Above all time, above all place, in a light without light, in a night without night… That which the Apocalypse, still more terrifying in its humility than in its visions of glory, describes only in a blaze of colours… To the song of two New Zealand birds is opposed “the abyss”, with its pedal-notes for the trombones and the resonance of tam-tams. To the cries of the Brazilian Araponga is opposed “the coloured ecstasy” of pedal points. The work ending no differently from the way it began, but turning on itself like a rose-window of flamboyant and invisible colours.

Olivier Messiaen, Les Couleurs de la Cité Céleste, per piano, 3 clarinetti, 3 xilofoni, ottoni and percussioni.
Orchestre National de France, Myung-Whun Chung, Conductor

La prima macchina musicale (forse)

colosso di memnone
L’idea di costruire una macchina in grado di riprodurre la musica è sempre esistita.
La prima macchina “musicale” di cui abbiamo notizia è la colossale statua di Memnone a Tebe, costruita intorno al 1500 AC. In realtà si tratta di due statue gemelle che rappresentano il faraone Amenhotep III (XV secolo AC) in posizione seduta, con le mani sulle ginocchia e lo sguardo rivolto a est, verso il fiume e il sole nascente. Solo una di esse, però, era sonora.
Il nome con cui sono tuttora conosciute queste statue, Colossi di Memnone, fu coniato dagli storici greci, che le associarono all’eroe mitologico.

Memnone, infatti, è un personaggio omerico: re etiope, figlio dell’Aurora e di un principe troiano, accorse in aiuto di Troia e perì sotto le sue mura per mano di Achille.
Nell’immaginazione dei visitatori di età classica, l’eroe raffigurato nella statua salutava la madre (Eos dea dell’alba) con un suono come di corde di cetra che si spezzassero. La cosa è stata spiegata con la presenza, nella quarzite in cui è intagliata la statua, di cristalli, i quali in un certo qual modo si assestavano in seguito alla differenza di temperatura, veramente notevole in quella zona, tra la notte ed il giorno. [ipotesi del prof. Barocas].
Dopo un restauro, effettuato in epoca romana per volere dell’imperatore Settimio Severo, nel 199 d.C. i suoni cessarono di essere udibili.

tratto dalla mia dispensa dedicata alla Cronologia della Tecnologia Audio e della Musica Elettroacustica.

…Amo l’immensa superficie del silenzio

If music were to assume human form and explain its essence, it may say something like this: “…I love the vast surface of silence; and it is my chief delight to break it.”

Se la musica potesse assumere forma umana e spiegare la propria essenza, direbbe qualcosa come: “…Amo l’immensa superficie del silenzio; e il mio principale piacere consiste nell’interromperla”. [trad. mia]

Carl Nielsen (1865-1931), compositore danese
from The Rest is Noise

La citazione, tratta dal blog di Alex Ross, è molto bella e poetica, ma io non la condivido. È inconsistente. Sono solo belle parole messe in fila.
Prima di tutto perché ripropone l’antica contrapposizione fra suono e silenzio, che Cage ha mostrato essere illusoria.
Finché c’è un mezzo che trasporta il suono, il silenzio, infatti, non esiste. Cage racconta la parabola della camera anecoica nella quale, chiuso in una stanza ermetica al suono, egli cominciò a sentire i suoni prodotti all’interno del proprio corpo: il basso hum della circolazione sanguigna e il beep del sistema nervoso.
Allora qualcuno ha tentato di risolvere l’impasse affermando che dove c’è vita c’è suono, ma nemmeno questo è vero. Nel deserto più deserto possibile, la sabbia si riscalda e poi si raffredda emettendo un leggerissimo sibilo e una quantità di altrettanto flebili crick. E i deserti di ghiaccio sono ancora più rumorosi.
Bisogna andare fuori da qualsiasi atmosfera per trovare il silenzio, ma qui nemmeno la musica ha spazio. Il suono e quindi il non-silenzio è la condizione perché la musica esista.
Allora la musica non emerge dal silenzio, può solo emergere dalla non musica. Quindi la musica è suono organizzato, come affermava Varèse?
Forse, ma organizzato da chi? O da cosa? Il vento che soffia fra due montagne in una valle dimenticata o il disgelo della Dvina sentito dall’alto di una collina producono della musica coerente, che trova in sé stessa la propria giustificazione e arriva a degli estremi di dolcezza e di forza con cui le nostre composizioni non possono nemmeno competere…

Se ne è accorto perfino Bob Dylan:
Lay down your weary tune, lay down, Lay down the song you strum
And rest yourself ‘neath the strength of strings, No voice can hope to hum
The ocean wild like an organ played, The seaweed wove its strands
The crashing waves like cymbals clashed, Against the rocks and the sand

Verona Blog Awards 2007

Verona Blogs Awards 2007: i nominati
È partito il poll di Verona Blog per designare i migliori blog fra più di 200 che compongono il variegato panorama della VeronaSphere.
Sono lieto di annunciarvi che il vostro eroe ha ottenuto il maggior numero di nomination entrando in ben 5 categorie su 8 e cioè (i nomi sono quelli dei personaggi di Romeo & Juliet):

  • Padre Lorenzo – Miglior blog culturale
  • La balia – Miglior blog di servizio (trad.: utile, informativo)
  • Tebaldo – Miglior Blog artistico
  • Paride – Miglior grafica
  • Il principe di Verona – Post dell’anno, per Il deposito dei 10000 anni

Per smentire la nefasta tradizione secondo la quale il plurinominato resta a mani vuote, vi invito non a votare brutalmente il sottoscritto (che sarebbe di una eccelsa cafonaggine), bensì a guardarvi i nominati e votare il migliore :mrgreen:.
Scoprirete, fra l’altro, molti blog belli che vale la pena di frequentare.

Come si vota
Scaricate questo foglio excel (.xls).
Apritelo e guardatevi i blog cliccando i nomi (il file contiene tutti i link).
Per ogni categoria, scrivete 3 accanto al blog migliore, 2 accanto alla seconda scelta, 1 accanto all’ultima opzione.
E’ obbligatorio, pena il non conteggio della scheda, votare per tutte le categorie
Scadenza improrogabile: martedì 26 giugno.

Infine, salvate e inviate il file xls come allegato in una email all’indirizzo
veronablog chiocciola gmail punto com
Attenzione: fate una email e allegate il file xls; non usate l’eventuale opzione “invia” che magari trovate nel menu di excel perché, in alcune versioni, fa cazz..e (invia il contenuto invece del file vero e proprio).

Grazie.

And Romeo wanted Juliet
e poi ribadisce
Juliet wanted Romeo…
[Lou Reed, parlando della sua canzone “Romeo & Juliet”]

Spam

Anche oggi, come tutti i giorni, ho eliminato il solito centinaio di commenti spam, bloccati preventivamente dal sistema, che segnalano siti porno, casino online, vendite di farmaci online (ormai la maggioranza), varie ed eventuali.
Fra queste ultime spicca il seguente messaggio che pubblicizza un sito di cartoline di natale (sì, cartoline di natale adesso) con il seguente comunicato

Saluti..
voi fatto originale atmosfera 🙂
Qualcuno qui era desideri a generi:
La cartoline virtuali traduzioni prese inizia trovi cartolina amore estero del nel potrai dichiarare postali messaggi! Alcuni luoghi cartoline auguri una piccola tassa per trasmettere
Cartoline compleanno di online animali mil di pesci e feste la cuore. Mmm.. Noi desideri elimini positivo soddisfare dove presenti, ho trovato il here [link] – frasi ti . Biglietti auguri saresti la melodia di tua natale!
Puo essere cercato alcuni :-/

Se fossi quello che ha pagato lo spammer gli chiederei i soldi indietro.

Canti di Innocenza e di Esperienza

Tyger
I Canti di Innocenza e di Esperienza di William Blake (28 novembre 1757 – 12 agosto 1827), poeta e artista visionario inglese possono essere scaricati liberamente da Project Gutenberg o ascoltati all’Internet Archive grazie a Librivox.

The Songs of Innocence and ExperienceWilliam Blake (November 28, 1757 – August 12, 1827) was an English poet, visionary, painter, and printmaker. Largely unrecognized during his lifetime, Blake’s work is today considered seminal and significant in the history of both poetry and the visual arts. He was voted 38th in a poll of the 100 Greatest Britons organized by the BBC in 2002.
You can freely download The Songs of Innocence and Experience from Project Gutenberg or listen in audio form from Librivox at the Internet Archive.

Immagine ingrandita / Larger Image

Ascolta / Listen to
The Tyger
Read by: Gord Mackenzie

The Tyger


Tyger ! Tyger! Burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?

In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare seize the fire?
And what shoulder, and what art,
Could twist the sinews of thy heart?
And when thy heart began to beat,
What dread hand? And what dread feet?

What the hammer? What the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? What dread grasp
Dare its deadly terrors grasp?

When the stars threw down their spears,
And water’d heaven with their tears
Did he smile his work to see?
Did he who made the Lamb make thee?

Tyger! Tyger! Burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye,
Dare frame thy fearful symmetry?

La Tigre
traduzione di G.Ungaretti


Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?

In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?

Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?

Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
e il paradiso empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
Chi l’Agnello creò, creò anche te?

Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?

Polina Voronova

https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSK_ZM3_qLS1_rJ8V8-nEUhf-oGfQ5LAC2i4wTV3lFlFhw72c8klpJtcm9MAw&s
Russian sound artist Polina Voronova creates shimmering tapestries that walk the fine line between pretty and mystical. Minimal and drone oriented, her compositions are often delicate and full are bell-like tones; a city of chimes and tuning forks.
The album is free available from the Excentrica netlabel in 320kbps MP3.

Download all album in from here.

Ultime Parole

UPDATE 2023

This site no longer exists (a page tells: mylastemail.com is coming soon), but the idea is interesting

Welcome to mylastemail.com where we offer you special Online Memorial and Online Obituary services.

You can create an Online Memorial where you can leave an internet legacy of special messages for your friends, family and loved ones which they will receive after you have died. A legacy they can treasure forever.

With our Online Memorial service you can leave letters and photographs or a specially recorded video message. And at mylastemail.com your internet legacy can be accessed by friends and family across the world. Even when you have gone they will still be able to see and hear you.

Now you need never leave anything left unsaid.

The funniest thing is the slogan: Preparing Today for Tomorrow

Pubblicato in Web

1 giugno 1967

cover
Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band compie 40 anni. L’album venne messo in vendita in Gran Bretagna il 1 giugno 1967 e in America il giorno seguente, dopo un periodo di registrazione durato ben 129 giorni nello studio 2 della Emi equipaggiato con 2 Studer a 4 piste, equipaggiamento notevole per quei tempi, ma che appare assolutamente ridicolo oggi.
Oltre a una incredibile quantità di innovazioni artistiche e stilistiche, con questo album i Beatles (ma anche George Martin, produttore e Geoff Emerick, sound engineer) portarono molte novità tecniche. Dall’uso di wah-wah e fuzzbox, nuovo per i Beatles ma non in assoluto, a voci e strumenti passati attraverso al leslie, fino al direct input del basso. collegato direttamente al mixer invece che a un amplificatore con relativo microfono e all’utilizzazione del Dolby in registrazione per ridurre il rumore di fondo generato dal bouncing (il pre-mixer delle 4 piste di un registratore su una dell’altro per aumentare in numero delle sovraincisioni).
Altri effetti usati per la prima volta in questo album sono l’automatic double tracking (ADT), un sistema inventato nel 1965 dal tecnico Emi Ken Townshend, che produce automaticamente uno sdoppiamento (doubling) del suono con alcuni millisecondi di ritardo e il varispeed che consiste nel registrare varie piste a velocità leggermente diverse (si sente bene sul backing voice di Lucy in the Sky with Diamonds).
Infine, l’album originale (ovvero, non in edizione americana) finisce con alcuni secondi di un tono a 15 kilohertz, suggerito da Lennon e secondo le sue parole, “especially intended to annoy your dog”, che portava la gente a chiedersi perché al termine del disco il cane abbaiasse sempre, seguito da un loop senza fine di voci, risate e vari rumori che venne spesso interpretato come un messaggio segreto. In realtà, anche ad una attenta analisi, l’unica frase che si distingue è quella di una voce accelerata che dice “never could see any other way”.
Il collage in copertina venne ideato dall’art director Robert Fraser, un artista inglese di una certa rilevanza negli anni ’60, e progettato dall’artista pop Sir Peter Thomas Blake (per sole 200 sterline). Dalla lista originale di 65 personaggi (+ 2 * 4 Beatles), vennero poi epurati: Cristo (la dichiarazione di Lennon sulla popolarità dei Beatles superiore a quella di Cristo aveva già prodotto abbastanza guai), Gandhi, per non avere noie con il mercato indiano e il comico Leo Gorcey che aveva chiesto £ 500 per l’uso della sua immagine. Anche Adolf Hitler era presente in alcune immagini, ma venne coperto nella foto finale, spostandolo dietro le immagini dei Beatles. La lista completa dei personaggi, tratta da wikipedia, è (dall’alto al basso)

Top row:

  1. Sri Yukteswar Giri (guru)
  2. Aleister Crowley (occultist)
  3. Mae West (actress)
  4. Lenny Bruce (comedian)
  5. Karlheinz Stockhausen (composer)
  6. W. C. Fields (comedian/actor)
  7. Carl Gustav Jung (psychologist)
  8. Edgar Allan Poe (writer)
  9. Fred Astaire (actor/dancer)
  10. Richard Merkin (artist)
  11. The Vargas Girl (by artist Alberto Vargas)
  12. Leo Gorcey (actor) (removed)
  13. Huntz Hall (actor)
  14. Simon Rodia (designer and builder of the Watts Towers)
  15. Bob Dylan (singer/songwriter)

Second row:

  1. Aubrey Beardsley (illustrator)
  2. Sir Robert Peel (British Prime Minister)
  3. Aldous Huxley (writer)
  4. Dylan Thomas (poet)
  5. Terry Southern (writer)
  6. Dion (singer)
  7. Tony Curtis (actor)
  8. Wallace Berman (artist)
  9. Tommy Handley (comic)
  10. Marilyn Monroe (actress)
  11. William S. Burroughs (writer)
  12. Sri Mahavatar Babaji (guru)
  13. Stan Laurel (comedian/actor)
  14. Richard Lindner (artist)
  15. Oliver Hardy (comedian/actor)
  16. Karl Marx (political philosopher)
  17. H.G. Wells (writer)
  18. Sri Paramahansa Yogananda (guru)
  19. Sigmund Freud (psychologist) – barely visible below Bob Dylan
  20. Anonymous (wax hairdresser’s dummy)

Third row:

  1. Stuart Sutcliffe (artist/former Beatle)
  2. Anonymous (wax hairdresser’s dummy)
  3. Max Miller (comedian)
  4. The Petty Girl (by Artist George Petty)
  5. Marlon Brando (actor)
  6. Tom Mix (actor)
  7. Oscar Wilde (writer)
  8. Tyrone Power (actor)
  9. Larry Bell (artist)
  10. Dr. David Livingstone (missionary/explorer)
  11. Johnny Weissmuller (swimmer/actor)
  12. Stephen Crane (writer) – barely visible between the hand above Paul McCartney’s head, and the next head to the right
  13. James Dean (actor) – right above the wax Mccartney’s head
  14. Issy Bonn (comedian) – his hand is above McCartney’s head
  15. George Bernard Shaw (playwright)
  16. H.C. Westermann (sculptor)
  17. Albert Stubbins (soccer Player)
  18. Sri Lahiri Mahasaya (guru)
  19. Lewis Carroll (writer)
  20. T.E. Lawrence (“Lawrence of Arabia“)

Front row:

  1. Wax model – Sonny Liston (boxer)
  2. The Petty Girl (by George Petty)
  3. Wax model – George Harrison
  4. Wax model- John Lennon
  5. Shirley Temple (actress and diplomat)
  6. Wax model – Ringo Starr
  7. Wax model – Paul McCartney
  8. Albert Einstein (physicist)
  9. John Lennon
  10. Ringo Starr
  11. Paul McCartney
  12. George Harrison
  13. Bobby Breen (singer)
  14. Marlene Dietrich (actress/singer)
  15. Gandhi (Indian Leader) (removed)
  16. Tin Tan (Mexican Actor) (Changed )
  17. Legionnaire from the Order of the Buffalos
  18. Diana Dors (actress)

Cliccate qui per una immagine più grande, mentre qui trovate una immagine numerata.

Holger Czukay

Holger Czukay, già bassista dei Can (uno dei più rappresentativi e originali esponenti del krautrock anni 70), oggi produce brani con largo e intelligente uso di ricevitori a onde corte.

Holger Czukay, formerly Can bass player, now plays music using short-wave transmissions.

Holger Czukay – Backup Dream

This is a love song

Un altro assaggio del nostro duo di improvvisazione (che presto avrà bisogno di un nome; i suggerimenti sono graditi)
Questa volta è un brano un po’ più strutturato, nato nel giorno di S. Valentino (da cui il nome).
In seguito, abbiamo messo giù uno schema aperto del pezzo, definito in termini di suoni, azioni e atmosfere, tipo: inizia con dei tuoi suoni lunghi che io catturo, poi c’è un crescendo che si accumula in un delay e termina con questo segnale da cui si trae il ritmo successivo, etc.

Another piece from our improvised music duo (who needs a name; please suggest).
This is a more structured piece born in S. Valentine day (whence the title comes). We set up an open scheme of the piece, in terms of sounds, actions and atmospheres (the static beginning, then a crescendo ending with a well defined signal and so on).

Federico Mosconi: electric guitar, various effect processing
Mauro Graziani: Max/MSP laptop

This is a love song

Il lento stillicidio del diventare vecchi

Time – Goddamn, you’re looking old
You’ll freeze and catch a cold
‘Cause you’ve left your coat behind
Take your time
Breaking up is hard, but keeping dark is hateful
I had so many dreams, I had so many breakthroughs
But you, my love, were kind, but love has left you dreamless
The door to dreams was closed. Your park was real and greenless
Perhaps you’re smiling now, smiling through this darkness
But all I had to give was the guilt for dreaming

We should be on by now

Pubblicato in Pop

Amazon venderà MP3 senza DRM

Che le protezioni sugli MP3 irritino i consumatori e nuociano alle vendite è ormai un dato di fatto.
Fa piacere vedere che ogni tanto qualcuno se ne accorge e quando questo qualcuno è Amazon, fa anche notizia.

SEATTLE–(BUSINESS WIRE)–May 16, 2007–Amazon.com (NASDAQ:AMZN) today announced it will launch a digital music store later this year offering millions of songs in the DRM-free MP3 format from more than 12,000 record labels. EMI Music’s digital catalog is the latest addition to the store. Every song and album in the Amazon.com digital music store will be available exclusively in the MP3 format without digital rights management (DRM) software. Amazon’s DRM-free MP3s will free customers to play their music on virtually any of their personal devices — including PCs, Macs(TM), iPods(TM), Zunes(TM), Zens(TM) — and to burn songs to CDs for personal use.

“Our MP3-only strategy means all the music that customers buy on Amazon is always DRM-free and plays on any device,” said Jeff Bezos, Amazon.com founder and CEO. “We’re excited to have EMI joining us in this effort and look forward to offering our customers MP3s from amazing artists like Coldplay, Norah Jones and Joss Stone.”

Il Ghiaccio Sottile della Tua Fragile Mente

Un primo assaggio del nostro duo di improvvisazione (quasi) totale che vi proponiamo così come è uscito in una sera di maggio.
Un brano basato su un ostinato di tre note su cui si muovono sonorità più o meno lontane che, nella mia mente, evocano suggestioni nordiche e laghi ghiacciati.
Rilassatevi e ascoltate. I commenti sono graditi.

A first taste of our duo playing improvised music.
On a three notes riff, sounds comes from away and disappear like visions in the cold landscape of a frozen lake.
The piece is proposed as we improvised it some days ago. No further elaboration.
Relax and listen. Comments are welcome.

Personnel
Federico Mosconi: electric guitar, various effect processing
Mauro Graziani: Max/MSP laptop

Il Ghiaccio Sottile della Tua Fragile Mente

Riscaldamento Globale

ice melt

In 2005, west Antarctica experienced the worst ice melt ever recorded during three decades of observation using satellites, Nasa scientists said.
The findings were released on Tuesday by the Jet Propulsion Laboratory in California, which co-operates with environmental researchers at the University of Colorado in measuring and interpreting the satellite data.
The team measured snowfall accumulation and melt in Antarctica and Greenland from July 1999 to July 2005.
The South Pole melt occurred 900 kilometres inland, at high latitudes only 500 kilometres from the South Pole and at elevations of 2 000 metres, where “melt had been considered unlikely,” the scientists said.
Air temperatures were abnormally high, reaching five degrees Celsius at one point and remaining above the melting point for a week.

La notizia è recente, ma se a qualcuno fosse sfuggita…

Dal Corriere:

Gli scienziati avevano già lanciato l’allarme: il ghiaccio del Polo Sud si sta sciogliendo. Ora ci sono anche le immagini grazie ad alcune foto scattate dai satelliti e diffuse dalla Nasa. Le riprese mostrano lo scioglimento di una parte dell’Antartide occidentale: un’area più grande dell’Italia. Secondo gli scienziati del laboratorio Nasa di Pasadena e dell’università del Colorado, le nuove immagini rivelano che a partire dal 2005 si sono sciolti i ghiacci in una zona in cui un fenomeno simile era considerato improbabile. Si tratta, secondo una nota dell’agenzia spaziale americana, «del più significativo scioglimento osservato dai satelliti negli ultimi 30 anni».

La mia modesta opinione è che ormai questa faccenda è irreversibile e che, al confronto, cose come il terrorismo internazionale sono paragonabili alle zanzare.
Penso che gli effetti del riscaldamento globale si faranno drammatici già nei prossimi 20 anni e che i nostri governi, invece di blaterare e raccontarci balle, dovrebbero prendere misure drastiche fin da subito.
Notare che il fenomeno era già noto dal 2004

Nakjaarna

Nakjaarna è il progetto di musica d’ambiente di Kris Tilbury, una compositrice americana che elabora elettronicamente strumenti comuni, come un dulcimer, la voce e percussioni leggere per creare dei bordoni dal sapore artico.
Questo è il suo ultimo lavoro, Frozen Industry, per la netlabel Negative Sound Institute da cui si può scaricare in toto.

Lo Fi Lazer

Sempre più spesso le novità interessanti vengono dal nord.

Lo Fi Lazer is a duo for musical improvisation in a style some people like to call Noise World Electrojazz. The first release, Friday 13 Live, is a 100 percent live recording done with a good stereo mic in front of the acoustic sound system.

  • Tryggve Lund (no) usually plays:
    C Flute, disembodied FM radio, throat singing, carefully selected dumpster divided materials, guitar, effect processing, live mixing, real-time live looping.
  • Per Boysen (se) usually plays:
    Fretless Sustainiac C guitar, Alto Traverse (G) Flute, Tenor Saxophone, Akai EWI 4000s, effect processing, real-time live looping.

Lo Fi Lazer was founded in 2006 at the Norberg Festival for experimental electronic music, in Sweden, after a successful jam session at the festival’s Open Stage.

Listen to & download from Jamendo

 

Atti convegno su rock britannico

Here you can download the Proceedings of the International Conference “Composition and Experimentation in British Rock 1966-1976” held in Cremona, Italy, 2005.
There are very interesting lectures by reaserchers and musicians. Here is the index in english.

Da questo sito dell’Università di Pavia si possono scaricare gli atti del convegno “Composizione e sperimentazione nel rock britannico:1966-1976”, tenutosi a Cremona nell’ottobre 2005.
Alcuni interventi sono molto interessanti. Ecco l’indice in italiano:

Introduzione

Gianmario Borio / Serena Facci, Quarant’anni dopo… Una musicologia pluralistica per il rock britannico

Il paesaggio culturale

John Covach, L’estetica hippie: posizionamento culturale e ambizioni musicali nel primo progressive rock
Franco Fabbri, “Non al primo ascolto.” Complessità progressiva nella musica dei gruppi angloamericani, 1960-1967
Veniero Rizzardi, Il rock e l’autocritica del compositore

Nuovi strumenti e nuove tecnologie

Christophe Pirenne, Romanticismo vs economia: le tecnologie e lo sviluppo del progressive rock
Lelio Camilleri, Loop, trasformazioni e spazio sonoro
Laura Leante, Aspetti multimediali dell’esibizione concertistica

Tecniche compositive

Mark Spicer, Foxtrot dei Genesis
Allan Moore, Octopus dei Gentle Giant
Vincenzo Caporaletti, Third dei Soft Machine

Poesia e canto

Dai Griffiths, Musica memorabile, parole trascurabili? I dilemmi della canzone del progressive rock inglese tra underground e mainstream, circa 1972
Roberto Agostini / Luca Marconi, Voce, melodia e parole nel primo progressive rock inglese

Workshop: Le procedure compositive nei gruppi progressive rock

Chris Cutler (Henry Cow)
Hugh Hopper (Soft Machine)
Toni Pagliuca (ex Orme)

Tavola rotonda: Le procedure compositive all’incrocio tra i generi

Mario Garuti, Come angeli annoiati
Maurizio Pisati, Insegnare e segnare utopie
Nicola Sani

Water Walk

1960: John Cage esegue la sua Water Walk nella popolare rubrica televisiva I’ve Got A Secret davanti ad un attonito presentatore che lo tratta come una specie di freak.
Notate come la performance (che inizia al minuto 5) sia eseguita con grande serietà, nonostante le risate del pubblico.
Più o meno lo stesso era accaduto nel 1958 a Lascia o raddoppia (da dove, peraltro, se ne era andato con in tasca un bottino di $6000).

Here’s John Cage performing Water Walk in January, 1960 on the popular TV show I’ve Got A Secret.

Dov’è finito il mio isotopo?

advertising
Sicuramente non capirete il testo (è urdu), ma riconoscerete il simbolo di materiale radioattivo.
Questo annuncio, pubblicato la scorsa settimana sui principali quotidiani pakistani, sta facendo drizzare i capelli agli esperti di sicurezza occidentali. In pratica, istruisce la popolazione su cosa fare nel caso ci si imbatta, per puro caso, in un po’ di materiale radioattivo.
Finora, non risulta che in Pakistan sia andato perduto del materiale radioattivo, ma le riserve pakistane sono malamente archiviate e secondo Nature, il padre del locale programma nucleare, A.Q. Khan, è noto per aver venduto segreti tecnologici al mercato nero.
Le autorità minimizzano il senso di questa campagna, sostenendo che è finalizzata a proteggere la popolazione dal ritrovamento di materiali utilizzati in vecchi impianti medici e industriali. In effetti, nel 1987, un barattolo di cesio-137 abbandonato in una discarica brasiliana ha contaminato 244 persone e in marzo, un contenitore di yellowcake (ossido di uranio) è saltato fuori in una agenzia di pegni a Los Angeles.
Nonostante queste considerazioni, la campagna pakistana è considerata “preoccupante” da parte degli esperti occidentali.

From Nature

Inutili protezioni

key
La chiave “segreta” di cifratura che, secondo le intenzioni delle major, avrebbe dovuto proteggere dalla copia i nuovi DVD in alta definizione (standard HD-DVD) è stata decodificata e pubblicata su internet.
Come nel caso dell’algoritmo e della chiave dei DVD, la MPA (Motion Picture Ass.) si è affrettata a mandare diffide per bloccarne la pubblicazione e come in quel caso, le diffide hanno ottenuto l’unico effetto di diffondere la chiave su migliaia di siti.
Come in quel caso, poi, il testo della chiave, costituito da una serie di numeri in esadecimale, è stato codificato in modo da non violare l’ordinanza dei tribunali, che vieta la pubblicazione dei numeri. Al tempo del DVD, infatti, l’algoritmo e la chiave apparvero in centinaia di formati: inseriti in immagini, cantati in una canzone, recitati da un attore shakespeariano, stampati su una maglietta, trasformati in MIDI file che produceva musica insensata, ma che, visto come serie di numeri, era la chiave e così via, come testimonia questa Gallery of CSS Descramblers mantenuta dalla Carnegie Mellon University.
Così sta andando adesso. Un tipo particolarmente perverso ha perfino notato che, se si introduce la chiave incriminata come testo di ricerca sul sito della stessa MPA, viene prodotta una pagina che contiene la suddetta chiave nella scritta “No pages that matched your query [chiave] were found”.
In tal modo proprio il sito della MPA generava una pagina che conteneva la chiave la cui diffusione loro stessi avrebbero voluto bloccare e quindi diventa passibile di diffida!.
Ma c’è anche chi sostiene che anche questa diffusione di un “segreto” è in realtà pilotata dai produttori di masterizzatori HD-DVD. La presenza in rete di una massiccia quantità di film sprotetti, infatti, darebbe una spinta decisiva a questo standard rispetto al rivale Blue Ray, incrementando notevolmente la richiesta di masterizzatori, in una guerra industriale in cui, come ho già fatto notare, noi utenti siamo semplici ostaggi.

L’isola di Hashima

 

L’isola di Hashima (端島 trad. qualcosa come isola di confine o isola del bordo), chiamata anche Gunkanjima (軍艦島 trad. isola nave da guerra, a causa delle coste cementate e la forma), è una delle 500+ isolette disabitate nei pressi di Nagasaki, nella parte sud-ovest del Giappone.
Il fatto è che, invece, fino al 1974, era uno dei luoghi a più alta densità abitativa del globo. L’isola fu acquistata dalla Mitsubishi nel 1890, con l’idea di scavarvi una miniera di carbone.
Nel 1916 vennero costruiti gli alloggi per i lavoratori e la miniera venne sfruttata fino al 1974. Nel 1959 la popolazione raggiunse i 5000 abitanti circa, cioè 835 abitanti per ettaro, che equivalgono alla pazzesca densità di 83500 ab. per Km2 (1 ettaro = 0.01 Km2; per confronto, la regione italiana con la densità maggiore è la Campania: 421 ab./Km2).
Il verde era quasi completamente scomparso dall’isola, tanto che qui venne girato il film Midori Naki Shima (The Greenless Island, 1949). Un altro famoso (in Giappone) film ambientato in Gunkanjima è il recente seguito di Battle Royale: Battle Royale II, The Requiem (2003).
Negli anni ’60, poi, iniziò il declino del carbone e l’isola venne gradualmente abbandonata, fino alla sua chiusura definitiva nel 1974 (chiusura anche a qualsiasi tipo di visita perché pericolosa: io l’ho visitata a suo tempo approfittando del caos creato da una manifestazione di Greenpeace).
Stranamente, non è stata fatta nessuna riconversione. Gli edifici sono stati abbandonati all’usura del tempo e sono ormai dei ruderi spettrali che stanno assumendo un valore di archeologia industriale al punto che il governo pensa di riaprirla (una decisione era attesa per Aprile, ma non ne so niente).
Trovate delle belle foto qui.

 

Rain

https://ia800306.us.archive.org/7/items/wh028/wh028_disk.jpg

Rain è una serie di CD collegati a uno stesso concetto prodotti sotto gli auspici della netlabel Webbed Hand Records. Ogni CD è un brano ambient pensato per il relax, il lavoro o la socializzazione. Tipicamente le registrazioni che fanno parte di questa serie sono paesaggi minimalisti, con motivi eseguiti ciclicamente e ripetutamente, più che progressivamente, in modo da indurre uno stato di relax.

Questo CD è il contributo di Djinnestan. Traduco le note di programma:

Si tratta di un brano di 74 minuti, sottile e incantato. Come in un sogno vi trovatea passeggiare in una foresta di fate, scura e nebbiosa, abitata dalle fantasie di una immaginazione infantile. Questo album è ideale per la meditazione, la trance e le attività più tranquille. Si raccomanda di suonarlo a basso volume per un ascolto periferico, non diretto.

Personnel:
C.P. McDill – sound wave manipulations

DjinnestanListen to RainDownload

Anche qui sono consigliate delle buone casse.

Mystified

https://ia801603.us.archive.org/26/items/wh039/wh039_cover.jpg
Mystified è una eclettica band, che definisce il proprio stile come

quite varied, including ambient, industrial, minimal, illbient, dark ambient, world, experimental, phonography, noise and other genres

Qui ascoltiamo The Hush, distribuito dalla netlabel Webbed Hand Records.
Vi consiglio di ascoltarlo con delle casse decenti.

Program notes:
The Hush is a 45-minute ambient soundscape of a darker nature than Emanate (previous release). This is an extended voyage, perhaps experienced from within the engine room of an intergalactic vessel. A throbbing, soporific bass is punctuated by echoing metallic sounds, and the auditory space is sometimes graced by mellow but alien melodies and harmonic drones. Other mysterious sounds make periodic visits, and the whole effect is a pleasant mix of slowly cycling highs and lows.

Mystified – The HushDownload

tanzart

music George Crumb, dancer Stojan Kissiow, scenery and scenery Andrea Hilger, Choreographie Mike Salomon, main sample in Kiel

Non so altro su questo video se non che gli interpreti sono una compagnia tedesca: tanzart di Hilger e Salomon con sede in Leipzig e Dresda.
La musica è Black Angels (part 2) di George Crumb, un brano del 1970 per quartetto d’archi amplificato.
Mi piace l’elaborazione video dell’immagine del danzatore.

23

23

Nel mese di Aprile questo blog ha avuto 23023 accessi.
Il trend è ascendente e la cosa mi rende felice, ma saranno contenti anche gli ossessionati dal 23, fra cui

  • i fans di Lost,
  • di William S. Burroughs (ci sono anch’io),
  • dei film The Number 23 e 23,
  • gli Illuminati
  • i Discordiani.

Secondo costoro, tutti siamo legati dall’inesplicabile enigma del numero 23, ma due volte 23 con lo spaventoso vuoto dello zero in mezzo non è da tutti. Spero mettano il mio blog fra i loro libri esoterici.

Ringrazio il blog “ventitre” per l’immagine.

Internal Watch

internal watch
È fantastico il livello di …. [non so cosa scrivere; mi vengono troppe parole e tutte sono passibili di querela] a cui possono arrivare produttori e consumatori.
L’orologio che vedete a destra è dichiaratamente non funzionale. Il produttore dice:

The internal watch is encased in leather, rendering it a non-functional timepiece. Perfect for the man with no time. Black. 9″ x 2″.

Prezzo: $275

Non vi dico neanche il sito, apposta.

Xenakis – Rebonds b

Composto tra il 1987 e il 1989, Rebonds b utilizza un set misto di strumenti a membrana e wood blocks. Un aggressivo ostinato ritmico, interpolato da violenti accenti, viene via via interrotto da veloci figurazioni eseguite sui wood blocks, fino al progressivo disfacimento in forti rulli. Nella coda finale un’ulteriore linea sui wood blocks è progressivamente sovrapposta all’ostinato iniziale, in un contrappunto che evolverà nell’esasperazione sonora delle ultime misure.
[Davide Anzaghi da Novurgia]

Onde Cerebrali

Alvin Lucier – Music for Solo Performer

The first work in history to use brain waves to generate sound. It was composed during the Winter of 1964-65, with the technical assistance of physicist Edmond Dewan, and was first performed on May 5, 1965, at the Rose Art Museum, Brandeis University with the encouragement and participation of composer John Cage. Since then it has been performed many times by Alvin Lucier, in solo concerts and on tour in Europe and America with the Sonic Arts Union.
Electrodes are attached to the performer’s head to detect his alpha brain waves. His alpha brain waves are then transmitted by amplifiers to loudspeakers that are used to resonate percussion instruments placed around a concert hall.
Lucier wrote:

I realized the value of the EEG situation as a theater element … I was also touched by the image of the immobile if not paralyzed human being who, by merely changing states of visual attention, can activate … a large battery of percussion instruments including cymbals, gongs, bass drums, timpani, and other …

Performance realized by course members of Space, Environment & Context taught by Anne Wellmer – Generative Arts class Udk Berlin spring of 2018

LibriVox

lapide

Per chi ama la poesia in lingua originale, segnalo LibriVox, un sito il cui sottotitolo dice tutto: acoustical liberation of books in the public domain.
LibriVox offre un vasto catalogo di letture di testi i cui diritti sono ormai scaduti. La maggior parte è in inglese perché sono loro ad avere questa bella tradizione del reading poetico. Ma non c’è solo poesia, anche romanzi, saggi e testi di tutti i tipi.

From LibriVox
Henry Wadsworth Longfellow – The Siege of Kazan – Read by: Peter Yearsley


Black are the moors before Kazan,
And their stagnant waters smell of blood:
I said in my heart, with horse and man,
I will swim across this shallow flood.
longfellow
Under the feet of Argamack,
Like new moons were the shoes he bare,
Silken trappings hung on his back,
In a talisman on his neck, a prayer.

My warriors, thought I, are following me;
But when I looked behind, alas!
Not one of all the band could I see,
All had sunk in the black morass!

Where are our shallow fords? and where
The power of Kazan with its fourfold gates?
From the prison windows our maidens fair
Talk of us still through the iron grates.

We cannot hear them; for horse and man
Lie buried deep in the dark abyss!
Ah! the black day hath come down on Kazan!
Ah! was ever a grief like this?

Il deposito dei 10000 anni

signalFinora, il sarcofago di Chernobyl era additato come il più evidente monumento alla follia autodistruttiva dell’uomo, destinato ad essere conservato integro per migliaia di anni e utilizzato dagli oppositori del nucleare per dimostrare la sua pericolosità.
I fautori dell’energia nucleare, invece, sostengono, a ragione, che la centrale di Chernobyl era un impianto vecchio e insicuro, ma ora, negli Stati Uniti, additati come dimostrazione dell’esistenza di centrali sicure, è quasi completo un altro monumento a mio avviso ancora più folle, perché non è frutto di un incidente, ma di un pensiero lucido e razionale.
Si tratta del Waste Isolation Pilot Plant (WIPP), una discarica nucleare sotterranea situata nel deserto del New Mexico, profonda fino 2150 piedi (ca. 650 m).
Qui sono stati depositati per anni tutti i rifiuti radioattivi provenienti dalle centrali nucleari degli USA e quando sarà pieno (ed è quasi pieno) dovrà essere sigillato definitivamente.
Certamente il WIPP è sicuro. Test continui anche di terze parti, hanno dimostrato che nessuna radiazione sfugge dal deposito sotterraneo e si può anche camminarci sopra in assoluta sicurezza. Se è per questo, ci credo, ma il punto non è questo.
Il punto è che, dal momento della chiusura, sarà necessario segnalare chiaramente che chi scava qui, muore. E non solo: scavando si potrebbe aprire un vaso di pandora in grado di avvelenare una vasta area, prima che la fonte venga identificata e richiusa.
Fin qui niente di strano. Il governo americano è certamente in grado di impedire l’accesso all’area. Il problema, però, sta nel fatto che questo divieto dovrà essere mantenuto per almeno 10.000 anni, tale è il periodo di tempo necessario perché le scorie diventino relativamente innocue.
10.000 anni sono un periodo di tempo inimmaginabile. I monumenti più antichi che abbiamo, le piramidi, esistono dalla metà di questo tempo.
Il problema che i tecnici stanno affrontando è di far sì che questa informazione vitale venga tramandata e si conservi intatta per questo inimmaginabile periodo di tempo.
Guardate queste immagini:

Per noi sono chiarissime, ma cosa diranno ai nostri discendenti anche fra “soli” 3000 anni? Come sarà la razza umana fra 10000 anni? Come progettare un messaggio che mantenga intatto il suo significato nonostante le inimmaginabili differenze culturali che si produrranno?
Se ne è occupata la Sandia Corporation, producendo un suggestivo rapporto in cui si immagina di costruire strutture che evochino un senso di pericolo, come quella nell’immagine di apertura. Suggerimenti solo in parte accolti dal governo, che ha optato per soluzioni più tradizionali, ma qualsiasi soluzione, a mio avviso, è insufficiente di fronte alla curiosità umana.
Così come le maledizioni e le iscrizioni non ci hanno impedito di entrare nelle tombe dei faraoni, nessuna struttura è in grado di impedire che i nostri lontani discendenti cerchino di capire cosa c’è lì, anzi, per me, la presenza di costruzioni strane e uniche come quelle proposte nel rapporto di cui sopra, sarebbe solo un incentivo a scavare.

Alarm will sound

Alarm Will Sound is a 20-member band committed to innovative performances and recordings of today’s music. Musical Artists-in-Residence at Dickinson College, they have established a reputation for performing demanding music with energetic virtuosity. Their performances have been described as “equal parts exuberance, nonchalance, and virtuosity” by the London Financial Times and as “a triumph of ensemble playing” by the San Francisco Chronicle. The New York Times says Alarm Will Sound is “the future of classical music.”
The versatility of Alarm Will Sound allows it to take on music from a wide variety of styles. Its repertoire ranges from European to American works, from the arch-modernist to the pop-influenced. The group fosters close relationships with contemporary composers, premiering pieces by Steve Reich, David Lang, Anthony Gatto, Cenk Ergün, Aaron Jay Kernis, Michael Gordon, Augusta Read Thomas, Stefan Freund, and Wolfgang Rihm.

La tonalità è dura a morire

Roger Bourland ha messo in linea le sue musiche composte per il film su Gauguin “The Wolf at the Door” (1986, Henning Carlsen, director; starring Donald Sutherland as Gauguin).
Fin qui niente di strano. Sono musiche da film prettamente tonali.
Il bello è che sulla pagina ci sono 15 brani, ognuno con un suo player, per cui, con 15 rapidi click, potete farli suonare tutti insieme, ammesso che abbiate banda, naturalmente (io ci riesco, ma di notte).
La cosa interessante è che, nonostante il temibile mix, il tutto mantiene un marcato carattere tonale.
Ovviamente questo post non vuole prendere in giro la musica di Bourland, ma solo proporre un’esperienza di ascolto insolita.
Li trovate qui.

La seconda scuola viennese

CONSERVATORIO DI MUSICA
“E. F. DALL’ABACO”

“DALLE SEI ALLE SETTE”
Martedì 24.4.2007, ore 18

musiche per pianoforte
della seconda scuola viennese

  • Schönberg: Op. 11, Op. 19, Op. 25
  • Berg: Sonata Op. 1
  • Webern: Satz für Klavier

al pianoforte:

    Flavia Casari
    Tessa Catchpole
    Stefano Chiozzi
    Oana Dancescu
    Xavier Locus

Ingresso Libero

Auditorium Nuovo Montemezzi
Piazza S. Anastasia

Merg

Tornano le recensioni dalla nostra inviata nelle Terre Basse, Valeria.
Una delle particolarità dello spettacolo di cui parliamo è la commistione di danza contemporanea e musica antica, relativamente rara da noi, ma più comune in terra olandese.
Leine & Roebana non sono nuovi a performances di questo tipo: hanno già lavorato su musiche di Rameau eseguite dall’Orchestra of the Eighteenth Century, condotta da Frans Brüggen.

Merg
Merg
Andrea Leine & Harijono Roebana

Music: Monteverdi, Luzzaschi, d’India, Rossi, Gabrieli, Frescobaldi

L’intera atmosfera era costituita da cinque danzatori, tre femmine e due maschi, un’orchestra che dietro una specie di velo suonava musica barocca, tre cantanti, una femmina di sicuro, dubito la sessualità riguardo gli altri due, e da pannelli alle pareti con frasi del tipo: tu e me; te lo dico sottovoce…ti amo, oppure altre che riguardavano per esempio l’aspetto malinconico di un amore finito e così via.

Non ho notato nessun particolare sviluppo all’interno della rappresentazione, è stata più una successione di immagini e atmosfere, create dai danzatori, che a volte ballavano a volte recitavano e dai/dalle cantanti che erano perfettamente attive all’interno della scena, si muovevano con i danzatori e a volte ballicchiavano anche!

Dal punto di vista musicale si alternavano momenti di silenzio, in cui l’unico suono era il respiro o certi suoni prodotti dai danzatori, con momenti di sola musica, solo canto o entrambi e i ballerini hanno sperimentato un po’ tutti i tipi che di relazioni che si possono avere con una base musicale. Il più delle volte la seguivano, specie nei momenti in cui ballavano all’unisono, ma altre volte non se ne curavano particolarmente, specialmente nei momenti più teatrali.

Dal punto di vista della danza sono rimasta veramente colpita! Mi dispiace solo che dal video che c’è sul loro sito (ecco il link diretto al video) non si riesca a cogliere molto!

Premesso che i ballerini sono proprio bravi, e con questo includo tecnica, espressività, fisicità, il loro stile è sicuramente tecnico, utilizzano infatti (ora uso termini un po’ popolari, tanto per farmi capire) giri, gambe alte, tutti segnali che dimostrano il fatto che alle spalle c’è sicuramente un forte background classico.

Ma non solo, tutto il movimento è basato sul continuo alternarsi di free flow (ovvero movimenti in cui il ballerino lancia letteralmente parti del suo corpo o conferisce una particolare dinamica al movimento, per cui non è in grado di controllare il movimento, di fermarlo in qualsiasi punto) e bound flow (ovvero movimenti perfettamente controllati, per rendere l’idea, che se qualcuno gli chiedesse in qualunque momento di fermare il movimento il ballerino sarebbe in grado di farlo) e questo alternarsi porta sempre continue “sorprese” o piccoli shock, perché lo spettatore non si può mai adagiare alla vista di un solo modo di muoversi, ma viene continuamente “provocato”.

Poi ho trovato lo stile estremamente sensuale, anche per coerenza con il tema dello spettacolo, incentrato puramente sull’amore. E questo lo deduco dal fatto che i movimenti spesso venivano iniziati da spalle e anche, o comunque da parti centrale del corpo, spesso erano movimenti circolari e che progredivano nel movimento come onde o comunque con una certa fluidità e sensualità fino alle parti più periferiche del corpo, coinvolgendolo in toto. In realtà successivamente, sempre anche per far si che lo spettatore non si adagiasse troppo comodamente, per esprimere gelosia, eccitazione o incomprensione usavano movimenti più staccati, con più insolazioni di parti del corpo, iniziando i movimenti più spesso da parti periferiche, come un piede, una mano o un braccio, e con più salti e floor work (sequenze e seguite a terra come rotolamenti etc.) comunque movimenti più dinamici, veloci e scattanti.

Quindi lo stile mi è piaciuto per la quasi sempre equilibrata combinazione tra tecnica e espressività, e per la varietà dei movimenti, bene equilibrati con le parti più teatrali e recitative.

Ho apprezzato anche la scelta dell’atmosfera, l’ho trovata ben studiata e curata, e mi riferisco tanto ai pannelli appesi, insieme alla scelta della musica live e dell’interazione attiva con i/le cantanti, quanto ai cambi di scena e di atmosfera al giusto momento e della giusta intensità!

L’unica pecca è che ho trovato il tutto, per rappresentare solo immagini e atmosfere, un po’ lungo, è durato poco meno di due ore, il che non sembra ma è tanto, e alla fine dello spettacolo devo ammettere di essermi un po’ annoiata e di aver cominciato a pensare alla spesa che dovevo fare il giorno dopo….

Perle ai porci?

Forse ne avete già sentito parlare…
Washington D.C., zona centrale (uffici). Sono circa le 8 di mattina di venerdì 12 gennaio. Un bianco dall’aria giovanile vestito in jeans, T-shirt e cappellino da baseball si piazza in una stazione della metro molto frequentata, tira fuori un violino dalla custodia, la posa davanti a sè nel classico atteggiamento del mendicante e si mette a suonare la Ciaccona di J.S. Bach.
E la suona da dio, perché lui è Joshua Bell, uno dei più acclamati violinisti contemporanei e il suo strumento è uno Stradivari da 3.5 milioni di dollari.
In totale suona 6 pezzi, per circa un’ora. Poi raccoglie i soldi e se ne va. La scena è filmata da camere nascoste. Si tratta di un esperimento ideato dal Washington Post (3 estratti del video su washingtonpost.com, UPDATE: ora il video è anche su You Tube, andate giù nella pagina).

In quell’ora passano 1097 persone, in gran parte impiegati di vario livello. Magari c’è anche qualcuno che ha pagato $100 per ascoltarlo alla Boston’s Symphony Hall solo tre giorni prima.
Soltanto in sette si fermano ad ascoltare per più di un minuto. 27 persone gli lasciano qualche moneta, per un totale di $32. Una sola persona lo riconosce.

Guardando il video avrete notato che l’acustica non è neanche malvagia e si sente benissimo che non è uno qualsiasi.
E allora?
Per quanto mi riguarda, sicuramente non avrei riconosciuto Joshua Bell, ma mi sarei fermato e gli avrei dato qualche dollaro. Lo dico perché mi è capitato con un violoncellista nella metro di S. Pietroburgo. Suonava troppo bene. Mi sono fermato per poi scoprire che era un membro dell’orchestra di stato a cui non pagavano lo stipendio da due mesi.
Quindi ipotizziamo che quelle 27 persone che gli hanno dato qualcosa abbiano pensato “che bravo… mi fermerei volentieri, ma faccio tardi al lavoro”.
E gli altri 1070? Ammettiamo che un’altra settantina abbia pensato la stessa cosa, anche se non gli ha dato niente. Ne resta sempre un migliaio.
Notate che si trattava di uno dei più acclamati violinisti viventi che suonava alcuni dei più grandi capolavori mai scritti con uno dei migliori strumenti mai costruiti. Roba da sindrome di Stendhal.
Ne consegue che, se nessuno è in grado di notarlo, evidentemente abbiamo un problema culturale non banale.

  • La nostra società non educa la gente a riconoscere e apprezzare la bellezza?
  • O ci costringe a ignorare ciò che ci sta intorno?
  • O ancora, dovremmo riaprire il secolare dibattito epistemologico su cosa sia la bellezza?

Che ne pensate?

50 anni

La computer music compie 50 anni.
Più o meno in questi giorni, nel 1957, presso i laboratori della Bell Telephone, Max Mathews faceva i suoi esperimenti di sintesi del suono con il MUSIC I, il primo sintetizzatore virtuale della storia, l’antenato di tutti i software di sintesi usati attualmente, come CSound o Max/MSP (così chiamato proprio in suo onore).
Nonostante non sia stato il primo caso di musica generata dal computer (in Australia il computer dello CSIRAC fu programmato per produrre musica già nel 1951), i programmi di Mathews furono i primi a creare uno standard e ad essere utilizzati da una comunità di musicisti via via sempre più vasta.
Il compleanno sarà celebrato con dei concerti presso il CCRMA, alla Stanford University dove Max, che ha da poco compiuto 80 anni, ricopre la carica di professor emeritus.

Stries

parmegiani

ANABlog ripubblica un “vecchio” (anni ’60) lavoro di Bernard Parmegiani che vale la pena di ascoltare.
Questo brano deriva da un pezzo del 1963, VoloStries per violino e nastro. Parmegiani riprende la registrazione di questo pezzo e la riarrangia sia come sonorità, elaborandone i suoni con i sintetizzatori dell’epoca, sia rimontando le parti originali.

Sounds produced by a violin are fed into the synthesizers. The transformations they have undergone have not entirely erased their original character. Their interwoven horizontal form, their unchanging thickness, and their invariable color enable the TWO to sculpt them, to paint with them. The performers’ chisels and brushes are the modulators and filters which give them relief, color them, break them up, interchange them, lighten or darken them.
But in spite of all these manipulations, the original sound is preserved. It can still be divided: while one part of it is processed, the other remains intact. All this takes places within a framework which can be enriched on the spur of the moment with inspired finds.

Bernard Parmegiani – Stries

Il duro lavoro del sound designer

This video shows how to create sounds of bodies being crushed, ripped open and torn asunder, by abusing of vegetables.
Note the microphone always very close to the object, to record a strong and clear sound.

Questo video mostra come ottenere rumori di corpi spiaccicati, smembrati, eccetera, abusando di frutta e verdura.
Notate come il microfono sia sempre molto vicino all’oggetto, per ottenere un suono forte e molto presente.

from darkSector

Uova di Pasqua

Aprite una pagina vuota su Firefox e nella barra degli indirizzi scrivete

about:mozilla


The Beast continued its studies with renewed Focus, building great Reference works and contemplating new Realities. The Beast brought forth its followers and acolytes to create a renewed smaller form of itself and, through Mischievous means, sent it out across the world.

from The Book of Mozilla, 6:27


In 2007 the citation was

And so at last the beast fell and the unbelievers rejoiced. But all was not lost, for from the ash rose a great bird. The bird gazed down upon the unbelievers and cast fire and thunder upon them. For the beast had been reborn with its strength renewed, and the followers of Mammon cowered in horror.

from The Book of Mozilla, 7:15

Mureau

John Cage’s lecture.
The lecture begins with reading of Mureau, the first part of “Empty Words”, which is based on a Thoreau text. The program concludes with a lengthy question and answer session that followed Cage’s appearance at the Cabrillo Music Festival in August 1977. It is often in addressing the public’s questions that Cage’s brilliance is most memorable, and this example is no exception. Of particular interest is his description of how he uses chance operations in his creative processes.

Una lezione tenuta da John Cage nell’agosto 1977.
Inizia con una esecuzione di Mureau, una lettura basata su testi di Henry David Thoreau, che, qualche anno dopo, diventerà la prima parte di Empty Words.
Mureau (1970) è descritto come

An I-Ching determined Collage of Quotes on Music, Sound & Silences from the Diaries of D.H.Thoreau

e in effetti il titolo è la giustapposizione della prima parte della parola Music e di quella finale di Thoreau.

Prosegue, poi, con una serie di domande del pubblico e relative risposte. Di particolare interesse, in questa seconda parte, la descrizione dell’utilizzo di operazioni casuali come parte del processo creativo.

from Internet Archive
Mureau can also be downloaded from UBUWeb in a 1972 execution.

Siberian Cutup Neofolk

https://ia803409.us.archive.org/10/items/apl012/apl012.jpg

Se volete un piccolo saggio di sperimentalismo siberiano ascoltatevi questi :-).
Gultskra Artikler, un duo formato da Alexey Devyanin aka Stud & Alexey Glazachev, entrambi di Novosibirsk, si definiscono Siberian Cutup Neofolk, ma il sound è di difficile definizione essendo un collage di suoni meccanici, elettronici e registrazioni in esterno.
Il tutto è pubblicato dalla netlabel THINNER/AUTOPLATE.
Qui trovate alcuni estratti dall’EP Gruppa Turistov, ma la cosa migliore è ascoltarlo interamente perché i brani si susseguono senza soluzione di continuità (circa 17 minuti).

Gultskra Artikler – Gruppa Turistov

Teplo Spokoyno I Yabloko
Punkt Gorod
Download

To Andrei Tarkovsky

Un altro brano di Artem’ev (Эдуард Артемьев) che mostra come la sua collaborazione con Tarkovsky non fosse poi così incidentale come alcuni sostengono.

Eduard Nikolayevitch Artemyev – Dedication To Andrei Tarkovsky

The Perilous Night

Un giusto titolo per Pasqua.
Qui abbiamo “The Perilous Night”, composto nel 1943/44 da John Cage per pianoforte preparato. Uno dei brani in cui è maggiormente evidente il carattere percussivo della preparazione del pianoforte.

John Cage – The Perilous Night (1943/44) – Benjamin Kobler prepared piano

Schnittke elettroacustico

 

An electroacoustic work by Alfred Schnittke published by russian label Electroshock records.

Che Alfred Schnittke avesse scritto anche della musica elettroacustica, sinceramente non lo sapevo. Ma la già citata etichetta russa Electroshock records, in questa antologia denominata “Electroacoustic Music Vol. IV,” che raccoglie musica elettroacustica russa realizzata fra il 1964 e il 1971, ha tirato fuori questo Steam, un brano di “drone music” decisamente apprezzabile.
Questo brano è stato realizato con l’ANS synthesizer, una macchina costruita in un’unica copia da Evgeniy Murzin e oggi conservata presso l’Università Lomonosov a Mosca. Vedi ANS synthesizer in wikipedia ita o eng.

Alfred Schnittke – Steam

Artemiev

Eduard Nikolayevitch Artemyev, nato il 30 Novembre 1937 a Novosibirsk, russo, è uno dei più importanti compositori dell’era dei sintetizzatori analogici (dal 1960 alla fine degli anni ’80). Dopo aver fatto parte della classe di composizione di Yuri Shaporin, presso il conservatorio di Mosca, è stato introdotto all’elettronica da Yevgeniy Murzin, uno dei primi a costruire un sintetizzatore nel 1958.
In occidente, è noto soprattutto per le colonne sonore dei film di Andrei Tarkovsky, Nikita Mikhalkov e Andrei Konchalovsky.
Grazie a Youtube, possiamo ascoltare la colonna sonora realizzata da Artemiev per Solaris di Andreij Tarkovsky, oggi ripubblicata in un CD che raccoglie estratti dai tre film di Tarkovsky musicati da Artemiev (Solaris (1972), Stalker (1979) e The Mirror (1975)), pubblicato dall’etichetta Electroshock, diretta da suo figlio Artemly.
Ovviamente tutti i suoni vengono da sintetizzatori analogici.

Vento sul Web

WindMaker is an ambient weather widget that applies the current wind conditions to your Web site. First, it uses a United States ZIP Code to grab local conditions from the Yahoo Weather RSS feed. Second, it parses your Web site into individual pieces such as text blocks and images. Finally, WindMaker sets the pieces in motion according to the strength of the wind.

Se volete muovere tutto sulla vostra pagina web, andate in WindMaker e lanciatelo scrivendo l’url della pagina vi interessa e uno zip code (al limite lasciate quello che c’è).
L’effetto è bellino e non è definitivo. È solo una prova.
Lo Zip code serve per andare a leggere le condizioni del vento in quella località e muovere il tutto di conseguenza. Se ne volete un tot, mettete quello di Chicago, la città ventosa: 60601.
Se poi vi piace, ci sono anche le istruzioni per renderlo permanente.

Att.ne: lo script di prova non può funzionare sulle pagine generate dinamicamente in PHP. In questo caso funziona solo se lo inserite nel codice.

Beethoven in Morse

Qualcuno ricorda il codice morse? Quella serie di beep – beep – beeeeeep (punto – punto – linea) usata nelle telecomunicazioni per 160 anni, fino al suo definitivo pensionamento negli anni ’90?
Andate a vedervi questa simpatica animazione che gioca sul mettere in morse Beethoven. Cosa, peraltro, che ha un riferimento storico perché, durante la 2a guerra mondiale, le trasmissioni della BBC dirette alla Francia occupata iniziavano con le prime 4 note della 5a perché il famoso fa-fa-fa-re era punto-punto-punto-linea che in morse era V, come victory.

Zur Farbenlehre

Zur Farbenlehre (the theory of colours) is a film by Steven Jones.
The footage for this film was shot entirely using the video camera on a Nokia N73 mobile phone. The footage was subsquently repeatedly rendered and effected through software on a standard PC, prior to editing. The soundtrack is ‘Vladivostok’ by Sonmi451.

Date un’occhiata a questo filmato. L’ho trovato abbastanza affascinante nella sua lentezza.
Il titolo significa “la teoria dei colori”. Le immagini sono state girate da Steven Jones con la videocamera di un cellulare Nokia N73 e successivamente virate ed elaborate via software.
La colonna sonora è “Vladivostok”, un brano di Sonmi451.

[via Rhizome.org Artwork]

Red-shifted Harmonies

 

DAC Crowell is a 41 composer from Illinois.
He hate describing his music, but he say

As for the sound of my own work, it often employs sounds that change _very_ slowly over time. So there are a lot of drone-type elements, things which appear to repeat, and the like…but the real fact is that there are very slow permutations going on, usually at a rate slower than most listeners’ perceptions. I also like a very ‘immersive’ sound, something which surrounds and envelops the listener. At first, this might seem like I’m trying to do something ‘New Age’, but I don’t think the term applies at all because I often like to add ‘noisy’ elements to my works, or use an overall feel that’s darker than the average fluffy New Age sound.

DAC Crowell è americano. Ha 41 anni e compone dei brani in lenta evoluzione pubblicati dalla netlabel Magnatune. Ha studiato.
Nella sua pagina in Magnatune trovate molte informazioni.
Mi piace la sua dichiarazione di amore per le onde corte. È una cosa che da bambino ho provato anch’io: passavo ore a giocare con la radio.

Years and years ago, around the same time I was first learning piano as a small child, I also encountered the shortwave radio. It fascinated me…this box of strange sounds, pulsations, voices from other places phasing in and out. And then later in the 1960s, I heard the first stirrings of the Moog synthesizer…and others as well, as I attended a concert given by David Rosenboom while still in the second grade, with him performing his meditative style of electronics on a massive ARP 2500 rig. I suppose it was that formative experience that cemented what I was to try and do in my life.

Dall’album omonimo del 2003, Red Shifted Harmonies.

Musica in via di estinzione? (2)

In risposta a erri e max su Musica in via di estinzione?

Avete ragione entrambi.
Il punto è che prendersela con il conservatorio è come sparare sulla croce rossa. Almeno qui da noi. In altri stati, fare musica contemporanea in conservatorio è più facile
È un dato di fatto che i programmi (soprattutto quelli di storia della musica) vanno aggiornati. Attualmente arriviamo all’assurdo che ho trovato una mia allieva prossima ventura (almeno credo), laureata al DAMS ma non ancora diplomata in strumento e passata da me per informazioni sul biennio, più preparata sulla musica contemporanea rispetto a molti di quelli che mi arrivano con un diploma di strumento (mentre noi dovremmo essere la scuola specialistica).
Come è un dato di fatto che quelli che lavorano in conservatorio e amano la musica contemporanea, si danno da fare per diffonderla.
Il problema, secondo me, non sono nemmeno i concerti, almeno a livello di grande città. Se uno vive a Milano, una rassegna all’anno la trova. Ok, non è tanto, ma non è di questo che mi lamento.
La cosa di cui mi lamento è la presenza in internet. Ormai internet è il mezzo principale di circolazione dell’informazione e delle idee. Se su internet una cosa non c’è, per volontà o per ignavia, non esiste perché quasi nessuno può saperne qualcosa.
Facciamo qualche esempio:

  • Un compositore importante oggi: Tristan Murail.
    Se non ne so niente e lo cerco in internet non trovo un suo sito. E questa è già una idiozia.
    Lo trovo in 130.000 reference fra cui wikipedia, mediateca dell’ircam, etc. Leggo la biografia, l’elenco delle opere, la critica e concludo che indubbiamente è importante.
    Inoltre sono incuriosito da questa faccenda della musica spettrale. E adesso che faccio?
    Se sono un compositore o uno strumentista, magari mi compro un cd. In fondo avere i dischi fa parte del mio lavoro e se ho una partita IVA come musicista, posso detrarre i dischi.
    E sono semplicemente un impiegato del catasto che vuole allargare i propri orizzonti culturali? Butto 20 euro alla cieca? Fossero 10, magari…
    Cerco ancora. Al massimo trovo qualche sito che vende cd e mi permette di ascoltare 30 secondi, max 1 minuto di qualche pezzo. Disastro. Sentire 30 secondi di un brano di contemporanea significa solo sentire dei suoni insulsi. Provate ad ascoltare i primi 30″ del bellissimo pezzo di Pierre Henry che c’è qui sotto e poi ditemi.
    Se almeno ci fosse su iTunes, potrei comprare un paio di pezzi per € 0.99 cadauno.
    C’è Murail su iTunes?
  • Un compositore molto importante ieri e anche oggi: Luigi Nono.
    Esiste l’Archivio Luigi Nono da cui posso sapere vita, morte e miracoli. Però, come diceva Elvis Costello, “parlare di musica è come danzare di architettura”. Posso ascoltare una sua opera, almeno una?
    No.
    Idem, come sopra.
    C’è Nono su iTunes?
  • La cosa vale anche per tutti gli altri. Anche per la maggior parte dei giovani in cerca di affermazione. Anche per gli affermati ma non ancora storici (ex. Marco Stroppa, per dirne uno). Paradossalmente Stockhausen, che non ha certo bisogno di farsi conoscere, è uno di quelli che mette più esempi sonori anche se quasi tutti max 1 minuto (tranne due, non fondamentali).

Allora chiedo a compositori, editori, discografici:
in questo modo, pensate di vendere di più, di guadagnare di più, di diventare più famosi? Ma siete sicuri?

Eppure sul sito dedicato a Schoenberg, quasi tutte le sue opere si possono ascoltare in streaming, il che significa che si è arrivati ad un accordo con eredi, discografici e editori.
Cosa significa? Che adesso Schoenberg non si esegue più? Che non si vende più? Che non si vendono più partiture?

La normalità delle cose sarebbe che sul sito di qualcuno interessato a vendere quella musica o a vedere più gente ai propri concerti ci fossero almeno un paio di opere fondamentali per capire quell’autore liberamente ascoltabili.
Così il nostro impiegato del catasto potrebbe decidere se Murail lo interessa o meno e nel primo caso andrebbe a comperarsi qualche cd, sapendo di non buttare via i soldi.
Così, sia lo strumentista che il compositore, sentito un brano interessante, comprerebbero anch’essi qualche cd e magari anche qualche partitura.

Infine, dal punto di vista di un compositore, tutta questa faccenda ha dei risvolti molto idioti.
Perché uno che scrive musica che sa essere per pochi, dovrebbe dare gran parte dei suoi soldi a qualcuno che per lui fa ben poco?
Alcuni miei colleghi americani famosi quanto me (cioè poco), hanno cominciato a mettere quasi tutto su internet. Tutte le partiture e gli MP3 di vari pezzi. Inoltre, vendono i propri cd da soli o tramite una netlabel.
Uno di questi mi raccontava che un suo brano (non ricordo se un trio o un quintetto) aveva avuto ben 20 esecuzioni nel 2006. Mi diceva:

gli interpreti in cerca di materiali arrivano sul mio sito, ascoltano il pezzo; gli piace; scaricano la partitura, vedono che non è troppo difficile ed è stampata bene e tutto quello che devono fare è studiarla. Scaricano le parti in pdf e provano. Spesso mi mandano le registrazioni delle prove e io dò qualche consiglio. Magari prendo un volo da $30 e ci vado.
In questo modo ho guadagnato i diritti per 20 esecuzioni [i suoi lavori sono depositati all’ASCAP; nota mia]. Non sono pochi soldi. Non credo che sarebbe successo se avessi avuto un editore.
Inoltre, nei programmi di sala faccio indicare sempre il mio sito su cui è possibile comprare il mio cd in forma di file, comprese le immagini di copertina e le note, a $8. Così, se a qualcuno il pezzo è piaciuto, si compra anche gli altri brani che non sono liberamente disponibili e in un anno ho venduto quasi 200 copie per circa $1500. Se lo avessi dato a una casa discografica avrei dovuto vendere 1500 copie per guadagnare così. Forse nemmeno Stockhausen vende tanto.

Ora, so bene che qui non siamo negli USA, però forse è il caso di far fuori un po’ di intermediari. Noi dobbiamo prendere in mano il nostro destino. La gente non compra più i cd nei negozi. Quello a cui dobbiamo arrivare è a poter gestire in proprio le nostre produzioni, come qualcuno ha già cominciato a fare.
Domanda: qui in Italia, io posso, legalmente, vendere dal mio sito un brano musicale che ho depositato in SIAE? (ovviamente pagando le tasse sugli incassi, come parte del mio imponibile)

Boulez 82

boulez

Il 26 marzo Pierre Boulez ha compiuto 82 anni.
Anche noi lo ricordiamo pubblicando le battute iniziali della sua Prima Sonata per piano scritta a soli 21 anni.
Cliccate sull’immagine per ingrandire.

[from Monotonous Forest]

Musica in via di estinzione?

Ok, forse il titolo è eccessivo; in fondo la musica contemporanea può anche essere considerata un optional, però la sua situazione è piuttosto drammatica.
Principalmente a causa dell’opposizione dei discografici e degli editori, ma anche per la cecità di buona parte dei musicisti, la musica di produzione recente su internet praticamente non esiste.
Chi, come il sottoscritto, gestisce un blog dedicato alla musica sperimentale, se ne rende conto pesantemente.
L’unica musica che si trova facilmente è quella distribuita dalle netlabel. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di pop o similia, più raramente di musica sperimentale non accademica e praticamente mai di musica contemporanea accademica.
Quello di cui non riesco a rendermi conto è come i compositori possano essere così ciechi. Sui loro siti, almeno su quelli dei pochi che ce l’hanno (e già questo è indice di idiozia diffusa), molto raramente si trova un po’ di musica da ascoltare. E quando dico “un po’ di musica” intendo dire alcuni brani, interi, non un minuto su 10. Nell’Archivio Luigi Nono, tanto per fare un esempio, non c’è un solo pezzo da ascoltare.
Come pensino di incrementare il proprio seguito se nessuno può ascoltarli, è un mistero.
Nel caso della musica classica, la situazione migliora almeno un po’. Essendo ormai scaduti i diritti d’autore, se l’interprete acconsente e la sua esecuzione non è su disco, può essere diffusa, ma nel caso della musica contemporanea non è possibile, a meno che non si muova il compositore in persona, perché, a quanto pare, sia i discografici che gli editori sono sordi al riguardo.
Ora, considerate che, anche nel nostro conservatorio e fra i compositori, pochi conoscono nomi come Murail. Grisey, Crumb, Gubaidulina. Al massimo li conoscono di nome, ma non hanno ascoltato quasi nulla. E se fate un sondaggio, vedrete che anche le opere dei compositori storici (Berio, Nono…), non sono così conosciute. E non mi sembra strano: a meno di sforzi, non è possibile ascoltarli.
Recentemente, in un mondo sensibile sia alla tecnologia che all’auto-promozione, come quello americano, si nota qualche segno di cambiamento. Vari compositori, soprattutto giovani o non ancora affermati, hanno iniziato a mettere brani e partiture in rete e anche qualche europeo lo fa.
Ma è sempre troppo poco e non riesco proprio a capire perché non lo capiscano.

Le Voile D’Orphée

Il solito Anablog, specializzato in musica analogica ormai fuori catalogo, pubblica Le Voile D’Orphée, composta da Pierre Henry nel 1953.
Si tratta della prima versione, di 27 minuti. Nel 1958, infatti, venne prodotta una seconda versione, più breve (circa 15′), utilizzata nel balletto di Maurice Bejart “Orpheus”.
Questo brano è uno dei più rappresentativi della prima musica concreta, basata su filtraggi, cambi di velocità e montaggi di nastri.
Qui Henry tratta i suoni concreti in modo quasi sinfonico. A circa 50 anni di distanza, questa musica conserva intatto il senso di mistero che la ispirava.
Dal sito dell’AvantGarde Project si possono scaricare entrambe le versioni del brano in formato flac (compressione senza perdita).

Pierre Henry – Le Voile D’Orphée I (1953)

RIAA peggiore

golden shit trophy

Nel poll di Consumerist (associazione di consumatori USA), la RIAA (associazione dei discografici USA) è stata eletta peggiore compagnia americana 2007 con il 53.8% dei voti, battendo nientemeno che Halliburton, la multinazionale texana in cui ha lavorato il vice-presidente Cheney sempre sull’orlo dello scandalo per i suoi profitti legati alla guerra in Iraq.
Di conseguenza, la RIAA vince il “lucky golden shit trophy”, premio più piccolo, ma molto più esplicito del tapiro d’oro (vedi figura).

Tibetan Bells

Maybe someone remember this 1973 vinyl (now out of print) called Tibetan Bells by Henry Wolff and Nancy Hennings.
Not so deep from a composer’s point of view but beautiful sounds.

Non so se qualcuno di voi ricorda questo vinile del 1973 ormai fuori catalogo, fatto tutto con campane tibetane e firmato Henry Wolff and Nancy Hennings.
Compositivamente debole, ma gran suono.

from Henry Wolff and Nancy Hennings – Tibetan Bells (1973)

Khumbu Ice-Fall

Chain Music

Sul sito di Sakamoto trovate Chain Music, una catena musicale fra vari artisti mantenuta in vita finché continua la guerra in Iraq.
Sakamoto scrive:

In March, 2003, when the US invaded Iraq, I felt that I had to advocate peace over war, so I started this little web project.
Even though the 100,000-plus Iraqi civilian and the 3,000-plus US military lives lost to date can’t be brought back, I want to keep this project alive and open until the war has ended, until peace comes to Iraq.
The idea is to chain musical pieces from one artist to another, like a chain letter.
The purpose is to musically mark the passage of time that Iraq is in a state of war, to mark the steps to peace, to take each day that there is war and build a musical memorial to the desire for peace as well as to mark off the time of war.
So far 22 artists have contributed their musical pieces, adding on to the existing work vertically as well as horizontally, overlaying or extending the existing creation.
There are no rules how to contribute musically, except that the contributor must not eliminate any of the existing music as he or she adds to it, because the existing music is the result of the artistic contribution of the other artists.


Questo è il link / Here is the link

Partecipano nomi di primo piano.

Att.ne: il file, si ascolta in linea via flash, ma il caricamento è molto lungo perché il tutto ormai dura 54 minuti. Dovete premere start perché inizi il caricamento. Meglio scaricare l’MP3.
Warning: the file is a flash audio/video stream 54 minutes long and it takes a lot to load. Must press start to load. Better download the MP3.

Onesto o poco professionale?

An expectant hum filled the Brighton Dome as the thousand-strong audience took their seats for the world premiere of A British Symphony.
They had travelled from all over the country in the hope of hearing something extraordinary from Andrew Gant, the respected composer who is also the Queen’s choirmaster. Instead, they heard it from Barry Wordsworth, the conductor of the Brighton Philharmonic Orchestra (BPO).
Moments before the afternoon’s performance was due to begin he announced that he “did not believe” in the work and it would therefore be hypocritical to perform it. Gant’s patriotic homage to the British Isles had been replaced by Mendelssohn’s Italian Symphony.
[from The Times]

So, what do you think about. Please, vote and/or drop a line.

Secondo il Times del 10 marzo, Barry Wordsworth, direttore stabile della Brighton Philharmonic Orchestra si è rifiutato di dirigere un brano del compositore e organista contemporaneo Andrew Gant intitolato A British Symphony. Il tutto è accaduto il 25 febbraio, a poche ore dalla rappresentazione (nel programma della serata, il brano è stato sostituito dalla Sinfonia Italiana di Mendelssohn).
Per spiegare il proprio comportamento Wordsworth ha dichiarato che “non credeva nel pezzo”.

L’ambiente si è diviso in due partiti: quelli che lodano l’onestà intellettuale e quelli che criticano la mancanza di professionalità.
Così, d’istinto, mi viene da iscrivermi al primo (semmai criticando il fatto che non lo abbia detto prima), ma poi ho pensato alle volte in cui ho fatto l’esecutore in qualche brano di musica elettronica che non mi piaceva più di tanto, sempre sforzandomi di fare bene quello che andava fatto e magari cercando di metterci qualcosa che me lo facesse amare almeno un po’ e così non sono più tanto sicuro.

Voi che ne pensate?
Provo a lanciare un altro poll. Naturalmente potete anche commentare.

Create polls and vote for free. dPolls.com

faune y seis tormentas

faune & seis tormentas together in this release titled “zone de guerre” (2006) for the netlabels unshell records and pathmusick by Alex Cortex.

faune e seis tormentas insieme in questo “zone de guerre” del 2006 per le netlabel unshell records e pathmusick di Alex Cortex.
Trovo affascinanti queste fasce sonore composte di pochissimi elementi in perpetuo loop, quasi un residuo di qualcosa che è già stato a cui noi non abbiamo assistito e di cui non sappiamo nulla.
In effetti questa situazione mi ricorda un po’ Stalker, non tanto il film di Tarkovskij, quanto il racconto da cui è tratto: quel Picnic sul ciglio della strada (1971) dei fratelli Arkadi e Boris Strugackij

Come dopo un picnic sul ciglio della strada, a metà del viaggio fra una galassia e l’altra, gli extraterrestri hanno mollato i propri avanzi sul prato. “Avanzi” che hanno cambiato radicalmente leggi fisiche e natura di quei luoghi..

faune y seis tormentas – zone de guerre

zone 1
zone 2
zone 3
zone 4

Il paradosso di Google: la moneta cattiva scaccia la buona

Chi dice che la legge di Gresham non si applica a Internet?
Qualche giorno fa, per scrivere il post sul Well Tuned Piano di La Monte Young, ho cercato su Google “la monte young well tuned piano” (senza le virgolette, of course).
La classifica dei link in prima pagina è la seguente:

  1. Amazon.com (che naturalmente non mi dà informazioni sull’opera, vuole solo vendermi i dischi, che peraltro non ha)
  2. Kyle Gann (la pagina sulla just intonation che ho citato; mi è servita, ma non era essenziale)
  3. Mela Foundation (la fondazione di La Monte Young che però riporta solo citazioni stampa sull’opera)
  4. Kyle Gann (di nuovo: ha la stessa pagina in due link diversi)
  5. Avantgarde Music di Scaruffi (la prima pag con contenuto realmente informativo su cui si può essere d’accordo o meno, ma comunque è informativa)
  6. MG Blog (sì, mi fa piacere notare che, in soli 2 giorni, il nostro blog è sesto; in blogsearch è addirittura primo, ammesso che la lingua del vostro browser sia l’italiano. Naturalmente quando ho fatto la ricerca non c’era)
  7. Musica su Last.fm (che mi dà 4 estratti di 30 secondi ciascuno su pezzi che non sono The Well Tuned Piano)
  8. New Music Box (con una intervista in cui si parla anche di quest’opera)
  9. Dusted Magazine (altra pagina informativa)
  10. Vinadio2003 (su una installazione che omaggia l’opera)

Questi sono i primi 10. Solo 2/10 link offrono vera informazione sull’opera. Gli altri, 8/10, o vogliono vendermi qualcosa o sono tangenti all’opera. Nelle pagine che seguono, le cose non cambiano.

In definiva Google mi dato un 20% di link utili alla comprensione dell’opera e il resto è fuffa.
OK. Forse riflette l’entropia del pianeta, ma non dovrebbe farlo. Il page rank (la conta, sia pure pesata, dei link a quella pagina) è stato osannato come un sistema per trarre un ordine dal caos, mentre invece adesso è un semplice sondaggio.
Il dato di fatto è che ormai, Google, Technorati e altri indici non misurano l’importanza di un sito o di un blog, ma soltanto la sua popolarità. In pratica applicano una equazione secondo cui popolarità = importanza. E questo è un problema perché una cosa del genere può essere vera per il grande fratello, ma non, per esempio, per la fisica teorica. O per la musica sperimentale.

Mmmhhh. Viene quasi da avere dei dubbi anche sulla democrazia…

Ionisation

Ionisation by Edgar Varèse on YouTube.

Solistes de l’Ensemble intercontemporain
Elèves du Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse de Paris
Susanna Mälkki, direction

Percussions : Gilles DUROT, Samuel FAVRE, Victor HANNA (Ensemble intercontemporain) / Matthieu DRAUX, Adelaide FERRIERE, Jean-Baptiste BONNARD, Noam BIERSTONE, Christophe DRELICH, Julien LACROUZADE, Thibault LEPRI, Sylvain BORREDON, Othman LOUATI
Piano : Sébastien VICHARD

Enregistré à la Cité de la musique le 20 novembre 2012, dans le cadre du Festival d’Automne à Paris

π-Day

pi grecoSpero che abbiate un font greco altrimenti non vedrete mai tutto il titolo.
Il 14 marzo era il π-Day (Pi greco day). Questo perché gli anglosassoni scrivono prima il mese, poi il giorno e quindi esce 3.14.
Generalmente si celebra alle 1.59 p.m. perché π fa 3.14159.
Incidentalmente era anche il compleanno di Albert Einstein.
È un po’ buffo taggare questo post con Scienza, comunque… in questa pagina trovate pi-greco con 4 milioni di decimali.

The FreeSound Project

Il Freesound Project è gestito dall’Universitat Pompeu Fabra di Barcelona. Il fine del progetto è la creazione di un database di campioni audio distribuiti sotto licenza Creative Commons Sampling Plus e quindi liberamente riutilizzabili.
Oltre alle solite modalità di consultazione, basata su tags, è anche possibile ricercare sonorità simili o dissimili. Molti campioni di tipo ambientale hanno anche un tag geografico (geotag) che indica la località di registrazione, selezionabile da una mappa.
Naturalmente, tutti possono contribuire. Il db ormai contiene più di 500.000 suoni

T-clock

La vedete? È una T-shirt con un orologio sopra. Ma l’orologio non è stampato. Funziona. C’è anche una funzione cronometro.
Il problema è che dovete tirarvi dietro anche 4 batterie AAA con autonomia da 12 a 36 ore in base alle modalità di funzionamento (il display si può spegnere o lampeggiare).
L’altro punto è che vi trasforma in un orologio ambulante: gli altri leggono bene l’ora, voi no.
Costa $89.95 da groovygadgetsonline

Però l’idea è interessante. In tempo di wireless è facile pensare a magliette con film che vanno, news, immagini e magari, visto il numero di webcam non protette in giro, prima o poi, passeggiando per un aeroporto qualcuno vedrà, sulla schiena di qualcun altro, la moglie che se la spassa con il classico migliore amico…

Il pianoforte ben temperato

la monte young

The Well-Tuned Piano (iniziato nel 1964, eseguito in prima assoluta a Roma nel 1974 e in fondo sempre in progress) è l’opus magnum di La Monte Young, il lavoro in cui molte delle sue teorie si cristallizzano e prendono forma.
Un pianoforte, il vecchio Bosendorfer dello stesso La Monte Young accordato secondo una delle possibili varianti della scala naturale (just intonation) assume sonorità molto particolari. L’accordatura esatta rimase segreta per 27 anni, fino a quando, nel 1991, Kyle Gann ne decodificò 10 note su 12 usando un computer, un DX7 e un CD player.
Perché solo 10? Perché una nota (il SOL#) non viene mai utilizzata e un’altra, il DO#, appare solo una volta in più di 5 ore di esecuzione. Comunque, a questo punto, l’accordatura venne resa nota e risultò essere come segue (riporto la tabella dal link di cui sopra, aggiungendo una riga):

Notes: Eb E F F# G G# A Bb B C C# D
Ratios: 1/1 567/
512
9/8 147/
128
21/
16
1323/
1024
189/
128
3/2 49/
32
7/4 441/
256
63/
32
Cents: 0 177 204 240 471 444 675 702 738 969 942 1173
Temp Cents: 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100

Come si può notare osservando la linea “Cents”, che rappresenta l’accordatura delle singole note espresse in centesimi di semitono (100 cents = 1 semitono temperato), le differenze con l’accordatura temperata (quella comunemente usata, espressa nella linea “Temp Cents”) sono notevoli. Praticamente soltanto la 5a e la 2a maggiore sono invariate.
Vale la pena di ricordare che l’accordatura naturale (just intonation) si ottiene trasponendo all’interno dell’ottava gli armonici naturali. Il punto è che la maggior parte delle note si possono ottenere partendo da parecchi armonici, con intonazione leggermente diversa. La scelta determina la qualità della scala e il grado di frizione degli accordi costruita su di essa.
La sonorità della scala naturale, comunque, è migliore rispetto alla scala temperata (più naturale, appunto). Il prezzo da pagare, però, è immenso, almeno dal punto di vista della musica occidentale: funziona bene solo in una, massimo due tonalità. Addio alle modulazioni, che invece sono una pratica fondamentale nella nostra musica.
In questo estratto di alcuni minuti (sulle quasi 6 ore dell’opera), tratto dalla sezione iniziale, si può sentire come La Monte Young la utilizzi per costruire dapprima armonie ripetitive e poi nuvole di suoni a pedale quasi sempre premuto, dando vita a una serie infinita di risonanze che avvolgono l’intera trama.

La Monte Young – The Well-Tuned Piano (excerpt from section 1)

The Place of the Solitaires

Un altro buon lavoro di Steve Layton per sole percussioni, “The Place of the Solitaires” del 2007, concettualmente collegato con un brano precedente, sempre per percussioni, “The Pulling into the Sky”, scritto due anni prima.
Rispetto al precedente, questo nuovo movimento utilizza anche un set di percussioni melodiche: campane, marimba e vibrafono.
Il titolo si ispira a un poema di Wallace Stevens, che riportiamo, e che, secondo Steve, spiega il brano meglio di ogni altra cosa (…un luogo di perpetuo ondeggiare…)

Steve Layton – 2 pieces for percussion ensemble

Wallace Stevens – The Place of the Solitaires

    Let the place of the solitaires
    Be a place of perpetual undulation.

    Whether it be in mid-sea
    On the dark, green water-wheel,
    Or on the beaches,
    There must be no cessation
    Of motion, or of the noise of motion,
    The renewal of noise
    And manifold continuation;

    And, most, of the motion of thought
    And its restless iteration,

    In the place of the solitaires,
    Which is to be a place of perpetual undulation.

The Seasons

Il giorno in cui qualcuno si laurea con una tesi su John Cage seguita e ispirata dal sottoscritto deve essere celebrato, per cui mettiamo questo post.

All’inizio del 1947 John Cage scrisse The Seasons, un Balletto in un atto pensato per la compagnia di Merce Cunningham che la portò in scena nello stesso anno con scene e costumi di Isamu Noguchi.
Il brano prende la forma di una suite in 9 movimenti: Prelude I – Winter – Prelude II – Spring – Prelude III – Summer – Prelude IV – Fall – Finale (Prelude I).
Si tratta di una composizione dolce e lirica che, come le Sonate e Interludi e lo String Quartet, si ispira, concettualmente, all’estetica indiana nella quale l’inverno è visto come uno stato di quiete, la primavera come creazione, l’estate come conservazione e l’autunno come distruzione.
È uno di quei pezzi in cui Cage tenta di “imitare il modo di procedere della natura”, altra idea tratta dalla filosofia indiana e il brano, pur nella sua complessità ritmica, ha un andamento ciclico, con la fine che equivale ad un nuovo inizio. Così anche Cage, come altri compositori, ha le sue stagioni in cui le cose nascono, crescono, mutano e si distruggono, ma qualche volta ritornano.

In realtà The Seasons esiste in due versioni. Quella per piano solo venne composta per prima e in seguito Cage la orchestrò con l’aiuto di Lou Harrison and Virgil Thomson.
Qui potete ascoltare lo stesso estratto (Prelude I e Winter) in entrambe le versioni e apprezzare le differenze di uno stesso testo affidato prima alla concentrazione monotimbrica del pianoforte in cui, proprio per questo, l’interprete deve giocare su sottili sfumature coloristiche e poi alla pluralità di suoni dell’orchestra, più ricca, ma anche meno definita dal punto di vista ritmico e armonico.

John Cage – The Seasons (1947)

solo piano version – Margaret Leng Tan, pianoforte

orchestral version – BBC Symphony Orchestra conducted by Lawrence Foster

Se un suono non ti piace è perché non l’hai ascoltato abbastanza

Difficile scrivere poche righe su La Monte Young.
Nato nel 1935, considerato come uno dei primi minimalisti e celebrato dalla suddetta scuola, sebbene formalmente abbia molto poco in comune con compositori come Glass e Reich, i suoi lavori sono considerati fra i più importanti e radicali nel panorama dell’avanguardia post-bellica e sperimentale.
Ispiratore del gruppo Fluxus, le sue composizioni concettualmente minimali investono la stessa definizione di musica. Molti dei suoi pezzi, infatti, sono costituiti da un eterno bordone.
Ricordo che, nella mia ormai lontana gioventù, 8) rimasi colpito da una sua partitura costituita unicamente da due note in 5a (mi pare SI e FA#), con la scritta “to be held for a long time”. Probabilmente il brano più lungo con la partitura più corta mai composto.
Rimasi anche colpito da una sua riflessione che investiva la nostra considerazione del tempo:

Se un giro di blues dura 12 battute, perché non può durare 12 giorni? 4 giorni in DO, 2 giorni in FA…..

Autore del Well Tuned Piano (il pianoforte ben temperato), un’opera monumentale per piano solo accordato secondo la scala naturale (just intonation), la cui durata in alcune esecuzioni supera le 6 ore ed è documentata in una edizione in 5 CD da Grammavision (e poi in DVD per la sua etichetta Just Dreams), è stato un pioniere dello studio degli effetti generati da intervalli musicali naturali mantenuti a lungo e insieme con Marian Zazeela ha realizzato una serie di Dream Houses, ambienti in cui si combinano i suoi tappeti di onde sinusoidali in just intonation con le sculture di luce in forme simmetriche e quasi calligrafiche di Zazeela.
Ha anche studiato musica classica indiana con Pandit Pran Nath a cui è dedicato questo brano composto unicamente da un bordone di tampura e messo in linea da AnaBlog.
È lungo e sempre uguale e ricordate, se un suono non vi piace è perché non l’avete ascoltato abbastanza.

La Monte Young – The Tamburas of Pandit Pran Nath

Out of the Mouths of a Thousand Birds

berry

“I work with blocks of sound in the same way a zen koan might work, in the sense that these “blocks” are supposed to be “triggers” which though they do not contain enough information in themselves to impart enlightenment, may possibly be sufficient to unlock the mechanisms inside one’s mind that leads to enlightenment”.
[Keith Berry]

Io lavoro con blocchi di suono nello stesso modo in cui lavora un koan zen, nel senso che questi “blocchi” possono essere considerati come dei “grilletti” che, nonostante nessuno di essi contenga abbastanza informazione da portare all’illuminazione, è possibile che riescano a sbloccare quel meccanismo nascosto nella mente che conduce all’illuminazione.

Una dichiarazione maledettamente pretenziosa questa del musicista inglese Keith Berry, così come è pretenzioso il suo sito.
Ma questo fa parte del cammino personale di ciascuno e se Berry ha bisogno di queste suggestioni per produrre i suoi cluster ambientali e quasi organici, faccia pure. È il suono che mi interessa…

Fennesz/Sakamoto

fennesk sakamoto

Parte di una performance di 19 minuti di Christian Fennesz e Ryuichi Sakamoto in laptop duo + chitarra tenutasi alla Sala Santa Cecilia in Roma il 28 Novembre 2004.
Peccato che questo assaggio finisca brutalmente dopo 4 minuti, proprio quando comincia a diventare emozionante.
L’intera performance è distribuita in EP dalla netlabel Touch Tone.

Fennesz/Sakamoto – Live at Sala Santa Cecilia – estratto/excerpt

Dalle 6 alle 7: Danses

frederikeThe Danses sacree et profane were composed by Claude Debussy (1862–1918) at the request of the firm of Pleyel, manufacturers of musical instruments. In 1894 Gustave Lyon had invented a new mechanism for the harp, which provided the full chromatic scale by the use of twelve strings to the octave, crossing each other at an angle so that the diatonic and chromatic notes were clearly distinguished, yet both accessible to the player’s hands. A rough analogy is the arrangement in which a piano has the black keys raised above the white. The previous design of the harp had had only seven strings to the octave, with a series of pedals supplied to provide chromatic notes.
Some time later, a class in the new instrument was established at the Brussels Conservatoire. As a test piece, and also, probably, to promote the use of this instrument, Pleyel and the Conservatoire commissioned a work from Debussy. The Danses were first performed in 1904. As a publicity exercise for the chromatic harp they seem to have been a complete failure; performers and composers continued to employ the standard harp with the pedal mechanism (watch our soloist’s feet today!)
However they were much more successful from the artistic point of view, and the Danses sacree et profane have become an important part of the harp repertoire.
The Danse sacree is a piece of restrained and gentle harmonies, its “sacred” character suggested by the unison line of the opening and the parallel chords first heard at the entry of the harp. A middle section features more complex harmonies, with brief solos from violin and viola; the opening harp theme returns, and subsides onto a bass line picked out by the soloist’s left hand. This leads without a break into the Danse profane.
The “profanity” of the second dance is not a matter of vulgarity (can anyone imagine Debussy writing vulgar music?) but simply proclaims it, in contrast to the first, as “secular” or “worldly”. It begins, in fact, as a valse lente: there is a suggestion of Erik Satie’s Gymnopedies for piano, which Debussy had orchestrated in 1896. In a middle section the tempo drops by half, the strings fall silent, and the harpist provides her own accompaniment with six–against–four, five–against–three and even more complex rhythmic patterns. The valse returns, and builds up to a glowing climax of string chords and harp glissandi.

Le due Danses (sacrée et profane, 1904) di Debussy, per arpa cromatica e orchestra, sono state composte su commissione per valorizzare un nuovo tipo di arpa, con due file di corde, ideato per rimpiazzare i nuovi modelli a pedali.
Nonostante la sua adozione ai conservatori di Parigi e Bruxelles, lo strumento ebbe vita breve a causa delle difficoltà di diteggiatura e altri problemi, ma le Danses di Debussy, invece, ebbero successo e divennero in breve una parte importante del repertorio dell’arpa tradizionale.
L’aspetto “sacro” della prima è suggerito dagli unisoni e dagli accordi paralleli della parte iniziale, mentre il carattere “profano” della seconda deriva dall’andamento di valzer lento un po’ alla Satie, di cui Debussy aveva orchestrato, pochi anni prima, le famose Gymnopedies.

Claude Debussy – Danse sacrée et danse profane

Frederike Wagner, arpa
Sophia Larsdotter, Andrea Pasquetto, violini
Ragnhild Hammer, viola
Andrea Battistoni, violoncello
Anna Zerlotto, contrabbasso
Esecuzione registrata presso il Conservatorio Dall’Abaco, Verona, 30/01/2007

Un compositore…

A composer is a person who goes around forcing their will on unsuspecting air molecules, often with the assistance of unsuspecting musicians.

Un compositore è una persona che se ne va in giro imponendo la propria volontà a ignare molecole d’aria, spesso assistito nel suo scopo da ignari musicisti.

Frank Zappa
from Kill Ugly Radio

Dalle 6 alle 7: Pour le Piano

tessa

Iniziata nel 1894/96 e terminata del 1901, la suite Pour le Piano è un’importante opera di transizione nel linguaggio di Debussy: da una parte la scrittura pianistica risente ancora di influenze determinanti (i claviembalisti settecenteschi nei movimenti esterni, Satie nella sarabanda centrale), ma dall’altro vi si scopre una grande disinvoltura e originalità.
Il primo brano, Prélude (Assez animé et très rythmé, in La minore), fu probabilmente l’ultimo ad essere scritto: è un pezzo è pieno di slancio e di carattere quasi rude, che sembra liberamente ispirarsi ai Preludi e alle Fantasie per strumento a tastiera di Bach. La successiva Sarabande fu composta verso la fine del 1894, ed in origine doveva far parte delle tre Images inédites dedicate a Yvonne Lerolle. E una pagina dalla linea melodica purissima e dall’andamento nobilmente composto, e costituisce probabilmente il momento più alto dell’intera composizione. Chiude la suite una Toccata di grande brillantezza (composta con ogni probabilità nel 1896), una sorta di moto perpetuo in cui fanno capolino le ombre dei grandi clavicembalisti del Settecento, con François Couperin e Domenico Scarlatti in testa.

Claude Debussy – Pour le Piano – Tessa Catchpole, pianoforte

Esecuzione registrata presso il Conservatorio Dall’Abaco, Verona, 30/01/2007

OK

Da un po, ormai, gira in rete una mail del tipo “non tutti sanno che” in cui si attribuisce con certezza l’etimologia di “OK” ai bollettini della guerra di secessione, nei quali sembra si scrivesse “0K” per “zero killed”, notizia positiva che significava che, nell’ultima azione, nessuno dei nostri ci aveva rimesso la pelle.
A riprova che l’universo non è mai user-friendly, questa storia è ben lontana dall’essere una verità certa, ma è solo una fra una moltitudine di ipotesi.
Riporto quanto affermato da wikipedia.

La prima apparizione certa dell’acronimo, nella forma “o.k.”, risale al 23 marzo 1839 nel “Boston Morning Post”.

A dispetto della sua diffusione universale, non vi è la benché minima concordanza sulla possibile origine della locuzione. Ecco alcune delle ipotesi più comuni:

  • potrebbe derivare dalla lingua dei Choctaw, una popolazione nativa americana, dove figurava la parola “okeh” con la stessa pronuncia e lo stesso significato
  • secondo un’altra opinione, starebbe per “Oll Korrect”, cioè “all correct” scritto deliberatamente in modo sbagliato per enfatizzarne il significato
  • in lingua Bantu “uou-key” (trascrizione fonetica) sta per “certamente sì”: l’espressione potrebbe così essere filtrata dalla lingua degli schiavi africani nell’uso americano
  • prima delle elezioni presidenziali del 1840 a New York venne fondato l’O.K. Club, un circolo di sostenitori del presidente democratico Martin Van Buren, il cui nome alludeva a “Old Kinderhook”, nomignolo del presidente dal suo luogo di nascita, Kinderhook, New York
  • durante la Guerra di secessione americana, nei bollettini dal fronte, sarebbe stata usata l’abbreviazione 0K, cioè “zero (che si può anche pronunciare “O”) killed”, “zero uccisi”
  • alcuni sostengono che OK sia semplicemente il contrario di KO, assegnandogli conseguentemente il significato opposto
  • innumerevoli sono le teorie che riconducono la locuzione all’acronimo di un nome proprio, solitamente di una persona preposta al controllo di prodotti, trattative, contratti, elenchi o simili.

Goto80

Divertiamoci un po’.
Da 10 anni, Goto80 fa 8 bit music, ovvero musica eseguita da un paio di oscillatori e un noise generator tipo Commodore64.
È una tendenza anti tecnologica a metà, lo-fi e anti-colta che mette in discussione una hi-fi imperante che serve solo a riprodurre band sempre più uguali a se stesse e con sempre meno cose da dire.
E se Barking at the Wrong Dog (trad: abbaiando al cane sbagliato, un titolo da segnarsi) ti ributta nell’atmosfera dei videogames C64, Love Crime fa il verso ai Kraftwerk seconda maniera.
A piccole dosi, mi piace.

 

Eclisse

eclisse
La terra è un’ombra appena più scura, grande, in un cielo senza nuvole.
Lentamente, inesorabilmente, comincia ad intaccare il disco solare: un piccolo morso che si estende rapidamente. Si vede un alone tremolante intorno alla terra, mentre qui una linea d’ombra netta e precisa avanza lungo monti, crateri e valli senza nome.
Una luce rossastra avvolge tutto e per una volta stende un velo di colore su quella che sembrava un’eterna scala di grigi. E io trattengo il fiato nel buio che avanza. Perché un’eclisse di luna per voi è un’eclisse di sole per noi…

Yuki

https://m.media-amazon.com/images/M/MV5BZmM1ZmRkMjItZjc3Ny00ZWQzLWFhYmUtMWE0Y2QwOWY0MTMxXkEyXkFqcGdeQXVyMTIyNzY1NzM@._V1_.jpg

Un altro brano di Takemitsu con sonorità decisamente notevoli.
Questo pezzo fa parte della colonna sonora del film Kwaidan (怪談, Kaidan: Storie di Spettri) diretto da Masaki Kobayashi nel 1964, un lavoro considerato un po’ come The Twilight Zone giapponese, anche se questa definizione non è del tutto appropriata. Si tratta di quattro storie di spettri tratte dalle raccolte di leggende giapponesi di Lafcadio Hearn.
Qui la musica di Takemitsu si fa onirica e perde anche le sue connotazioni orchestrali. Non ci è dato conoscere la formazione, anche perché questi brani non sono pensati per essere eseguiti dal vivo. Si indovinano sonorità percussive e di strumenti tradizionali giapponesi, ma a tratti il suono fa anche pensare a qualche elaborazione elettronica.
Grande lavoro di sound design per un film affascinante.

Musica contemporanea su MySpace!?

Che Stockhausen, Xenakis, Ligeti, Boulez, Cage e molti altri del genere avessero uno spazio su MySpace non lo avrei mai detto, ma la fede dei fans è grande e accade anche questo.
La cosa è stata portata alla mia conoscenza dai colleghi bloggers di sounDesign in questo post (c’è anche una interessante proposta cageana).
Naturalmente, nello spazio dedicato a John Cage, uno dei brani ascoltabili è il solito 4’33″… (ma anche la delicatissima Music for Marcel Duchamp). Ovviamente non ho resistito e ho lanciato l’ascolto dell’infame brano silenzioso :mrgreen: L’ho ascoltato guardando l’indicatore del traffico di rete che mostrava kili e kili di zeri viaggiare da MySpace al mio computer.
4’33” è il pezzo di Cage più scambiato in rete, è in vendita su iTunes a $ 0.99, è stato oggetto di una causa: tonnellate di banda usate ogni giorno per trasmettere il nulla…
Se però penso agli skirillioni di bytes che viaggiano ogni ora per trasmettere idiozie, preferisco di gran lunga il nulla, che, come il vuoto quantico, è un nulla che non è vuoto.

Il vento dell’Oriente e il vento dell’Occidente si incontrano in America e producono un movimento ascensionale nell’aria; lo spazio, il silenzio, il nulla che ci sostiene…

Grande, JC…

A proposito, andate a votare, sfaticati, cabrones…

6 pianoforti

CONSERVATORIO DI MUSICA
“E. F. DALL’ABACO”

“DALLE SEI ALLE SETTE”
Martedì 6.3.2007, ore 18


6 pianoforti… e altre sorprese

Steve Reich
Six pianos
Giovanni Bertelli
Grand Pool’s Oven
(prima assoluta)
Renato Chiesa HITLAHAVUTVESIMCHAH
Pianoforti

    Flavia Casari
    Tessa Catchpole
    Stefano Chiozzi
    Oana Dancescu
    Xavier Locus
    Alberto Dal Molin
    Giovanni Bertelli
Dave Samuels/David Friedman

    Mirko Pedrotti, marimba
    Jacopo Bizzarri, vibrafono
Nyack
Dave Samuels/David Friedman

    Filippo Tosi, marimba
    Mirko Pedrotti, vibrafono
Carousel
Dave Samuels/David Friedman

    Jacopo Bizzarri, marimba
    Filippo Tosi, vibrafono
Sunset Glow

Ingresso Libero

Auditorium Nuovo Montemezzi
Piazza S. Anastasia

Asterism

Toru Takemitsu (武満 徹, Takemitsu Tōru, Tokyo, 8 ottobre 1930 – Tokyo, 20 febbraio 1996) è stato un personaggio chiave nella musica contemporanea giapponese. È il compositore che, più di ogni altro, è riuscito a coniugare le innovazioni stilistiche della nuova musica occidentale con le sonorità e a tratti anche lo spirito della musica tradizionale giapponese (ma non le forme: “Non amo usare melodie giapponesi come materiale. Nessuna forza… nessuno sviluppo. Le melodie giapponesi sono come il Fuji – belle ma eternamente immobili”).
Non rifiutò però di utilizzare gli strumenti della tradizione giapponese, inserendo in molte opere, sia orchestrali che da camera, biwa (un liuto a 4/5 corde e 4/5 tasti) e shakuhachi (il flauto traverso tradizionale).
L’anima giapponese di Takemitsu è presente, però, in maniera forse anche più significativa e profonda, ossia nell’astratto, nella filosofia, nell’ideologia che aleggia fra le sue note (notare anche l’importanza del silenzio o la concezione di un brano come libero flusso musicale non strutturato).
Takemitsu non crea, quindi, una semplice fusione di due stili, quello occidentale e quello orientale, ma ne crea uno nuovo, frutto di una piena conoscenza dei due, nel quale è impossibile fare divisioni accurate. Il compositore giapponese sembra quindi coronare il suo desiderio di “nuotare nell’oceano che non ha né Oriente né Occidente”, desiderio all’insegna di una visione a 360 gradi della musica
Nella sua formazione musicale, Takemitsu fu quasi totalmente un autodidatta; subì molte influenze dalla musica francese, in special modo da autori come Claude Debussy e Olivier Messiaen.
Scrisse anche circa 100 colonne sonore per film come Ran di Akira Kurosawa (1985) e l’incredibile Kuroi ame (Pioggia nera) di Shohei Imamura (1989), sul dopo-Hiroshima.

Recentemente l’Avant Garde Project ha iniziato a distribuire vari brani di Takemitsu ormai fuori catalogo in occidente, disponibili in formato FLAC (compressione senza perdita, quindi di qualità massima) in questa pagina.
Forse non fra i pezzi più famosi, ma sempre belli. Questo Asterism (1968), per piano e orchestra con una sezione di percussioni allargata, “rispettosamente dedicato a Yuji Takahashi e Seiji Ozawa”, è un brano composito in cui convivono una scrittura fatta di figurazioni quasi esplosive per pianoforte, arpa e glockenspiel accanto ad accordi impressionisti nel registro alto degli archi e accordi di ottoni in stile Messiaen, fino al finale in cui, dopo un crescendo di pattern ciclici quasi scoordinati, la musica entra in uno stato di sospensione in cui emerge una tessitura trasparente che sfuma nel silenzio, fino all’ultima, singola nota del piano.

Toru Takemitsu – Asterism (1968), per piano e orchestra
Toronto Symphony Orchestra – Seiji Ozawa (conductor) – Yuji Takahashi (piano)

Miwa Momo Hojo & Yuichi Nagao

FE005

I sondaggi dicono che volete più musica sperimentale incolta ed eccone un po’ (maledizione, debosciati, passate di qui in 400 al giorno (media) e avete votato solo in 16: fate il vostro fott..o dovere e votate cliccando qui).

Miwa Momo Hojo e Yuichi Nagao, entrambi giapponesi, performance & vocal artist la prima, media & sound artist il secondo, sovrappongono suoni elettronici, rumori digitali, moduli ritmici, melodie e patterns vocali a formare un mix stratificato in cui tutti questi elementi si sentono e non si fondono, creando un insieme sorprendente che pende a tratti verso ciascuno dei sui costituenti.
In verità non sono così incolti questi due, ovvero lo sono perché non frequentano le accademie, ma nelle gallerie d’arte li conoscono bene.

Questo album, Kiechimae, è distribuito dalla net-label Frozen Elephent Music e può essere scaricato qui.

Intanto ascoltate Nijiiro No Beer

Nostalgia

Secondo voi poteva Ulisse provare nostalgia di Itaca?
La risposta è decisamente no! Al massimo aveva voglia di tornare a casa.
Contrariamente alla nostra intuizione, infatti, la nostalgia è stata codificata dalla medicina, non dalla poesia.
La parola, che è una commistione del greco νόστος (ritorno) e άλγος (dolore), apparve per la prima volta nel 1688 in una dissertazione medica di Johannes Hofer, uno studente svizzero che ha coniato il termine per descrivere “il sentimento di tristezza che deriva dal desiderio di tornare alla terra natia” (Hofer suggerì altri due termini per descrivere la sindrome: nosomania and philopatridomania).
Fra i primi a vedersi diagnosticare questa nuova “malattia” furono ragazzi della Repubblica di Berna che studiavano a Basilea, domestici e servitori svizzeri che lavoravano in Francia e in Germania e soldati spostati qua e là per il paese.
Secondo Hofer, la nostalgia esauriva lo “spirito vitale”, causando nausea, perdita di appetito, danni ai polmoni, infiammazione cerebrale, arresto cardiaco, febbre alta, marasma e propensione al suicidio.

Svetlana Boym scrive

Every language now has a special word for homesickness that its speakers claim to be untranslatable–the German Heimweh, the French maladie du pays, the Spanish mal de corazón. Czechs have the word litost,which means at once sympathy, grief, remorse, and indefinable longing. The whispering sibilance of the Russian toska, made famous in the literature of exiles, evokes the claustrophobic intimacy of the crammed spaced whence one pines for the infinite. The same stifling, almost asthmatic sensation of deprivation can be found also in the shimmering sounds of the Polish tesknota, which adds a touch of moody artistry unknown to the Russians, who are enamored of the gigantic and the absolute. The Portuguese and the Brazilians have their suadade, a tender sorrow, breezy and erotic — not as melodramatic as its Slavic counterpart yet no less profound and haunting. Romanians claim that dor, sonorous and sharp like a dagger, is unknown to other nations and speaks specifically of a Romanian dolorous ache. Although each term hews to the specific rhythms of its language, all these untranslatable words are, in effect, synonyms, but synonyms that share a desire for untranslatability, a longing for uniqueness.
Svetlana Boym. ‘Paradise Misplaced.’ Harper’s. March 2001 vol 302 no. 1810

Ancora sul logo Italia


La presentazione del logo Italia ha scatenato un vero vespaio fra i bloggers. Non ne ho trovato uno che ne parli bene (ma non ci ho perso più tempo di tanto).
Effettivamente, visto qui sopra nella sua interezza, così come si ammira su italia.it, colpisce il miscuglio di font diverse e di maiuscole e minuscole: la i è un times new roman minuscolo, la t è un cetriolo (ma anche un particolare tipo di font tahoma), le due a sono avangarde minuscole, l e i sono generiche sans serif maiuscolette.
Tutto questo senza contare la copia palese del simbolo di Izquierda Unida, come segnalo due post sotto a questo.
Il sito del governo ci fa sapere che il simbolo è stato ideato dalla società statutnitense Landor, grande multinazionale del branding che ha lanciato alcuni tra i prodotti più conosciuti nel mondo come la Pepsi, la Kellog’s negli Stati Uniti e in Italia marchi come Alitalia, Bnl, Costa Crociere e Sanpaolo e ha vinto la gare di appalto per il marchio it.
Ora, io non sono un pubblicitario (odio l’intero settore), ma mi consta che le aziende pubblicitarie facciano qualche controllo per assicurarsi che un marchio non assomigli troppo ad un altro. Tanto più una come la Landor che disegna loghi per tutto l’orbe terracqueo.
La cosa mi lascia perplesso. Vedo diverse possibilità:

  • non se ne sono accorti e allora sono un po’ pirla
  • se ne sono accorti e non gli hanno dato peso e allora oltre a essere un po’ pirla, potrebbero essere citati (mi vendi a caro prezzo un logo che hai copiato?)
  • hanno fatto apposta: consci delle posizioni di sinistra estrema di Rutelli, hanno deciso di solleticare il suo inconscio (Rutelli ha un inconscio?)

Altre possibilità?

Comunque, come logo, mi sembra piattino. Non mi dice molto, ma d’altra parte nel campo della pubblicità poche cose non mi fanno incazzare.
Per confronto, guardate questi loghi analoghi (nel senso di altre nazioni) che ho visto in spotx. A me quello della Spagna piace, nel senso che mi fa venire subito in mente la Spagna.
loghi esteri
E quello della Repubblica Ceca che è divertente (ovviamente se lo avesseri fatto qui, tutti avrebbero sparato a zero)
cechia

Venendo poi al portale, se non penso al costo, non è male, nel senso che è il solito portale istituzionale. La parte storica è anche carina (magari manca qualcosa) e i contenuti non sono nulli. Per es., cercando verona escono 500 ref.: alcuni sulla città e quasi tutti i comuni della provincia (ma quanti sono?).
È il costo che mi sembra spaventoso, anche considerando il fatto che tecnologicamente è arretrato (formato tabellare, url impossibilmente lunghi). Secondo le ultime notizie, dei € 45.000.000 investiti sono stati finora spesi € 21.000.000 per il data entry (!!) e € 7.850.000 per l’infrastruttura. …azzo!!

Fra le varie reazioni, però, mi sembra doveroso citare Mike-Blog. Anche lui critica, ma propone.
Fosse successa una cosa del genere in USA, ce ne sarebbero già 10 di portali alternativi.

Per chiudere, ecco cosa si potrebbe rispondere (tratto dalla petizione dell’AIAP, l’associazione della grafica italiana)
not it my name

Dalle 6 alle 7: L’isle joyeuse

oana

Continuano gli estratti dalla rassegna “Dalle 6 alle 7” che si tiene presso il Conservatorio E.F. Dall’Abaco tutti i martedì.
Dal concerto dedicato all’impressionismo, L’isle joyeuse di Claude Debussy, composta nel 1904.

Pare che l’idea per questo brano fosse suggerita da un quadro del pittore settecentesco Watteau, raffigurante L’imbarco per l’isola di Citera e che inizialmente questo pezzo dovesse concludere un’ipotetica seconda Suite Bergamasque. Ma nello stesso tempo, l’isola gioiosa è forse anche l’isola di Jersey nella Manica, rifugio in cui il compositore passò l’estate del 1904 in compagnia dell’amante Emma Bardac.

In questo brano Debussy alterna le atmosfere create dalla scala a toni interi costruita sul LA, con quelle della tonalità di LA Maggiore usando il modo lidio come mediatore. Una breve analisi è reperibile qui.

Claude Debussy – L’isle joyeuse (1904) – Oana Dancescu, pianoforte

È possibile esaminare il manoscritto autografo della partitura, conservato presso la Bibliothèque nationale de France.

KPN Telecom building

L’edificio della KPN Telecom, situato a Rotterdam e progettato da Renzo Piano è dotato di uno schermo monocromatico di 2922 m2 formato da 896 lampade quadrate disposte in una griglia di 22*41 che creano una immagine o animazione di m 37.8 di larghezza e 72 m di altezza.

The KPN Telecom building, situated in Rotterdam NL and designed by Renzo Piano, is equiped with a unique monochrome, 2922 m2 screen consisting of 896 square lamps in a 22*41 grid creating a w37.8m * h72m image or animation.

Creatività?

 

Con tutti i soldi che hanno preso (il portale italia.it è costato 45 milioni di euro), copiano anche.
L’ADUC fa notare che il nuovo logo per il turismo italiano è praticamente identico al logo del partito spagnolo della sinistra estrema Izquierda Unida. Giudicate voi. L’idea grafica è la stessa.

Al di là di questa stupidaggine, però, pensiamoci un attimo: 45 milioni di euro! 87222150000 = 87 miliardi 222 milioni 150 mila vecchie lire! Un portale!?

The Musical Box

angelus novus“C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera”
[W. Benjamin “Tesi sul concetto di storia” (1940) Einaudi, Torino 1997, pp. 35-7]

Sono rimasto quasi sconvolto nell’apprendere dell’esistenza di The Musical Box, una band canadese che riproduce i Genesis

fedelmente, dai vestiti agli strumenti (uno prestato direttamente da Rutherford), dalle scenografie alle luci, non tralasciando nemmeno le mosse e i discorsi tra una canzone e l’altra di Peter Gabriel.
Quando nel 73 sono venuti in Italia, il cantante dei Genesis HA DETTO le cose che ieri sera il cantante dei Musical Box ha ripetuto fedelmente, accenti, toni, errori grammaticali in italiano compresi.

Perché sconvolto?
Perché questa tendenza mi sembra esattamente quella che si è prodotta nella seconda metà dell’800 e ha segnato il passaggio dalla musica tout court alla musica classica:

Così cominciò anche ad emergere l’idea di musica classica; l’idea, cioè, che la musica di alcuni compositori del passato avesse un valore trascendente, che non fosse mero entertainment e quindi che dovesse essere ascoltata con grande attenzione e che dovesse essere eseguita esattamente com’era stata scritta.
E naturalmente anche i compositori del’800 cominciarono ad aspirare a scrivere musica del genere. Una musica che esprimesse sentimenti superiori, non un semplice divertimento. Una musica che li rendesse immortali, anche. E per il romanticismo, così pieno di nostalgia, di grandi ideali e di spinta verso l’assoluto, una concezione del genere era perfetta.
Citato in questo mio post

Detto da uno che insegna in una scuola chiamata Conservatorio, può far ridere (anche se insegno musica elettronica). Ma il fatto che una cosa del genere si palesi anche nella musica “pop” è un indice di decadenza assoluta. Attenzione: non si tratta solo di incapacità di innovare restando all’altezza del passato, ma anche di consapevolezza della propria incapacità di innovare. In altre parole, di resa.
Esattamente la stessa resa che si è manifestata in altre arti, per esempio con i pittori neo-rinascimentali, oppure, in architettura, qui da noi, con cose come la ricostruzione fedele del Teatro La Fenice a Venezia.
Perché, ragazzi miei, quando nel ‘700 crollava una chiesa che magari era lì da qualche secolo, pochi avrebbero pensato di ricostruirla uguale. Si sarebbe detto, invece, adesso la ricostruiremo nuova e più bella di prima, esprimendo fiducia nelle proprie capacità creative.
Con questo non dico che bisogna stendere una bella gittata di cemento sul passato (roll over Beethoven). Il passato va conservato, però il rifarlo uguale è indice della nascita di un culto (in senso culturale), anche perché dei Genesis di allora esistono dischi, filmati, registrazioni. Nulla è andato perso. Non è come il caso della musica classica di cui non abbiamo esecuzioni originali e ogni nuova esecuzione è un’interpretazione e un unicum.
Qui è peggio, perché non c’è interpretazione. Perché, notate bene, senza queste testimonianze tecniche (dischi, filmati), The Musical Box non potrebbe riprodurre pari pari, non solo la musica, ma anche l’evento (i costumi, le mosse, i discorsi, gli errori).
È la resa della creatività. È la chiusura del cerchio di Benjamin: l’opera d’arte, riprodotta tecnicamente, perde il suo status di unicità, per dirla con Benjamin, la sua “aura”. Ed ecco che proprio questa riproduzione tecnica viene usata da qualcuno al fine di riprodurre, fino ai particolari più secondari, quell’opera d’arte. Ma l’aura non può essere riconquistata.
Notate ancora una volta la differenza con la musica classica. Quando ascolto Michelangeli che esegue Beethoven, io, in cuor mio, non ascolto Beethoven, ascolto Michelangeli. In realtà, per me, Michelangeli non è Beethoven. Beethoven è la partitura, non l’interpretazione. Nella musica classica il messaggio viene trasmesso attraverso la partitura, non attraverso l’esecuzione perché ogni esecuzione è una interpretazione e la mia può essere diversa dalla tua. Così, anche quando sento per la prima volta un brano contemporaneo che mi piace, la prima cosa che penso è di vedere la partitura perché solo così posso capirlo e farlo mio.
Ma qui non è così. Qui ricadiamo nel caso della Fenice ricostruita. Il concerto di The Musical Box non è il concerto dei Genesis, è solo un tentativo di riconquistarne l’aura. E così è solo una pallida illusione, un simulacro dickiano.

Pubblicato in Pop

IceMusic

Una interessante (?) iniziativa dalla Val Senales

La musica che viene dal ghiaccio Musica di ghiaccio? Il nome Tim Linhart (USA) sta per sculture filigrane estetiche e strumenti musicali di ghiaccio. Strumenti ad arco rifiniti di sottili strati di ghiaccio sono i protagonisti di un progetto unico nelle alpi – forse nel mondo. Le casse armoniche di violini, violoncelli e altri strumenti risuoneranno ad alta quota presentati tramite una rassegna che si manifesta da metà febbraio fino pasqua del 2007. Un programma culturale di altissimo livello fra classica, jazz, ambient e musica etnica che trasmetterà una sensazione indimenticabile.
Luogo della manifestazione è il ghiacciaio della Val Senales in Alto Adige a 3.200m s.l.m. facilmente raggiungibile con la teleferica della omonima stazione sciistica. Il panorama a mozzafiato, il ” duomo di ghiaccio ” di una dimensione notevole situato nel ghiaccio eterno ci ispira e trasmette una sensazione di cultura e natura unica e non paragonabile.

Sito: IceMusic

Kyoo

MAKI ISHII was born in 1936 into an artistic family. In 1958 he settled in Germany, studying at the National Musical Academy in Berlin. He has written orchestral music (“Transition”), chamber works (“Aphorisms”), and electro-acoustic music.

KYOO was composed in 1968 and won an award at the National Arts Festival. The title, which means “echoes,” refers to the formal concept of the work: one sound giving rise to a family of sounds which in their turn engender other families, etc. There are various sound sources: piano, brass, percussion, and electronic devices. The instrumental sounds are heard sometimes in their original form and sometimes transformed electronically. The piano in particular is treated in a variety of ways: played normally, played according to the techniques of the “prepared piano,” and finally amplified and transformed instantaneously through microphones installed inside the frame.

KYOO è stato composto nel 1968 da MAKI ISHII (1936).
Il titolo significa echi ed è collegato alla forma del brano: ogni suono dà vita a una famiglia di suoni simili e da uno di qusti si parte per creare un nuovo insieme sonoro in una catena in continua mutazione sul filo delle analogie acustiche.
Le sorgenti sonore sono sia elettroniche che strumentali, queste ultime in forma sia strumentale che elaborata elettronicamente. Il pianoforte, in particolare, è trattato in molti modi: preparato, ampificato e elaborato in tempo reale tramite dei microfoni inseriti nella sua struttura.

Maki Ishii – Kyoo (1968)

Nella possibilità di fichi di cenare di un’apertura in ciò il processo

No, non sono io che deliro.
Non so se conoscete quel gioco che consiste nel prendere una frase, farla passare per una serie di traduttori computerizzati, che come è noto prendono cavoli per mandarini, e vedere cosa esce alla fine.
È la variante digitale del telefono senza fili (c’era anche in un vecchio romanzo di Philip Dick).
OK, partiamo con il titolo di un film, “Indovina chi viene a cena” e facciamogli fare un po’ di giri attraverso inglese → olandese → francese → greco → inglese → giapponese → inglese → cinese trad. → inglese → russo → inglese → francese → portoghese → inglese → coreano → inglese → spagnolo → francese → tedesco → inglese → arabo → inglese → francese → italiano usando Babelfish e Google translate.
NB: per vedere tutte le traduzioni, dovete avere un browser che supporta unicode con tutti i font installati, altrimenti vedrete linee di quadratini o punti di domanda al posto delle lingue non europee. Linux è multilingue di suo, gli altri si arrangino.
Qui ogni frase è la traduzione della precedente.


    Indovina chi viene a cena
    Fortune teller who comes to supper
    De teller van het fortuin die aan avondmaal komt
    Le compteur du fortune qui vient au dîner
    Ο μετρητής της τύχης που έρχεται στο δείπνο
    The meter of chance that comes in the dinner
    夕食入って来チャンスのメートル
    Dinner meter of chance which enters
    進入機會的晚餐米
    Enters the opportunity the supper rice
    Входит в возможность рис ужина
    It enters into the possibility fig of supper
    pénétrer dans dans le possibilité figue dîner
    penetrar em na possibilidade figo jantar
    to penetrate in in the possibility fig supper
    안으로 가능성 무화과 저녁밥안에 관통한 위하여
    In inside it penetrated inside the possibility fig supper to respect
    En adentro él penetró dentro de la cena del higo de la posibilidad al respecto
    Dans à l’intérieur lui a pénétré dans le dîner de la figue de la possibilité à ce sujet
    In innerhalb ihm im Abendessen der Feige der Möglichkeit eingedrungen ist in diesem Zusammenhang
    In within it in the dinner of the fig of the possibility penetrated in this connection
    في داخلها في عشاء التين من امكانيه اختراق في هذا الصدد
    Within the dinner figs possibility of a breakthrough in this the process
    Dans la possibilité de figues de dîner d’une percée en cela le processus
    Nella possibilità di fichi di cenare di un’apertura in ciò il processo

Visto il balzo concettuale?

Bene, ora prendiamo una illuminante e recente dichiarazione di Benedetto XVI:

Un’attenzione prioritaria merita la famiglia che mostra segni di cedimento sotto le pressioni di lobby capaci di incidere negativamente sui processi legislativi

e sottoponiamola allo stesso processo che ne svela il reale, esoterico e profondo significato:

Il covo pericoloso di qualità accetta la pressione del corridoio, se decide la ricerca nella posizione della famiglia nella latta spaziale della settimana di priorità nel processo di legislazione al peso corrente.

Visto il balzo concettuale? :mrgreen:

Luna Nuova

Luna nuova: l’anno del maiale di fuoco (detto anche maiale rosso, il 4704) inizia ufficialmente oggi. Secondo il calendario lunare cinese, infatti, l’anno inizia alla seconda luna dopo il solstizio di inverno.

The Chinese New Year starts at the second Moon after the winter solstice, so today, February 18, 2007 is the first day of the Chinese new year 4704 (year of the red pig).

Dalle 6 alle 7: Jeux d’eau

xavier

Iniziamo a pubblicare qualche estratto dai concerti della rassegna “Dalle 6 alle 7” che si tiene presso il Conservatorio E.F. Dall’Abaco tutti i martedì.
Dato l’indirizzo contemporaneo di questo blog, qui ci limitiamo ai brani del ‘900.

Il titolo di questo brano di Ravel, Jeux d’eau (1901), va interpretato non solo come “giochi d’acqua”, ma anche come “acqua che gioca” come evidenzia questa frase tratta dal poeta simbolista Henri de Régnier, trovata scritta a mano sul manoscritto e spesso riportata anche nell’edizione stampata: “Dio fluviale che ride mentre l’acqua gli fa il solletico…”.
Come scrive Ravel, il brano “è ispirato al rumore dell’acqua e ai suoni musicali suggeriti da spruzzi, cascate e ruscelli”. È evidente anche il debito verso i “Jeux d’eau à la Villa d’Este” di Listz.

Maurice Ravel – Jeux d’eau – Xavier Locus, pianoforte.

Valentine for Perfect Strangers

Valentine for Perfect StrangersCercando su YouTube ho trovato questo delizioso S.Valentino per perfetti sconosciuti caricato da tale BrooklynFeralCat che, a quanto sembra, è il video-artista Ben Coonley (era troppo bello per essere di uno qualsiasi, il sospetto mi è venuto quando ho visto la citazione di Benjamin).

Searching YouTube I found this Valentine for Perfect Strangers by BrooklynFeralCat that seems to be the video-artist Ben Coonley.

Devi morire (1)

Dal Corriere del 7/2

Bill Gates risponde picche all’accorato appello di Gorbaciov.

Microsoft: no a clemenza per il prof pirata.

Freddo comunicato dalla casa di Redmond: non ci sono le condizioni per ritirare l’accusa a Ponosov, preside di una scuola di un villaggio degli Urali.

NEW YORK – Bill Gates, il fondatore di Microsoft, ha risposto picche. Nonostante l’accorato appello del premio Nobel per la pace Mikhail Gorbaciov, non ci sono le condizioni per ritirare le accuse di pirateria nei confronti di Aleksandr Ponosov, preside della scuola di un piccolo villaggio degli Urali. L’insegnante russo rischia di finire in un carcere della Siberia per avere utilizzato software della casa di Redmond senza regolare licenza nella scuola. Ponosov si difende dicendo di avere commesso un crimine senza saperlo: i computer gli sono stati venduti con una versione pirata del sistema operativo di Microsoft preinstallata. La società, in una nota dell’ufficio di relazioni esterne di Londra, loda la determinazione nel perseguire i reati di pirateria informatica e prende le distanze dall’inchiesta della magistratura russa, senza alcun cenno di clemenza.

Musica come tortura

La Society for Ethnomusicology (SEM) ha emesso una dichiarazione datata 2 febbraio in cui condanna l’uso della musica come metodo di tortura.
A quanto pare esistono testimonianze (vedi BBC e Trans) secondo le quali, in alcuni casi, i militari in Iraq e a Guantanamo “sparano” contro i prigionieri heavy metal music (brani di Sesame Street, Barney e Metallica) ad altissimo volume per ore, in una forma di “no-touch torture” che non lascia segni fisici.
In tal modo i prigionieri possono essere esaminati da commissioni di inchiesta o sottoposti a una autopsia senza evidenze di tortura.

Mossenmark a Verona

wroom

Lunedì 12/2 alle ore 18, Staffan Mossenmark, compositore e sound-artist svedese, farà una presentazione del suo lavoro nell’Aula Magna dell’Accademia Cignaroli in Via Montanari (vicino a piazza Cittadella).

Questo evento servirà anche per inaugurare il progetto “VERONA RISUONA” che si svolgerà nei prossimi mesi e si concluderà alla fine di aprile.

Nell’immagine: Staffan Mossenmark impegnato nella performance Wroom!, mentre dirige 100 Harley Davidson nella piazza di Copenhagen. Click qui per ingrandire.

Psappha

Psappha (1975) di Iannis Xenakis eseguita da Adélaïde Ferrière.
Psappha è la versione arcaica del nome di Saffo (Sappho), poetessa dell’antichità (VII sec. ac), che inventò il principio astratto di variazione (metabole) su unità metriche (ritmiche) dette saffiche.
Nella sua prima composizione per percussioni sole, Xenakis decide di concentrarsi unicamente sul ritmo. Soltanto la cassa, infatti, è esplicitamente specificata in partitura, mentre gli altri strumenti sono indicati soltanto come diverse classi di timbri (pelli, legno, metallo, ogni zona deve essere disponibile in 3 registri).
A partire da questa organizzazione, Xenakis sovrappone diversi moduli ritmici, a strati, fino a livelli di complessità molto elevata.
Psappha è suddivisa in 5 sezioni, ognuna caratterizzata da diversi moduli di tempi, timbri e tessiture. Vi sono passaggi in cui la pulsazione continua in modo regolare, colorata da accenti timbricamente diversi. Altri in cui, per contrasto, la pulsazione apparentemente scompare e le frasi si dissolvono in gruppi di suoni di densità variabile.

La prima capsula del tempo

capsule
La capsula del tempo della Westinghouse è stata una delle attrazioni dell’expo di New York nel 1939.
Destinata ad essere aperta dopo 5000 anni o perlomeno dopo la catastrofe globale prossima ventura, contiene artifatti della vita quotidiana e alcuni libri, riviste e giornali sotto forma di microfilm.
Un testo con il contenuto e la sua storia è scaricabile da qui in vari formati.
Per facilitarne il ritrovamento, la Westinghouse ha stampato un libro che è stato inviato a biblioteche, templi, monasteri, lamaserie e a tutti i luoghi che hanno qualche possibilità di sopravvivere all’armageddon. Il testo, che trovate qui, contiene le mappe per ritrovare e portare alla luce la capsula, una grammatica e un dizionario essenziale di inglese e i saluti alle generazioni future scritti da Einstein, dal fisico Milliken e da Thomas Mann.
Questa prima capsula è stata seguita da un’altra realizzata nel 1965, localizzata circa 3 metri a nord della precedente e destinata ad essere aperta alla stessa data.
Entrambe le capsule sono sepolte a 15 m di profondità nel luogo ove si tenne l’expo di New York del 1939, che oggi è il parco di Flushing Meadows.

Quattro canti per attraversare la soglia

Gérard Grisey – Quatre chants pour franchir le seuil per soprano e 15 strumenti (1996-1997).
Quasi una premonizione, l’ultima composizione di Grisey che morirà nel 1998.

Ho concepito i Quattro Canti per superare la soglia come una meditazione musicale sulla morte in quattro aspetti: la morte dell’angelo, la morte della civilizzazione, la morte della voce e la morte dell’umanità. I quattro movimenti sono separati da brevi interludi, polveri sonore morbide, destinati a mantenere un livello di tensione leggermente superiore al silenzio educato ma rilassato che regna nelle sale di concerto tra la fine di un movimento e l’inizio del seguente. I testi scelti appartengono a quattro civilizzazioni (cristiana, egiziana, greca, mesopotamia) ed hanno in comune un discorso frammentario sull’inevitabile della morte. La scelta della formazione è stata dettata dall’esigenza musicale di opporre alla leggerezza della voce di soprano una massa grave, pesante e tuttavia suntuosa e colorata.

I 4 canti:

  1. Prelude: La mort de l’ange – D’après Les heures de la nuit de Christian Guez-Ricord
  2. Interlude: La mort de la civilisation – D’après les Sarcophages égyptiens du Moyen Empire
  3. Interlude: La mort de la voix – D’après Erinna
  4. Faux Interlude: La mort de l’humanite – D’après L’Épopée de Gilgamesh

Il testo della prima parte, tratto da Les Heures de la Nuit di Christian Guez-Ricord (La Sétérée, Jacques Clerc Editeur, 1992)

De qui se doit
de mourir
comme un ange
……………….

comme il se doit de mourir
comme un ange
je me dois
de mourir
moi-même

il se doit son mourir
son ange est de mourir
comme il s’est mort
comme un ange

Qualche volta si fa festa, altre volte c’è carestia: in mezzo il nulla.

Su Repubblica del 10 novembre 2006, in occasione della presentazione di “Brawlers, bawlers and bastards”, il nuovo triplo cd, era uscita un’intervista con Tom Waits breve, ma così bella che non riesco a resistere alla tentazione di riportarla.
Tom parla nel modo che mi è sempre piaciuto: facendo poesia (la descrizione finale della vita è grandiosa). Una cosa che riesce a pochissime persone (uno grandioso in questo era William Burroughs).
In ogni caso riconosco che la proprietà dell’intervista è di Repubblica e dell’autore, Giuseppe Videtti. Mi impegno fin d’ora a toglierla dietro semplice richiesta via mail.
Pensate però che questa vostra bella pagina ormai è finita nel dimenticatoio perché, come dicevano i Rolling Stones, “who wants yesterday’s papers?”. Così, almeno, un po’ di gente la legge di nuovo…

Ecco l’intervista. Godetevela ascoltando Bottom of the world, il brano diffuso in internet come trailer del disco.

Lei dice di scrivere canzoni che, a volte, non vogliono essere cantate.
“Incidere una canzone è come catturare un passero: devi farlo senza rischiare di ucciderlo. A volte per la fretta di trasferire una canzone su disco ti resta in mano con un pugno di piume, e il passero, cioè la canzone, è volato via”.

Quando capisce che è il momento di cantare questa o quella canzone?
“Le canzoni hanno una loro gestazione, alcune hanno urgenza di essere diffuse, altre vogliono restare nell’ombra e continuare a cambiare col tempo. La canzone ha una tradizione millenaria, l’industria discografica, al contrario, ha appena cent’anni di vita. Per secoli le canzoni sono state tramandate oralmente. Nessuno può assicurarci che i brani “popolari” sono giunti a noi nel modo in cui furono scritti in origine”.

Qual è stata la prima volta che una canzone le ha attraversato la mente e le ha fatto desiderare di essere un cantautore.
“Quando mio padre mi cantava le arie messicane accompagnandosi con la chitarra. Dovevo avere 4 anni, non di più. Poi arrivò Harry Belafonte e fu amore al primo ascolto. Anch’io sono sempre stato attratto da culture “altre”, la mia musica nasce dalla lotta d’influenze inconciliabili fra loro. Mi piacciono Judy Garland e Black Flag, Frank Sinatra e Sex Pistols, mariachi, rumba, bossa nova…”.

E tango…
“Molto tango… una volta alla radio si ascoltava di tutto, quella è stata la mia scuola. Non ero io che scoprivo la musica, erano quelle canzoni che mi cercavano. Da adolescente ascoltavo il leggendario dj Wolfman Jack, fu lui a spalancarmi gli occhi sulla black music, poi finii in una scuola superiore frequentata in massima parte da neri, e allora scattò la scintilla per James Brown e tutta la musica nera. Che bei tempi, quanti talenti. Oggi l’industria è piena di bugiardi e disonesti. Cercano di convincere il primo venuto che sarà il prossimo Elvis, questo è l’inganno; poi se non vende subito lo buttano via come un barbone, anche se è un genio”.

Com’era l’industria quando lei esordì, negli anni 70?
“C’erano sciacalli e pescecani, come oggi, ma anche a personaggi naïf come me veniva offerta una chance”.

Vuol dire che aveva una dose sufficiente di creatività?
“Creatività? Sì, e molti desideri e sogni, ma ero anche giovane e stupido. E molto fragile, e a qualcuno questa mia fragilità piacque, e decise di proteggermi facendomi incidere un disco. Ma a quel punto ebbi bisogno di un manager e, come succede a tutti, fui frodato”.

A lei fu data la possibilità di continuare a incidere.
“Ognuno vive il suo tempo, io esordii in un periodo in cui l’industria cercava di fertilizzare le uova che aveva nel pollaio. Oggi iPod, Mp3 e Internet hanno atrofizzato l’interesse del pubblico, anche gli artisti hanno perso quel senso d’avventura che ci spingeva a sperimentare. Quel che mi consola è che, nonostante tutto, c’è ancora voglia di suonare dal vivo; la musica continua a essere un bisogno primario”.

Non c’è da essere pessimisti con 33 anni di carriera come la sua.
“Ogni cosa ha il suo prezzo. Fin dall’inizio sapevo che non volevo arrivare a 24 anni e odiare la musica, sapevo che c’erano meccanismi che non mi piacevano e un certo tipo di pop che non avrei mai voluto fare. La mia longevità ha a che fare con una sorta d’integrità che, ovviamente, ha richiesto dei sacrifici economici. Sa come va la storia, no? La tua foto sui giornali diventa sempre più piccola, le recensioni dei tuoi dischi sempre più brevi. Ma è ok, non ho mai pensato di diventare come Beatles e Rolling Stones”.

Che successe nel 1983, quando con Swordfishtrombones diede un taglio netto al passato?
“Mia moglie e io volevamo produrci il disco da soli, sapevamo che era un album diverso, ma tutti volevano che io rimanessi lo stesso, neanche fossi la ricetta di un soft drink. Mi trattavano come una 7Up, io invece ero alla ricerca di qualcosa che non riuscivo a trovare dentro di me. Kathleen diceva: “I tuoi dischi suonano come se avessi sul viso una maschera”, voleva che somigliassi di più a me stesso”.

Cosa la colpì di Kathleen all’inizio, la donna o l’artista?
“La donna. Se non ci fosse stato amore non saremmo ancora insieme dopo 26 anni. E mi creda, collaborare con qualcuno che ami è la cosa più bella. Noi due siamo come la ciurma di una nave, devi saper cucinare, riparare, rammendare, governare, nuotare. La nostra è una grande cucina”.

Sua moglie dice di lei che è l’uomo più testardo che abbia mai conosciuto.
“È vero, è difficile farmi cambiare idea, anche se la paternità mi ha fatto diventare più… malleabile. Il vero matrimonio indissolubile è quello con i figli (io ne ho tre, il più grande suona con la mia band), da loro non puoi divorziare. Riesco a mantenere la calma anche quando mi chiedono: “Hey pa’, puoi trovarmi un paio di biglietti per il concerto dei Red Hot Chili Peppers?””.

Come scorre la sua vita in mezzo a tutto questo silenzio?
“Diversa ogni giorno. È come stare sulla torre di controllo di un aeroporto: momenti di noia mortale, momenti di terrore assoluto. A volte la barca è piena di pesci, a volte sei in cerca della tua fede nuziale in fondo all’oceano, a volte il vento soffia così forte che quasi ti strappa la pelle dal viso, a volte sorseggi un limonata sul bordo della piscina. Qualche volte si fa festa, altre volte c’è carestia: in mezzo il nulla. A volte, come diciamo noi americani per dire che diluvia, piovono cani e gatti, altre volte anche tori, mucche e topi. E qualche volta la mia vita galleggia su un petalo di giglio”.

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Weird Fields

weird fields

The whorls and swirls of color may look like something by art nouveau painter Gustav Klimt, but the winning images from MIT’s annual 8.02 “Weird Fields” contest are really computer-generated visualizations of vector fields.
To help students understand electromagnetic force fields, Professor of Physics John Belcher and colleagues at the MIT Center for Educational Computer Initiatives developed a computer applet into which students put the mathematical expressions that describe a given field. “It then pops out a visual representation of what the field looks like,” he said.
And the most striking image wins.
See this page for othr images.

L’immagine che vedete è di Dan Yuan ed è stata creata immettendo particolari equazioni in un programma nato per visualizzare i campi elettromagnetici.
Al MIT, infatti, esiste il concorso “Weird Fields” che premia la più bella immagine ricavabile da equazioni di campo. Vi partecipano gli studenti del corso di elettricità e magnetismo ed è un bel modo per aggiungere un aspetto divertente a un corso non facile.
Chi non ha pensato a Klimt alzi la mano.
Questo post è stato sollecitato da una interessante discussione a che si sta sviluppando su Tertium Auris.
Qui trovate altre immagini di questo tipo.

Piano phase

Io non sono un fan della musica minimale, però questo Piano phase di Steve Reich del 1967 è importante e coinvolgente. Si tratta del primo brano totalmente strumentale in cui Reich utilizza la tecnica del phasing, fino ad allora usata solo in elettronica.
Il phasing può essere descritto semplicemente come il suonare due frasi identiche con una leggera differenza metronomica (l’una appena più veloce dell’altra). Di conseguenza le due frasi dapprima suonano all’unisono. Poi, quando la differenza è ancora molto piccola, si ha una strana percezione, come se le note si allungassero o avessero un riverbero. In seguito la differenza diventa chiaramente percepibile: la melodia si sdoppia anche come numero di note (2 note nel tempo di una). Infine la melodia ritorna in fase, ma mentre un pianista suona la prima nota, l’altro suona la seconda: abbiamo così dei bicordi al posto dell’unisono iniziale.
In questo brano il processo continua attraverso vari stadi di fase e controfase, fino a quando i due pianisti sono sfasati al punto in cui la prima nota dell’uno si sovrappone all’ultima dell’altro. Così una frasetta di 12 note genera un brano di circa 20 minuti.
Fino ad oggi, il brano era per due pianoforti e due pianisti in primo luogo perché le note sono le stesse e in secondo luogo perché, pur essendo la frase molto facile, sembrava impossibile che una persona sola potesse suonarla a due velocità di poco diverse. Invece in questa esecuzione dell’ottobre 2006, il russo Peter Aidu fa tutto da solo, creando i due flussi sonori con le due mani su due pianoforti (e candidandosi per il premio schizo – scherzi a parte, quello che fa è neurologicamte pazzesco, anche perché, mentre i due pianisti usano entrambi la destra, lui non può).
More in this Internet Archive page.

Steve Reich – Piano phase (1967) – Peter Aidu, 2 pianos
Download mp3.

The Last Messages (1000 SMS)

smsA novel whose narrative consists entirely of mobile phone text messages has been published in Finland.
“The Last Messages” tells the story of a fictitious information-technology executive in Finland who resigns from his job and travels throughout Europe and India, keeping in touch with his friends and relatives only through text messages.
His messages, and the replies — roughly 1,000 altogether — are listed in chronological order in the 332-page novel written by Finnish author Hannu Luntiala. The texts are rife with grammatical errors and abbreviations commonly used in regular SMS traffic.
Hard work for translators.

Questo è il materiale di cui è composto il nuovo romanzo dello scrittore finlandese Hannu Luntiala.
“The Last Messages” racconta la storia di un funzionario di una compagnia informatica finlandese che lascia il proprio lavoro e viaggia attraverso l’Europa e l’India, mantenendosi in contatto con amici e parenti soltanto via SMS.
I suoi messaggi e le relative risposte, in totale circa 1000, sono riportati in ordine cronologico nelle 332 pagine del romanzo così come sono, con errori, locuzioni gergali e abbreviazioni.
Sarà dura per i traduttori.

From Yahoo News

Caligraft

caligraft

Caligraft (2006) is a generative art work which consists of a series of interactive pieces exploring the limits of representation in typographies and texts.

Caligraft è un sito che gioca con le lettere che voi premete sulla tastiera.
Con una serie di applet interattivi, genera disegni che evolvono dinamicamente quando gli inviate caratteri.
La calligrafia è una delle cose che mi affascinano, ma che non ho tempo di fare.
Arte generativa.

Via Rhizome.org

Immagini con il fumo

smoke
Graham Jefferey of Sensitive Light takes miraculous photographs of smoke.
Jeffery says

“In my opinion, the key technical factor is to adequately light the smoke so that it stands out from the background.”
“I am not trying to create pictures of smoke; I am trying to create pictures by using smoke”.

Smoke gallery is here. (scroll down)

Graham Jefferey of Sensitive Light ha messo a punto un sistema per prendere queste bellissime immagini del fumo.
Secondo Graham, il trucco sta nell’illuminarlo adeguatamente e fa anche notare che il suo fine non è fotografare il fumo, ma creare belle immagini per mezzo del fumo.
Altre immagini qui.. (scroll down)

From Boing Boing

Marimba Spiritual

Minoru Miki – Marimba Spiritual (1983/84) for marimba and three percussionsists

Marimba: Li Xiaohong
Percussion: Kong Yuci, Wu Sihan, Zhang Weilun

Disgraziani!

disgraziani

Disgraziani fa parte dell’onda iconoclasta del 1982, quando improvvisavamo, Zoo Zorzi ed io, sezionando e distruggendo tutte le strutture melodico/armoniche che ci capitavano sottomano.
Nella presentazione in concerto, infatti, dicevo: “il brano inizia con dei bei suoni di chitarra con arco, che io elaboro facendoli diventare via via sempre più brutti, fino a quando assomigliano solo a disturbi radio”, esternando l’intenzionalità distruttiva.
Ovviamente, nel corso di questa azione altre strutture emergevano, si formavano e scomparivano. Qualcuna riusciva anche a farsi largo ed esistere, come accade per l’arpeggio finale (vedi schema tecnico nell’immagine sotto; partite dalla bolla verde e procedete in senso orario).
I nostri pezzi, quindi, erano pieni di spettri e di presagi, fantasmi di un passato o rovine su cui costruire qualcosa.

Questa registrazione è proprio quella della prima esecuzione che si è tenuta in una galleria d’arte, intorno al 10 Giugno del 1982 (anche questo per alcuni è un presagio).
Mi dà una strana sensazione pensare che, nel 2022, Disgraziani compirà 40 anni. Ascoltandolo adesso, lo trovo melodico. Come diceva Cage, tutto, prima o poi, è destinato a diventare melodico.

Il titolo è frutto della mente bacata di Zoo :). Le nostre prove erano costituite da improvvisazioni totali, senza alcun accordo preliminare, che venivano registrate. Poi, riascoltando, lui diceva “che pacco, questo” e io dicevo “allora lo suoniamo in concerto”. La nostra misura della validità dei brani era quanto potevano essere temibili per l’ascoltatore.
Poi chiedevo “come lo intitoliamo, questo?” e quella volta Zoo rispose

Disgraziani!, quello che ci dirà la gente…

Graziani/Zorzi – Disgraziani! (1982) – Free improvised music by Mauro Graziani synth, electronic devices, loop control & Roberto ‘Zoo’ Zorzi electric guitar, devices

Arte Informativa

trace
Le rappresentazioni della scienza spesso sfiorano l’arte.
Questa immagine tratta dal Washington Post, che potete vedere ingrandita qui, è stata realizzata dal Professor Barbara Block della Stanford’s Hopkins Marine Station per tracciare gli spostamenti di varie creature marine e alcune specie di uccelli attraverso il pacifico.
Trovo che sia un bellissimo esempio, per quanto artisticamente ingenuo, di arte informativa. Una categoria che forse non esiste, ma che dovrebbe esistere. Un’arte che, pur producendo anche qualcosa di bello da vedere, ci dia delle informazioni su quanto accade sul pianeta.
È così difficile piazzare nelle grandi città degli schermi che si aggiornano in tenpo reale e rappresentano, con forme e colori, una serie di dati che impattano sulla nostra realtà quotidiana o futura?
Cosa ne dite di una mappa delle temperature rilevate in tutti gli aeroporti del mondo (i dati sono già su internet, aggiornati ogni 6 ore circa) con la possibilità di veder scorrere gli ultimi 10 o più anni in un minuto? Forse così il riscaldamento globale sarebbe percepito da tutti.
E una immagine dell’andamento della borsa un po’ meno squallida di quella serie di numeri che scorre a Wall Street? E il procedere delle spese governative suddiviso per comparti per cui tutti, passando di lì, possano vedere in che proporzioni il governo distribuisce le nostre tasse?
Ma anche cose meno drammatiche, come la migrazione delle balene nel pacifico o il fiorire dei ciliegi in giappone…

Siamo ostaggi

Questo post prende le mosse da un fatto.
The Pirate Bay annuncia: “Era solo una questione di tempo, e infatti eccoli qui! Ieri l’utente Lyzz ha fatto la storia pubblicando il primo film HD DVD” (fonte Punto Informatico).
Circa un mese fa, un programmatore che si fa chiamare Muslix64 ha infatti annunciato di essere riuscito ad aggirare l’Advanced Access Content System (AACS), il nuovo sistema di protezione adottato dai formati DVD di nuova generazione Blu-ray e HD DVD.
Ora troviamo i primi HD DVD (file da oltre 20 Gb) su Bit Torrent. Il tutto fa presagire l’ennesima guerra major contro utenti, ma il blog Bored With Everything fa questa considerazione (prontamente tradotta da Punto Informatico): “Cos’è che traina la tecnologia più di qualsiasi altra cosa? La pirateria. Con la possibilità di visualizzare i file con molti diversi software DVD, questo è un grosso balzo per HD DVD, anche se loro (i produttori di tecnologia, ndr.) non lo dichiareranno pubblicamente. Il prossimo passo saranno masterizzatori HD DVD a buon prezzo, e così la guerra dei formati avrà fine”.

E così arriviamo al punto di cui personalmente sono convinto da anni. Tutto questo dibattito copyright/copyleft è importante, ma in realtà la guerra che si sta combattendo oggi è un’altra in cui noi non siamo protagonisti, ma ostaggi. È una guerra industriale e commerciale in cui noi siamo il territorio da conquistare.
Prendiamo, per esempio, la famosa faccenda del file sharing. Sembra essere una questione fra le major e gli utenti, ma non è così.
In realtà, da una parte ci sono le major che vendono musica e film, ma dall’altra ci sono le telco (compagnie di telecomunicazione) che vendono connessioni internet.

  • E secondo voi, quante connessioni via fibra si venderebbero a circa € 20 al mese se non ci fosse qualcosa da scaricare gratis?
  • Quanti comprerebbero connessioni via fibra solo per leggere la posta e surfare un po’?
  • E quanti la comprerebbero per poi spendere altri soldi per comprare contenuti e oggetti vari?
  • E quanti lettori DVD si sarebbero venduti per metterci dentro solo materiale regolarmente acquistato o noleggiato?
  • E quanti iPod?
  • Sapete che una ricerca ha mostrato che solo il 17% della musica caricata su iPod è stata regolarmente acquistata? (fonte BBC)
  • E ancora, chi avrebbe in casa un masterizzatore solo per fare il backup dei dati?

Il tutto assomiglia molto alla guerra fra major e produttori di registratori di un po’ di anni or sono.
E poi, considerando che il porno costituisce di gran lunga la maggior parte di ciò che viene scambiato in rete, vi siete mai chiesti perché i produttori di porno non protestino mai per le copie? Solo perché il loro prodotto è moralmente discutibile? (ma lo è?). Non scherziamo. Il fatto è che loro sanno che più gira, più si vende.
La guerra vera, quindi, è fra i produttori di contenuti da una parte e i costruttori di hardware e le telco dall’altra. Noi siamo ostaggi.

Liu Lianren

Il 3 settembre 2006, nella città di Gaomi (provincia cinese dello Shandong) è stato completato e aperto al pubblico il museo in commemorazione di Liu Lianren, che così è diventato l’unico lavoratore cinese ad avere un museo in Cina e un monumento in Giappone in sua commemorazione.

La storia di Lianren ha avuto un esito analogo a quella di Onoda. Durante la guerra, nel 1944, Lianren fu rapito dalla sua casa nello Shandong, in Cina e deportato in un campo di lavoro: una miniera della Meiji Mining in Hokkaido, l’isola più a nord dell’arcipelago giapponese.
Nell’aprile 1945, 4 mesi prima della fine della guerra, Liu riuscì a fuggire e si nascose sulle montagne dell’isola. L’Hokkaido è freddo. D’inverno nevica sempre, ma Liu, ignorando che la guerra era finita, rimase nascosto per 13 anni, fino al 1958, quando fu avvistato e recuperato.
La cosa tragica è che le autorità giapponesi non credettero alla sua storia e lo trattarono come un immigrato clandestino, arrestandolo. Ci vollero vari mesi per riconoscere la verità della sua storia e identificarlo, anche perché, secondo il governo giapponese, tutti i documenti relativi alle deportazioni erano andati distrutti.
Liu Lianren potè così ritornare a casa e incontrate il figlio nato pochi mesi dopo la sua deportazione e ormai 14enne, ma morì a 87 anni, nel 2000, senza vedere una lira di risarcimento. La causa contro il governo giapponese si concluse solo nel 2001 con un assegno di circa $180.000.

La Madonna è Angelina Jolie

Secondo l’artista neo-rinascimentale Kate Kretz, la madonna ha il viso (e non solo) di Angelina Jolie.
Il quadro in olio e acrilico su lino, è di grandi dimensioni (223 x 152) e si intitola “Blessed Art Thou” (“Sia benedetta tu…”, tratta dall’Ave Maria).
Sul suo blog, Kate afferma che

Angelina Jolie was chosen as the subject because of her unavoidable presence in the media, the world-wide anticipation of her child, her “unattainable” beauty and the good that she is doing in the world through her example, which adds another layer to the already complicated questions surrounding her status.
The “Virgin” and Zahara figures are loosely based on a Van Dyck Virgin painting, and the Maddox figure’s pose is borrowed from a Raphael painting.

L’opera è stata esposta allo stand della Chelsea Galleria alla fiera dell’arte di Miami e ha una quotazione di $50.000.
Ecco un ingrandimento.

Musica Classica +22%

Nielsen SoundScan, il sistema leader di monitoraggio dell’industria musicale, ha pubblicato l’elaborazione dei dati per il 2006 da cui risulta che, negli USA

  • la vendita al dettaglio di album (include CD, CS, LP, Digital Albums) cala del 4.9%, ma
  • la vendita di CD via internet (non mp3, veri CD acquistati via e-commerce) cresce del 19%
  • la vendita di brani singoli in formato digitale (mp3 e simili) cresce del 65%
  • la vendita di interi album in formato digitale (sempre mp3 e simili) cresce del 101%
  • il mercato globale della musica registrata (Albums, Singles, Music Video, Digital Tracks) cresce del 19.4% e supera decisamente il miliardo di pezzi (1.198 milioni).

Con ciò l’industria musicale dovrebbe smetterla di rompere e constatare che, nonostante il P2P e le copie, le vendite crescono e se qualcuno non vende, è solo per la propria insipienza e/o incapacità di adeguarsi ai cambiamenti del mercato. Non a caso, infatti, buona parte di questa crescita è dovuta a iTunes di cui le major incamerano solo una parte del fatturato.
Ma la notizia più interessante dal mio punto di vista, arriva quando si guarda la suddivisione per generi (i commenti, ovviamente, sono solo opinioni personali):

  • la new-age perde il 22.7% (era ora)
  • il rhythm&blues perde il 18.4% (idem)
  • il rap cala del 20.7% (idem, non capisco che gusto ci sia ad ascoltare uno che parla a tempo)
  • l’alternative perde il 9.2% (e un po’ mi dispiace)
  • il jazz perde l’8.3%
  • il metal cala del 4.5%
  • il country resta quasi stabile (-0.5%)
  • il rock è quello che vende più di tutti (non c’è percentuale perché nel 2005 non era considerato come genere, chissà come mai)
  • crescono il gospel (1.3%, disastro) e il latin (5.2%, disastro totale, non lo sopporto)
  • le colonne sonore crescono del 19%
  • la musica classica cresce addirittura del 22.5%

Secondo Long Tail (commentatore del business), la crescita della classica si spiega con il fatto che la sua disponibilità su iTunes è notevole. È una delle categorie con il maggior numero di titoli, mentre nella maggior parte dei negozi è stata sempre trattata da schifo, relegata nell’angolo o in una stanza a parte.
Adesso, invece, la gente la vede, prova ad ascoltare qualcosa, si rende conto che è bello e dato anche il prezzo basso (0.99 come tutte le tracks), lo compra. Magari così compra un solo tempo di una sonata, ma almeno comincia.

-46°

yakutsk
Oggi a Yakutsk va bene. La temperatura è -38° (38° sotto zero), ma qualche giorno fa era -46°.
Yakutsk ( o Jakutsk, in russo Яку́тск), capitale della ex-Yakutia (sì esiste, non è una invenzione di Risiko, ma oggi si chiama Sakha), è il luogo più freddo dell’emisfero nord.
Pur essendo alla moderata latitudine di 62.5°N e a 450 Km dal circolo polare artico, questa ridente cittadina (ca. 210.000 ab.) è più fredda del polo perché si trova nel bel mezzo della Siberia, lontana dal mare.
Qui molte cose strane gelano. Gela, per esempio, il vapore acqueo sospeso nell’aria che, se non c’è vento, forma una densa nebbia e quando ci camminate attraverso, dietro di voi si forma un tunnel perfettamente visibile, tanto che i bambini, al mattino, andando a scuola, giocano a indovinare chi è passato di lì (qui è passata la nostra compagna cicciona e qui quell’insegnante altissimo…).
A queste temperature, l’acqua contenuta nella pelle si raffredda molto rapidamente e qualsiasi parte di epidermide non coperta, dopo poco tempo, fa male (almeno al sottoscritto; gli indigeni sono più corazzati).
Però la città è carina. Attraversata dal fiume Lena (uno dei grandi fiumi siberiani), ha una cattedrale suggestiva, 15 musei (parecchi sulla cultura popolare, il museo dei mammuth e uno con i più bei diamanti scavati in Siberia, accessibile solo a gruppi di 4 persone alla volta per ragioni di sicurezza), l’istituto di ricerca sul permafrost che vi fare un bel giro sottoterra e parecchi hotels.
L’estate, invece, la temperatura supera i 20° facendo di Yakutsk il luogo con la maggiore escursione termica sulla terra. Ma allora è solo una cittadina siberiana come tante altre.
Quindi andateci, ma se lo fate, andateci d’inverno.

No Surrender!

Onoda

Chissà quale strana connessione mentale mi fa passare dalle micronazioni ai soldati giapponesi convinti che la guerra non sia mai finita (io scrivo questi post tutti insieme, poi dico a wordpress quando pubblicarli).
Comunque questo è quanto.

I casi dei soldati giapponesi perduti, rimasti in assetto di guerra per molti anni dopo la fine del conflitto sono parecchi.
Andando più o meno in ordine e limitandoci ai casi più famosi, cominciamo da Peleliu.
La battaglia di Peleliu fu, insieme a Tarawa e Iwo Jima, una delle più sanguinose della guerra del pacifico. Gli americani persero 9800 uomini e i giapponesi 13000. Soltanto 300 giapponesi si arresero e furono presi prigionieri.
Una trentina, al comando del tenente Tadamichi Yamaguchi, si nascosero in alcune caverne e vi rimasero fino al 1947, quando furono scoperti. Uno di loro venne catturato.
Per convincere gli altri a uscire senza combattere, gli americani portarono sull’isola l’ammiraglio Michio Sumikawa che parlò ai soldati con un megafono. Nessuna risposta.
Soltanto dopo l’intervento del loro compagno prigioniero, che portò loro giornali e lettere dei familiari, i giapponesi uscirono arrendendosi a 80 marines, mentre il tenente Yamaguchi consegnava la sua spada all’ufficiale americano in comando. Era il 21 aprile 1947.
Anche a Guadalcanal non meno di 100 soldati giapponesi continuarono a combattere, suddivisi in piccoli gruppi, fino all’autunno del 1947. Il 27 ottobre di quell’anno, l’ultimo combattente nipponico si arrese ai militari australiani. Aveva con sé una baionetta rotta, una vanga e una bottiglia d’acqua.
Nel 1948 finalmente si arrese un gruppo di 10/20000 (sì, 20000) soldati rimasti isolati nelle montagne della Manciuria e solo nel 1951, un gruppetto di giapponesi rintanato nell’isola di Anatahan, si convinse che la guerra era terminata. Il punto è che le operazioni per convincerli continuavano dal 1945 (6 anni).
Un altro fu trovato nel 1953 a Tinian e uno nel 1965 nell’isoletta di Vella Lavella, parte delle Isole Salomone. Fu necessario l’intervento dell’ambasciatore giapponese per convincerlo.
I “ritrovamenti” continuarono per tutto il ‘900. I casi più famosi sono quelli di Teruo Nakamura che si arrese nel 1973 sull’isola di Morotai e di Hiroo Onoda (nella foto), nel 1974 sull’isola di Lubang, nelle Filippine.
Quest’ultimo fu un caso particolarmente difficile. Nonostante l’esercito filippino gli consegnasse giornali, lettere, una radio e a dispetto anche dell’intervento del proprio fratello, Onoda non volle credere che la guerra fosse finita. Chi lo tirò fuori fu Norio Suzuki, uno studente, un dropout che vagava per le isole, che divenne suo amico e a cui confidò di essere tuttora in attesa di ordini. Suzuki allora contattò il maggiore Taniguchi, ex-comandante di Onoda, che gli inviò l’ordine di resa. Solo allora Hiroo Onoda uscì dalla giungla consegnando il suo fucile in perfetta efficienza, 500 pallottole e varie bombe a mano, con il saluto immortalato dalla foto. Tutto questo 29 anni dopo la fine della guerra e 15 anni dopo essere stato dichiarato morto.
In fondo era semplice: bastava dargli quello che aspettava per uscirne con onore. In Giappone divenne famoso e scrisse un libro intitolato, appunto, No Surrender.

Qui, un sito sui soldati giapponesi perduti.

Micronazioni

sealand
In breve, la notizia (segnalata da Nicola) è questa;
il gruppo svedese anti-copyright The Pirate Bay sta raccogliendo fondi per acquistare una micronazione e piazzarci un server per distribuire contenuti sfuggendo alle leggi sul copyright grazie all’extra territorialità.
La storia è simpatica, e ci offre l’opportunità di raccontare qualcosa sulle micronazioni (penso che pochi sappiano cosa sono e che esistono, oltre naturalmente a quella già note come il Vaticano, S.Marino, Andorra, etc).
In pratica, un micronazione è un lembo di territorio che, per qualche anomalia geografica e/o storica non sembra ricadere sotto la giurisdizione di alcuno stato oppure una parte di territorio che ha rivendicato la propria indipendenza e ottenuto qualche tipo di riconoscimento.
Nella prima categoria ricade, per esempio, l’isola artificiale di Sealand (nella foto) che è proprio quella che The Pirate Bay vorrebbe comprare.
La storia è questa. Durante la seconda guerra mondiale il governo inglese aveva costruito delle piattaforme marine dotate di artiglieria poco oltre le acque territoriali. Servivano per avvistare in anticipo gli aerei e soprattutto i missili nazisti (V1 e V2) e abbatterli prima che arrivassero sul territorio inglese.
Alla fine della guerra vennero tutte demolite tranne una, il famoso royal fort Roughs Tower che sorge a nord della foce del Tamigi a 7 miglia dalla costa (il limite delle acque territoriali era allora di 6 miglia).
Per molti anni Roughs Tower rimase abbandonata, res derelicta et terra nullius fino a quando, il 2 settembre 1967, l’ex maggiore Paddy Roy Bates la occupò, dichiarandola territorio indipendente, andando a viverci e dandole il nome di Principato di Sealand.
Ovviamente il governo inglese reagì inviando truppe. Vennero sparati anche alcuni colpi. Bates era sempre cittadino inglese, per cui venne arrestato e processato e qui arriva il colpo di scena.
Come era suo dovere, la giustizia inglese, che spesso è seria, si dichiarò incompetente per territorio, perché l’isola è fuori dalle acque territoriali. Roy di Sealand ritornò libero alla sua isola che ricevette un primo importante imprimatur di indipendenza.
Più tardi accaddero altri fatti cruenti. Nel 1978, mercenari olandesi al soldo di un uomo d’affari tedesco occuparono l’isola con la forza, ma vennero poi sconfitti e fatti prigionieri da Roy (che in quel momento si trovava in Inghilterra) e dai suoi uomini. Di conseguenza, i governi olandese e tedesco intavolarono trattative con Sealand per il rilascio dei prigionieri, dando all’isola un ulteriore riconoscimento di sovranità.
La situazione attuale di Sealand sembra essere tranquilla. Un internet provider, HavenCo Limited, ha anche posto la propria sede sull’isola, dotandola di una connessione ad alta velocità e pubblicizza la propria sede extra-territoriale come fonte di sicurezza per dati sensibili e transazioni finanziare al riparo dalle grinfie governative.
Ecco quindi l’interesse di Pirate Bay che vorrebbe farne un centro di distribuzione di materiale copyrighted in barba alle leggi europee. Per ora hanno raccolto solo $14.000.

Fin qui la storia di Sealand, ma pochissimi sanno che un tentativo analogo è stato fatto anche in Italia. Nel 1965, un costruttore, tale ing. Rosa, edificò una piattaforma in Adriatico, davanti a Bellaria, poco fuori le acque territoriali.
L’isola venne aperta al pubblico nel 1967. Si pensava di impiantarvi una serie di attività commerciali: un ufficio postale, un negozio di souvenir, un piccolo albergo, un ristorante, un bar ed un night-club.
Il 1 maggio 1968 venne dichiarata l’indipendenza e la piattaforma venne battezzata Isola delle Rose. Le azioni di Rosa furono viste dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici senza il pagamento delle relative tasse e la reazione fu dura: 55 giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza, il 25 giugno 1968, un gruppo di quattro carabinieri ed alcuni ispettori delle imposte atterrarono sull’isola e ne presero possesso, senza alcun atto di violenza, con un’azione ai limiti del diritto internazionale. Il governo della Repubblica dell’Isola delle Rose inviò telegrammi di protesta anche al governo italiano, ma fu ignorato. L’11 febbraio 1969, sommozzatori della Marina Militare Italiana distrussero con l’esplosivo la piattaforma artificiale, eseguendo la sentenza del Consiglio di Stato di giovedì 17 luglio 1969. La proprietà si rifece prima al TAR, poi al Tribunale Internazionale dell’Aja, ma, alla fine, cedette e dell’Isola delle Rose e di ciò che si favoleggiava attorno, nessuno parlò più.

Disintegrazioni

Désintégrations (1983), per orchestra da camera e nastro magnetico è uno dei lavori più rappresentativi di Tristan Murail e della musica spettrale.

Désintégrations è stata composta dopo un lavoro approfondito sul concetto di “spettro”. Tutto il materiale del brano (sia il nastro che la partitura orchestrale), le sue microforme, i suoi sistemi d’evoluzione, deriva dalle analisi, dalle decomposizioni o dalle ricostruzioni artificiali di spettri armonici o inarmonici.
La maggior parte di questi spettri è d’origine strumentale. Suoni di bassi piano, di ottoni, di violoncello sono stati particolarmente utilizzati.
Il nastro magnetico non cerca di ricostituire suoni strumentali. Questi ultimi fungono soltanto da modelli o da materiale per la costruzione di timbri o di armonie (per me del resto c’è poca differenza tra queste due nozioni), ed anche per la costruzione di forme musicali.
Molti tipi di trattamenti degli spettri sono usati nel brano:

  • Frazionamento: si utilizza soltanto una regione dello spettro (ad esempio, suoni di campana dell’inizio e della fine ottenuti con frazionamento di suoni di piano).
  • Filtraggio: si evidenziano o si eliminano alcune componenti.
  • Esplorazione spettrale (movimenti all’interno del suono): si ascoltano le parziali una dopo l’altra, il timbro diventa melodia (ad esempio, nella terza sezione, suoni di piccole campane che provengono dalla disintegrazione di timbri di clarinetto e flauto).
  • Creazione di spettri inarmonici, “lineari” per somma o sottrazione di una frequenza (per analogia con la modulazione in anello o la modulazione di frequenza), “non lineari” con torsione di uno spettro o descrizione di una curva di frequenze (ad esempio, nella penultima sezione, torsione progressiva di un suono di trombone grave).

Il nastro è stato realizzato con sintesi additiva: si descrive in tutte le proprie dimensioni ogni componente di un suono. Questo permette di agire sugli spettri in modo estremamente preciso ed analitico e avvicinare processo di sintesi e processo di composizione, a tal punto che il nastro è stato veramente “scritto” prima di essere realizzato.
La scrittura orchestrale ha anche beneficiato della potenza dell’elaboratore, per la definizione delle altezze e delle durate ed anche per il disegno di alcune microforme. Nastro e strumenti procedono dunque dalla stessa origine e sono in relazione di complementarità. Spesso, il nastro evidenzia il carattere degli strumenti, diffrange o disintegra il loro timbro, o amplifica gli effetti orchestrali. Deve essere perfettamente sincrona, da cui la necessità di “clic” di sincronizzazione che il direttore deve seguire.
Le due fonti, strumentali e sintetiche, sono quasi sempre fuse e contribuiscono a creare momenti sonori o percorsi musicali nuovi; il discorso musicale gioca spesso sull’ambiguità tra queste due fonti, essendo lo scopo ultimo di cancellare ogni differenza fra dei mondi sonori a priori distinti.
La musica procede seguendo dei percorsi più che per sezioni distinte. Ogni momento mette l’accento su un trattamento spettrale particolare, ogni percorso fa evolvere variamente la materia musicale, tra armonicità ed inarmonicità, ombra e luce, semplicità e complessità. Contorni precisi sorgono da oggetti fluidi, l’ordine sorge da caos ritmici, i suoni evolvono incessantemente, si deformano cambiando natura…

Tristan Murail – Désintégrations (1983), per orchestra da camera e nastro magnetico

OddMusic

logo
celestial harp
Una citazione di dovere al sito di Odd Music che ormai da anni raccoglie e archivia documentazione sugli strumenti musicali auto-progettati e auto-costruiti, dall’innovativo al demenziale.
A testimonianza del lavoro di oddmusic, ecco alcuni estratti che vanno dal Bazantar (un contrabbasso a 5 corde con 29 corde di risonanza e 4 di bordone; click & scroll per gli esempi; ascoltare quelli etichettati “solo” ) fino alla Celestial Harp (in figura) costruita intorno ai concetti del cerchio, del quadrato e della spirale, con ovvie connotazioni astrologiche, di cui vi presentiamo 3 esempi (ex1, ex2, ex3).

Oddmusic is home to unique, odd, ethnic, experimental and unusual musical instruments and resources. Tour the Gallery, see in-depth sections featuring artisans who blazed new trails or are on the cutting edge of new and previously unheard musical instruments. Look, listen, and explore music and musical instruments that aren’t part of the mainstream. Showcasing unusual musical creations and sounds of unique artists and artisans from around the globe. From gourd music to electronic odysseys, harp guitars to industrial insects, from beautiful, to bizarre, to just plain wacky. New, unique innovations, along with heavily modified hybrids of instruments once formally known as guitars, basses, keyboards, drums, wind and stringed instruments. Musical stalagmites, bowed telegraph wires, twisted electrons, Circuit Bending, Waterphones, Hang drums, ethnic instruments, Stamenphones, Theremins, Serpents, Light Harps, and much more. Give your eyes and ears a treat. Feed your imagination at Oddmusic.

Canto Armonico

tuva
Il canto armonico (Overtone singing) è una modalità di emissione vocale in cui il/la cantante manipola le risonze che si creano nel tratto vocale (quello che si trova tra le corde vocali e la bocca) per evidenziare gli armonici della propria voce (per gli addetti, manipola i formanti).
Difficile da spiegare, ma semplice da capire perché, a basso livello, lo facciamo tutti, quando passiamo da una vocale all’altra (provate a dire aaaaaeeeeeiiiiiioooooouuuuu).
Ecco due esempi eseguiti da Mark van Tongeren, il primo molto semplice, il secondo più complesso.

Questo modo di utilizzare la voce, sia pure con diversi stili e tecniche, è diffuso in Asia Centrale (Tuva, Mongolia, Altai), fra le popolazioni nordiche (eschimesi del Canada, Lapponi) ed esiste anche in Barbagia.
Le tecniche sono varie. Queste popolazioni spesso lo utilizzano per creare un certo tipo di polifonia, pur con una sola voce come in questo esempio in cui si sente distintamente una nota alta che si muove sopra a quella di base.
In occidente, la pratica di un canto armonico rilassato e meditativo si è diffusa in seguito al rinnovato interesse verso l’oriente risalente alla fine degli anno ’60. Stockhausen è stato uno dei primi autori “colti” a utilizzarlo nella sua composizione “Stimmung” del 1968 (di cui abbiamo già parlato; ecco un esempio audio e alcune note), ma poi si sono formati vari gruppi di praticanti.
Qui vi presentiamo alcuni estratti di Spectral Voices, un gruppo americano che arricchisce i propri brani con il riverbero naturale di una enorme cisterna un tempo usata come acquedotto.

Vari altri esempi e una trattazione più tecnica del canto armonico si trovano su Tertium Auris, un blog specificamente dedicato all’analisi vocale e alla sperimentazione sonora.

La Cina è grande e meravigliosa

cascata

Una cascata ghiacciata alta 20 metri sulla montagna della fiamma (Huoyanshan) nei pressi di Turufan nello Xinjiang cinese.
La foto è del 1 gennaio. Cliccate qui per vedere l’immagine ingrandita.
Coords. della zona in Google Earth/Map: 42.9672, 89.6431

from Boing Boing

UPDATE
Devo dire che più la vedo, più mi chiedo come può l’acqua congelarsi così mentre è in movimento ed è tanta. In genere, prima gela l’acqua sopra la cascata, riducendola ad un rigagnolo che poi, alla fine gela anche lui. Cose del genere le ho viste solo in Siberia dove c’erano temperature allucinanti oppure una escursione termica velocissima. Per esempio, vicino a Yakutsk, l’acqua portata fuori casa e lanciata in aria gelava all’istante…

Tomba di Oggi, 06/01

nureyev
Rudolf Hametovich Nureyev.
Giace al cimitero di Sainte Genevieve Des Bois, Esson, France.
Non è un musicista, ma basta e avanza.

Dedicata a Valeria e Valentina.

2007 anno del maiale di fuoco

Non credo all’astrologia, ma la trovo divertente e da buon utente dell’I Ching, che uso da quando avevo 13 anni (per pensare, non per predire il futuro), preferisco quella cinese che è ben più complessa di come ve la raccontano sulle rivistine del c…o che dicono un animale per ogni anno con un ciclo di 12.
Questa è solo la minima parte della cosa. In realtà alla base di tutto c’è un ciclo di 10 anni formato dai 10 steli celesti che sono uno yang e uno yin, così, tanto per cominciare, gli anni pari sono yang, i dispari yin (attenzione: pari/dispari secondo il calendario cinese tradizionale. Il 2007 corrisponde al 4075).
Su questi ciclo si innestano i 5 elementi che si susseguono per 2 anni ciascuno. secondo questa tabella. Ogni elemento ha un anno yang e uno yin.
Questo ciclo è fuso con quello dei 12 rami terrestri, che sono i 12 animali, che si susseguono uno per anno, formando un ciclo di 60 anni (il minimo comune multiplo fra 12 e 10).
E qui anche le rivistine più raffinate si fermano.
Esistono, però, anche i concetti di animale interiore e animale segreto. L’animale interiore è collegato al mese di nascita, secondo un ciclo di 12 mesi (ma attenzione, sono mesi lunari) e l’animale segreto a uno dei 12 tempi del giorno (circa 2 ore ciascuno = 12 in 24 ore).
Il tutto dà un elevato numero di combinazioni: 5 elementi x 12 animali x 12 mesi lunari x 12 tempi del giorno = 8640 che moltiplicato ulteriormente per 2 in base al carattere dell’anno (yang o yin) = 17280 sfumature astrologiche che difiniscono il carattere di una persona.
Non ci credo, ma è divertente.

Secondo il calendario cinese tradizionale, il capodanno arriva con la luna nuova di febbraio.
Il 19 febbraio inizia, quindi, l’anno del maiale di fuoco che succede all’anno del cane di fuoco. Notare che un bel po’ di siti astrologici del c…o, essendo poco fine dire anno del maiale, lo hanno cambiato in anno del cinghiale.
I dementi della Swatch, invece, hanno creato il Be Lucky, un orologio che celebra l’anno del maiale e sembra essere di pessimo gusto:

L’orologio è un nuovo modello della linea Jelly-in-Jelly. Il cinturino in plastica presenta tantissimi maialini rosa sorridenti che galleggiano insieme a monete dorate sopra un mare color oro. La cassa di plastica trasparente e opaca racchiude un generoso quadrante spazzolato e dorato, con un grande ideogramma cinese lucido leggermente in rilievo che raffigura un maiale. Sulla superficie luccicante e dorata del quadrante i numeri sono sostituiti da puntini dorati; lancette rosso fuoco scandiscono ore e minuti e una sottilissima lancetta rossa ritma i secondi.

Dal punto di vista culinario, comunque, passare dal cane di fuoco al maiale di fuoco è un’ottima cosa: si passa dall’hot-dog alla porchetta.

Sì, sì, Satana!

La cosa che invidio davvero al rock è di essere figlio di Satana.
Purtroppo quello della dodecafonia nel Faust di Thomas Mann è stato un ben misero exploit subito rientrato in confronto a quello che può fare il rock.
Leggete qui:

Notizia ANSA
2007-01-02 16:42
Rock all’inferno in Divina Commedia
In purgatorio cori gregoriani, in paradiso arie celestiali
(ANSA)- CITTA’ DEL VATICANO, 2 GEN – ‘Il rock l’ho messo all’inferno perche’ esprime meglio di qualunque altro genere la lacerazione, il dolore degli inferi’. Lo dice monsignor Marco Frisina, autore della colonna sonora della Divina Commedia di Dante Alighieri versione musical.

‘Per musicare l’inferno ho scelto il rock, – spiega monsignor Frisina – in purgatorio cori gregoriani e in paradiso arie celestiali’. Una opinione in linea con quella espressa da Benedetto XVI, quando era ancora cardinale.

No, no!! La Divina Commedia in versione musical NO! È LUI SATANA!!!

Ne parlano anche Repubblica (è l’unico che tiene la notizia ancora in linea dal 2007), l’Unità e perfino l’Herald Tribune, quest’ultimo con un prosaico e realistico titolo come: “Un prete trasforma la Divina Commedia di Dante in opera”.

iPod Building

iPad

Dubai-based real estate firm Omniyat Properties plans to construct a tall building in Dubai modeled after the Apple iPod. The name of the 24-story tower: iPad. Architects James Law Cybertecture International will design, and the structure will sit over a six-degree-angled “docking station,” just as the ipod does on its docking station.

Doveva succedere.
La Omniyat Properties, società costruttrice di immobili, dovrebbe costruire a Dubai un edificio, progettato dagli architetti della James Law Cybertecture International con un look ispirato all’iPod.
L’edificio di 23 piani si chiamerà iPad e avrà una inclinazione di circa 6 gradi, uguale a quella che l’iPod assume nella sua docking station. Spero almeno che i pavimenti siano dritti.
Comunque, io lo trovo carino.
Mi chiedo solo quanto ci vorrà prima che qualcuno progetti l’iCar (auto piatta in cui i passeggeri stanno distesi come sardine).

Via Boing Boing

Free Schoenberg

logo

Le opere di Arnold Schönberg si possono ascoltare liberamente (e legalmente) in streaming audio dal sito dell’Arnold Schönberg Center in cui è stato realizzato questo bel Jukebox che funziona con tutti i principali players e sistemi.
Nonostante sia in streaming, l’audio è di buona qualità (almeno in quello che ho ascoltato), per cui una connessione veloce (ADSL o ISDN) è necessaria.
Stranamente, invece, data la serietà del sito, non vedo citati gli esecutori.

La Kammersymphonie op9 (1906) e’ una tappa fondamentale nella produzione di Schoenberg. Quest’opera,che comunque utilizza un linguaggio ancora tonale (la composizione e’ in Mi Maggiore) si dimostra comunque innovativa sia nella forma,sia in alcuni procedimenti armonici,sia nella strumentazione. Pur rimanendo fedele alla tonalità,questa composizione porta spesso il sistema tonale ai suoi limiti estremi,in particolare per l’uso degli accordi formati da quarte sovrapposte. Il termine Sinfonia generalmente veniva usato solo per brani di grosse dimensioni (e tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 queste composizioni spesso richiedevano l’uso di orchestre gigantesche; per esempio Mahler, Bruckner e R.Strauss). Invece Schoenberg utilizza il termine Sinfonia per un opera della durata di circa 20 minuti con un organico cameristico di 15 strumenti solisti, formato da quintetto d’archi,legni e due corni(in seguito l’autore ne realizzerà anche una versione per orchestra). Schoenberg dopo aver terminato questa composizione,inizierà a scrivere anche una seconda Kammersymphonie (op.38) che pero’ terminerà solo molti anni dopo in America (negli anni ’40).
[tratto da armoniamusicale.com dove trovate l’analisi completa]

Arnold Schönberg – Chamber symphony for fifteen solo instruments op.9

Votate, tanto poi decidiamo noi

time poll
time cover

Altrenotizie, basandosi sulle news dei blog latino-americani, ci apre gli occhi su una bella prova di democrazia.
Uomo dell’anno secondo Time Magazine siamo noi. “Cittadini della nuova democrazia digitale”.
A scegliere “la persona o le persone che più hanno influenzato l’informazione o le nostre vite, nel bene o nel male” sarebbero dovuti essere proprio questi “cittadini”, chiamati votare attraverso il sito internet del giornale, scegliendo tra George W. Bush, Condoleezza Rice, Kim Jong Il, Al Gore, Mahomoud Ahmadinejad, Hugo Chavez, Nancy Pelosi e la comunità di YouTube.
Alla fine, sempre secondo Time Magazine, i vincitori siamo noi, Come si legge in copertina, “Tu. Sì, tu. Tu controlli l’era dell’informazione. Benvenuto nel tuo mondo”, facendo pensare che a vincere sia stata la comunità YouTube.
Proprio un bel mondo. Perché le votazioni dei lettori non hanno neanche lontanamente indicato questo risultato. Come si vede nella figura, peraltro pubblicata dallo stesso Time, il vincitore è stato Hugo Chavez (36%), con la sua ferma opposizione alle ingerenze degli Stati Uniti in America Latina (i chicanos sono tanti), mentre il secondo è niente-di-meno che Ahmadinejad (21%), con la sua volontà di dotarsi del nucleare e i suoi attacchi a Israele. Due leader che gli Stati Uniti vedono come il fumo negli occhi.
Potete controllare. Ho anche trovato la pagina del sondaggio. Andate qui e votate. Vi appariranno i risultati (che io sappia, votare è l’unico modo per vederli).
Ok, Time può anche non considerare il sondaggio vincolante, ma allora lo scriva (o non lo faccia per niente). Bella prova di democrazia. Assomiglia molto a quella che gli americani stanno cercando di esportare.

Kritiko Allucinato?

Ma qualcuno riesce a spiegarmi perché i critici “pop” (nel senso di non classici, non jazz) italiani (non tutti, ma la maggior parte) sono o assurdamente esagerati oppure danno sfogo a un bassissimo livello poetico con contenuto informativo pari a zero, mentre invece gli anglosassoni sono informativi e mediamente obiettivi?
Prendiamo, per es., le critiche che ho cercato per scrivere il post precedente su Rock Bottom.
Onda Rock scrive (estratti; i corsivi sono miei)

Sebbene siamo sicuri che la musica di questo disco fosse già immensa e bellissima…
…Il regno dei nuovi suoni esprime l’immensa solitudine dell’uomo e il suo anelito di salvezza…
…La sezione ritmica del doppio “Alifib/Alife”, affidata al respiro/sospiro è entrata prepotentemente tra le “trovate” più geniali di tutta la storia della musica
…La tettonica che scaturiva dall’eterna contrapposizione tra il jazz e il rock si chiude su se stessa e ne rimane solo una musica da camera, trionfo del nuovo intelletto
…”Rock Bottom” rappresenta la definitiva chiusura di un’epoca, tanto per l’uomo Wyatt quanto per la storia della musica popolare. È il fulcro inevitabile della storia del rock e ogni giudizio su ciò che c’era prima e ciò che è venuto poi va in un modo o nell’altro ricondotto a questo disco

Ma siamo fuori? Se questo è un capolavoro assoluto, Bach chi è?
E se questo è un capolavoro assoluto solo nell’area della popular music, allora il suddetto genere conta più capolavori assoluti di qualsiasi altro genere sulla faccia della terra, giacché girando per Onda Rock (ma anche per altri siti) se ne trovano migliaia.

D’altro canto, altri critici prendono il loro lavoro come un pretesto per evidenziare le loro assai scarse qualità poetiche.
Su Rock Bottom, Scaruffi scrive (estratti)

C’e` come un respiro, una medesima pulsazione vitale, che anima tutti i brani, come esalante da una massa organica di sentimenti. Per questo arduo programma di flusso di coscienza in Rock Bottom si fondono le due componenti principali della musica di Wyatt: il melodismo sentimentale di Moon In June e il vocalismo patafisico di Las Vegas Tango. All’insegno del free-jazz nasce allora una forma-suite di grande suggestione ed emotivita’.

La funerea elegia di Sea Song … si libra in un gorgo armonico sinistro e disperato con un lento incedere da cerimoniale segreto. Last Straw affonda in modo ancor piu` sinistro in misteri occulti, con uno svolgimento che ricorda una Las Vegas Tango piu` lineare e nervosa, con un arrangiamento che rende la sensazione di una mente sconnessa e dell’apocalissi imminente.

che rappresentano anche i due stati fondamentali dell’arte di Wyatt, il lirismo titanico e il nonsense dadaista, ovvero l’ansia d’ assoluto (“unendliche sehnsucht”) e la paranoia del quotidiano. La voce si abbandona a deliri e convulsioni con un tono dimesso che e` ben lontano dai gargarismi del passato, e i fiati si lanciano in lunghe traversate, arabescando di incubi terribili atmosfere gia` demenziali.

Unendliche sehnsucht!? Paranoia del quotidiano?? Apocalissi imminente!!??
Ma sta parlando di un disco o dell’asteroide prossimo venturo?
Adesso, supponete di non sapere niente di Rock Bottom e andate a leggervi le recensioni. Cosa avete capito del disco?
Perché nessuno scrive di musica? Perché nessuno mi dice com’è il tempo, la ritmica, l’armonia? Perché non lo sanno?. Ma se non capiscono nulla di armonia, cosa fanno i critici a fare? E se invece la capiscono, perché non ne parlano? Perché la gente non capirebbe? Forse sarebbe ora di cominciare.
Adesso, invece, andiamo a leggere una qualsiasi recensione anglosassone (questa è di tale Martin Dietrich):

“Sea Song” is a beautiful lovesong as well as a duett of Wyatt and Richard Synclair’s bass. Organ and bass are dominating this song but you also get guitar and piano. The song raises slightly in the end. “The last Straw” commences in a similar way, organ and bass build a musical basis and Wyatt’s voice impends over it. The drums stay discreet all the time. “Little Red Riding Hood Hit The Road” is an extension of “The last straw”, the melody commences and Mongezi Fesa adds some trumpet. This song is kind of hypnotic due to Wyatts voice and the melody, terrific! “Alifib” is a homage to his significant other and again, a duett, this time between Wyatt and Hopper on bass. In the beginning you just hear Wyatts breathing and gasping over some beautiful, mellow and muted Keyboard sounds. After a time Wyatt begins to sing, just as alsways, very melanciloc. After the song gets more and more intensive, it passes into the next track “Alife” wich is a bit madder mainly because of the saxophone. Nevertheless the two songs seem to belong togher, two great and melancolic tracks, beautiful. On “Little Red Robin Hood Hit The Road” Mike Oldfield, Fred Frith, Laurie Allen and again Richard Sinclair gathered to attend Wyatt. The vivid beginning is dominated by Oldfield’s guitar and Waytt’s voice, later on Frith’s viola affiliates. The end is quite funny because somebody tries to tell you something about a broken telephone, drinking tea and some other weird stuff. The song dies away with laughter.

C’è una bella differenza. Non parla di accordi, ma almeno cerca di spiegarmi come sono fatti i pezzi. Sebbene faccia anche un errore (il sax di Alife è un clarinetto basso), cerca di darmi delle informazioni.
Capisco che in Italia Bertoncelli abbia fatto scuola, ma da noi è come se, per chi scrive, l’informazione fosse secondaria, mentre l’importante è cercare di mostrare che si è bravi a scrivere (con scarsi risultati).
O mi sbaglio?

Pop (?) music that I loved (6)

rock bottom

Rock Bottom è il primo disco di Wyatt dopo l’incidente del 1973 che lo sbatte su una sedia a rotelle per il resto della vita.
Al di là del risvolto umano, è un bel lavoro con musicisti di eccezione che fonde vena melodica e vocalismo sperimentale, il tutto contornato da accenti vagamente jazz che si mescolano con il sound di Canterbury (sebbene questa definizione sia stata sempre negata e al limite odiata dai musicisti, ormai identifica una certa scena musicale).

Robert Wyatt – from Rock Bottom (1974), Alifib/Alife

Personnel

    Robert Wyatt, vocals, keyboards, percussion, guitar
    Richard Sinclair, bass
    Hugh Hopper, bass
    Laurie Allan, drums
    Mongezi Feza, trumpet
    Ivor Cutler, voice, baritone concertina
    Gary Windo, bass clarinet, tenor sax
    Fred Frith, viola
    Mike Oldfield, guitar
    Alfreda Benge, voice
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That Goodbye

Me

That Goodbye è una elaborazione del primo verso tratto dalla poesia “Do not go gently into that goodnight” di Dylan Thomas, letto dall’autore e tratto da una registrazione d’epoca.
L’idea di questo brano è di mettere a punto delle tecniche tali per cui la parola via via si “consumi” diventando lentamente puro suono.
Ora, una delle cose che mi hanno sempre affascinato è l’eco. Ma l’eco è una ripetizione (quasi) identica all’originale. In “That Goodbye” invece, ho adottato delle tecniche di elaborazione per cui l’eco ritorna modificato sempre di più ad ogni ripetizione.

Queste tecniche consistono nell’inserire il dispositivo di elaborazione all’interno del loop che genera l’eco. Quindi il suo effetto si accumula e cresce ad ogni ripetizione che così si trasforma sempre di più rispetto all’originale.

Questo modo di comporre è abbastanza lontano dalle tecniche tradizionali. Qui, io seleziono processi di elaborazione che generano risultati di lunga durata. La composizione, a questo punto, equivale alla scelta dei frammenti sonori e dei processi di elaborazione attraverso i quali devono ‘rotolare’.

Alcuni esempi [NB: per non costringevi ad ascoltare mezz’ora di esempi, tutti gli eventi sono accelerati rispetto al loro utilizzo nel brano, nel senso che il delay è molto breve (circa 1 sec.) e quindi la frequenza delle ripetizioni è elevata per cui la trasformazione avviene nel giro di pochi secondi].

  • Elemento di elaborazione: riverbero
    In questo esempio l’accumulo della riverberazione a ogni ciclo di loop produce un alone sempre più lungo e presente per cui il riverbero si “mangia” letteralmente il suono riducendolo alle sole frequenze di risonanza eccitate dall’input. Il collegamento con in frammento iniziale rimane in forma agogica. Sotto l’aspetto frequenziale, il risultato dipende sia dalle frequenze presenti nell’input che dalle frequenze di risonanza del riverbero.
  • Elemento di elaborazione: filtro
    Ad ogni ciclo di loop l’input è filtrato con un passa-banda a guadagno unitario, che lascia inalterata solo la freq. di centro-banda e attenua tutte le altre. Il suono, via via, si semplifica fino a lasciare una singola sinusoide.
  • Elemento di elaborazione: flanger
    L’effetto flanger applicato a un suono si incrementa a ogni ripetizione dando vita a battimenti di complessità crescente.
  • Elemento di elaborazione: ring modulator
    Il modulatore ad anello, con modulante piazzata su uno degli armonici, espande lo spettro e ne cambia il bilanciamento a ogni ciclo di loop.

That Goodbye inizia con la voce di Dylan Thomas che passa attraverso un banco di 8 filtri passa-banda e viene suddivisa in altrettanti flussi audio indipendenti che rapidamente si sfasano.

Ognuno di essi si infila, poi, in una linea di ritardo con tempo differenziato rispetto alle altre (da circa 5 a circa 12 secondi). Le frequenze di taglio e la larghezza di banda dei filtri non sono regolarmente spaziate, ma sono state tarate sulle bande di maggiore attività del segnale e vanno da 100 a 5000 Hz.

In questa prima fase l’elemento di elaborazione nel loop è principalmente il riverbero che allunga il suono e lo trasfigura distruggendo le parole e trasformandolo in bande frequenziali di altezza differenziata. Le bande basse e medie hanno tempi di riverbero più lunghi (fino a 6-8 secondi) e formano rapidamente delle fasce sonore di sfondo in evoluzione su cui si muovono gli elementi più acuti.

Nella seconda fase utilizzo come input alcuni dei punti finali di trasformazione della prima che vengono inviati a delay con processing differenziati, soprattutto flanger, filtri, ring modulator e inviluppi. Questi ultimi due sono i responsabili dell’emergere di suoni tipo campana derivanti dalla trasformazione spettrale delle bande medio-alte e dall’applicazione di un inviluppo che all’inzio è lineare e si fonde con il resto, ma diventa più sensibile e differenziato via via che si fa maggiormente percussivo.

Verso la fine della seconda fase parte una terza fase che inizia sulle bande basse a cui si applicano delay con ring modulator e pitch shift sulla scala armonica dando vita a una scalata agli armonici che si espande ad ogni ciclo di loop.

Questa parte si risolve in una quarta e ultima fase che si muove quasi all’indietro nel pezzo mandando in loop i risultati di varie convoluzioni fra la frase originale e e frammenti tratti dalle tre fasi precedenti creando una serie di fantasmi del frammento di partenza.

Mauro Graziani – That Goodbye (2002)

Vedrai quando avrai 50 anni…

30 anni fa distribuivo manifestini contro

  • il centro-destra
  • la politica estera americana

Dato che sono un po’ pessimista, avevo anche messo in conto il fatto di trovarmi 30 anni dopo a incazzarmi per le stesse cose.
Quello che però non avrei mai pensato era di trovarmi a votare un maledetto democristiano e sperare che vinca, come ho fatto quest’anno.
Quando ero piccolo mi dicevano “Vedrai quando avrai 50 anni…”.
Adesso ho passato i 50. Non ho visto niente.

Pop (?) music that I loved (5)

sylvian
Gone To Earth (1986).
Le melodie di Sylvian sono abbastanza sghembe da piacermi, le trombe di Beckett e Wheeler tirano linee angolate su una base abbastanza liquida…
Insomma, godibile e suggestivo (anche se non capisco come fanno certe recensioni a parlare di capolavoro; secondo me il 99% delle recensioni di “pop” music sovrastima ampiamente il proprio oggetto e i recensori dovrebbero darsi una bella regolata).

David Sylvian – from Gone To Earth (1986),
Before The Bullfight

Personnel

    David Sylvian: vocals, guitar, keyboards
    Harry Beckett: flugelhorn
    B.J. Cole: steel guitar
    Mel Collins: soprano saxophone
    Robert Fripp: guitar
    Steve Jansen: percussion, drums
    Ian Maidman: bass
    Bill Nelson: electric and acoustic guitars
    Steve Nye: percussion
    Phil Palmer: acoustic guitar
    John Taylor: piano
    Kenny Wheeler: flugelhorn

Pubblicato in Pop

Stop all that spam!

Negli ultimi giorni ho scritto a 3 amministratori di rete chiedendo che bloccassero l’attività spammatoria di altrettanti individui che insistevano ad inserire nel blog commenti fittizi aventi l’unico scopo di pubblicizzare casinò online, pillole per dimagrire e sistemi per ingrandire il coso (voi non li vedete perché i commenti contenenti certe parole vengono sospesi e sottoposti alla mia approvazione).
Ho allegato i messaggi e i log che provavano la loro attività e lo spam da questi ip è cessato nel giro di 2 giorni (anche nel caso di una rete coreana che non avrei giurato che mi ascoltasse).
Questo conferma che ormai gli amministratori di rete si sono resi conto che lo spam è una rogna anche per loro perché ha raggiunto dimensioni tali da tradursi in un sensibile spreco di banda che i la loro società paga. Inoltre la loro rete corre il rischio di finire su una lista nera (blacklist) che fa sì che i più noti provider non accettino più la loro posta, quindi prendono provvedimenti.
Perciò, quando ricevete email non richieste, oltre ad attivare misure bloccanti, se avete tempo e voglia, protestate! È il modo più sicuro per ottenere risultati. Più gente lo fa, meno spam gira.
Non rispondete allo spammer. Di solito l’indirizzo di ritorno è falso e quando non lo è, o appartiene a un utente ignaro oppure, se è una casella controllata dallo spammer, serve solo a dare al vostro indirizzo email un grande valore, perché la risposta costituisce una conferma che un umano ha letto la mail.

Si fa così:
per prima cosa bisogna identificare il luogo di partenza e per fare questo occorre visualizzare gli header del messaggio, cioè le intestazioni che i vari computer per cui il messaggio passa aggiungono in testa. Per esempio, prendiamo questa email, che voi vedete così:

From: Braelyn Ewing < chana @k3btg.com>
Reply-To: Braelyn Ewing < chana @k3btg.com>
To: Egon Macmillan < xx@pippo.org>
Subject: Re: your coupo
Date: Fri, 26 Jan 2007 10:00:25 +0100

Hi
Viag_gra $3. 30
Ambi_ien $2. 90
Vali_ium $1. 25
CiaI_lis $3. 75
Xan_nax $1. 50

Ora, se chiedete al vostro programma di email di mostrare gli header (il comando è una voce di menu come: “mostra messaggio completo”, “mostra header”, “mostra intestazioni” o simile), esce, per esempio, questo

Return-Path: < chana @k3btg.com>
Received: from pippo.org [217.131.171.142] by host.linux with POP3
(fetchmail-6.3.4) for < pippo1@localhost> (single-drop); Wed, 27 Dec 2006
16:33:39 +0100 (CET)
Received: from k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]) by
pippo.org (8.11.6/8.11.6) with SMTP id kBR8wRv31793 for
< xx@pippo.org>; Wed, 27 Dec 2006 01:58:29 -0700
Message-ID: <01c74128$6ad6d570$84178753@EVALUATION1>
Reply-To: “Braelyn Ewing” < chana @k3btg.com>
From: “Braelyn Ewing” < chana @k3btg.com>
To: “Egon Macmillan” < xx@pippo.org>
Subject: Re: your coupo
Date: Fri, 26 Jan 2007 10:00:25 +0100
MIME-Version: 1.0
Content-Type: multipart/alternative; boundary=”—-=_NextPart_000_02C7_01C7412F.7F7411D0″
X-Priority: 3
X-MSMail-Priority: Normal
X-Mailer: Microsoft Outlook Express 6.00.2900.2180
X-MimeOLE: Produced By Microsoft MimeOLE V6.00.2900.2180
X-UIDL: PjQ!!OR~”!n$’!!nmj!!

This is a multi-part message in MIME format.

——=_NextPart_000_02C7_01C7412F.7F7411D0
Content-Type: text/plain; charset=”Windows-1252″
Content-Transfer-Encoding: quoted-printable

Hi
Viag_gra $3. 30
Ambi_ien $2. 90
Vali_ium $1. 25
CiaI_lis $3. 75
Xan_nax $1. 50

In mezzo a questa roba, l’unica cosa importante sono le linee che iniziano con “Received”: ogni linea rappresenta un computer attraverso il quale questo messaggio è passato. Ce ne possono essere molte.
NB: tutto il resto non ha alcun senso perché può essere falsificato. Per questo spesso vi arriva della posta che non sembra essere diretta a voi.

Received: from pippo.org [217.131.171.142] by host.linux with POP3
(fetchmail-6.3.4) for < pippo1@localhost> (single-drop); Wed, 27 Dec 2006
16:33:39 +0100 (CET)
Received: from k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]) by
pippo.org (8.11.6/8.11.6) with SMTP id kBR8wRv31793 for
< xx@pippo.org>; Wed, 27 Dec 2006 01:58:29 -0700

e fra queste, quella originaria è l’ultima (quella più in basso; ogni computer aggiunge la sua linea sopra alle precedenti)

Received: from k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]) by
pippo.org (8.11.6/8.11.6) with SMTP id kBR8wRv31793 for
< xx@pippo.org>; Wed, 27 Dec 2006 01:58:29 -0700

Questa linea dice che il primo passo del messaggio è stato andare da k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]) a pippo.org in data 27 Dec 2006 01:58:29 -0700.
k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]), quindi, è la macchina di partenza, verosimilmente l’ip dello spammer oppure quello di un computer utilizzato fraudolentemente per questo fine.
A questo punto basta scrivere all’amministratore della rete di cui fa parte il computer identificato in quel momento dall’ip 83.135.23.132 e segnalare il problema.
Per sapere chi è basta cercare un sito che faccia whois in internet oppure dare il comando whois numero su un terminale.

83.135.23.132 = [ i53871784.versanet.de ]

 

e cliccando sul nome [ i53871784.versanet.de ] vi mostra una serie di dati fra cui appare

remarks: abuse reports please to: abuse@versatel.de
oppure
abuse-mailbox: abuse@versatel.de

Questo è l’indirizzo a cui bisogna scrivere inviando il messaggio spammatorio completo con tutti gli header di cui sopra, compresa la data e l’ora. Solo così l’amministratore di rete potrà risalire al computer incriminato.
Io di solito aggiungo anche qualche frase di circostanza, tipo

Hi
here is a spam message apparently originating from your network.
Thank you vm for your interest.
Regards

Header & text follow
…header e testo completi…

Adesso mi direte che è una palla, però, credetemi, una vigorosa azione della comunità è l’unico modo di fermare lo spam.
Se volete approfondire l’argomento, andate qui.

Music for a Summer Evening

Un lavoro importante di Crumb sono i quattro libri del Makrokosmos (1972-1974). I primi due libri sono per pianoforte solo, mentre il terzo (chiamato anche Music for a Summer Evening, parte del quale ascoltiamo qui) è per due pianoforti e percussioni ed il quarto (noto anche con il titolo Celestial Mechanics) per pianoforte a quattro mani. Il nome di questo ciclo allude ai sei libri pianistici del Microcosmos di Béla Bartók; come il lavoro di Bartók, il Makrokosmos è costituito da una serie di brevi pezzi dal carattere differenziato. Oltre a quella di Bartók, George Crumb ha riconosciuto in questo ciclo influenze di Claude Debussy, sebbene le tecniche compositive utilizzate siano molto differenti da quelle di entrambi gli autori citati. Il pianoforte viene amplificato e preparato sistemando vari oggetti sulle sue corde; in alcuni momenti il pianista deve cantare o gridare alcune parole mentre sta suonando.

Crumb – from Music for a Summer Evening (Makrokosmos III), 5 – Music of the Starry Night (1974), for 2 pianos and 2 percussionists

Author’s program notes (excerpt):

As in several of my other works, the musical fabric of Summer Evening results largely from the elaboration of tiny cells into a sort of mosaic design. This time-hallowed technique seems to function in much new music, irrespective of style, as a primary structural modus. In its overall style, Summer Evening might be described as either more or less atonal, or more or less tonal. The more overtly tonal passages can be defined in terms of the basic polarity F#-D# minor (or, enharmonically, Gb-Eb minor). This (most traditional) polarity is twice stated in “The Advent” — in the opening crescendo passages (“majestic, like a larger rhythm of nature”), and in the concluding “Hymn for the Nativity of the Star-Child”. It is stated once again in “Music of the Starry Night”, with the quotation of passages from Bach’s D# minor fugue (Well-tempered Clavier, Book II) and a concluding “Song of Reconciliation” in Gb (overlaid by an intermittently resounding “Fivefold Galactic Bells” in F#). One other structural device which the astute listener may perceive is the isorhythmic construction of “Myth”, which consists of simultaneously performed taleas of 13, 7, and 11 bars.

 

Silent Night

Questa mi era sfuggita.
Sarà melensa, ma sentirla cantata da Tom Waits è un’altra cosa.

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Era una notte buia e tempestosa

This is about a site inspired to an italian book called “Era una notte buia e tempestosa” (It Was A Dark And Stormy Night). The first words of the Snoopy’s romance become the title of a book that collects the first words from 1430 famous books.
Now there is a site called “Incipit” that collects the incipit of 3197 books, many in original language with italian translation.

Anni fa mi sono molto divertito con un libro dall’improbabile titolo di “Era una notte buia e tempestosa” (chi si ricorda Snoopy?), che altro non era che una raccolta di 1430 incipit di altrettanti romanzi (per chi fosse interessato al libro, i curatori sono Papi e Presutto, l’editore Baldini Castoldi, collana Le formiche, prezzo circa € 12).
Qualche giorno fa Nicola mi ha segnalato un sito chiaramente ispirato a quel libro: “Incipit” raccoglie le prime parole di 3197 opere letterarie di 1294 autori, molte delle quali in lingua originale con traduzione a fronte.

Qual’è il vostro incipit preferito? Il mio resta sempre “Call me Ishmael!” (anche se l’incipit di “Le Due Città”, pur di altro tipo, è incredibile).
E i finali? Nessuno ha pensato a raccogliere l’ultimo periodo dei romanzi? Così di brutto mi viene in mente il finale più definitivo possibile: “Inutile aggiungere una sola parola”, Kerouac, Big Sur.

Cantaloup

cantaloup

Visto che siamo in clima festaiolo, vi metto qualcosa di melodico (quasi smelenso) tratto da una delle tante etichette indipendenti di cui internet è pieno (dite “com’è buono lei…”).
Melodici, però pieni di echi e con qualche reminiscenza di Twin Peaks (che mi sono appena rivisto in toto grazie al buon Pietro), ecco Cantaloup, band di cui come al solito ignoro tutto se non che sembrano essere tedeschi (almeno, il sito lo è) e sembrano essere una coppia (lei/lui).
Dall’album “tonight it shows”, ecco “jonathan falls into sleep” e se volete continuare nell’ascolto, ecco l’intera playlist.

Downhill Battle

Downhill Battle is a non-profit organization working to support participatory culture and build a fairer music industry.
Their plan is to explain how the majors really work, develop software to make filesharing stronger, rally public support for a legal p2p compensation system, and connect independent music scenes with the free culture movement.
On the site you can find many interesting papers about the music industry world and projects to spread the music share idea and support movements against the majors.

Downhill Battle è un sito di attivismo musicale che sostiene l’idea di una libera distribuzione della musica in cambio di un abbonamento mensile flat sui 5-10 dollari che dovrebbe poi essere distribuito fra gli artisti in quantità proporzionale al numero dei downloads, spezzando il monopolio delle major.
Sul sito si trovano molti materiali di interesse, come articoli su vari aspetti del mondo discografico, fra cui il famoso articolo di Steve Albini, ex produttore dei Nirvana, che mostra, calcoli alla mano, come sia possibile che alla fine dell’anno una band abbia generato un giro d’affari di oltre 3 milioni di dollari, producendo per la major un profitto di $710.000 mentre i membri della band si ritrovano con $4031 a testa.
Downhill Battle porta avanti anche dei progetti come Banned Music in cui si distribuiscono via bit-torrent i dischi che le major hanno bloccato, come per es. il Grey Album di DJ Danger Mouse, remix del White Album dei Beatles, mai uscito per l’opposizione della EMI.

White Christmas

illegal artA good way to celebrate Christmas.
This track by Corporal Blossom is a mix of illegal samples from many White Christmas versions.
Of course it is published by Illegal Art but now it’s also on SoundCloud

Ecco un buon modo per festeggiare il natale.
Questo pezzo di Corporal Blossom è formato da campionamenti tratti da molte versioni di White Christmas montati insieme, su nessuno dei quali sono stati pagati i diritti.
Ovviamente, è distribuito da Illegal Art ma adesso è anche su SoundCloud

Alban Berg

bergIl 24 Dicembre 1935, dopo aver completato il concerto per violino e orchestra, moriva Alban Berg (1885-1935), grande sostenitore e scardinatore della dodecafonia.
Qui lo ricordiamo con la sua op.1, la sonata per pianoforte del 1908, una delle più notevoli opere prime mai scritte, da qualsiasi compositore. La sonata è quasi un prototipo dell’idea della variazione continua, passata da Brahms a Schoenberg e poi a Berg: l’intera composizione deriva dalla successione di quarte della frase iniziale.

December 24, after completing his concert for violin, Alban Berg died. He was a great promoter of Schoenberg’s twelve tone technique of which he made a highly personal adaptation that enabled him to combine frank atonality with more traditionally tonal passages and harmonies.
His Piano Sonata op.1 is one of the most formidable initial works ever written by any composer. It is a striking example of the developing variation technique — the whole composition can be derived from the opening quartal gesture and from the opening phrase.

Alban Berg – Sonata per pianoforte op.1 (1908) – Maria Yudina pianoforte

Nuova Consonanza

Led by pianist Franco Evangelisti the Gruppo performed as a collective from 65 -71. The focus was to expand both the sonic capabilities of their instruments, but also the sensitivity of each performer within the context of the improvisation. The result(s) remain some of the purist and elevated abstract explorations put to tape retaining both warmth and intelligence. Piano, percussion, double bass, trombone, cello, trumpet, etc are the tools for unparalleled types of aesthetic experiences I was led through and into. This could easily be described as difficult music but only if one remains on the surface of its architecture.

Nuova Consonanza was a brilliant and prolific composer’s collective exploring extended techniques and new sound sources through the medium of improvisation. Although very much a product of its time, their music remains timeless. They were instrumental in founding a radical tradition of western musical improvisation that owed little or nothing to anybody and created some of the strangest music ever made. They were utterly unique.
from John Zorn liner notes, NYC 2006

Consapevoli della rarefatta e marginale presenza della produzione contemporanea nel panorama concertistico romano degli anni ’50, un ristretto circolo di giovani compositori interessati alle avanguardie matura l’intenzione di fondare un’associazione destinata alla promozione e alla diffusione della musica contemporanea a Roma, convinti della necessità di scendere nel cuore della vita musicale romana ufficiale per far sentire una voce di dissenso e proporre nuove iniziative. Le associazioni concertistiche ufficiali, in quegli anni non favorivano la conoscenza e la diffusione della musica contemporanea se non in modo del tutto sporadico e casuale. Si delineò così la consapevolezza che soltanto muovendosi in prima persona, gestendo direttamente un’attività concertistica, in alternativa a quella esistente, potesse emergere la nuova musica. L’idea si concretizza nei primi anni ’60 ad opera di Mauro Bortolotti, Aldo Clementi, Antonio De Blasio, Franco Evangelisti, Domenico Guaccero, Egisto Macchi, Daniele Paris, Francesco Pennisi.
Il nome Nuova Consonanza, citazione di una celebre prefazione seicentesca di Ottavio Rinuccini, allude all’esigenza di aggiornamento permanente e, al tempo stesso, alla volontà di recuperare gli indirizzi marginalizzati dalle tendenze più radicali della musica internazionale.
Nata non come movimento omogeneo di pensiero, bensì come incontro di personalità molto diverse e musicalmente distanti, professionalmente già formate, Nuova Consonanza si fonda non su ideali estetici comuni, ma sulla necessità di svecchiamento della musica in Italia attraverso un’azione comune ai fini della diffusione della musica contemporanea, al di là delle posizioni personali e dei singoli itinerari linguistici.

Tra le molteplici iniziative sostenute, occupa un posto di assoluto rilievo il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (GINC) sorto a Roma nel 1964 ad opera di Franco Evangelisti. Unico gruppo di improvvisazione formato esclusivamente da compositori, il GINC costituiva il punto di approdo di tutte le profonde mutazioni intervenute in quegli anni nel rapporto compositore-esecutore e mirava sovvertire l’assunto base dell’opera aperta (l’esecutore diventa compositore), trasformando il compositore in esecutore, attraverso un’operazione di identificazione permanente tra l’atto del comporre e l’atto dell’eseguire. Ne hanno fatto parte, accanto a Evangelisti e Carmine Pepe, un folto insieme di musicisti non italiani: Larry Austin, John Eaton, John Heineman, Roland Kayn, William O. Smith, Ivan Vandor.

Dal sito dell’Associazione Nuova Consonanza

Nuova Consonanza – Omaggio a Giacinto Scelsi (1976)

Franco Evangelisti (pno,percs)
Giancaro Schiaffini (tb)
Ennio Morricone (tpt. fl)
Giovanni Piazza (horn, fl, vln)
Egisto Macchi (percs, strings)
Antonello Neri (pno)

Statistiche natalizie

Matthew Guerrieri, sul suo blog Soho the Dog, ha esaminato centinata di inni mettendo in luce una differenza significativa fra i brani natalizi e gli altri: la maggior parte delle carole natalizie comincia sul 5° grado della scala.
Queste sono le statistiche:

Christmas hymns (39):

Scale degree 1: 13 (33.3%)
Scale degree 3: 7 (18.0%)
Scale degree 5: 19 (48.7%)

Non-Christmas hymns (518):

Scale degree 1: 233 (45.0%)
Scale degree 3: 84 (16.2%)
Scale degree 5: 196 (37.8%)
Other: 5 (1%)

Naturalmente sarebbe bello sapere il perché, se ne esiste uno.
Un lettore ha suggerito la spiegazione seguente: per celebrare il SOLstizio.
ROFL

La più antica canzone del mondo

harpscorSecondo il Prof. Anne Draffkorn Kilmer (professor of Assyriology, University of California, and curator at the Lowie Museum of Anthropology at Berkeley), quella che vedete potrebbe essere la partitura del più antico brano musicale attualmente conosciuto.
La tavoletta, che proviene dall’antica città assira di Ugarit (oggi Ras Shamra in Siria), risale a 3400 anni fa. Nella parte superiore si trova il testo, mentre la parte inferiore reca informazioni sull’esecuzione.
Il punto è che, sempre secondo l’interpretazione del Prof. Kilmer, la musica che ne esce è diatonica (scala maggiore ovviamente non temperata ma verosimilmente basata su una scala naturale) e armonizzata. Ho messo questi dati in neretto perché, se fossero veri, smentirebbero in un solo colpo ben due assunti della musicologia tradizionale: l’idea che le prime scale strutturate risalgano ai greci (2000 anni fa) e che le prime manifestazioni musicali fossero solo melodiche.

Musicovery

musicovery
Un altro oggetto carino che cerca di costruire un percorso di ascolto basandosi su un paio di categorie. Musicovery lavora con l’intersezione di mood (stato d’animo, carattere, da dark a positive) e energy (da calm a energetic). La selezione può anche essere ristretta a un certo genere e a un particolare periodo storico.
Funziona gratuitamente in low-fidelity (presumibilmente mp3 128 bpr, ma comunque buona per delle casse da computer) e a pagamento in high-fidelity.
Provatelo. Funziona anche con la classica (ma non con la contemporanea, ci saranno si e no 10 pezzi).
Secondo me il maggiore pregio di questi oggetti è quello di farti ascoltare cose che non avresti mai cercato da solo, ma che comunque si avvicinano ai parametri scelti.
È interessante spiarlo dentro e vedere come classifica i brani (info che l’utente normale non vede, ma io sì). Ogni brano è classificato secondo i seguenti parametri (riporto solo i principali; i valori che vedete qui sono quelli attribuiti a Gnossiennes di Satie).

artist=”Satie”
genre=”classique”
Mood_humeur=”143303″
Mood_energie=”37519″
Rythme_dance=”31266″
Rythme_tempo=”134835″
Orch_linearite=”847967″
Orch_energie=”0″

Come vedete lista il mood (con 2 valori), altri 2 valori per il ritmo (tempo è verosimilmente il metronomo e dance potrebbe essere una stima della ballabilità), infine 2 valori per la linearità e l’energia.
Ovviamente il problema è l’attribuzione di questi valori che, non essendo oggettiva, ma percettiva, dovrebbe essere fatta su base statistica con un gran numero di soggetti.
Infatti dipende anche da fattori non strettamente musicali. Per esempio, penso siamo d’accordo sul fatto che la Cavalcata delle Valkirie è un brano ad alta energia e piuttosto dark. Ma, se sull’energia non c’è discussione, sul mood può esserci. Io lo definisco dark perché conosco il contesto e so dove arriva nell’opera, ma se non lo sapessi? In altre parole, tutta la musica dei Black Sabbath è dark, ma non sapendo niente dei Black Sabbath e non potendo capire il testo, cos’è? L’unica risposta possibile viene da un test su molti ascoltatori.
In ogni caso, l’oggetto è divertente (adesso sto scrivendo con la sua colonna sonora, dopo aver selezionato classica, molto calmo, molto dark e in questo momento sto ascoltando l’adagio del concerto per piano #4 di LvB; poi arriva il Miserere dell’Allegri). Vale una visita e può diventare un giochino per passare un po’ di tempo.
Forse anche i DJ dovrebbero cominciare a preoccuparsi per il loro posto di lavoro.

Venti di Titano

Questa non è una composizione musicale e forse è noiosa, ma ascoltatela.
È il suono registrato dal microfono posto a bordo della sonda Huygens, parte del progetto Cassini di esplorazione dei pianeti esterni, durante la sua discesa di un anno fa su Titano, satellite di Saturno e unica luna del sistema solare con un’atmosfera.
Per quelli che sanno sognare…

Christo!

christo

Il distinto signore che vedete in questa immagine è Christo Javacheff, noto più semplimente come Christo.
Dal 1958 fino agli anni ’90 lui e la sua partner Jeanne-Claude (i due sono nati nello stesso anno e stesso giorno; loro dicono anche stessa ora…) hanno imballato qualsiasi cosa capitasse sottomano, senza spaventarsi per le dimensioni. Nulla sfuggiva al loro furore imballatorio.
Iniziando da piccoli oggetti, sono passati poi alle grandi architetture fra cui Pont Neuf a Parigi (1985, 40000 m² di tessuto sintetico), la costa della baia di Sidney (1969, 9300 m² di sintetico e 56 km di corde), undici piccole isole della Baia Biscayne (Miami, 1983, 603850 m² di polipropilene) e infine il Reichstag a Berlino (1995).reichstag
Oggi i due si dedicano a forme di land-art non meno colossali. Da notare che il tutto è finanziato in gran parte con la vendita dei disegni preparatori, eseguiti dallo stesso artista, che ormai raggiungono quotazioni a 5/6 zeri.
Il National Geographic (versione italiana) di questo mese pubblica una bella intervista che potete anche leggere, in inglese, qui.

Ricordo una divertente storiella su un mio conoscente che, negli anni ’70, possedeva un’opera di Christo che già allora valeva qualche migliaio di dollari. Si trattava di una bottiglia incartata e sigillata con carta e spago piombato che è andata poi distrutta ad opera della nuova collaboratrice domestica, la quale, trovando l’oggetto su un mobile in salotto, ha pensato bene di dar prova del proprio zelo scartandola e rimettendola esattamente nello stesso punto.

Musica Discreta

discreet music
Da Discreet Music (1975), di Eno, ho sempre amato la prima variazione sul Canone di Pachelbel in Re maggiore, in cui, dopo l’inizio, le varie parti a poco a poco si sfasano.
È uno strano comporre in cui l’unico parametro utilizzato è il tempo. Ma a volte penso che il fascino del brano sia determinato più dalla bellezza del canone che dall’opera di Eno.

From Discreet Music, the first non-pop Eno album (1975), I always liked the first variation of Pachelbel Canon in D Major on which the instrumental parts go little by little out of syncro.
It’s a strange composing, working only with the time. But sometimes I think this piece’s appeal depends more on the canon’s beauty than on the Eno’s work.

Pop (?) music that I loved (4)

third ear band
Dal disco di Third Ear Band dedicato ai 4 elementi (1970), questo è Water.
From the Third Ear Band’s LP dedicated to four elements, this is Water.

Personnel

Paul Minns — oboe
Glen Sweeney — percussion
Ursula Smith — cello
Richard Coff — violin and viola

Pubblicato in Pop

Vox Balenae

Un brano acquatico ed evocativo questo Vox Balenae composto nel 1971 da George Crumb per flauto, violoncello e piano, tutti amplificati (non c’è trattamento audio; ci si limita all’amplificazione).
Ispirato a una registrazione di canti delle balene, il brano imita e trasfigura i suoni della natura, che divantano materiale da elaborare musicalmente.
C’è anche un aspetto teatrale: i musicisti devono indossare una maschera intesa a cancellare la loro umanità per portarli a impersonare le forze della natura. Inoltre, l’esecuzione dovrebbe avvenire in luce blu.
Di questa composizione Crumb dice:

The form of Vox Balenae (Voice of the Whale) is a simple three-part design, consisting of a prologue, a set of variations named after the geological eras, and an epilogue.
The opening Vocalise (marked in the score: “wildly fantastic, grotesque”) is a kind of cadenza for the flutist, who simultaneously plays his instrument and sings into it. This combination of instrumental and vocal sound produces an eerie, surreal timbre, not unlike the sounds of the humpback whale. The conclusion of the cadenza is announced by a parody of the opening measures of Strauss’ Also sprach Zarathustra.
The Sea-Theme (“solemn, with calm majesty”) is presented by the cello (in harmonics), accompanied by dark, fateful chords of strummed piano strings. The following sequence of variations begins with the haunting sea-gull cries of the Archezoic (“timeless, inchoate”) and, gradually increasing in intensity, reaches a strident climax in the Cenozoic (“dramatic, with a feeling of destiny”). The emergence of man in the Cenozoic era is symbolized by a partial restatement of the Zarathustra reference.
The concluding Sea-Nocturne (“serene, pure, transfigured”) is an elaboration of the Sea-Theme. The piece is couched in the “luminous” tonality of B major and there are shimmering sounds of antique cymbals (played alternately by the cellist and flutist). In composing the Sea-Nocturne I wanted to suggest “a larger rhythm of nature” and a sense of suspension in time. The concluding gesture of the work is a gradually dying series of repetitions of a 10-note figure. In concert performance, the last figure is to be played “in pantomime” (to suggest a diminuendo beyond the threshold of hearing!); for recorded performances, the figure is played as a “fade-out”.

 

Una delle canzoni più romantiche…

…che abbia mai sentito questa “This Is A Rebel Song” di Sinead O’Connor.
Qualcuno potrà obiettare che è anche una delle più melense (= spudoratamente sentimentali), ma non è vero. In realtà questa è davvero una canzone ribelle e di grande coraggio perché ai tempi in cui l’Ulster era in fiamme, un amore fra una ragazza irlandese e un soldato inglese era una cosa di cui non si poteva parlare.

I love you my hard englishman
Your rage is like a fist in my womb
Can’t you forgive what you think I’ve done
And love me, I’m your woman

And I desire you my hard englishman
And there is no more natural thing
So why should I not get loving
Don’t be cold englishman

how come you never said you love me
in all the time you’ve known me
how come you never say you’re sorry

i do

Oh please talk to me englishman
What good will shutting me out get done
Meanwhile crazies are killing our sons
Oh listen, englishman

I’ve honored you hard englishman
Now I am calling your heart to my own
Oh let glorious love be done
Be truthful englishman

Pubblicato in Pop

Mozart db online

A free Mozart database has been launched on the internet, with 24,000 pages of sheet music incorporating all the composer’s works.
The database also contains more than 8,000 pages of critical commentary, said Ulrich Leisinger, head of research at the International Mozart Foundation.
The site has had more than 1m hits since its launch on Monday. Next summer it hopes to make available 270 letters written by Mozart, some 100 original manuscripts and about 2,000 pages of texts accompanying many vocal works.
From The Guardian

Un grande database che contiene l’opera completa di Mozart (partiture, non audio) è stato messo in linea dall’International Mozard Foundation (Mozarteum).
Il db comprende circa 24.000 pagine di partiture e 8000 pagine di commento critico liberamente consultabili e scaricabili in pdf da questo sito.
Il problema, se ce ne è uno, è che la navigazione è tutta in tedesco, quindi vi diamo una dritta. Per arrivare ai pdf dovete cliccare sull’icona con la “i” (quadratino bianco con la i in rosso che significa inhaltverzeichnis, ovvero indice). Qui si apre un indice in cui accanto a ogni brano c’è la classica icona del pdf.
Entro la prossima estate si spera di mettere in linea anche materiale originale: circa 270 lettere e 100 manoscritti, oltre ad altre 2000 pagine di testi.
Fonte: The Guardian

Ma a Hollywood non hanno i consulenti?

Ho visto “Il Gladiatore” in tv (il film di Ridley Scott con Russel Crowe).
L’avevano già fatto, ma l’altra volta non l’avevo guardato bene. Stasera non avevo niente da fare e così l’ho guardato bene. Sono rimasto colpito dalla quantità di errori che contiene. Storici, militari, di ambientazione…
Alcuni sono evidenti licenze per migliorare la trama (l’imperatore Commodo non è morto in duello nel colosseo, Marco Aurelio è morto di polmonite, non ucciso) e ci passiamo sopra, ma altri sono veramente grossolani. Quelli di latino, poi, non si contano.
Va bene che sono anche laureato in storia, quindi, nonostante la memoria se vada con la vecchiaia, ne so un po’ di più di un ingegnere, ma dannazione, la maggior parte sono banalità che potrebbero essere sistemate in 2 minuti per fare un lavoro ben fatto.
Giudicate voi. Non me li ricordo neanche tutti e li cito come mi vengono in mente. Cominciamo:

  • I legionari usano il pilum come una falange greca. Errato: serviva solo per essere lanciato.
  • I legionari portano il gladio a sinistra, mentre era a destra per non intralciare lo scudo.
  • I legionari menano fendenti e tagliano braccia e gambe con il gladio. Errato: il gladio si usava di punta, non era nemmeno affilato sui lati.
  • Gli arcieri romani tirano contro i germani a parabola. Questo metodo è stato inventato da Guglielmo il Conquistatore nella battaglia di Hastings (mi pare verso il 1060).
  • I proiettili incendiari esistevano, ma quelli del film sono razzi katiuscia.
  • Il grado di generale non esisteva.
  • Le staffe non esistevano; sono arrivate con gli Unni.
  • Il termine Colosseo è medievale. I romani lo chiamavamo anfiteatro massimo (o flavio).
  • Le tigri nel circo non c’erano.
  • I tempi sono tutti sfasati: Marco Aurelio dice di avere regnato per 25 anni (in realtà 19); Lucio Vero, il bambino, all’inizio del film ha 8 anni, ma il film inizia con la morte di Marco Aurelio, cioè nel 180 e termina con la morte di Commodo, cioè nel 192 e Lucio Vero è ancora un bambino; sempre Lucio Vero, il bambino, dice di portare il nome del padre, ma l’imperatore Lucio Vero è morto nel 169 quindi il bambino non può avere 8 anni nel 180, dopo la morte di Marco Aurelio.
  • Nella tenda di Marco Aurelio si vedono libri! Non esistevano.
  • Il gladiatore è chiamato Massimo, ma dice che il suo nome completo è Massimo Decimo Meridio. Errato, avrebbe dovuto chiamarsi Decimo Massimo Meridio, perché i romani dicevano prenomen, nomen, cognomen.
  • I figli degli imperatori non venivano chiamati principi
  • Nella casa di Massimo in Spagna ci sono le bougainville che sono piante originarie dell’America del Sud importate dopo Colombo.
  • In Africa si fa pubblicità al combattimento con manifestini. Assurdo: la pergamena costava l’ira-di-dio.

Il tutto è abbastanza assurdo. È solo per la superficialità con cui si guarda un film che la cosa sta in piedi. Un libro non reggerebbe neanche 20 pagine.
Ma qualche consulente pagato due lire in una produzione da uno zilione di dollari, no?

African Autobahn

Sebbene Athletic Automaton di solito non mi entusiasmi, devo ammettere che trovo questo brano, tratto da “5 Days In Africa”, piuttosto accattivante.

Guitar & Lap Steel Guitar: Stephen Mattos
Originally from Providence, Rhode Island; an ex-member of Arab on Radar
Percussion: Patrick Crump
Originally from Kansas City, Missouri: an ex-member of Pellum 1-2-3 and Saturday Night Palsy

Athletic Automaton – African Autobahn

Pubblicato in Pop

Per la fine dei tempi

messiaenOlivier Messiaen was born 98 years ago, on December 10, 1908.
The Quartet for the End of Time was written after Messiaen, then a French soldier, was captured and incarcerated in a German prisoner-of-war camp, and first performed by the composer and three fellow inmates in the unheated barracks of Stalag VIIIA on January 15, 1941, before an audience of 300 prisoners and their German guards.

Clarinette : Barnaby Robson
Violon : James Clark
Violoncelle : David Cohen
Piano : Matthew Schellhorn

Koenji Hyakkei

Koenji Hyakkei’s music sometimes is a little like Magma, but I like it.

Secondo me il video c’entra come i cavoli a merenda, ma Koenji Hyakkei (高円寺百景) a volte, come in questo pezzo, mi piacciono parecchio.
Sono un po’ (tanto) Magma (chi si ricorda i francesi di Christian Vander?), ma la complessità, il superamento del solito schema ritornello-inciso e l’energia rendono questo brano superiore alla media.

Certo che la faccenda mi ricorda un po’ Shostakovich, quando diceva che la musica (nel suo caso) russa aveva un grande futuro dietro di sé…

Line-up

Yoshida Tatsuya – drums, vocals
Sakamoto Kengo – bass & voice
Kanazawa Miyako – keyboards & voice
Yamamoto Kyoko – vocals
Komori Keiko – reeds & voice

Thunderwords of Finnegans Wake

Ci sono dieci tuoni nel Wake. Ognuno è un crittogramma o una spiegazione codificata delle conseguenze tonanti e riverberanti dei principali cambiamenti tecnologici in tutta la storia umana. Quando un uomo tribale sente un tuono, dice: “Cosa ha detto quella volta?”, con la stessa spontaneità con cui diciamo “Gesundheit” (trad. “Salute”).
[Marshall McLuhan]

Ecco i tuoni (in realtà non tutti sono veri tuoni, alcuni sono battimani, colpo di tosse, sbattere di porta…), come li ha scritti James Joyce e il primo interpretato da John Cage

Bababadalgharaghtakamminarronnkonnbronntonnerronntuonnthunntrovarrhounawnskawntoohoohoordenenthurnuk

Perkodhuskurunbarggruauyagokgorlayorgromgremmitghundhurthrumathunaradidillifaititillibumullunukkunun

Klikkaklakkaklaskaklopatzklatschabattacreppycrottygraddaghsemmihsammihnouithappluddyappladdypkonpkot

Bladyughfoulmoecklenburgwhurawhorascortastrumpapornanennykocksapastippatappatupperstrippuckputtanach

Thingcrooklyexineverypasturesixdixlikencehimaroundhersthemaggerbykinkinkankanwithdownmindlookingated

Lukkedoerendunandurraskewdylooshoofermoyportertooryzooysphalnabortansporthaokansakroidverjkapakkapuk

Bothallchoractorschumminaroundgansumuminarumdrumstrumtruminahumptadumpwaultopoofoolooderamaunsturnup

Pappappapparrassannuaragheallachnatullaghmonganmacmacmacwhackfalltherdebblenonthedubblandaddydoodled

husstenhasstencaffincoffintussemtossemdamandamnacosaghcusaghhobixhatouxpeswchbechoscashlcarcarcaract

Ullhodturdenweirmudgaardgringnirurdrmolnirfenrirlukkilokkibaugimandodrrerinsurtkrinmgernrackinarockar

Codev2

 

Il nuovo libro di Lawrence Lessig, inventore delle licenze Creative Commons e autore di Cultura Libera di cui abbiamo già parlato, si intitola Codev2 (Code version 2.0) ed è appena uscito. Si tratta di una revisione che l’autore definisce come una traduzione, del suo famoso testo del 1999 Code and Other Laws of Cyberspace.
Perte del nuovo testo è stato scritto in forma collaborativa in un Wiki. Il libro è scaricabile in pdf (in inglese) ma si può anche acquistare già stampato sul suo sito.

Shining lascia il segno

Sul forum di Slashdot, qualche giorno fa, uno chiedeva consigli su come proteggere la propria casa mentre lui era via per tutto l’inverno. Non dai ladri, ma da incidenti, freddo, temporali, neve etc.
Qualcuno suggeriva di affittarla. Sembrava un’ottima idea: l’affittuario avrebbe tenuto la casa sotto controllo…
Poco dopo è apparso il seguente commento:

All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
….

Tomorrow Never Knows

beatles

Erano molti anni che non vedevo queste immagini dei Beatles fotografate ed elaborate da Richard Avedon nel 1967, quando me le sono trovate davanti in un sito (che peraltro vende manifesti non musica).
Così ho pensato di invitarvi a riascoltare quella che considero una delle canzoni più sperimentali che i Beatles abbiano mai scritto. E non è A Day in the Life e nemmeno Revolution #9, ma Tomorrow Never Knows, il brano che chiude l’album Revolver del 1966.
Ci sono decine di loops che entrano ed escono di continuo. E sono loops veri, fatti tagliando e misurando il nastro. La leggenda racconta che Paul arrivò allo studio portandosi i nastri in un sacchetto di plastica e che furono caricati su una serie di registratori piazzati qui e la nello studio, tutti collegati a un mixer che permetteva di controllarli.
Qui trovate l’analisi di Alan W. Pollack.

The Beatles – Tomorrow Never Knows (1966)

Illegal Art

illegal art

L’organizzazione Illegal Art pubblica, nella sua sezione audio, un nuovo album totamente illegale in quanto i pezzi sono quasi totalmente composti di campionamenti per cui non sono stati pagati i diritti.
Aderiscono all’iniziativa gruppi più o meno noti, fra cui Public Enemy, Beastie Boys, JAMs, Elastica, Verve, Xper.Xr.
Trovate l’intero album, qui.
Io vi posto un simpatico frammento di De La Soul, “Transmitting live from Mars”, materia di scontro con i Turtles (quelli di Happy Together), ma non perdetevi They Aren’t the World dei Culturcide, cattivissima e stonatissima risposta ai We Are the World di natalizia memoria.

La povertà culturale di questa nazione

… diventa evidente quando, cercando delle informazioni su alcuni lavori poco noti di Umberto Eco le trovi non in un sito italiano, ma in uno americano come questo, che vi consiglio, purché leggiate l’inglese.
Ora, capisco che il prof. Eco non abbia alcun interesse a farsi fare un sito (ormai è già famoso), ma l’università in cui insegna (o ha insegnato) o quella che gli ha dato l’ultima laurea ad honorem o la città di Alessandria, dove è nato, dovrebbero farne un vanto e dedicargli un sito. In tutti gli altri paesi le università lo fanno.
Invece no. In America devo andare per avere delle notizie su Eco….

Fra l’altro, cercando quanto sopra, mi sono imbattuto nella gustosa storia della rock band “Umberto Eco and the Bunnymen“, autori di “Foucault’s Killing Moon” e “Bring On The Dancing Polymaths” (sempre in inglese, ovviamente).

eco

Berio: Six Encores for piano

I Six Encores sono sei brevi pezzi, scritti tra il ‘65 e il ‘90, e raccolti sotto questo titolo, quasi ad evidenziarne la forma breve, aforistica e solo apparentemente disimpegnata.
I primi quattro Encores sono dedicati agli elementi empedoclei: acqua, aria, terra, fuoco.
Wasserklavier, del 1965, indaga gli aspetti simbolici e le suggestioni che possono essere legate al concetto di acqua, specie in relazione con gli strati “sommersi” della memoria: di qui l’utilizzo di materiale armonico derivato dall’Impromptu op. 142 n. 1 di Schubert e dall’Intermezzo op. 117 n. 2 di Brahms. Il risultato è di toccante nostalgia, anche grazie ad un attento ed originale studio sul timbro dello strumento, di cui si rievocano alcuni tratti salienti (in particolare derivati dal pianismo di Chopin, Debussy e Skriabin) con grande maestria ed originalità.
Erdenklavier (1969) consiste in un’esplorazione degli effetti timbrici legati alla risonanza per simpatia ottenuta con giochi di note tenute e con forti contrasti dinamici. È un brano pressoché monodico,e forse anche per questo richiama atmosfere arcaiche, che possono essere associate ad una concezione archeologica dell’idea di “terra” e di ciò che sotto (o dentro) di essa si trova.
In Luftklavier (1985), l’elemento “aria” è rievocato attraverso un rapido movimento di notine in pianissimo, non troppo differentemente dal successivo Feuerklavier (ma d’altro canto anche il fuoco, come l’aria, è imprendibile e in continuo movimento). Il “colore” pianistico è iridescente e cangiante, ed assume sempre diverse sfumature in base a vari accostamenti di materiale tematico. Feuerklavier (1989) è basato su un flusso turbinoso ed incessante di biscrome, attorno al quale si addensano materiali tematici in continuo sviluppo. L’estro virtuosistico è qui espresso con grande classe ed efficacia strumentale.
Brin e Leaf (1990), che completano la raccolta degli Encores, sono brevi pagine con una poetica esplorazione delle possibilità timbriche del pianoforte: affiorano sonorità magiche o impalpabili, con evocative risonanze ottenute grazie al sapiente gioco di pedali e note tenute.
[Da “La produzione pianistica di Luciano Berio” di Roberto Prosseda]

I. Brin
II. Leaf
III. Wasserklavier
IV. Erdenklavier
V. Luftklavier
VI. Feuerklavier

Andrea Lucchesini, piano

Pop (?) music that I loved (3)

Dylan Baez
Dylan non canta, abbaia.
Con questo statement mi sono attirato le ire di parecchi dylaniani. Nessuno ha capito che il mio era un apprezzamento.
Perché mi piace Dylan quando abbaia, ve lo spiegherò con una canzone di Woody Guthrie. Quello che sulla chitarra aveva scritto “questa macchina ammazza i fascisti”.
Si intitola Deportee (Plane Wreck at Los Gatos). È stata scritta nel 1948 e parla di quando gli americani riempivano di messicani qualche aereo residuato bellico (tipicamente i vecchi bimotori dakota) e li portavano a lavorare negli USA per poi riportarli indietro. Non li volevano come immigrati, ma solo come braccianti a basso costo. E poi, ogni tanto, uno di questi aerei cadeva e allora il New York Times riportava solo i nomi del pilota e dei 3 americani che erano a bordo, perché gli altri 28 morti, lavoratori messicani, erano soltanto dei deportati.

Questa canzone, resa famosa da Pete Seeger, esiste in moltissime versioni, tutte più o meno nello stile del country e/o western. Questa, per esempio, è di Arlo Guthrie, nello stile canonico.
La canzone viaggia. Arriva nelle mani di un quartetto d’eccezione nell’area country: Johnny Cash, Kris Kristofferson, Waylon Jennings, Willie Nelson (scusate l’interruzione brutale alla fine; il file era danneggiato) che ne danno una versione struggente e dondolante, come l’andare a cavallo.
Ai tempi di Easy Rider, poi, passa fra le dita dei Byrds e arrivano le frasettine bottleneck e le chitarre sono più libere. Tira aria di California, ma l’insieme è sempre maledettamente educato; i 3/4 ben scanditi.
La cantano anche Nancy Griffith & Lucinda Williams con contorno di amici vari: voci fra Joan Baez e Peter, Paul & Mary. Il country diventa folk, malinconico, ma gentile.
Anche Billy Bragg, pur essendo un cantautore della classe operaia (e per di più inglese) non è molto più arrabbiato. Non si sfugge alla tradizione.
Le cose cambiano un po’ con il Boss. Springsteen ha una voce leggendaria e qui si mangia ritmo e strofe, un po’ come fa con un altra canzone di Guthrie, This Land is your Land. La testimonianza di una memoria con uno stile ormai lontano dal country e anche dal folk, un modo per parlare del presente ricordando il passato.
Ma in un certo momento del 1976, Dylan la esegue ad un festival con Joan Baez. Lei cantava spesso questa canzone, con la sua bella voce impostata. Bella occasione per un duetto.
Però da subito si trova a correre disperatamente dietro a Dylan, che si accompagna malamente con la chitarra andando al 50% più veloce del normale e dal primo inciso in poi, abbaia il testo senza un attimo di respiro, annullando quasi del tutto le pause fra le strofe come solo lui e Mick Jagger sapevano fare. Ed è una corsa da brivido in cui le parole non sono più gentili, ma ti arrivano addosso come sassate, perché la rabbia è rabbia e si deve sentire.

Noi siamo morti sulle vostre colline e nei vostri deserti. Siamo morti nelle vostre valli e nelle vostre pianure. Siamo morti sotto i vostri alberi e nelle vostre foreste. Di qui e di la del fiume, siamo morti nello stesso modo.

Mi piace Bob Dylan quando abbaia…

The crops are all in and the peaches are rott’ning, The oranges piled in their creosote dumps; They’re flying ’em back to the Mexican border To pay all their money to wade back again
Goodbye to my Juan, goodbye, Rosalita, Adios mis amigos, Jesus y Maria; You won’t have your names when you ride the big airplane, All they will call you will be “deportees”
My father’s own father, he waded that river, They took all the money he made in his life; My brothers and sisters come working the fruit trees, And they rode the truck till they took down and died.
Some of us are illegal, and some are not wanted, Our work contract’s out and we have to move on; Six hundred miles to that Mexican border, They chase us like outlaws, like rustlers, like thieves.
The sky plane caught fire over Los Gatos Canyon, A fireball of lightning, and shook all our hills, Who are all these friends, all scattered like dry leaves? The radio says, “They are just deportees”
We died in your hills, we died in your deserts, We died in your valleys and died on your plains. We died ‘neath your trees and we died in your bushes, Both sides of the river, we died just the same.
Is this the best way we can grow our big orchards? Is this the best way we can grow our good fruit? To fall like dry leaves to rot on my topsoil And be called by no name except “deportees”?

Quelle strane riunioni di famiglia

band
L’altra sera mi sono ritrovato in mezzo a una di quelle strane pseudo-riunioni di famiglia in cui si parla e ci si vede via skype (potenza della tecnologia) con gente che non vedevi da 30 anni e che magari adesso sta a Londra o a Bruxelles e ha 3 figli.
La cosa buffa è sentirsi dire il classico “sei uguale!”. Sì, maledizione, non dubito di essere uguale a 30 anni fa quando mi vedi attraverso la malefica webcam di skype. Ho gli occhiali come allora e perlomeno, ho ancora tutti i capelli, io.
Ma è da vicino che dovresti guardarmi per vedere i segni delle cose fatte, delle bottiglie scolate, delle battaglie vinte e degli amori perduti (soprattutto l’ultimo, che è quello che lascia i segni più visibili).
Comunque, in omaggio a quelli che vedevo 30 anni fa e che si chiedevano perché mai mi ostinassi a fare quella strambissima musica contemporanea, quando anche quella normale mi veniva bene, ecco qui una delle pochissime registrazioni normali dell’epoca (con il suono un po’ ottuso a causa del degrado del nastro).
Fine anni ’70. Sangre y Arena.
Those were the days and that was the band →
(veramente ci sono state anche altre band altrettanto importanti per me, ma non sono rimaste registrazioni)
Il line-up di questa era

MG: basso elettrico con eco ed effetti vari, tastiere, synth e filtraggio di tutto
Margherita: voce con eco
Andrea Turco: sax
La batteria è la stramaledetta Boss da 2 lire.

13 colori del sole al tramonto

Treize couleurs du soleil couchant (1978) è uno dei lavori più noti di Tristan Murail e della corrente della musica spettrale da lui fondata insieme a Grisey.
Scritta per quintetto (violino, violoncello, flauto, clarinetto, pianoforte) e elaborazione elettronica, l’opera si basa su 13 note generatrici dalle quali se ne ricavano altre applicando una tecnica concettualmente derivata dal modulatore ad anello di analogica memoria.
Al di là dei paroloni, si tratta di derivare nuove note per somma e differenza fra le frequenze di una serie di note date. Esempio: prendiamo un La 110 Hz e un Mi 165 Hz (la 5a sopra). La loro differenza dà 55 Hz che è un La all’8va sotto il precedente; la somma dà 275 Hz che è un Do# (appena stonato).
Questa tecnica compositiva, da tempo nota e utilizzata da tutti coloro che hanno avuto a che fare con la musica elettronica analogica, Stockhausen in primis (Mantra per 2 pianoforti e ring modulator), è molto interessante perché esibisce la seguente proprietà:

  • se le due frequenze generatrici sono in rapporto armonico (ovvero l’una è un armonica dell’altra, come nell’esempio di cui sopra), la loro somma e differenza creano altri armonici;
  • se non sono in rapporto armonico, anche le frequenze generate sono inarmoniche.

Murail divide idealmente il brano in 13 sezioni, ognuna centrata su una delle note generatrici, attorno alle quali si creano delle “ombre” sotto forma di altre note e suoni elettronici generati con il sistema suddetto. Pilotando il metodo, cioè articolando la sequenza delle note generatrici e i registri in cui le note sono utilizzate, Murail costruisce un percorso timbrico analogo (o ispirato) alle variazioni di luce dipinte da Monet nel suo ciclo delle cattedrali.
Nel 1894 Monet realizzò una serie di trenta tele dedicate alla facciata della cattedrale di Rouen. In queste tele ciò che l’artista cerca è la luce, e come essa riesce a modificare la percezione della realtà. Così egli rappresenta la cattedrale in diverse ore del giorno e con diverse condizioni atmosferiche, giungendo ogni volta a risultati pittorici diversi. La cattedrale a volte sembra smaterializzarsi, a volte si cristallizza in forme più salde, ma la luce ne modifica in ogni caso la percezione cromatica, così che la sua facciata cambia di colore a seconda dell’ora del giorno. L’insieme delle trenta tele è davvero impressionante e suggestivo, in quanto lo stesso oggetto dà luogo a trenta immagini differenti.
Analogamente, Murail ripete lo stesso oggetto musicale all’interno di ciascuna sezione, variandone la colorazione timbrica e scrive

partant d’une clarté moyenne dans les premières sections, le timbre progresse vers une lumière réverbérante marquée par un intervalle très resserré dans l’aigu (sixième couleur), pour aboutir à un crépuscule sonnant, dans son extrême fin, comme un glas

Tristan Murail – Treize couleurs du soleil couchant (1978) per violino, violoncello, flauto, clarinetto, pianoforte e live electronics

Esecuzione dell’Ensemble Intercontemporain

Esecuzione con partitura

Waterphone

waterphone

Date un’occhiata a questo strumento.
Si chiama waterphone, non perché abbia a che fare con l’acqua (anche se l’acqua c’è), ma perché il suo inventore è il sig. Richard Waters.
Il suono è molto bello. Un incrocio fra campane tibetane e kalimba.
Vi metto due link: un audio e un video. Altri esempi sul sito.

Waterphone: audiovideo

Ilhan Mimaroglu

elastico

Ilhan Mimaroglu è un compositore turco, nato nel 1926 ed emigrato negli USA, che ha prodotto parecchia musica elettronica analogica negli anni ’60.
Ora l’etichetta EARLabs ha ripubblicato i suoi lavori rendendoli accessibili qui.
Fra i brani disponibili, ho scelto il “Prelude for magnetic tape XI”, curioso in quanto l’unica sorgente sonora è un elastico di gomma le cui vibrazioni sono sotto la soglia udibile, ma possono essere incise da un apposito microfono e rese udibili con amplificazione e trasposizione.

Ilhan Mimaroglu – Prelude for magnetic tape XI
Att.ne: EARLabs usa ftp invece del solito http per il trasferimento dei file audio. Se il player del vostro sistema non funziona, scaricate il file con il tasto destro, salvatelo e poi ascoltatelo.

Henry Cow, again

Da non perdere questa “Nine Funerals of the Citizen King” di Henry Cow che mostra che l’intelligenza e la sensibilità musicale travalicano i generi.

“Nine Funerals of the Citizen King” by Henry Cow showing that artistic flair and creativity run through the walls of different kinds of music.

Posso citarla, Sig. Presidente?

Darwin segnala che Global Research pubblica “una selezione di citazioni del Presidente Bush per divertimento o meditazione“.
Sono ordinate per sezione. Mi permetto di tradurvi alcune perle.

Un uomo perso nella sua geografia

  • La maggior parte delle nostre importazioni viene da fuori.

Un uomo perso nella sua logica

  • Non è l’inquinamento che scalda l’ambiente. Sono le impurità nell’aria e nell’acqua a farlo.
  • Se non ci riusciamo, corriamo il rischio di fallire.
  • I nostri nemici sono innovativi e pieni di risorse e lo siamo anche noi. Essi non cessano di inventare nuovi modi per nuocere alla nostra nazione e alla nostra gente e così facciamo anche noi.

Un uomo con Dio dalla sua parte

  • Dio mi ha detto di colpire Al-Queda e l’ho colpita, poi mi ha ordinato di colpire Saddam e l’ho fatto e ora sono determinato a risolvere il problema del Medio Oriente.

Un uomo perso nel suo vocabolario

  • Il problema con i francesi è che loro non hanno una parola per ‘entrapreneur’.
  • Francamente, gli insegnanti sono gli unici professionisti che insegnano ai nostri figli.

Il pacifista truffaldino

  • Voglio che sappiate che, quando parliamo di guerra, in realtà parliamo di pace
  • Le nazioni libere non costruiscono armi di distruzione di massa. [NB: gli USA hanno circa 10.000 atomiche]

La volpe e l’uva

  • La cosa più importante per noi è trovare Osama bin Laden. È la nostra priorità e non avremo pace finché non lo avremo trovato.
  • Non so dov’è bin Laden. Non ne ho idea e non mi interessa. Non è importante. Non è la nostra priorità.

Il dittatore che vorrei essere

  • In tempo di guerra il presidente deve avere il potere necessario per prendere decisioni dure, incluso, se necessario, il potere di garantirsi maggior potere
  • Sono il comandante. Non ho bisogno di spiegare perché faccio le cose. Questo è un aspetto interessante dell’essere il presidente.

Last but not least

  • Non ho nessuna idea, per quanto confusa, di cosa pensare della politica estera.

Per una società con pareti di vetro

Immaginate adesso una società con pareti di vetro.
Mi spiego. Supponete che:

  • Ognuno di noi, alla nascita, venga identificato con un codice unico. A dirlo suona terribile, ma in realtà succede già. Da noi è il codice fiscale. In altri stati si usano altri codici generati con vari sistemi (per es. negli USA è il codice della previdenza sociale), ma è già così.
    In ogni modo, non mi interessa esattamente come è fatto il codice. Mi basta che sia unico, che valga in tutti gli stati, che sia lo stesso in rete e fuori e naturalmente che venga utilizzato in qualsiasi dispositivo legato alla persona, compresi i cellulari.
  • Ogni essere umano abbia un collegamento in rete gratuito, assicurato dalla nascita alla morte e identificato dal suo codice.
  • Il denaro contante non esista più. Tutti i pagamenti, di qualsiasi tipo, vengano fatti tramite una sorta di carta di credito e siano registrati in rete.
  • Qualsia forma di comunicazione fuori rete, dal telefono alla posta, non esista più. Tutto passa attraverso la rete.
  • Tutti i gli archivi, di qualsiasi tipo, dal fisco alla sanità, alle assicurazioni, alle banche, all’anagrafe, alle compagnie telefoniche, ai negozi fino alla raccolta punti del supermarket siano in formato digitale (in massima parte lo sono già), ma soprattutto che siano in rete.
  • Tutte le apparecchiature di sorveglianza puntate su luoghi pubblici (anche i bar, gli aeroporti e i centri commerciali) siano in rete. Al limite, anche quelle private. Se metti una webcam per sorvegliare da remoto il tuo cane o il tuo bambino, anch’io lo posso vedere.
  • Nessuna forma di comunicazione e nessun dato possano essere criptati.
  • Tutto ciò che è in rete sia pubblico, accessibile da chiunque.

A questo punto si saprebbe quasi tutto di tutti. Per sapere dove si trova adesso un cellulare e quindi la persona che lo porta, basterebbe collegarsi al db della compagnia telefonica. Per sapere come spendo i soldi, chi ho pagato e quando basta cercare nel db della transazioni. Si saprebbe cosa ho comprato nel tal supermercato, eccetera. Si saprebbe come sono le mie ultime analisi e che malattie ho e ho avuto. Che locali frequento, attraverso quali caselli autostradali la mia auto è passata, che biglietti di treno/aereo ho comprato e se qualcuno con il mio nome ci è salito…

Fine dei segreti.
Fine dello spionaggio statale perché non c’è spionaggio su cose che tutti possono sapere.
Fine della maggior parte dei reati contro il patrimonio.
Fine degli stupidi sospetti familiari.
Fine dell’evasione fiscale.

Non male…

Gratta un russo e ci troverai un tartaro

Gratta un russo e ci troverai un tartaro

Così recita un antico proverbio russo.
Ma Sofia Gubaidulina, tartara lo è davvero. Nata nel 1931 a Chistopol nella Repubblica Tatara, ha studiato anche la musica popolare del suo paese e gli echi sono rimasti nella sua musica.
Questo “Quasi Hoquetus” (1984), per una formazione poco comune (fagotto, viola e pianoforte), basa la sua struttura ritmica sulla serie di Fibonacci e sull’hoquetus, un’antica tecnica ritmica contrappuntistica che alterna figure e silenzi, creando un movimento quasi stereofonico in cui la stessa figura musicale si sposta fra due voci.

Sofia Gubaidulina – Quasi Hoquetus (1984) for bassoon, viola and piano.

Ikea in mano agli atei: anatema!

Nicola mi segnala questo articolo di Repubblica.

I parlamentari del centrodestra contro i grandi magazzini che quest’anno non avranno sugli scaffali la natività.
Natale, l’invito della Cdl ai cattolici “Boicottate chi non vende il presepe”.
Nel mirino le catene Ikea, Rinascente, Standa, Oviesse. E il vescovo di Imola definisce “improvvido” il negozio svedese.

Secondo l’esponente centrista Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera, “siamo di fronte all’ennesima prova di un relativismo laicista che finisce per spianare la strada all’estremismo islamico”. Quindi il monito: “I consumatori sappiano che, insieme ai prodotti a basso costo, da queste aziende si acquista anche l’eutanasia culturale del paese”.
Stessi toni da crociata per Gaetano Quagliarello di Forza Italia e Alfredo Mantovano di Alleanza Nazionale, che accusano Ikea di “evidente pregiudizio anticattolico” e concludono: serve “un sano boicottaggio natalizio”. E l’azzurra Isabella Bertolini si spinge a definire l’iniziativa di Ikea “laicismo esasperato che, in nome di un finto rispetto per altri credi religiosi, offende la cultura del nostro paese”.

Sono sempre più felice di essere ateo.
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Games without frontiers

Una vecchia canzone di Peter Gabriel in un famoso remix di Massive Attack.
Un bel testo pieno di doppi sensi:

Hans gioca con Lotte, Lotte gioca con Jane
Jane gioca con Willi, Willi è di nuovo felice
Suki gioca con Leo, Sacha gioca con Britt,
Adolf fa un falò, Enrico ci gioca.
Fischiettando melodie ci nascondiamo fra le dune lungo la spiaggia
Fischiettando melodie baciamo babbuini nella giungla
È un successo
Se gli sguardi potessero uccidere, probabilmente lo farebbero
in Giochi senza frontiere, guerra senza lacrime.

An old and loved Peter Gabriel’s song in a Massive Attack remix.
Good lyrics full of double meanings

I am a Terrorist

t-shirt
Resto sempre colpito da come l’ideologia commerciale e/o capitalista riesca a digerire e utilizzare qualsiasi cosa senza farsi toccare da nessun dubbio di qualunque natura possa essere.
Sulla maglietta che vedete a sinistra sta scritto “I am a Terrorist”.
Per non essere troppo spudorati e creare un aggancio con la tecnologia, l’hanno scritto in binario codificandolo in ASCII, così come fa il computer, per cui il tutto si presenta così

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Bene, mi rendo conto che una dichiarazione come questa, isolata da un contesto, può avere molti significati, fra i quali parecchi sono positivi (sono un terrorista artistico, culturale, lo sono nel campo delle relazioni sociali, eccetera), ma CafePress, fra le moltissime T-shirt e altri oggetti stampati di propria produzione, vende in questa pagina, una serie di scritte che loro stessi definiscono come

una traduzione in codice binario di qualche dannatamente fottuta merda offensiva

Non nego che la parte nichilista di me stesso la trovi anche un’idea simpatica, ma mi chiedo anche se esista qualcosa che i commerciali non osano toccare, non perché non conviene farlo, ma perché ritengono che non sia etico farlo.
Ma costoro, a parte l’idea di profitto e perdita, hanno il concetto di bene, male, giusto, ingiusto, costruttivo, distruttivo, positivo, negativo, etc? Si pongono il problema degli effetti del loro agire? Accetto anche il fatto che il post-modernismo aborre gli opposti, però mi ricordo anche che la mancata distinzione fra le categorie di cui sopra e il non essere consci delle conseguenze delle proprie azioni è sufficiente per dichiarare qualcuno incapace di intendere e volere…

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[trad: devi morire]

Da Boing Boing

Tomba di Oggi, 30/11

wilde
Da morto come da vivo, Oscar Wilde si fa notare.
La sua tomba è opera dello scultore americano Jacob Epstein ed è stata eretta 3 anni dopo la sua morte (avvenuta il 30/11/1900 in un hotel di Parigi) quando i suoi resti sono stati traslati nel prestigioso cimitero parigino di Père Lachaise dalla loro sede originaria (Bagneaux).
La parte sotto la scultura è segnata da molte impronte di labbra con rossetto, presumibilmente non tutte femminili. Sembra sia una consuetudine.

Di Wilde si ricordano migliaia di aneddoti, ma uno dei più simpatici, a mio avviso, è questo: quando, durante una cena, gli fu chiesto di fare un breve discorso sullo stato della letteratura, si alzò e disse

Signori, la letteratura versa in pessime condizioni: Omero è morto, Shakespeare è morto e anch’io non mi sento molto bene.

Ko-Lho

Un brano di Scelsi degli anni ’60 per flauto e clarinetto in Sib, in due movimenti.
In questo pezzo i due strumenti sono perfettamente fusi in un’unica entità che dà vita a una superficie sonora armonicamente statica, ma continuamente increspata da battimenti generati dai quarti di tono, leggeri glissati, frullati, gruppetti di note vicine, multifonici, dissolvenze, vari tipi di vibrato.
Il pezzo vive di queste continue mutazioni timbriche e dinamiche che ne annullano la staticità, facendone un oggetto di contemplazione.

Giacinto Scelsi – Ko-Lho, for flute & clarinet Bb (1966)

Archi di Luce

Lichtbogen è ispirato alle luci del nord che Kaija Saariaho ha visto nel cielo artico della sua Finlandia.
La pulsazione costante dell’aurora boreale è presente in questa musica sotto forma di cambiamenti continui nella sonorità e nel ritmo.

Lichtbogen was inspired by the Northern Lights, which Saariaho had seen in the Arctic sky. The constant flickering of the aurora borealis can be heard in the music as unending changes in sonority and rhythm.

Lichtbogen (1985–1986) – flute, percussion, harp, piano, 2 violins, viola, cello, double bass and live electronics

Scelsi

scelsi
Di nome e di fatto.
Perché Giacinto Scelsi ha sempre scelto di non conformarsi al mainstream dell’epoca e ha sempre proposto opere originali.
Come i Quattro Pezzi su una nota sola per orchestra da camera del 1959. Mentre il mondo musicale esce faticosamente dall’impasse del serialismo integrale, la sua opera apre la strada ad una concezione nuova dedicata all’esplorazione del timbro: Scelsi nella sua poetica musicale indaga la microstruttura del suono, sconfinando in territori fino ad allora insondati, utilizzando tecniche all’epoca non convenzionali (tra cui un uso intensivo dei microintervalli).

Qui ascoltate il primo e il secondo dei Quattro Pezzi su una nota sola per orchestra da camera (1959).

“Quando si entra in un suono ne si è avvolti, si diventa parte del suono, poco a poco si è inghiottiti da esso e non si ha bisogno di un altro suono.”

The Rosas

The Rosas
The Rosas, la celebre compagnia di Anne Teresa De Keersmaeker di Brussels sinceramente mi ha alquanto deluso.
Anche loro hanno portato tre pezzi di repertorio, con musiche di Bèla Bartòk, quatuor nr.4, Arnold Schonberg, verklarte nacht, op.4 e di Ludwig van Beethoven, die grosse fuge, op.133.
Chi conosce meglio la compagnia non era affatto sorpreso, ma io ho trovato le coreografie estremamente ripetitive senza un valido motivo, la tipologia dei movimenti era tutta sullo stesso tono, e la dinamica costantemente uguale. Il risultato finale dunque era troppo semplice per risultare una coreografia complessa e ben organizzata, ma al contempo troppo complessa per essere considerata minimalista, e quindi è stato uno spettacolo proprio noioso!!
Ho potuto tuttavia apprezzare la dinamica e l’energia dei danzatori, veloce e precisa, anche se alla lunga mi ha veramente stufata!

Do not go gentle into that good night

Dylan ThomasL’esperienza che vi propongo qui è sempre audio, ma è un po’ diversa dal solito.
Noi non abbiamo la consuetudine della lettura di poesia. Gli anglosassoni, invece, ce l’hanno ed è una gran cosa, soprattutto quando a leggere sono gli stessi autori.
Recentemente, Salon.com ha messo in linea tutta la Caedmon Collection, una serie di registrazioni eseguite fra il 1952 e il ’53, in cui Dylan Thomas legge una vasta selezione della propria poesia e prosa, insiema a qualche brano dei suoi autori preferiti, fra cui Shakespeare, Milton, Eliot, Auden, Hardy, Lawrence, Graves e il suo amico Vernon Watkins.
Da questa raccolta, ecco la famosissima “Do not go gentle into that good night”, dedicata al padre morente, letta da lui stesso.
L’impostazione vocale di Dylan Thomas è chiara e diretta, di grande potenza, ma con molte sfumature espressive. D’altronde, i suoi reading erano affollatissimi e la gente rimaneva fuori dai teatri o dai cinema in cui il poeta si esibiva, per mancanza di posto.

Ascolta Dylan Thomas

Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.Though wise men at their end know dark is right,
Because their words had forked no lightning they
Do not go gentle into that good night.Good men, the last wave by, crying how bright
Their frail deeds might have danced in a green bay,
Rage, rage against the dying of the light.Wild men who caught and sang the sun in flight,
And learn, too late, they grieved it on its way,
Do not go gentle into that good night.Grave men, near death, who see with blinding sight
Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
Rage, rage against the dying of the light.

And you, my father, there on the sad height,
Curse, bless me now with your fierce tears, I pray.
Do not go gentle into that good night.
Rage, rage against the dying of the light.

Non andartene docile in quella buona notte,
vecchiaia dovrebbe ardere e infierire
quando cade il giorno;
infuria, infuria contro il morire della luce.Benchè i saggi infine conoscano che il buio è giusto,
poichè dalle parole loro non diramò alcun conforto,
non se ne vanno docili in quella buona notte.I buoni che in preda all’ultima onda
splendide proclamarono le loro fioche imprese,
avrebbero potuto danzare in una verde baia,
e infuriano, infuriano contro il morire della luce.I selvaggi, che il sole a volo presero e cantarono,
tardi apprendono come lo afflissero nella sua via,
non se ne vanno docili in quella buona notte.Gli austeri, vicini a morte, con cieca vista scorgono
che i ciechi occhi quali meteore potrebbero brillare
ed esser gai; e infuriano
infuriano contro il morire della luce.

E tu, padre mio, là sulla triste altura io prego,
maledicimi, benedicimi con le tue fiere lacrime,
non andartene docile in quella buona notte.
Infuria, infuria contro il morire della luce.

La vita umana è breve ma io vorrei vivere sempre

mishima
36 anni fa, in questo giorno, Mishima Yukio (三島 由紀夫, pseudonimo di Hiraoka Kimitake), dopo aver consegnato al suo editore l’ultimo volume della tetralogia “Il mare della fertilità” (豊穣の海 – Hōjō no Umi) e scritto la bellissima frase che dà il titolo a questo post, andò a suicidarsi seguendo l’antico rituale del seppuku.
Con i suoi seguaci del Tate-no-kai (Associazione dello scudo), occupò il Quartier Generale Ichigaya dell’armata dell’est e arringò la folla leggendo il suo “Manifesto”, un proclama di sollevazione diretto ai membri dell’esercito giapponese, affinché lo spirito nipponico si risollevasse nelle sue tradizioni, nella sua combattività, per ridare all’imperatore il ruolo che gli era stato tolto e per restituire al Giappone la dignità perduta con la sconfitta subita alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Deriso e schernito dagli ufficiali presenti, Mishima, il samurai, una volta rientrato, tolse con calma la giacca e la camicia dell’uniforme, si slacciò i pantaloni ed assunse la posizione di seiza, ovvero si inginocchiò a terra. Poi prese la spada corta, e fece harakiri. Si tagliò l’addome secondo la tradizione dei samurai. Tutto era già stato predisposto. Aveva anche già scelto il suo Kaishaku, ovvero il suo “secondo”, colui che per mettere fine alle sue sofferenze dopo l’harakiri avrebbe dovuto decapitarlo con un solo colpo di spada. Il suo secondo era il fido Morita, che però fallì il taglio per ben tre volte. Il coraggio del suo Maestro non scorreva altrettanto forte in lui. Mishima fu decapitato alla fine da Hiroyasu Koga. Morita tentò di seguire il suo Maestro almeno nell’effettuare harakiri. Anche qui, però, il coraggio gli mancò. Riuscì ad infliggersi solo una ferita superficiale all’addome, ma fu quello che bastò a Koga per adempiere al suo ruolo di Kaishaku anche su di lui. Lo decapitò senza esitazione.

Questa descrizione di un gesto che colpì l’intero Giappone (in buona parte tratta da un bell’articolo di Elisabetta Garboni) rivela una delle due facce di Mishima, quella del samurai, di un samurai oppresso dalla vergogna dell’esonero dal servizio militare per sintomi di tbc, che gli aveva impedito di combattere per il Giappone, mentre i suoi amici morivano nella seconda guerra mondiale.
Poi esiste l’altra, quella dello scrittore dallo stile ricercato e prezioso, introspettivo, ma in certi frangenti, caratterizzato anche da una tenerezza infinita, da grande sensibilità e da una profonda malinconia. Era la faccia che amavo quando lo leggevo da giovane e che mi sembrava in totale contraddizione con il suo essere guerriero.
In realtà, dopo aver visto qualcosa (ma sempre troppo poco) della realtà giapponese, posso intuire quanto la difficile fusione fra questi due aspetti e la tensione che ne risulta costituiscano una delle chiavi per la comprensione del Giappone, sospeso fra tradizione e modernità, fra il fiore di ciliegio e il samurai.

Villa Goldberg

villa goldberg
Sempre al cadance festival, a den haag, ho visto Villa Goldberg, di Sanne van der Put.
Veramente, veramente carino!!
Erano cinque danzatrici che ballavano sulle Variazioni Goldberg (J.S.Bach) suonate da cinque musicisti lì dal vivo!
I musicisti facevano parte del “classical ensemble with pop mentality” (così sono stati presentati) Calefax, e suonavano solo fiati (oboe, clarinetto, sax, clarinetto basso, fagotto), vestiti di rosso, e le cinque danzatrici erano vestite con semplicissime vestaglie da notte color panna, su cinque letti da ospedale con le ruote. Ed era tutto un gioco circa la turbolenta relazione di queste ragazze, che soffrivano terribilmente d’insonnia e i musicisti che rappresentavano l’insonnia stessa: all’inizio il rapporto era alquanto conflittuale, i musicisti erano parecchio dispettosi, perché ora cercavano di cullarle e calmarle dal loro nervosismo, anche semplicemente rimboccando loro le coperte, e poi, appena queste iene isteriche si addormentavano, si avvicinavano e bruscamente le svegliavano.
Dopodiché le danzatrici pian piano hanno cominciato a cercare i musicisti, la loro compagnia, pur essendone talvolta infastidite, e hanno perfino ballato dei passi a due veramente graziosi con loro, ma il tutto in un clima così gaio, che si entrava proprio facilmente in questo loro mondo, in questo loro linguaggio comune di malattia misto a piacere! Perché di questo alla fine si è trattato, alla fine non si distingueva più il limite dell’insonnia vista come fastidiosa malattia o come ricercata via di fuga…….infatti alla fine danzatrici e musicisti si sono addormentati fianco a fianco negli stessi letti….

Potete vedere un breve trailer dello spettacolo cliccando qui (quicktime).

Tomba di Oggi, 24/11

freddie mercury
Tanto per comnciare, Faroukh Bulsara.
E voi dite: e chi è, un combattente palestinese?
No, è Freddie Mercury. Le sue ceneri sono state sparse sulla riva del lago di Ginevra (non so perché). La statua altamente kitsch che vedete è stata eretta in loco.

Ma anche John Knox, il Martin Lutero degli scozzesi e Lautréamont, il poeta maledetto dei Chants de Maldoror.

Oltre il loro Tempo (2): Spem in Alium

In Queene Elizabeths time there was a songe sent into England of 30 parts (whence the Italians obteyned the name to be called the Apices of the world) which beeinge songe mad[e] a heavenly Harmony. The Duke of ______ bearing a great love to Musicke asked whether none of our English men could sett as good a songe, & Tallice beinge very skillfull was felt to try whether he would undertake the Matter, which he did and mad[e] one of 40 p[ar]ts which was songe in the longe gallery at Arundell house which so farre surpassed the other th[a]t the Duke hearinge of the songe tooke his chayne of gold from of his necke & putt yt about Tallice his necke & gave yt him.

Ai tempi della Regina Elisabetta arrivò in Inghilterra un brano in 30 parti [cioè a 30 voci, nota mia] che creava una armonia paradisiaca (per cui gli italiani avevano ottenuto la più alta considerazione nel mondo).
Il Duca di ___ si era appassionato a questa musica e chiese se qualcuno dei nostri inglesi fosse in grado di scrivere un pezzo altrettanto bello. E Tallis, essendo molto esperto, fu ritenuto in grado di realizzare questo compito e ne fece uno in 40 parti che venne eseguito nella grande galleria di Arundel house e che superò di molto l’altro, al punto che il Duca, ascoltandola, si tolse la propria catena d’oro e la pose al collo di Tallis, donandola a lui.

TallisQuesto è quel poco che sappiamo della storia di Spem in Alium, il mottetto in 40 parti, scritto da Thomas Tallis verso il 1570 per 8 gruppi di 5 voci ciascuno.
Pensate che l’unico manoscritto di questo brano giunto fino a noi, ci è pervenuto solo perché, nel 1610, venne utilizzato durante la cerimonia di investitura a Principe di Galles di Enrico Stuart, figlio di Giacomo I di Inghilterra (era Giacomo VI di Scozia), con il testo rimaneggiato e tradotto in inglese (divenne Sing and Glorify, da lode a Dio a lode al sovrano; fortunatamente il testo originale è riportato alla fine della partitura).
Il brano non portò fortuna a Enrico Stuart, che morì di tifo a 18 anni, ma il fatto che venisse utilizzato in questa occasione testimonia della sua considerazione nella cultura del tempo.
Il Duca di cui si parla, potrebbe essere Thomas Howard, quarto Duca of Norfolk che finì sul patibolo nel 1572.

Secondo gli studiosi, l’opera in 30 parti a cui si allude nel testo è in realtà “Ecce beatam lucem” dell’italiano Alessandro Striggio, che, però, è a 40 voci (il 30 potrebbe essere un errore). In effetti, Striggio venne a Londra nel 1567 e nonostante non si sia trovato alcun accenno a una esecuzione di Ecce beatam lucem, Tallis potrebbe averlo conosciuto in questa occasione. Questa data, incrociata con quella dell’esecuzione del Duca di cui sopra, portano alla datazione del lavoro di Tallis.
Il brano di Striggio era per 10 cori a 4 voci e faceva largo uso dell’omofonia, secondo lo stile veneziano. Quello di Tallis, invece, è per 8 cori a 5, seguendo la configurazione del coro inglese (soprano, mezz’alto, controtenore, tenore, basso) e utilizza largamente l’imitazione tanto che, nelle prime 39 battute, il tema attraversa tutte le 40 voci, fino al possente “tutti” che fa venire i brividi e inizia a battuta 40.
Notate la coincidenza numerica? Ne esiste un’altra: la partitura è lunga 69 brevi e la somma delle lettere TALLIS nell’alfabeto latino è 69.
Il brano, comunque, è un tour de force a vari livelli, non ultimo quello ambientale. Se i cori sono piazzati circolarmente, seguendo la numerazione della partitura, allora in vari punti del brano il suono ruota letteralmente intorno al pubblico in senso orario all’inizio e in senso anti-orario verso la metà.
Inoltre Tallis sfrutta la distribuzione dei cori utilizzandoli anche in senso antifonico, suddivisi in 4 gruppi di 2 e in 2 gruppi di 4, con movimento sia est-ovest che nord-sud.
Nel finale, poi, dopo una breve pausa, i cori entrano tutti insieme sulla parola “respice” per concentrarsi nuovamente al centro e ri-espandersi in una intricata polifonia che sottolinea nel modo meno umile possibile la “humilitas” del verso finale.

La varietà e la quantità delle idee musicali che Spem in Alium contiene, ma soprattutto l’atmosfera che si crea nell’esecuzione, con il pubblico completamente circondato dai cori, ne fanno un’opera atemporale che ha ispirato parecchi autori contemporanei, fra cui Ligeti, Penderecky e Arvo Part.

Scarica la partitura dalla Choral Public Domain Library (InsiemeParti)
Ascolta “Spem in Alium”
MIDI File

Testo Originale in latino Traduzione Rifacimento del 1611 in inglese
Spem in alium numquam habui praeter in te
Deus Israel
qui irasceris
et propitius eris
et omnia peccata hominum in tribulatione dimittis
Domine Deus
Creator coeli et terrae
respice humilitatem nostram
Non ho mai riposto la mia speranza in altri che in te
Dio di Israele
che sarai irato
e poi indulgente
nel perdonare tutti i peccati dell’umanità sofferente
Signore Dio
creatore del cielo e della terra
considera la nostra umiltà
Sing and glorify heaven’s high Majesty,
Author of this blessed harmony;
Sound divine praises
With melodious graces;
This is the day, holy day, happy day,
For ever give it greeting,
Love and joy, heart and voice meeting:
Live Henry princely and mighty,
Harry live in thy creation happy.

Cry, love…

Cry love è uno spettacolo sulle persone il cui corpo è guidato da istinto, sentimenti ed emozioni. È sulle persone che amano. E muoiono, una volta di più…
cry love
Al cadance festival, a den haag, invece ho visto lo spettacolo di Nanine Linning, “cry love”.
Interessante l’ambientazione: il pubblico era diviso in due, i due gruppi erano uno in fronte all’altro e in mezzo il palco. A entrambi i lati del palco tra i danzatori e il pubblico c’erano dei teli semitrasparenti su cui erano proiettate immagini dei danzatori.
Il tutto creava un effetto proprio carino perché in ordine, io come pubblico vedevo un primo livello di proiezioni, i danzatori, un secondo livello di proiezioni e l’altra parte di pubblico!

Poi in realtà la parte danzata non era nulla di eccezionale…i danzatori erano bravi, e c’era un buon gioco di prese e fisicità, ma ho trovato lo stile in certi momenti un po’ incoerente, perché per l’idea di base i danzatori erano delle creature, ma poi di fatto nella coreografia Nanine Linning ha introdotto dei passi decisamente classici, di pura tecnica classica o tipicamente contemporanea che stridevano parecchio e facevano perdere di credibilità al resto della coreografia!

Tomba di Oggi, 22/11

kennedy
Giornata storica oggi.
L’omicidio Kennedy. Mi ricordo bene quando è successo. Avevo 9 anni e giocavo a casa di qualche amichetto americano (famiglie di militari di una caserma che c’era qui vicino). Improvvisamente dalla TV, che già allora era sempre accesa, scompaiono i cartoni e arriva uno speaker con la faccia seria. Io non capivo niente, ma tutti si sono precipitati ad ascoltare. Scene di panico. Qualche bambino si mette a piangere…
Poi ricordo bene anche il film in super-8 di Zapruder che girava su tutte le TV, anche sulla nostra. E improvvisamente, dopo averlo visto un tot di volte, ho realizzato che quello era un omicidio vero! Era il primo che vedevo.
Oggi, con le tecniche digitali, mettendo a confronto le migliori copie esistenti con il filmato originale, e facendo una vera e propria operazione di restauro, gli esperti dei National Archives sono riusciti a ricavare una versione completa, ricca di particolari e di informazioni, che permettono di concludere che Kennedy è stato ucciso da più killer e che la teoria dell’assassino solitario sostenuta dalla Commissione Warren non ha validità scientifica.
Qui, the Kennedy Assassination page.
Notare che, solo 2 giorni dopo, tutti abbiamo potuto assistere a un altro omicidio in diretta (Lee Harvey Oswald).
Kennedy riposa nel Cimitero Nazionale di Arlington, Virgina.

Poi ci sono due scrittori: Jack London e Anthony Burgess (Arancia Meccanica e molti altri libri). Uno dei miei preferiti. Purtroppo non ho la foto della sua tomba.

Le corali delle lamentazioni

Le corali delle lamentazioni (Complaints Choir) sono istituzioni di alto valore sociale.
La loro mission è raccogliere le principali lamentele e le suppliche piene di rabbia dei cittadini per poi musicarle ed eseguirle in pubblico (possibilmente davanti al municipio, direi).
La prima corale della lamentazioni è stata quella di Birmingham, seguita da quelle di Helsinki, Amburgo e San Pietroburgo.
Qui sotto potete vedere quella di Helsinki in azione, sottotitolata in inglese, visto che il testo è ovviamente in finlandese.
A questo link, invece, potete ammirare la corale di Birmingham (ma a mio parere, quella di Helsinki è molto più professionale).

A quando una corale delle lamentazioni in Conservatorio?

The Complaints Choir invites people to complain as much as they want and to sing their complaints out loud together with fellow complainers. The first choir was organised in Birmingham followed by the Complaints Choirs of Helsinki, Hamburg and St. Petersburg.
Below you can see the Complaints Choir of Helsinki in action. This is the link to see the Birmingham one.

Sound (1966-67)

C’è sul solito YouTube questo film di Dick Fontaine (regista indipendente fra i primi a usare il direct cinema), diviso in 3 parti (tot. 25 minuti ca.), in cui un giovane John Cage (giovane rispetto a come lo ricordo io; in realtà ha 50+ anni) e Rahsaan Roland Kirk (sassofonista di quel jazz sperimentale e afro, tipico dei roaring sixties) parlano del suono (a un certo punto compare anche David Tudor). Naturalmente lo fanno da punti di vista opposti, tanto opposti che a volte si compenetrano.
È anche bello rivedere le cose che faceva Roland Kirk, tipo il suonare insieme 2/3 sassofoni, oppure quei soli di flauto che diventeranno pop grazie a Ian Anderson.
Soprattutto c’è quella simpatica atmosfera anni ’60 in cui sembrava fosse possibile provare tutto. Erano appunto i tempi dei festival ONCE, in cui ogni cosa poteva essere tentata almeno una volta.
Il parlato è in inglese sottotitolato in francese, ma comunque si capisce senza sforzarsi (Cage parla piano e chiaro). Questa è la prima parte. Seguono i link.

Tomba di Oggi, 21/11

purcell
Henry Purcell.
È sepolto nientemeno che nell’Abbazia di Westminster, insieme alla moglie Francisca.

Comunque ci sarebbe anche l’anaconda Samantha, uno dei più grossi serpenti mai visti (più di m 7.70) che viveva allo zoo del Bronx e ora riposa al Museo di Scienze Naturali a Manhattan.

Ultima Vez

Valeria ci scrive dalla terra dell’acqua di sotto e di sopra. Fortunatamente gli spettacoli sono molti. Questa è la prima di una breve serie da Rotterdam.

ultima vez
Ebbene sì, cominciamo con Ultima Vez, di Wim Vandekeybus: hanno portato un best of, che era già strepitoso di per sè, quindi non oso immaginare come sia uno spettacolo intero!!

È un tipo di danza decisamente fisico, e con fisico intendo che usano molto il peso e la massa del loro corpo fino agli estremi raggiungibili.
Per esempio nel primo pezzo erano tutte coppie che facevano prese di contact fuori balance, che vuol dire che l’asse del corpo era completamente in diagonale anziché essere dritto in verticale. In pratica mentre loro erano agganciati con le spalle i loro piedi si trovavano a due metri di distanza, formando un triangolo. In queste posizioni poi si muovevano, giravano, magari mentre correvano si prendevano per le spalle e uno saltava e facendo leva sull’altro danzatore raggiungeva la stessa posizione fuori asse!
Non so se la descrizione rende l’idea, ma chi ha provato a fare questo tipo di giochetti sa perfettamente quanto sono pesanti!

In un’altra parte c’erano tre donne che continuavano a “fare cadute” sul pavimento, come ubriache, correvano, e non erano certo corse da schiaccianoci, poi si lanciavano letteralmente sul pavimento tipo a un metro e mezzo di distanza, rotolavano e poi si alzavano sfruttando la spinta e la dinamica che avevano, e tutto questo per quasi dieci minuti…

Ho anche molto apprezzato i cambi, spesso repentini, di atmosfera, dall’ironico e leggero a un clima di tensione e violenza, come in quella scena in cui c’erano dietro a una tenda semi-trasparente tre uomini che si sono spogliati e facevano la doccia, e davanti un quarto che ha tagliato a metà delle arance. Poi tutti i danzatori sono entrati vestiti eleganti con queste metà di arance in mano, e platonicamente cercavano la loro metà, ma senza danzare. Era una scena recitata, e lì il pubblico si è scompisciato con tutti i giochi di coppia, omosessuali, eterosessuali, trio, che si sono creati!

ultima vez
Un altro pezzo incredibile è stato quello con i mattoni!! Finito il pezzo precedente, i cinque ballerini che erano in scena hanno preso al volo cinque mattoni (bianchi, lunghi circa mezzo metro larghi trenta e alti venti centimetri) che gli sono volati sulla testa, cosa che se si fossero sbagliati di venti centimetri…!! e con questi mattoni ne hanno poi fatte di tutti i colori. Alcune ballerine camminavano e si spostavano per il palco solo su questi mattoni, senza mai mettere i piedi per terra, oppure facevano giochi del tipo: un danzatore lanciava un mattone in aria esattamente sopra la sua testa e poi rimaneva lì; quando il mattone era a dieci centimetri dalla sua testa, un altro danzatore lo spingeva e prendeva il mattone, lo rilanciava e così via,
O ancora in tre: uno lanciava un mattone a un secondo che si stava mettendo la giacca di spalle, così il terzo interveniva e prendeva lui il mattone, sempre all’ultimo momento ovviamente, e lo lanciava a un altro che nel frattempo si stava anche lui mettendo la giacca di spalle, così interviene il secondo a prendere il mattone e così via…e dopo questo caotico pezzo dove avevo il cuore in gola costantemente per un quarto d’ora, finché i danzatori pulivano il palco, perché ovviamente il pezzo è andato in crescendo e hanno rotto i mattoni e così via, è caduta una piuma, e un danzatore ci ha giocato per cinque minuti buoni, facendo si che non cadesse per terra…
Poi la cosa comica è che è finita in mezzo al pubblico, e anche il pubblico ha provato a soffiare per far volare la piuma…ma è durata trenta secondi forse.

ultima vezL’ultima cosa che racconto, è stata la sedia per aria! Hanno appeso una sedia a circa due metri dal palco, ma a testa in giù, e i danzatori la usavano tipo trapezio, si arrampicavano, e si sedevano con le gambe incrociate, in una posizione perfettamente quotidiana, ma al rovescio, poi si tiravano giù a vicenda senza troppa delicatezza, oppure cadevano quasi a peso morto, poi si aggrappavano e dondolavano come fosse un’altalena…insomma…mi dispiace un sacco che l’unica tappa in italia sia a roma…

Maderna Elettronico

A differenza delle scuole tedesca e francese, la politica dello Studio di Fonologia della RAI di Milano, fondato nel 1955, è stata sempre improntata all’empirismo e al lasciare i compositori liberi di ricercare in qualsiasi direzione puittosto che conformarsi a delle dichiarazioni di principio. Maderna e Berio, i primi a lavorarvi, coadiuvati dal tecnico Marino Zuccheri, si accostano a queste nuove tecniche senza determinismi e idee preconcette circa la loro organizzazione confrontandosi con il materiale. Più tardi, nel 1960, a loro si aggiunse Nono.

La sensibilità musicale di Maderna ottiene subito dei risultati con Notturno (1956), un’opera quasi sussurrata, da ascoltare in pianissimo e Continuo (1958). Di quest’ultimo brano esistono pochi appunti di Maderna che lo descrive come un pezzo avente alla base un unico suono che passa attraverso 22 stadi di lenta e graduale trasformazione, senza soluzione di continuità. Secondo la testimonianza di Marino Zuccheri, però, quell’unico suono non sarebbe sintetico, bensì una nota del flauto di Gazzelloni.
Il risultato, per l’epoca, è affascinante in ogni caso perché qui si lascia che sia il materiale a evolversi e a dettare le proprie regole. Il sonogramma approssimato che potete vedere è di Giordano Montecchi, che ha svolto un’attenta analisi su questo brano pubblicata nei Quaderni della Civica Scuola di Musica, num. 21-22, 1992, Milano (click immagine per ingrandire).

Ascolta Continuo.

continuo

Un’ultima considerazione riguarda lo Studio di Fonologia della RAI di Milano, che ha chiuso per obsolescenza nel 1983. Lo Stato Italiano lo ha fondato e così lo ha lasciato, senza mai aggiornarlo. Già da molti anni non vi lavorava più nessuno.
Una struttura che ha svolto un ruolo importantissimo nella sperimentazione sonora degli anni ’50 e presso la quale hanno lavorato musicisti come Bruno Maderna, Luciano Berio, Luigi Nono, John Cage, Henri Pousseur, Vladimir Ussachevsky, Franco Donatoni e molti altri e che, di conseguenza, si era costruita una reputazione nell’ambiente musicale mondiale è andata buttata solo per mancata volontà, non certo per costi. Tutto ciò getta una luce ancora più sinistra sulla totale assenza dimostrata in tempi recenti dalle istituzioni italiane per quanto riguarda la sperimentazione sonora.

Ascolta Continuo.

Tomba di Oggi, 20/11

tolstoi
Oggi, fra i miei preferiti, è morto solo Tolstoi (a parte Mr. Tranquilino Luna, politico americano di fine ‘800, che ha un nome così buffo che vale la pena citarlo).
Comunque la tomba di Leo merita. È nella sua casa, a Yasnaya Polyana, in Russia.

Precisazione e Riflessione

Spero che nessuno sia così superstizioso da essere disturbato dalla pubblicazione delle tombe (al limite, toccate qualcosa).

A parte la mia insana passione per i cimiteri (quando faccio il turista, sono una delle prime cose che vado a vedere), il compilare liste è un buon modo per favorire un pensiero trasversale. Se mi chiedo “chi è morto nella data di oggi”, incontro

  1. personaggi che conosco e fanno parte frequentemente della mia realtà;
  2. personaggi che conosco e a cui non pensavo da tempo;
  3. personaggi/fatti che non conosco e mi incuriosiscono.

Inoltre penso a queste persone accomunate casualmente da un evento non proprio banale. So che Charlie Chaplin, Mirò e Ceausescu non hanno niente a che fare l’uno con l’altro, se non il fatto di essere morti nel giorno di Natale, oltretutto in anni diversi, ma è proprio vero?
Questa coincidenza banale mi porta a interrogarmi sui tre e sulle loro connessioni. E tu puoi dirmi che non c’è alcuna connessione, ma non è vero. Il mio occhialuto occhio di artista (?) le vede e se non ci sono, magari le crea.
C’è sicuramente qualcosa di Chaplin e del Grande Dittatore nella tragica serietà (che proprio per questo si rovescia nell’ironia) del regime di Ceausescu (peraltro Chaplin ha una strana contiguità con i dittatori, essendo nato a 4 giorni da Hitler, stesso anno).
C’è del Mirò in Chaplin o viceversa? Forse cercando esce (i due erano contemporanei). Eccetera.
E così facendo, penso a qualcosa a cui non avrei mai pensato.
Da qui, poi, mi ritorna in mente un bel libro di Anthony Burgess, “Notizie dalla Fine del Mondo”, in cui racconta in parallelo tre cose, tutte miste di realtà e fiction:

    gli ultimi anni di vita di Freud, sotto forma di sceneggiato TV;
    un musical sulla rivoluzione proletaria messo in piedi da Trotsky nel 1917 a New York;
    l’incontro fra la terra e un asteroide negli ultimi giorni del millennio.

Dove le connessioni non ci sono, lui le crea. Rileggere Burgess. Che, fra l’altro, è morto il 22/11, cioè fra 3 giorni.

Comunque, se le tombe vi disturbano, ditelo.

Pianoforte Preparato

pianoforte preparato
Il periodo del pianoforte preparato inizia nel 1940 con il brano Bacchanale di Cage, composto per la danza di Syvilla Fort.
Può darsi che Cage non sia stato il primo a introdurre materiali vari nel pianoforte, ma sicuramente è il primo che lo fa consciamente e sviluppa l’idea, per cui la storia lo ricorda come l’inventore di questo ‘strumento’. In effetti, nelle sue mani, il pinoforte preparato si trasforma in un ensemble piano-percussioni con sonorità che vanno dalla marimba, a piccoli tamburi, fino al pianoforte vero e proprio, passando per i suoni metallici di campane non intonate i cui rintocchi sono dedicati non a un Dio, ma al Nulla.
Analiticamente, possiamo esaminare le preparazioni per le Sonatas & Interludes (1948), di cui vedete una immagine del risultato (click immagine per ingrandire). In base all’effetto acustico, si possono classificare in 4 categorie:

Oggetto inserito Effetto Note
Pezzi di gomma o altro materiale smorzante Simile allo smorzatore: il suono viene bloccato
con effetto percussivo
Il suono è più o meno smorzato in base alla distanza dell’oggetto dal punto di percussione
Viti o altri oggetti metallici puntuali Creazione di un ‘nodo’ nella corda con produzione simultanea di più suoni Il risultato dipende strettamente dalla distanza dell’oggetto dal ponte: sui punti in cui si producono armonici, questi ultimi vengono evidenziati.
In punti diversi si producono suoni non armonici con sustain più breve
Lamelle o altri oggetti vibranti La nota, più o meno smorzata, è accompagnata dalla vibrazione della lamella
Oggetti posati sulle corde Intensa vibrazione

Infine, bisogna tener presente che l’inserimento di oggetti altera più o meno leggermente la tensione delle corde fra cui sono inseriti, quindi si hanno anche effetti di leggera scordatura.
In questi brani, le preparazioni non sono oggetto del caso. Cage di che esse «vanno scelte come le conchiglie su una spiaggia», cioè in modo intuitivo, senza un piano preciso.
Dal 1940 al ’52, scriverà circa 30 pezzi per questo strumento di cui è, ovviamente, il principale utilizzatore, ma che, soprattutto negli Stati Uniti, verrà usato anche da altri compositori. In Europa, invece, la cosa ha scarso seguito. Gli europei, a partire dai primi anni ’50, si dedicano a un intenso studio per allargare le possibilità acustiche del pianoforte creando suoni compositi di cluster e note singole con diverse durate e dinamiche, arrivando a risultati decisamente belli (pensiamo soprattutto a Stockhausen), quanto di difficile esecuzione, ma raramente osano toccare l’interno del piano che rimane come un feticcio freudiano nella cultura musicale europea. Vale la pena di notare, però, come l’effetto di una singola vite di Cage sia spesso paragonabile a un intero suono composito.
La giustificazione portata dal nostro per l’invenzione del pianoforte preparato è in sè stessa una provocazione tale da far saltare i nervi a qualsiasi europeo. Secondo la tradizione artistica europea, le innovazioni arrivano come risultato di una ricerca oppure come effetto collaterale di quest’ultima (vedi il saggio di Stockhausen su Scoperta e Invenzione). La spiegazione di Cage è, invece, assolutamente pratica: per la danza di Syvilla Fort serviva un gruppo di percussioni, ma, nei piccoli teatri in cui si esibiva, non c’era sufficiente spazio, per cui il pianoforte è stato trasformato in modo da produrre anche suoni percussivi.
Tornando alle Sonatas & Interludes, possiamo notare come, nonnostante il titolo, siano formalmente lontane dalla sonata classica:

  • le Sonate 1-8 e 12-16 hanno struttura ritmica AABB
  • gli Interludi 1-2 non hanno alcuna ripetizione
  • gli Interludi 3-4 e le Sonate 9-11 sono composte da preludio, interludio, postludio

È interessante ascoltare una sonata, per es. la prima, guardando la partitura (click immagine qui sotto per ingrandire). Si nota che corrispondenza suono – segno non esiste più.
Le Sonatas & Interludes, infatti, hanno effetti collaterali che vanno al di là dell’opera in sè stessa. Se ci pensate, infatti, siamo in presenza di un deciso mutamento nella funzione della partitura.
La normale partitura è una ‘partitura di risultato’. Essa informa l’interprete di ciò che il compositore vuole ottenere, non di quali azioni si debbano compiere per ottenerlo. Quest’ultima parte è compito dell’esecutore che deve capire il brano, costruirsi una diteggiatura, eccetera.
Nella partitura delle Sonatas, invece, c’è una differenza fondamentale: non sempre il risultato corrisponde a quanto è scritto. L’esecuzione di una nota, spesso, non produce quella nota, ma un suono che con quest’ultima può anche avere ben poco a che fare. Pensateci bene: l’analisi pura e semplice della partitura, senza sapere niente delle preparazioni, porterebbe su una strada completamente sbagliata. In questo caso, la partitura non è l’opera.
Si tratta, quindi, di uno dei primi esempi moderni (perché andando indietro esistono le intavolature) di ‘partitura operativa’ in cui il compositore non indica il risultato, ma le azioni da compiere. Il risultato, poi, è altra cosa.

John Cage (1912-1992) . Sonatas and Interludes (1946-48) for prepared piano
Orlando Bass, piano

Sonata 1 // 00:07 Sonata 2 // 02:21 Sonata 3 // 04:13 Sonata 4 // 06:20 Interlude 1 // 08:20 Sonata 5 // 11:10 Sonata 6 // 12:50 Sonata 7 // 15:08 Sonata 8 // 17:21 Interlude 2 // 19:21 Interlude 3 // 22:43 Sonata 9 // 25:22 Sonata 10 // 28:32 Sonata 11 // 30:46 Sonata 12 // 33:15 Interlude 4 // 36:25 Sonata 13 // 39:40 Sonata 14 // 42:40 Sonata 15 // 44:40 Sonata 16 // 46:45

Tomba di Oggi, 19/11

schubert
Non poteva mancare: Franz Schubert.
Come nel caso di Beethoven, le spoglie sono state traslate dall’antico Wahringer Friedhof (che oggi, guarda caso, è il parco Schubert) al Zentral Friedhof (cimitero centrale), ovviamente a Vienna.

Tomba di Oggi, 18/11

bohr
La meditazione sulla morte è fondamentale.
Oggi sono morti, fra gli altri, Marcel Proust, Niels Bohr, Man Ray, Paul Bowles (un the nel deserto).
La tomba che pubblichiamo (la più bella, a insindacabile giudizio del sottoscritto) è di Niels Bohr e si trova al cimitero di Assistens, Copenhaghen, Danimarca.

Dead today (between others): Marcel Proust, Niels Bohr, Man Ray.
In the grave on the left (my choice) Niels Bohr lies. It is located in Assistens cemetery, Copenhaghen, Denmark.

Image from Find a Grave

Balalaika Contrabbasso

balalaika

Certo anche suonare la balalaika contrabbasso è dura…
È accordata Mi – La – Re, dalla terza alla prima corda.
Si tiene a tracolla, ma in realtà poggia a terra. Se osservate l’angolo, infatti, potete vedere un puntale.

Playing double bass balalaika it’s hard…
It is tuned E, A, D from low to high string.
The size and shape of the instrument require the player to play in an upright position. A metal pin protrudes from the instrument. Thus, neither the body of the instrument nor its soundboard touch the player and a great resonant effect is created, resulting in a powerful, long and deep sound.

Da English Russia

Una personale visione della divinità

god

Questa maglietta potrebbe rappresentare un personalissimo concetto della divinità…
Generalmente non faccio pubblicità, ma Imaginery Foundation la merita. Non solo per questa.
Peccato siano un po’ esosi.

This T-shirt could represent a very personal idea of the divine…
Generally speaking, I don’t like advertisement, but Imaginery Foundation deserves.
Pity for the price just a little high.

L’Escalier du Diable

ligeti
Ancora Ligeti. Lo merita.
Da YouTube (che si rivela un buon veicolo promozionale), due esecuzioni di “L’Escalier du Diable”, studio num. 13 dal secondo libro degli studi per pianoforte, Questo pezzo sta diventando il brano virtuosistico per antonomasia del XXI° secolo.
La prima (Francesco Libetta), quasi più veloce di quanto prescritto, ha un audio migliore e pur non avendo la precisione di Aimard (ma questa ripresa è dal vivo; vorrei vedere Aimard live), mi sembra un’ottima esecuzione.
Anche la seconda (Greg Anderson) è buona, ma meno canonica, un po’ più lenta, con l’audio inciso in modo più aggressivo (quasi al limite: forse dovrete abbassare un po’ il volume sul computer, non sulle casse) e decisamente più libera. Un tot di effetti video non la valorizzano, ma la maggiore lentezza rende più semplice la comprensione della struttura. Poi, vedere uno che suona Ligeti in maglietta, blue jeans e ghigno alla Malcom McDowell di Arancia Meccanica è divertente.

OK, adesso faccio il serio e vado a cercare la partitura nei meandri della mia biblioteca. Intanto ditemi che ne pensate.

Pop (?) music that I loved (2)

moles
Allora, finché qualcuno non mi indicherà un modo formale per distinguere il pop dal resto, andrò avanti con questo titolo. :mrgreen:

1971. Robert Wyatt lascia i Soft Machine (altro gruppo che farà parte di questa serie) e forma i Matching Mole, che da un lato significa “le talpe combattenti” e dall’altro è una storpiatura in francese del nome della precedente band (machine molle).

    • Formazione

Robert Wyatt – drums, voice, mellotron
Phil Miller – guitar
Dave McRae – electric piano, organ
Bill McCormick – bass
David Sinclair – piano, organ

Intellettuali, comunisti, un pizzico di dadaismo. Interessanti trovate armoniche e vocalismi che Wyatt interpreta nel suo personalissimo modo, come un canticchiare sotto la doccia.
Qui abbiamo un pezzo che parla di sè stesso. Si intitola Signed Curtain. Il testo è quasi meta-musicale:

seguitelo insieme alla musica.

This is the first verse
The first verse
And this is the chorus
Or perhaps is a bridge
Or just another part
Of the song that I am singingThis is the second verse
Could be the last verse
The second verse
Probably the last verse
And this is the chorus
Or perhaps is a bridge
Or just another key changeNever mind
It doesn’t hurt
And only means that I
Lost faith in this song
‘Cause it won’t help me reach you…
Questo è il primo verso
Il primo verso
E questo è il ritornello
O forse un ponte
O un’altra parte
Della canzone che sto cantandoQuesto è il secondo verso
E potrebbe essere l’ultimo
È il secondo verso
Probabilmente l’ultimo
E questo è il ritornello
O forse un ponte
O solo un’altra modulazioneNon importa
Non fa male
Significa solo che
Ho perso fiducia in questa canzone
Perché non mi aiuta a raggiungerti…

Ligeti – Études pour piano

Idil Biret esegue gli studi di Ligeti, Libro I° (1985), fre  cui il nr. 6, questo bellissimo “Automne à Varsovie” che, al di la della difficoltà, è quasi nostalgico.
Potete comunque ascoltare quello che volete cliccando il menu in alto a destra.

Privacy or not Privacy?

Google e gli altri motori di ricerca permettono di trovare un sacco di cose.
La facilità con cui la gente mette documenti e dispositivi di vario tipo su internet e li espone al mondo, anche senza rendersene conto, è grande e sembra essere una nuova tendenza sociale. Il tutto è reso possibile dall’ubiquità del digitale che ormai codifica qualsiasi tipo di documento scritto, sonoro o in forma di immagine. Nello stesso tempo i supporti come le memory key e le tessere magnetiche cambiano il modo con cui l’informazione viene fisicamente conservata, aumentando enormemente la quantità di dati che ogni persona è in grado di portare con sè.
C’è una richiesta di privacy sempre maggiore, ma, paradossalmente, nello stesso tempo la gente accetta, consapevolmente o meno, che i propri dati e comportamenti siano esposti al mondo grazie alla rete o a una RAM key perduta/dimenticata.
Forse è un passo solo parzialmente consapevole verso una società con pareti di vetro, in cui qualsiasi cosa venga fatta via internet è pubblica e molti comportamenti che, di per sè, sono già pubblici o semi-pubblici (uscire in strada, fermarsi in un bar, discutere in chat, etc.) lo diventano alla massima potenza e sono visibili da tutti coloro che si imbattono nel link alla webcam o al file giusto, potenzialmente da tutto il mondo.

Dato che io sono favorevole a una casa di vetro, ho appena creato una pagina dedicata alle cose relativamente private che si possono trovare con Google e/o altri motori di ricerca.
Non contiene cose potenzialmente pericolose come ricerca di password, falle di sicurezza o simili, che pure si possono fare (quindi se cercate questo, andate da un’altra parte).
Divertitevi.

Maderna

madernaMaderna (nella foto, con Berio) è morto il 13 Novembre 1973 a soli 53 anni.
Il suo necrologio su Le Monde diceva “…il sole e la luna sono sempre presenti nella sua musica…”.
ANABlog lo ha ricordato mettendo in linea vari pezzi fra cui questa Serenata 2a, piena di bellissimi e delicati colori orchestrali (ascoltatela in un momemto di calma: è davvero bella).
Chissà perché queste cose le trovo sempre e solo all’estero; qualcuno ha scritto una riga da noi?

Interspecies

dolphin

La mission di Interspecies è di coinvolgere gli artisti per migliorare le relazioni fra esseri umani e animali. Una delle cose interessanti è che questi mettono a contatto diretto i musicisti con i cetacei, tentando di instaurare una comunicazione sonora.
Molto materiale, anche sonoro, sui cetacei è disponibile sul sito, incluso il disco Belly of the Whale e un attirante articolo sulla logica del linguaggio delle balene.

Pierrot

Schönberg – Pierrot Lunaire op. 21 (1912)
per voce, pianoforte, flauto (ottavino), clarinetto (clarinetto basso), violino (viola), violoncello.

Composta nel 1912 è forse l’opera più famosa di Schoenberg, per la novità degli impasti timbrici, per la sua carica espressiva, per la sua particolare tecnica vocale.
Basandosi su 21 poesie del simbolista belga Albert Giraud (1884), nella traduzione tedesca di Otto Eric Hartleben, divise in 3 gruppi di 7, l’immagine romantica di Pierrot, eroe malinconico e triste, è deformata in smorfie, proiettata in immagini ora grottesche, ora ironiche, in visioni allucinate, grazie alla vocalità estraniata dello sprechgesang e alle straordinarie invenzioni strumentali che lo accompagnano.
In quest’opera, la voce utilizza per la prima volta la tecnica dello Sprechgesang (o Sprechstimme), che non è né canto intonato, né “recitar cantando”. Nella prefazione alla partitura, che farà testo, il compositore fissa rigorosamente le norme dell’interpretazione. La voce deve osservare rigorosamente la notazione ritmica portando la parola a toccare la nota, ma mai a fissarla, facendo oscillare l’intonazione in un continuo crescendo e diminuendo e collegandosi con un sensibile portamento alla sillaba seguente
L’orchestrazione è la più varia e rutilante di invenzioni. Soltanto in 6 dei 21 brani il gruppo strumentale entra al completo a creare un complesso tessuto polifonico intorno alla voce, mentre negli altri gli strumenti intervengono a gruppi di 2, 3 o 4 e nel settimo pezzo, La luna malata, è un flauto solo che contrappunta la voce.
Dal punto di vista compositivo, Schoenberg sperimenta con grande libertà e varietà. Alcuni pezzi (per es. il No 13) hanno una continuità amorfa, quasi un stream of consciousness. Altri, come il No 8, si basano su piccole cellule generative. Altri ancora impiegano ostinati, altri, canoni.
Il brano No 18, Der Mondfleck, esibisce una polifonia incredibilmente intricata. E’ quasi una fuga a tre voci, la cui forma è a tratti oscurata dall’incrociarsi di altre parti e da occasionali note supplementari. Il clarinetto e l’ottavino formano canoni in diminuzione rispetto alle prime due voci. Un terzo canone, indipendente dagli altri è creato da violino e violoncello. A metà del brano, l’ottavino e il clarinetto, che procedono a velocità doppia rispetto alla voce principale, arrivano alla fine del canone e quindi invertono il loro moto formando canoni retrogradi in diminuzione.
Il disegno polifonico, caratterizzato soprattutto da intervalli di 7a e 9a, dà vita a complessi e sottili rapporti cromatici creando un’atmosfera tagliente che ben si lega alle immagini allucinate del testo tedesco di Hartleben, ben superiore all’originale un po’ dolciastro ed estetizzante di Giraud.

Clicca l’immagine per ingrandire.

partitura

Ascolta Der Mondfleck

Piccoli ma grandi

Schönberg – 6 Kleine Klavierstücke op. 19 (1911)

In questi 6 brevissimi pezzi (da 26 a 80 secondi), Schoenberg accoglie la propensione aforistica del suo allievo Webern, riducendo lo schema compositivo al frammento melodico e armonico.
La pagina più significativa e densa di futuro di questa op. 19 è il sesto pezzo, parallelo, come ricerca, al terzo dell’op. 16 (Farben) di cui abbiamo già parlato, ma ancora più problematico perché, se Farben segue un percorso tutto sommato decifrabile, questo brano approda a un livello di astrazione tale da paragonarlo alle opere astratte di Kandinsky e Klee.
Così anche Schoenberg, dopo l’atonalità, perviene all’astrattismo sonoro. In queste 9 battute, scritte probabilmente in ricordo di Gustav Mahler, la pausa e il silenzio nascono da una nuova coscienza ritmica e il suono si frantuma in timbro e in intensità.
Lo ascoltate qui. Cliccate sull’immagine per ingrandire.
Qui trovate un bell’articolo di Susanna Pasticci che commenta le analisi di questo brano effettuate con diverse metodologie.

op19-6

Tenete lontani i vostri bambini

VRT
Boing Boing riporta una trasmissione radio della NPR in cui viene descritto questo interessante ordigno, sviluppato dalla Integrated Wave Technologies, che i soldati americani utilizzano per “comunicare” con gli indigeni (nella fattispecie, gli iracheni).
Si tratta di un traduttore che capisce un numero limitato di frasi ed è in grado di ripeterle in 15 lingue, spesso in forma più dettagliata.
Quello che mi colpisce è il tono della descrizione. È per questo che ho scritto “comunicare” fra virgolette. Dice:

Per esempio, quando il soldato dice una semplice frase come “keep kids back”, il Voice Response Translator (VRT) traduce in arabo accrescendo il dettaglio. In questo caso, la traduzione è “Tenete i vostri bambini lontano da noi o intraprenderemo delle azioni contro di voi”

il che, detto da un marine che, come minimo, ti tiene un M16 puntato addosso, è estremamente rassicurante, favorisce il dialogo e lo stabilirsi di un clima di fiducia.
La dichiarazione del produttore è ancora più allucinante:

Comunicazioni semplici come questa possono salvare vite, sia fra i civili che fra i militari. Questo elimina il tirare il grilletto come prima opzione nel trattare con gli indigeni.

Maledizione, io capisco che in guerra sia utile impartire istruzioni chiare ai civili e magari questo oggetto serve, ma un po’ di diplomazia, no? Forse “tenete i bambini in casa, qui è pericoloso” sarebbe stato meglio.
E l’ultima frase significa forse che senza il VRT, la prima opzione è tirare il grilletto?
I consulenti per la comunicazione che gli USA pagano profumatamente, cosa ci stanno a fare? E chi sono?

Dubliners

No, non sono impazzito.
Mi sono sempre piaciuti i Dubliners. Fanno tanto pub, ma anche erba sotto i piedi e pioggia sopra la testa…

No, I’m not gone crazy.
I always loved the Dubliners. Feel like in a pub, or with your foot on the grass and rain over you…

Will You Come to the Bower

Pubblicato in Pop

Memi Viaggianti

Command and Conquer
La schermata qui sopra viene da un noto videogame, Command and Conquer.
La frase dice “I am in your base killing your d00ds” (trad: sono nella tua base e sto ammazzando i tuoi) e viene usata quando, mentre un giocatore sta innocentemente organizzando le sue forze da qualche parte, un altro è riuscito a penetrare nel suo quartier generale e sta facendo una strage.
Questa frase è diventata popolare, un vero e proprio meme viaggiante, con il significato di “ti ho fregato e non te ne sei neanche accorto”.
Adesso guardate l’immagine qui sotto. È un poster stampato dal Dipartimento di Stato USA durante la prima fase della guerra in Iraq per convincere la gente a finanziare la guerra comprando titoli di stato emessi per questo scopo.

Upgrade (venuto in mente rileggendo): la differenza è che quello sopra è un gioco e quello sotto è reale…
Saddam-Bush

Decomporre

Guardate cosa fa Picasso con l’immagine di un toro (da sinistra a destra e poi dall’alto al basso).
Quando lo vedo, mi viene sempre in mente il Webern atonale. Quello che, dal 1909 al 1914, raggiunge il massimo della concisione riducendo all’osso la propria scrittura, fino all’ultimo dei Tre Piccoli Pezzi per violoncello e piano in cui sfiora il silenzio, ma è un silenzio che non è vuoto.

Webern

Pop (?) music that I loved (1)

Henry CowOgni tanto qualcuno mi domanda se ci sia qualche gruppo pop che mi piace.
Fra quelli attuali, non saprei (faccio un po’ fatica a seguirli), ma una volta ne ascoltavo molti.
Ecco un esempio: 1975 – Henry Cow – L’album è In Praise of Learning.
Qui c’è una cantante tedesca con una voce da Brecht, una melodia armonizzata in modo non convenzionale, ma soprattutto c’è uno sviluppo. Il pezzo non si ferma al solito schema ritornello – inciso.
Ma, al di la degli apprezzamenti formali, resta il fatto che questa musica per me è emozionante.
Da quell’album, ecco 2 pezzi.

Sometimes someone ask me if there is some pop band that I like.
Well, the current scene is just a little hard to follow for me, but when I was young I liked many.
Here is an example: 1975 – Henry Cow – The album is In Praise of Learning.
Here is a german singer with a voice that remind me Brecht, a sort of atonal melody and harmony, but the thing I like the more is the fact that the piece is developing. Not the usual chorus – bridge scheme.
Listen to:

Personnel

  • Tim Hodgkinson – Organ, clarinet, piano
  • Fred Frith – Guitar, violin, xylophone, piano
  • John Greaves – Bass guitar, piano
  • Chris Cutler – Drums, radio
  • Dagmar Krause – Voice
  • Peter Blegvad – Guitar, voice, clarinet
  • Anthony Moore – Piano, electronics and tapework
  • Lindsay Cooper – Bassoon, oboe

Guests

  • Geoff Leigh – Soprano saxophone
  • Mongezi Feza – Trumpet
  • Phil Becque – Oscillator

10 immagini impressionanti

A43
OddPeak ha pubblicato quelle che considera le 10 immagini più impressionanti del nostro universo.
Nella maggior parte dei casi si tratta di foto prese dal telescopio Hubble, che recentemente la NASA ha deciso di salvare (per fortuna), ma ce n’è anche una che viene dal Voyager 1 ed è una delle più impressionanti.
Quella che vedete qui, invece, fa parte di una immagine più grande che mostra le colonne di gas e polvere che si creano nelle zone di formazione delle stelle. È spettacolare e famosa perché appare in alcuni film o telefilm di fantascienza (Contact e Babylon 5), ma è famosa anche perché, quasi subito, questa parte, ruotata di 90° in senso anti-orario, è stata identificata dai fondamentalisti cristiani americani come una immagine del demonio.
Perché proprio il demonio non saprei e a mio avviso è una testimonianza delle loro fragili menti. Forse il mostrino che sembra piazzare lì la stella è bruttino, ma secondo me è un’immagine quasi poetica. Non sono un credente, ma se lo fossi, la vedrei come un’allegoria di dio.

Non siamo d’accordo

Afrodite
Forse i nostri media non lo dicono (o forse mi è sfuggito), ma quelli americani ne parlano.
Il nostro paese sta litigando con il Getty Museum di Los Angeles nel tentativo di farsi restituire 52 pezzi d’arte antica che appaiono come materiale illegalmente scavato e esportato senza permesso.
Fra questi è compresa la magnifica statua di Afrodite che vedete a sinistra, acquisita dal Getty Museum nel 1988 per $18 milioni e un bronzo di giovane eroe attribuito a Lisippo, acquisito nel 1977 (valore $4 milioni).
Il Getty Museum si dichiara d’accordo nel restituire soltanto 24 oggetti che, ovviamente, non sono fra quelli di maggior pregio.

Italian media don’t talk about, but the italian goverment is disappointed beacause of the Getty Museum in LA.
The museum refuse to return dozens of art objects that appear to be illegaly excavated and spirited out of the country.
The talks have bogged down in recent weeks as a dispute has deepened over other important pieces on the list, including a rare fifth-century B.C. limestone statue of a Greek deity, possibly Aphrodite, acquired by the Getty in 1988; and a fourth-century B.C. bronze statue of a heroic youth sometimes attributed to the Greek sculptor Lysippos, acquired in 1977.
All the story here.

Cibo per Musicisti

Ecco cosa si dovrebbe mangiare prima di esibirsi in un concerto di musica classica secondo MUSO (MUSO è o voleva essere “the magazine for the younger, more open-minded generation of classical music fans”):

  • melone e prosciutto di Parma
  • tagliatelle con fagioli al chili e funghi di campo con contorno di insalata mista
  • frutta fresca mista con semi di sesamo tostati

[potrei morire, nota mia]
Il tutto da mangiare almeno 2 ore prima del concerto.
E per un piccolo snack nell’immediato pre-concerto? Burro di arachide su pane di segala o porridge con semini e mela (sì, MUSO è una rivista inglese).

Inoltre il giornale si sofferma sulle cose da evitare: latte, formaggio, grano, pomodori, aranci e uova. Evitare gli zuccheri in favore dei carboidrati complessi. I primi, (es.: banana e cioccolato) danno una bella botta di energia all’inizio, ma possono portare a un calo di zuccheri nel bel mezzo di un lungo concerto, mentre i secondi mantengono un livello media di energia su lunghe distanze.

Da Musical Perceptions

Suono come Acqua

Il musicista e programmatore australiano Sebastian Tomczak mostra come sia possibile controllare un suono usando una superficie d’acqua e 5 raggi laser.
Questa sorprendente strumento è un prototipo del Toriton Plus, progettato e costruito da lui stesso.

The australian musician/programmer Sebastian Tomczak shows how to control sounds uning a water surface and five lasers.
This amazing instrument is a prototype of the Toriton Plus, realized by Tomczak himself.

The Critical Mass

L’associazione ambientalista olandese Enviu (Environment and You) e Döll – studio for the art of building, hanno sviluppato The Critical Mass: l’idea di una discoteca a basso impatto ambientale realizzata presso il club Off_Corso di Rotterdam.
Se ci pensate, non c’è niente di più “sprecoso” di una discoteca: si spreca un casino di energia per far andare impianti audio e luce al fine di consentire a un casino di gente di sprecare altra energia muovendosi in modo insensato, creando un casino di calore e umidità che vanno sprecati.
L’idea è quella di recuperare almeno una parte di questa energia, convertendo in energia elettrica l’energia cinetica generata dal movimento dei “ballanti”. Il pavimento, infatti, è a doppio strato. Fra i due strati è steso uno strato di cristali piezoelettrici (piezein = pressione) in grado di generare una differenza di potenziale quando sono soggetti a una deformazione meccanica. Ecco, quindi, che la pressione di centinaia di piedi in movimento può creare elettricità che va ad alimentare il locale stesso.
Fra l’altro, questo sistema è attualmente al centro dell’attenzione: si progettano impianti atti a recuperare energia dalla vibrazione creata da auto, tram e perfino persone che si muovono sulle scale.
L’Off_Corso è anche dotato di altri impianti eco-sostenibili: le pareti cambiano colore in base alla temperatura e all’umidità e l’acqua piovana (tanta, a Rotterdam) viene raccolta per essere usata negli sciacquoni.

The environmental association Enviu (Environment and You) ans Döll – studio for the art of building, develop The Critical Mass: the idea of a dance club with a low enironmental footprint.
The concept was realized at the Off_Corso dance club in Rotterdam.

With the Sustainable Dance Club, Enviu and Doll have taken on the challenge of creating a sustainable environment within clubbing. Next to physical and design solutions, we’ve also looked at the organisation itself, but foremost at how to create a sustainable and fully recyclable environment. You only have to imagine the amount of energy, warmth and humidity that a club crowd produces on such an evening to see the great potential. Furthermore important are the program of the club, the food and beverages that are served and creating the natural conditions in which drinking and flirting can take place. As thus a place is constructed in which people can make a sustainable contribution to their environment whilst enjoying life.

In the sustainable dance club, electric energy is created by the moving of dancers on a piezoelectric floor. Piezoelectricity is the ability of crystals to generate a voltage in response to applied mechanical stress.
Such crystals are embedded in the dance club floor, generating electricity while people are jumping and dancing on.

Un altra Bella Addormentata

Quando qualcuno riesce a prendere un classico e metterci dentro qualcosa che non si era mai visto prima…
Il Cullberg Ballet con coreografie di Mats Ek sulla Bella Addormentata di Piotr Ilič Čaikovskij (1999).

When someone can take a classic work and put in something new…
The Cullberg Ballet, Mats Ek choreographer dancing on Pyotr Ilyich Tchaikovsky’s Sleeping Beauty (1999).

Sempre più WebCam

Visto che la mania di spiare le webcam degli altri imperversa, ecco una serie di webcam non protette.
L’elevata quantità di giapponesi dipende dal fatto che qui sono le 24 e dato che l’ora giapponese è circa 12 ore avanti rispetto alla nostra, laggiù è mattina e quindi si trovano molte webcam funzionanti.
NB: se il contenuto non corrisponde al titolo, fate ruotare la webcam; qualcuno può averla spostata.

Buon voyeurismo.

Pubblicato in Web

La Musica dei Krhaangh, Pt. 1

Ci giunge questo contributo dal Dott. HakNam Auroma, esomusicologo affiliato all’Istituto di Esobiologia dello Spazio Profondo e attualmente distaccato sull’Enterprise. Volentieri pubblichiamo (in più parti perché è lungo e la traduzione è in corso).

I Krhaangh sono esseri chitinosi.
Questi individui insettiformi sono tenuti insieme da un esoscheletro con apposite superfici di risonanza. Non avendo alcun organo vibrante interno né alcuna possibilità di soffiare aria, i Krhaangh non sono in grado di produrre suoni continui. Tutto il loro universo sonoro è percussivo.
Naturalmente anche il loro linguaggio è formato da suoni percussivi. Come negli umani, infatti, lo stesso organo serve sia per il linguaggio che per la musica. Così, per capire le basi della musica dei Krhaangh, cominciamo con l’esaminare il loro linguaggio.

Le basi del linguaggio Krhaanergh

L’evoluzione agisce con principi simili in tutti i luoghi. Con il progredire della specie verso quella che chiamiamo intelligenza, si manifesta la necessità di una comunicazione via via sempre più complessa.
Nei Krhaangh, questa esigenza ha condotto allo sviluppo di cavità risonanti formate da una membrana chitinosa curva e di uno spazio sottostante perennemente riempito di aria.
Lo spessore della membrana non è costante, ma è più spesso verso i bordi e più sottile nella parte centrale. In tal modo, la sua percussione in diversi punti produce altezze diverse, più basse e sorde verso i bordi, più alte e vibranti al centro.
I Krhaangh percuotono tale membrana con le 3+3 dita ungulate con cui termina il secondo paio di braccia di cui sono dotati.
La cosa interessante è che, data la normale differenza di dimensioni fra i vari individui, anche le membrane risonanti sono di dimensioni diverse, il che significa che le altezze prodotte non sono le stesse per tutti gli individui. La cosa, in sé, non sorprende. Accade lo stesso anche negli esseri umani: generalmente la voce è più alta nelle femmine rispetto ai maschi e ancora più alta nei bambini.
Questo significa soltanto che, nella comunicazione degli esseri umani, l’altezza non è importante. Infatti possiamo dire una parola con voce bassa o in falsetto e la capiamo sempre.

La spiegazione è che, per noi, l’essenza della comprensione non è nelle altezze, ma nella successione di diversi suoni, cioè nelle differenze timbriche.
Ciò che è sorprendente, invece, è che, nei Krhaangh, l’essenza della comprensione sta proprio nelle altezze. Ma non nelle singole altezze, bensì nella loro successione, cioè nel profilo melodico.
Facciamo un esempio. Chiamiamo:
A un suono alto
M un suono di altezza media
B un suono basso
Ricordate che si tratta sempre di suoni percussivi di durata molto breve, come nel caso di un piccolo tamburo o di un tavolo di legno. La membrana chitinosa è piuttosto rigida.
Se ora produciamo la successione AMB, cioè alto – medio – basso, un po’ come una terzina a metronomo 80 (ma la velocità non è veramente importante), otteniamo la parola Krhaanergh che significa “io”, “me stesso”.
Se invece produciamo la successione ABM, alto – basso – medio, abbiamo l’espressione che significa “tu”.
Per la distinzione, non è importante quali note siano A, M e B, ma la loro successione: l’insieme nota iniziale – nota più bassa – ancora più bassa, significa “io” quali che siano le tre note, così come l’insieme nota iniziale – nota più bassa – nota più alta significa “tu” indipendentemente dalle note.
In effetti, parlando in termini un po’ più musicali, la parola “io” può essere codificata come “* – -” (asterisco meno meno) che significa “una nota qualsiasi, una più bassa, una ancora più bassa”. Nello stesso modo, “tu” si codifica “* – +”.
Di conseguenza, che suoniate Do4, Sol3, Do3 oppure Mi5, Fa#4, Fa3, un Krhaangh capirà sempre “io” perché per lui la cosa importante è l’andamento melodico (al massimo penserà che la vostra pronuncia è schifosa).
Tranne alcuni casi minori, la ripetizione di una altezza non esiste. In una singola parola, l’intervallo fra un suono e il successivo non è mai l’unisono; va sempre su o giù e i Krhaangh sono sensibili solo alla direzione dell’intervallo, non alla sua ampiezza.
Una frase Krhaanergh, quindi, è formata da una serie di gruppetti, ognuno dei quali è una parola, separati fra loro da una piccola pausa. L’aspetto ritmico e la velocità non sono importanti, a condizione che il “discorso” sia sufficientemente continuo e che i gruppetti siano chiaramente separati fra loro.

Dopo questo assaggio di grammatica Krhaanergh, ricordando che ogni gruppetto di percussioni è interpretato come una singola parola o un concetto, è importante capire quante siano le altezze utilizzate, per avere un’idea dell’estensione del loro dizionario.
Innanzitutto, l’entità minima è formata da 3 suoni. Le combinazioni di 2 suoni sono rare e vengono interpretate come delle interiezioni tipo ah, oh, beh o cose del genere (in realtà sono solo 2: * + e * -).
Fanno eccezione il segnale di assenso (sì: 2 suoni uguali, alti e veloci) e il diniego secco (no) che, pur essendo formato da 3 suoni bassi, è eseguito in modo così rapido da sembrare (a noi) un solo evento sonoro.
Collegato con l’assenso è anche un segnale singolo, alto, ripetuto più volte mentre l’interlocutore sta “parlando”, il cui significato è “capisco”, “ti seguo”, un po’ come quando noi emettiamo il caratteristico “mm mh” durante il discorso di un altra persona.
Questi sono gli unici casi di ripetizione della stessa altezza.

Finora, dall’analisi delle registrazioni da noi effettuate, il gruppetto più lungo risulta essere di 12 suoni, così come 12 è il massimo numero di altezze utilizzate (è il caso di una parola formata solo da intervalli ascendenti o discendenti). Notate che il numero 12 è coerente con il numero delle dita presenti negli arti usati per la comunicazione (3+3). In realtà siamo noi ad avere un numero di altezze strano rispetto alle nostre dita.
L’estensione di queste 12 altezze è di circa 2 ottave, cioè l’estensione che la membrana è in grado di produrre.
Dato che per i Krhaangh, l’unica cosa conta è la successione degli intervalli intesi solamente come ascendente o discendente, ne consegue che il loro dizionario è formato da 8188 parole di base (212+211+210+29+28+27+26+25+24+23).
Questo numero non è elevato, se confrontato al nostro dizionario di circa 300.000 parole, ma, a quanto ci risulta, i Krhaangh possono esprimere concetti complessi con l’accostamento di più parole (un po’ come cinesi e giapponesi riescono a esprimere tutte le sfumature linguistiche accostando alcuni dei loro 5000 ideogrammi).
Abbiamo anche notato, però, che l’estensione del vocabolario non è uniforme. Le classi sociali più basse fanno “discorsi” meno complessi. Non possiamo ancora dirlo con certezza, ma potrebbero utilizzare solo 11 suoni, disponendo così di sole 4092 parole base (le analisi sono ancora in corso). La cosa è coerente con il fatto che i piccoli accrescono gradualmente il numero di suoni utilizzati (come del resto fanno i nostri).
Il fatto che ci siano queste differenze, tuttavia, ci porta anche a chiederci se esistano individui che sono in grado di utilizzare gruppetti ancora più complessi. Attualmente, non abbiamo nessuna prova certa di aver contattato le massime intellighenzie di questa colonia, quindi non possiamo escludere che esista qualche individuo in grado di farlo.
In effetti, come vedremo, la loro musica raggiunge livelli di complessità anche superiori.

Semper Dowland

Una cosa interessante del Dowland Project è che, cercandolo su Google, il primo riferimento che si trova è All About Jazz e il secondo è ClassicsToday. È molto raro che questi due siti parlino dello stesso disco.
Dowland Project nasce da un’idea di John Potter, tenore, ex Hilliard Ensemble, quindi di estrazione dichiaratamente classica, che ha coinvolto Stephen Stubbs (chitarrone, chitarra barocca), Maya Homburger (violino barocco), John Surman (sax soprano, clarinetto basso) e Barry Guy (contrabbasso).
Classica batte jazz 3 a 2. Però bisogna ricordare che Barry Guy è poliedrico perché la sua esperienza musicale va dal jazz alla musica classica, fino all’improvvisazione estrema e John Surman è un grande sassofonista, capace anche lui di passare dal jazz alla musica improvvisata europea e alla musica elettronica.
La loro missione è quella di soffiare nuova vita nelle canzoni e nei madrigali del 17mo secolo riportandovi quel senso di improvvisazione e di freschezza che dovevano avere 400 anni fa.
E per far questo, iniziano, in epoca non sospetta (nel 1999), con un disco interamente dedicato a Dowland, “In Darkness Let Me Dwell”, pubblicato dai soliti “cagoni” (ma bravi) dell’ECM (ne esiste già un secondo, “Care-charming sleep”, dedicato a madrigalisti vari).

Niente da dire. Dal mio punto vista, è gran bello. L’inserimento dei fiati e del violino è stupendo. Potter canta proprio bene e anche gli altri non sono da meno.
L’unica cosa che mi lascia perplesso è la faccenda della nuova vita. Secondo me questa è una bellissima esecuzione quasi classica (o almeno classica nello spirito). Certamente riesce a riprodurre lo spirito con cui suonavano Dowland ai suoi tempi e poco dopo, però la sensazione che mi dà è sempre di ascoltare qualcosa di (meravigliosamente) antico.

Qui vi faccio ascoltare: Come Again, di cui vi metto anche il testo, e uno strumentale, Lachrimae Verae.

Come again,
sweet love doth now invite,
thy graces that refrain
to do me due delight.
To see, to hear,
to touch, to kiss,
to die with thee again
in sweetest sympathy
Come again,
that I may cease to mourn
through thy unkind disdain
for now left and forlorn.
I sit, I sigh,
I weep, I faint,
I die, in deadly pain
and endless misery
Gentle love,
draw forth thy wounding dart:
Thou canst not pierce her heart;
For I that do approve.
By sighs and tears
more hot than are
thy shafts, did tempt while she
for scanty tryumphs laughs

Stockhausen: Stimmung

StimmungIl rivolgersi a oriente tipico della seconda metà degli anni ’60 coinvolge anche Stockhausen che, nel fatidico 1968, abbraccia con decisione le filosofie orientali. Passando attraverso Stimmung, giungerà gradualmente alla definizione di una musica intuitiva, praticamente priva di partitura

Stimmung, per 6 voci (2 soprani., contralto, 2 tenori, basso; in altre versioni un tenore è sostituito da un baritono), è considerata come l’opera pop di Stockhausen, un po’ a causa della sonorità marcatamente modale, un po’ per l’aspetto (ingenuamente) mistico dell’opera, sottolineato dalle invocazioni alle divinità di varie culture.
Il carattere meditativo dell’opera è evidenziato dal fatto che il materiale base, anzi, l’unico materiale, è costituito da un accordo di 6 note ricavato dai primi armonici di una fondamentale (figura a sin.).
accordoQuesto non significa che tutta l’opera, che dura ben 70 minuti, sia costituita da un unico accordo, ma quasi. Un accordo di 6 note implica una gamma di possibilità che va dalle singole note fino ad accordi composti di 2, 3, 4, 5 e finalmente 6 note. Inoltre, ogni nota può essere potenzialmente eseguita da più di un cantante (tutti dovrebbero poter cantare il RE).
Stockhausen quantifica in 21 le possibili combinazioni di cantanti su una sola nota, ovvero il SIb può essere cantato solo dal basso (1), il FA da basso e 2 tenori (3), l’altro SIb da basso, 2 tenori e contralto (4), il RE da tutti (6), il LAb da 2 tenori, contralto e 2 soprani (5), il DO solo da 2 soprani (2), totale 21. Notare che il DO potrebbe essere cantato anche dal contralto, ma questa possibilità viene scartata perché così si ottiene il totale dei numeri da 1 a 6 nella serie 1-3-4-6-5-2 e notare anche che 1+2+3+4+5+6 = 21.
Ora esaminiamo il numero dei possibili accordi da 2 a 6 note: con 2 note abbiamo 15 combinazioni; con 3, 20; con 4, ancora 15; con 5, 6; con 6, 1. Totale 55. Stockhausen ne seleziona 30 che, aggiunte alle precedenti 21, fanno 51: queste sono le sezioni (senza soluzione di continuità) di cui è composta l’opera.
La regola è che in ogni sezione un cantante agisce come guida e propone una struttura ritmica enunciando uno dei nomi magici (divinità di varie culture), mentre gli altri si porteranno, molto gradualmente, a identificarsi con la voce guida mantenendo, però, la propria nota. L’articolazione ritmica è ottenuta mediante una modulazione del suono effettuata con le vocali, a evidenziare gli armonici. Il tessuto è, così, molto più complesso di quanto sembra.
In questa figura, disegnata dal compositore, si vedono, per ogni sezione, i cantanti attivi in quella sezione con la voce guida in neretto (sopra) e le note loro assegnate (sotto). Un circoletto identifica la nota assegnata alla voce guida. [NB: in una prima stesura, quella di questi appunti, l’accordo venne scritto sul SOL].
Karlheinz Stockhausen (1928-2007): Stimmung, per 6 voci (1968 = prima versione).
Collegium vocale Köln diretto da Karlheinz Stockhausen

Complexification

 

Complexification è un gran sito.
Nato dalla fertile mente di Jared Tarbell, coniuga arte e scienza creando affascinanti immagini con algoritmi più o meno complessi.
Paesaggi umani e disumani, microscopie di dettaglio infinito, biologie ipotetiche frutto del calcolo. Il tutto in un sito incredibilmente dinamico che cambia sotto i voltri occhi (lanciate gli applet) e spinge a esplorare (per i programmatori, quasi tutto è scritto in Processing).

Vexations

SatieQuesto ironico schizzo per un busto di Satie, firmato da lui stesso, reca la scritta “Sono venuto al mondo molto giovane in un tempo molto vecchio”.

Vexations è un semplice tema con due variazioni da ripetere 840 volte, per una durata che può andare dalle 12 alle 28 ore, secondo il tempo scelto (l’unica indicazione metronomica è “Très lent”).

Ovviamente questo brano, composto, forse, nel 1893, restò a lungo ineseguito fino al 1963, quando John Cage ne organizzò una pubblica esecuzione con un pool di pianisti: lo stesso Cage, David Tudor, Christian Wolff, Philip Corner, Viola Farber, Robert Wood, MacRae Cook, John Cale, David Del Tredici, James Tenney, Howard Klein (il critico del New York Times che era venuto per recensire e venne messo al lavoro) e Joshua Rifkin. L’esecuzione iniziò alle ore 18.00 e terminò alle 12.40 del giorno successivo, per una durata complessiva di circa 18 ore e 40 minuti.

Da quella volta, ebbero luogo varie altre esecuzioni (qualcuna anche in Italia). Nel giugno di quest’anno, a New York, è stata organizzata una Pianoless Vexations, una performance di 8 ore con elaborazioni, spesso irriconoscibili, di questa breve partitura, eseguita, però, senza pianoforte. Se ne possono ascoltare varie parti in questa pagina di UbuWeb.

Qui potete ascoltarne una versione pianistica per circa12 ore.

Ricerca Tematica

Due siti che consentono ricerche tematiche musicali.
Nel primo, Theme Finder, si possono introdurre melodie in vari formati: note con scrittura anglosassone, intervalli, gradi della scala e andamento melodico.

Per esempio: con “g g g e- f f f d” esce la 5a di Beethoven (e- è mib).
Ma si può anche indicare un contorno melodico, scrivendo: “- – \ / – – \” che significa “stessa nota, stessa nota, giù, su, stessa nota, stessa nota, giù”.
Con questa ricerca escono varie melodie che iniziano con 3 note uguali, una più bassa, una più alta, due note uguali, una più bassa (esempio la, la, la, mi, sol, sol, sol, fa). Naturalmente, salta fuori anche la 5a di Beethoven, che ha proprio questo andamento (andamento, non note).

Nel complesso, questo sito è interessante, anche perché, a partire dai risultati, la ricerca può essere allargata ai singoli movimenti. Inoltre si può impostare la libreria su cui effettuare le ricerche scegliendo fra classica, folk, rinascimento o tutte. I risultati, infine, vengono mostrati su pentagramma.

L’altro sito, Classical Music Search, è più semplice. C’è una tastiera virtuale per inserire le note con il mouse. I risultati sono in forma testuale e possono essere ascoltati via MIDI.

Analisi del discorso

Il blog Chir.ag ha analizzato più di 360 discorsi di presidenti USA (tutti, da Adams fino a GW) fabbricando per ognuno di essi una “tag cloud”, cioè una immagine in cui sono riportate le parole più utilizzate con dimensioni proporzionali alla loro frequenza nel discorso.
La trovate qui. È molto bella da vedere perché dà una indicazione istantanea su quali fossero i problemi maggiori al momento del discorso.
Se si guardano quelli di GW, si nota quanto segue:

  • nell’ultimo discorso di Clinton (2000), le parole chiave erano di tipo economico: sostenibile, rinforzare, bipartisan, investire, welfare
  • nel GW pre-attentato queste parole via via scompaiono e vengono sostituite da: fondi, guadagnare, debito, norma e commitment che significa sia incarcerazione che obbligo
  • immediatamente dopo l’attentato, tutte le parole sono piccole, il che significa che nessuna prevale decisamente sulle altre, come se chi parla non avesse un argomento principale. Un po’ di evidenza hanno, nel discorso del 20 settembre, bin (per bin laden), dolore, fondi e rafforzare e, 4 mesi dopo (gennaio 2002), campi, patria e regimi, ma, ripeto, senza una grande prevalenza
  • dal 2003 in poi, una sola parola campeggia enorme su tutto il resto: terrorist

Leo Ornstein

Leo OrnsteinNato in Ucraina (allora Russia) nel 1893 e morto negli USA nel 2002, alla rispettabile età di 108 anni, Leo Ornstein può essere considerato uno dei principali compositori sperimentali del primo ‘900.
Emigrato negli USA con la famiglia nel 1907, fra il 1913 e il 1920, quando si ritirò dalla scena concertistica, fu una delle personalità di spicco della scena musicale americana.

Come compositore, ha scritto vari lavori, fra cui alcuni decisamente innovativi per l’epoca, soprattutto per pianoforte.
Qui potete ascoltare il suo profetico “Suicide in an Airplane” per piano solo composto fra il 1915 e il 1918 (esecutore Daniele Lombardi).Potete anche vedere la partitura e apprezzarne la scrittura innovativa.

Il sito a lui dedicato dal figlio raccoglie molto materiale anche audio (con un po’ di rumore di fondo, prob. le registrazioni sono vecchie) e varie partiture.
Nella foto, Ornstein nel 1918 (25 anni) all’epoca di Suicide in an Airplane.

Ancora su Dowland – Sting

Alla fine, discutendo via mail con un amico, ho chiarito anche a me stesso la mia opinione su questo affaire Dowland – Sting e ve la posto, non perché sia, come dicono in america, “autoritativa”, ma per sapere cosa ne pensate.
Allora, secondo me il problema è se questo è un disco pop o no, cioè, che tipo di operazione fa Sting.
Quando un tot di anni fa, Emerson, Lake & Palmer facevano Pictures at an Exibition, non c’erano dubbi: quello era un disco pop (peraltro molto più becero di questo). EL&P riarrangiavano Musorgskij-Ravel in toto. Prendevano la partitura e la suonavano con un linguaggio completamente diverso, suoni diversi, strumenti diversi etc. Ne usciva un ibrido fortemente sbilanciato verso il pop.
Per restare su Sting, Russians è una versione pop dell’originale di Prokof’ev: resta la melodia, un po’ dell’armonia, ma il linguaggio è diverso. Tanto che quando l’ho sentita la prima volta, ho pensato “che bella melodia” senza rendermi conto dove l’avevo già sentita.
In questo disco, invece, Sting prima dice che vuole cantare Dowland “come se fossero canzoni pop del ‘600”, ma poi si cala nel ruolo dell’interprete tradizionale di Dowland. Si fa accompagnare solo dal liuto e da un esecutore classico, sebbene capace di inventare, rispetta perfino le tonalità, cerca di cantare decisamente più impostato e meno sguaiato del solito e così rovina anche la sua bella voce e la sua qualità interpretativa che di solito è buona, migliore di questa (prendete an englishman in new york come esempio di canzone tranquilla che lui canta bene).
Quindi, a mio avviso, non fa quello che dice. Lui cerca di cantare Dowland con gli arrangiamenti di Dowland (probabilmente qualsiasi liutista bravo del ‘600 si sarebbe preso un tot di libertà come fa Karamazov), i suoni di Dowland (liuto e voce), e un modo di cantare molto più misurato di quello di un cantante pop. Di conseguenza, il linguaggio di questo disco è più classico che pop e così deve misurarsi per forza con gli esecutori tradizionali (e non scrivere il nome dell’autore in piccolo).
In definitiva, probabilmente avrei preferito che si fosse circondato dei suoi soliti esecutori megagalattici un po’ pop un po’ jazz, avesse riarrangiato tutto usando strumenti moderni e trasformato Dowland in vere canzoni pop.

Cuore

Cuore
Un plauso a unamanolavalaltra che sta mettendo in linea il famoso Cuore (settimanale di resistenza umana). Allora almeno si rideva.
Questo giornale ha anche coniato una serie di espressioni che sono entrate nel linguaggio comune, come quella che vedete a sinistra.
NB: gli scan originali, che trovate sul sito di cui sopra, sono molto più grandi e perfettamente leggibili.

South Park e il 9/11

Sounth ParkI malefici e simpaticissimi ragazzini di South Park sono originali anche sul 9/11.
Nell’episodio 1009, “Mystery of the Urinal Deuce”, qualcuno defeca nell’orinatoio della scuola e Mr. Macey vuole che salti fuori il colpevole. Cartman suggerisce che si tratti di un complotto, “proprio come quello del 9/11”, ma su questo gli altri gli danno dello scemo.
Allora Cartman fa un’indagine che poi presenta alla classe, riuscendo a convincere tutti che si tratta di un complotto e il colpevole è Kyle. Qui inizia la solita storia complicata (potete leggere il plot qui) durante la quale i ragazzini entrano in contatto con i principali gruppi complottisti e in un primo tempo sembra che ci sia veramente il governo dietro il 9/11.
Ma alla fine salta fuori la verità. Le teorie del complotto sono un complotto del governo, con Bush che ammette: “la gente deve pensare che noi siamo dietro anche agli attentati, altrimenti risulterebbe chiaro che non riusciamo a controllare niente”.

DissCovers Radio Bagdad

Cover
Messo in linea da Rho-Xs, un buon disco contro la situazione attuale. Una serie di cover con testo più o meno cambiato da band più o meno note. Anche la copertina merita uno sguardo (cliccateci sopra).
Si scarica, tutto intero, da qui (119Mb), ma, come al solito, sbrigatevi, perché non l’ho messo io; l’ho solo trovato.
Att.ne: il formato è OGG, un formato aperto simile all’MP3. Non so se l’impuro Media-Player lo gestisce. In ogni caso, dentro lo zip che scaricate c’è un convertitore, ma comunque WinAmp ha un plugin.
E nel primo pezzo, c’è proprio lui, colui che ha dio dalla sua, il grande dittatore, che interpreta un mix fra Imagine e Take a Walk on the Wild Side. Appropriato. Eccolo:

Ed ecco la lista di brani e interpreti (fra parentesi il nuovo titolo)

    01 – GW.Bush – Imagine (Radio bagdad miX)
    02 – Petula Clark – Downtown (berlin uber bagdad)
    03 – Slimfast – Revolution (terror diet)
    04 – Psychic TV – Good Vibrations (shake the ground)
    05 – Bent – Dirty Mind (what else)
    06 – Nouvelle Vague – A Forest (get lost)
    07 – Yat Kha – Orgasmatron (deep throat)
    08 – Two Lone Swordsmen – Sexbeat (washington drums)
    09 – Hayseed Dixie – Walk This Way ( in the hole)
    10 – Scissor Sisters – Take me Out (stirred not shaken)
    11 – The Ridiculous Trio – No Fun (blow by blow)
    12 – No Talent Hack – Smells Like Teen Spirit (hellohello kraftwerk)
    13 – Nouvelle Vague – Too Drunk To Fuck (what luck)
    14 – Lemon Jelly – Come Down On Me (rock me hard)
    15 – t.A.T.u. – How Soon Is Now (too late)
    16 – Pat McDonald – Enjoy the Silence (say what )
    17 – Yat Kha – Love Will Tear Us Apart ( desertion blues)
    18 – Flunk – Blue Monday ( feels like teen spirit)
    19 – Ukelele Orchestra – Dy-Na–My-Tee (bumbs are us)
    20 – Lambeth Youth Steel Orch. – Sound of Silence (eerie)
    21 – Monthy Python – Sit On My Face (bagdad going down)

La guerra dei mondi (quella vera)

monumento
Il 30 ottobre 1938 un’ondata di isteria ha colpito gli ascoltatori di una trasmissione radio in cui un annunciatore descriveva, in diretta, lo sbarco e l’attacco alla terra di astronavi provenienti da Marte.
Era “La Guerra dei Mondi”, radiodramma messo in scena da Orson Welles basandosi sul romanzo di fantascienza di H. G. Wells.
Migliaia di persone in New Jersey e a New York abbandonarono le proprie case lanciandosi in auto verso ovest nel tentativo di sfuggire a dei marziani virtuali mentre altre migliaia tempestavano di chiamate la polizia e i pompieri.
Nell’immagine vedete il monumento che ricorda la trasmissione, posto sul luogo del finto sbarco (cliccate sull’immagine per ingrandire).

Qui potete ascoltare la trasmissione stessa in formato MP3.
Come potete sentire il programma era ben congegnato. All’inizio simulava una trasmissione di musica leggera che veniva ogni tanto interrotta da annunci e interviste su quanto stava accadendo. Via via, la descrizione degli avvenimenti diventava sempre più incalzante e drammatica. Il momento in cui i marziani attaccano, si sentono urla e la trasmissione si interrompe di colpo lasciando un buco di qualche secondo, poi, è un bel colpo di teatro (minuto 17 circa).
Oggi possiamo capire perché si sia scatenato il panico. La CBS inserì un annuncio che avvisava che si trattava di un radiodramma una sola volta nel 55 minuti di trasmissione e chi si collegava senza aver sentito la presentazione iniziale cadeva di colpo nel dramma.

La cosa buffa è che lo stesso Welles, non aveva minimamente previsto quelle che sarebbero state le reazioni del suo pubblico; non aveva intenzione di creare uno scherzo, come talvolta si crede, e finita la trasmissione si recò in un teatro vicino per prendere parte alle prove serali di uno spettacolo, venendo a conoscenza del putiferio che la sua interpretazione aveva scatenato soltanto il giorno dopo.
Oltretutto, Welles pensava che l’adattamento fosse noioso, e non avrebbe voluto proporlo, se non fosse che fu costretto ad usarlo perché si ritrovava senza altro materiale interessante a disposizione.

Furono le dimensioni della reazione ad essere sbalorditive. Sei minuti dopo che eravamo andati in onda le case si svuotavano e le chiese si riempivano; da Nashville a Minneapolis la gente alzava invocazioni e si lacerava gli abiti per strada. Cominciammo a renderci conto, mentre stavamo distruggendo il New Jersey, che avevamo sottostimato l’estensione della vena di follia della nostra America.
Orson Welles

In effetti, tutto avvenne nel giro di pochi minuti perché, proseguendo nell’ascolto, sarebbe stato chiaro che si trattava di un racconto da particolari come la distruzione delle città e altre cose simili.
A dire il vero, gli autori avrebbero dovuto quantomeno essere cauti. Non era il primo programma del genere. Nel 1926 un finto reportage di Ronald Knox su una rivolta a Londra venne trasmesso dalla BBC creando un certo panico in città (ma il panico inglese è niente rispetto a quello americano).

La genesi del rock satanico

Il Libro
Sono andato a fare qualche ricerca, nella mia biblioteca, sul preteso satanismo di Hotel California e mi è capitato in mano il libercolo capostipite dell’intera faccenda.
Ma voi sapete come è iniziata questa storia del satanismo nel rock?
Inizia nel 1983, con un libretto (meno di 100 pagg.) di un sacerdote canadese, tale Jean Paul Régimbal, che viene ristampato in Europa e in Italia nel 1987. Il titolo è bellissimo: IL ROCK’N’ROLL – Violenza alla coscienza per mezzo dei messaggi subliminali (nella versione originale c’era anche la cassetta audio, arrivata in Italia più tardi). La copertina, pure (in figura).
Me lo segnala qualcuno, forse Nicola. Lo compro subito e già nell’introduzione vengo folgorato dalla seguente geniale intuizione (cito)

Lo studio di 18 casi di suicidio avvenuti dal 1979 al 1980 nella regione di Montréal-Grandby-Québec, di giovani dai 15 ai 21 anni, ha dimostrato che

la sola costante reperibile in tutti questi casi era l’ascolto della musica rock (in corsivo e centrata nel testo)

Ma vi rendete conto? Alla fine dei ’70, era quasi impossibile trovare un ragazzo fra i 15 e i 21 che non ascoltasse rock. È come dire che, nell’esame di 18 casi di suicidio di americani fra i 30 e i 40 anni, la sola costante è che tutti possiedono l’automobile. Ergo, l’automobile è la causa del suicidio.
Il testo procede, poi, con una breve storia del rock dalle origini al rock satanico, costellata di perle come la seguente (a proposito dell’hard rock)

Ciò che distingue questa seconda ondata, è innanzitutto un perfezionamento del ritmo, l’intensità del volume e la furia frenetica degli strumenti a percussione.
Per quanto riguarda il ritmo, è stata fatta una intensa ricerca tra le tribù africane e gli ambienti del vodù (sic) […] Inoltre, allo scopo di condurre gli ascoltatori ad un godimento sessuale completo, è stato fatto un inventario di tutti i riti copulatori, degli incantesimi e degli scongiuri per riprodurre il più fedelmente il succedersi dei ritmi.

Magari l’hard rock avesse tale potere! Cambierei subito musica!
La cosa divertente è che, secondo l’autore, l’hard rock è una cospirazione costruita a tavolino per pervertire le giovani menti. Ora, che una musica in 4/4 in cui il levare serve solo per aspettare il battere possa spianare il cervello a qualcuno è anche possibile, ma la complessità dei ritmi africani e voodoo non è nemmeno sfiorata dall’hard rock, la cui regola, invece, è una pulsazione ritmica semplice e continua (e proprio per questo qualche volta è bello).
Altra perla:

L’intensità del suono è di 20 dB oltre il limite di tolleranza dell’orecchio umano

Idiozia immane. Basta guardare la tabellina nel mio corso di acustica. Casomai, sfiora la soglia del dolore, che non è la stessa cosa.
Potrei continuare con altri dati fino a smontare totalmente questa asserzione, ma non ne vale la pena, perché le cose più belle vengono dopo (dal punto di vista tecnico, il libro è pieno di idiozie immani, circa una ogni 2 pagine).
Quando arriva alla terza fase, il rock satanico, ne indica come artefici nientemeno che i Beatles del 1965, con il brano Norwegian Wood in Rubber Soul. La sordida cospirazione poi continua con Sgt Pepper’s, Magical Mistery Tour e finalmente con quello che lui chiama il Devil’s White Album a causa delle due Revolution (number one e nine).
A parte l’inversione storica (questi dischi vengono ben prima dell’hard rock), la cosa buffa è che per noi, a quel tempo, i Beatles erano bravi e raffinati, ma tutti casa e famiglia, tutt’altro che dei rivoluzionari. Poi, infatti, il nostro se la prende con gli Stones e tanti altri (dai Black Sabbath ai KISS), ma qui è fin troppo facile.
E proprio da questo libro, inizia la moda di inserire i messaggi al contrario.
A proposito, qui, credo, nasce anche la leggenda secondo la quale il nome KISS significa Kings In Satan’s Service.

Comunque, alla fine ho trovato il capitolo su Hotel California. In breve, sostiene che la canzone è consacrata interamente alla chiesa di satana di Anton La Vey (l’ispiratore di Manson) e che il testo è una allegoria della vendita dell’anima a satana in cambio di piacere, ricchezza, etc (noi lo interpretavamo come un’allegoria dell’esperienza psichedelica).
Ma c’è anche un testo lungo un’intera pagina che è ciò che si sentirebbe ascoltando la canzone al contrario. Inutile dire che ho provato e non ho sentito nulla.
D’altra parte, una cosa del genere, con un palindromo così lungo, è più difficile che scrivere l’arte della fuga. Pensate che uno dei più lunghi palindromi conosciuti è

    in girum imus nocte et consumimur igni

Agli occhi di qualcuno, già la citazione di questo verso mi qualifica come satanista.
Se volete approfondire la cosa, cercate su Google il centro culturale san giorgio (mi rifiuto di mettere un link per non regalargli punti in google).

Finalmente risolto il problema del batterista

Haile
Se questa ricerca procede, fra un po’ potrete, a cuor leggero, minacciare di licenziamento il vostro batterista :mrgreen:.
Haile è un percussionista robotico che è in grado di ascoltare gli altri musicisti (umani), analizzare in tempo reale la loro performance e suonare insieme a loro, anche improvvisando.
Guardatevi questi due video (quicktime). Nel primo, “Pow”, Haile suona insieme a un percussionista che usa un powwow drum tradizionale degli indiani d’America. Nel secondo, “Jam’aa”, Haile suona con vari musicisti equipaggiati con tamburi medio-orientali.
Quest’ultimo video, invece, è dimostrativo e didattico.
Heile è stato sviluppato da Gil Weinberg e Scott Driscoll press il College of Computing della Georgia Tech.

Come informatico, però, lasciatemi dire che sviluppare un programma che ascolta e segue un percussionista umano non è così difficile, perché la percezione del ritmo è data dagli attacchi e gli attacchi dei suoni percussivi sono facilmente individuabili.
Ben altra cosa è seguire un flautista o un violinista. Intanto l’attacco di questi strumenti non è così secco e poi, se questo comincia a fare lunghe frasi legate, in cui gli attacchi non si sentono, allora il computer deve capire il ritmo individuando il cambio di nota e la cosa è più complicata.
Come vedete, per ora il sistema è in via di perfezionamento, però, con la velocità della tecnologia, aspettiamoci, fra un po’, una band fatta di robot che suona dal vivo musica semplice (per es. tipo kraftwerk) senza essere pagata.

Elettronica anni ’50/’60

Electronic Panorama

Un cofanetto di 4 dischi, Electronic Panorama, pubblicato da Philips negli anni ’70 e ormai fuori catalogo viene ora distribuito gratuitamente in formato digitale dal sito Earlabs.
Si tratta di materiale storico, rappresentativo di scuole diverse, prodotto dalle avanguardie elettroniche degli anni ’50 e ’60 negli studi di Parigi, Utrecht, Varsavia e Tokyo.
Come esempio ascoltate Screen di Jaap Vink (Utrecht), uno di quei brani stile grande fascia in auge alla fine degli anni ’60.

La pagine da cui scaricare sono

L’Universo non è user friendly anche se lo sembra

kakophone

Signore e signori, vi presento il Kakophone.
Questo divertente sintetizzatore virtuale genera una quantità infinita di suonerie personalizzate in diversi stili. Poi ve le manda al vostro indirizzo email. Tutto gratis. In cambio vi chiede solo di iscrivervi a una newsletter, verosimilmente pubblicitaria, che poi potete annullare.
L’oggetto è effettivamente molto simpatico. Fa un sacco di rumorini graziosi. Immagino che torme di ragazzini si siano immediatamente fiondati sul sito. Provatelo anche voi. Però, prima, seguite questo ragionamento.

Dunque, per prima cosa il kakophone vi chiede il vostro numero telefonico che appare sotto forma di bar-code nell’immagine (sulla destra sotto alla freccia; 789… non è il mio). Il numero serve come base per un generatore di numeri casuali ed è quello che assicura che una suoneria non possa essere duplicata. Dal punto di vista informatico è corretto. Ovviamente potete dare un numero qualsiasi, ma di solito non ci si pensa. Anch’io ho dato il mio.
Poi voi giocherellate con l’oggetto. Generate un po’ di suonerie e ne scegliete una. A questo punto il programma te la deve inviare come file perché tu possa caricarla nel telefono e ti chiede nazionalità, marca e modello del telefono e email.
E qui mi sono bloccato. Perché, così facendo, il sito conosce e associa

  • la mia nazionalità
  • il mio numero di telefono
  • la mia email
  • marca e modello del mio telefono

Non male. Vi rendete conto? Va bene che non può esserne sicuro e io sono tendenzialmente paranoico, ma le vie di internet sono infinite…

Siamo una casa discografica, ma non siamo cattivi

UPDATE 2024

Come si sia evoluta l’esperienza di Magnatune potete leggerlo qui.
È comunque durata 21 anni ed è istruttiva. Quelle che seguono sono le dichiarazioni d’intenti alla nascita.

Magnatune è una etichetta discografica di nuovo genere che lavora via internet e tenta di ristabilire un equo rapporto fra artisti, pubblico e produzione.
I punti base della sua metodologia sono:

  • Divisione equa dei profitti: i musicisti ricevono il 50% sulle vendite.
  • MP3 gratuiti per pre-ascolto: tutti gli album possono essere interamente e gratuitamente scaricati in MP3 di buona qualità disturbati solo da una voce che ripete i nomi dell’etichetta e dell’artista fra un brano e l’altro. La musica non è disturbata.
  • Nessuna protezione anti-copia. La musica acquistata può essere copiata su qualunque dispositivo.
  • Ottima qualità audio: gli album possono essere acquistati in molti formati. MP3 di alta qualità, originale in WAV, AAC, FLAC, OGG. Si può anche acquistare il CD che viene spedito.
  • L’acquirente partecipa alla formazione del prezzo. A mio avviso, questa è la novità più interessante e intelligente. Ne parliamo in dettaglio qui sotto.

Il prezzo
I prezzi sono specificati in dollari, euro e sterline.
Quando acquistate un album in download, vi viene consigliato un prezzo, tipicamente € 6, come vedete abbastanza basso. Voi, però, potete offrire una cifra diversa che va da un minimo di € 4 a un max di € 14. Non c’è contrattazione. Voi comprate l’album alla cifra che scegliete.
Ricordate che, prima dell’acquisto, potete scaricare l’intero album in MP3 (non solo degli estratti) e ascoltarlo per quanto volete (anche mesi). Se poi ritenete che valga meno di € 6, lo comprate a 5 o 4. Se pensate che valga molto, potete offrire € 8 o 10 o ancora di più. Pensate che il 50% di questa cifra va all’artista.

Tutto questo vale per la vendita al dettaglio per l’ascolto privato. Se invece volete acquistare della musica per inserirla in un vostro progetto anche commerciale (film, video, locali pubblici, compilations, perfino remix, etc), allora potete acquistare una licenza.
Il prezzo delle licenze cambia in base al budget del progetto e a vari altri fatti, tipo l’ampiezza della distribuzione, se è un progetto su web, se la musica è usata anche nella pubblicità, eccetera.
Vediamo alcuni esempi. Licenza per una canzone usata in:

  • Un film con minimo budget (meno di $ 10000 che per un film è niente) che gira solo nei festival d’autore = $100
  • Stesso film che però è distribuito nelle sale a livello nazionale = $ 380
  • Stesso film distribuito nelle sale tutta la UE = $ 690
  • Stesso film distribuito nelle sale in tutto il mondo = $ 869
  • Film con budget fino a $ 5 milioni distribuito in tutto il mondo = $ 4785
  • Film con budget fino a $ 5 milioni distribuito in tutto il mondo e canzone usata anche nei trailers = $ 7177
  • In modo simile si calcolano i prezzi per altri tipi di progetto. C’è una apposita pagina di calcolo sul sito.

Repertorio
Posso dire di aver visto crescere questa etichetta. L’avevo già vista vari anni fa, poco dopo l’apertura, quando aveva in repertorio solo una cinquantina di album. Oggi Magnatune distribuisce più di 200 artisti e più di 500 album di tutti i generi, dalla musica classica all’heavy metal. Andate a leggervi le dichiarazioni del fondatore John Buckman per capirne lo spirito.

L’Universo non è user-friendly ma a volte fa ridere

Che cosa si scrive di solito su un documento quando non si vuole venga diffuso?
Per esempio “confidential”, oppure “not for distribution”, o ancora “not for public release”. In italiano, “strettamente confidenziale” o cose del genere.
E dove si usano documenti di questo tipo? Nelle aziende, nelle organizzazioni e in posti del genere. E ovviamente, perché sia accessibile agli interni, si piazza in una apposita cartella sulla intranet aziendale. E come al solito l’idiota di turno dimentica che in quella cartella ci arrivano anche i robots, come quello di Google.
Adesso cercate le frasi di cui sopra in Google e divertitevi a spulciare fra le decine di migliaia di documenti che saltano fuori. Ovviamente non tutto quello che trovate è un documento confidenziale; ci sono anche pagine che contengono le suddette frasi per caso (come questo post), ma in ogni caso, sembra proprio che molte aziende si divertano a spiattellare i propri verbali in faccia a cani e porci.
I risultati migliori li ho ottenuti con questa ricerca. Se poi si limita il tipo di file a pdf va ancora meglio.
Adesso provate anche ad aggiungere il nome di una specifica azienda…

John Whitney

Animation
John Whitney (1917 – 1995) è stato uno dei pionieri della computer graphic collegata alla musica.
Dopo aver iniziato con film sperimentali in 8 e 16 mm, Whitney teorizzò un collegamento diretto, su basi matematiche, fra la serie armonica e una serie di forme in movimento (tutto questo nel suo testo più importante, Digital Harmony, pubblicato da McGraw-Hill nel 1980).
Il suo lavoro può apparire un po’ naïf adesso, ma è stato penalizzato dalla poca potenza dei computer dell’epoca. Oggi abbiamo questo sito, segnalato da Federico, in cui alcune delle idee di Whitney prendono la forma di animazioni flash che uniscono immagine e suono.
Le animazioni funzionano come segue: le sferette colorate che partono insime viaggiano su traiettorie circolari con velocità legate alla serie armonica. Se la sfera più grossa fa un giro in, poniamo, 2 minuti, quella immediatamente più piccola, nello stesso tempo fa 2 giri; la seguente fa 3 giri, l’altra 4 e così via, esattamente come, nal caso degli armonici, mentre la fondamentale fa 1 ciclo, il primo armonico ne fa 2, il secondo 3 eccetera. Inoltre, ogni volta che una sfera attraversa la linea orizzontale, emette la nota ad essa collegata, che dipende dal tipo di esempio che scegliete.
Tutte le figure che si formano sono generate unicamente dai rapporti delle velocità. Quando le sfere sono allineate, gli armonici sono in fase.
Potete verificare il tutto lanciando l’ultima variazione (hand cranked) in cui il movimento viene controllato manualmente con una simpatica manovella.

Il CD è morto, dice la EMI

Il presidente della EMI, Alain Levy, parlando alla London Business School, ha affermato che ormai il CD è morto e che in breve le compagnie non saranno più in grado di venderlo, se non offrendo del non meglio specificato “materiale aggiunto” (fonte della notizia: Market Watch).
Levy ha affermato che il 60% dei consumatori acquista il CD solo per scaricarne il contenuto sui computer e sui lettori portatili. Ciò nonostante, ha continuato, non sarete costretti a regalare un iPod a vostra suocera. Dovremo rendere il CD più attraente come contenuto fisico.

Attualmente, però, le statistiche di vendita danno ancora il CD in vantaggio di 7 a 1 (70% contro 11%) e non sembra che le major si stiano dando molto da fare per passare alla vendita in formato digitale. Quindi possiamo solo immaginare che i CD si trasformeranno in cofanetti con dentro gadgets di tutti i tipi, il che dimostra anche che le major, pur di mantenerli, sono disposte a limare ulteriormente i loro profitti.
Tutto ciò, in pratica, è una ammissione del fatto che il mercato è cambiato, ma le aziende non sono ancora pronte.

Takahashi, Yûji

Yûji
Il pianista e compositore giapponese Yûji Takahashi pubblica parecchie partiture delle proprie composizioni sul suo sito.
Nella maggior parte dei casi si tratta di opere aperte che richiedono un intervento decisionale da parte dell’interprete.

Le ragioni del cambiamento

La domanda/commento di nicola al post sul momento del cambiamento pone, in breve, il seguente problema: perché, a quel punto della storia, la musica dei morti cominciò a contare di più di quella dei vivi?
Non abbiamo una risposta definitiva, comunque, sempre secondo Sandow, all’inizio del 19mo secolo cominciò a formarsi l’idea che vedeva nell’epoca classica un periodo d’oro, di perfezione assoluta.
Così cominciò anche ad emergere l’idea di musica classica; l’idea, cioè, che la musica di alcuni compositori del passato avesse un valore trascendente, che non fosse mero entertainment e quindi che dovesse essere ascoltata con grande attenzione e che dovesse essere eseguita esattamente com’era stata scritta.
E naturalmente anche i compositori del’800 cominciarono ad aspirare a scrivere musica del genere. Una musica che esprimesse sentimenti superiori, non un semplice divertimento. Una musica che li rendesse immortali, anche. E per il romanticismo, così pieno di nostalgia, di grandi ideali e di spinta verso l’assoluto, una concezione del genere era perfetta.
Il sentimento romantico di reverenza per il passato perduto è ben rappresentato da questo aneddoto raccontato da Berlioz e riportato da Peter Gay nel suo libro The Naked Heart.
Berlioz racconta che Listz, durante un concerto, aveva suonato il Chiaro di Luna di Beethoven rovinandolo con una quantità di trilli, tremoli e abbellimenti che strappavano applausi al pubblico.
Più tardi, però, senza il pubblico e alla presenza degli amici, aveva fatto spegnere tutte le luci, suonando al buio l’Adagio dalla stessa sonata e qui Berlioz dice:

…dopo un attimo di pausa, iniziò nella sua sublime semplicità la nobile elegia che prima aveva così duramente sfigurato; ma stavolta non una nota, non un accento erano diversi da come li aveva pensati il compositore. Quello che stavamo ascoltando era la fusione dello spirito di Beethoven con il grande virtuoso. Tutti noi tremavamo in silenzio e dopo l’estinguersi dell’ultimo accordo, nessuno osava parlare… eravamo in lacrime.

Qui c’è anche il primo indizio di scissione: il divertimento per il pubblico, la profondità del sentire per un ristretto cenacolo di veggenti.

Un altro aneddoto.
Jan Swafford, nella sua biografia di Brahms, racconta che nell’ottobre del 1895, Brahms si recò a Zurigo per dirigere il suo Triumphlied all’inaugurazione della nuova Tonhalle. Entrando nella sala, guardò sul soffitto i ritratti dei grandi compositori e vide Bach, Mozart, Beethoven… e sè stesso.
Sandow fa notare come questa fosse un’esperienza del tutto nuova. Bach, Mozart e Beethoven non avrebbero mai potuto trovarsi in una situazione del genere. E ricorda anche che, già nel 1840, l’insegnante di Brahms, Marxsen, affermava che le forme musicali create da quei compositori (più Haydn) erano “eternamente incorruttibili”.

Qualcosa era cambiato. Per sempre.

Gli strumenti di Harry Partch

Harry Partch
Sono praticamente sicuro che nessuno di voi ha mai sentito, in concerto, musiche di Harry Partch.
Eppure Harry Partch (1901-1974), compositore americano, è uno dei più innovativi, iconoclasti e individualisti musicisti di tutti i tempi. Per far capire la cosa anche ai cultori del pop, la sua posizione nella musica classica è, in un certo senso, simile a quella di Frank Zappa nel pop. Gli aggettivi utilizzati per definirli sono gli stessi e anche la carica ironica.
A tratti geniale, ma isolato perché la sua musica è impossibile da eseguire con una orchestra tradizionale. Partch, infatti, non utilizza il sistema temperato, ma la scala naturale, strettamente basata sulla serie degli armonici (mentre il sistema temperato fa una serie di aggiustamenti). Per scrivere con questo sistema, Partch, oltre ad utilizzare spesso una notazione non tradizionale, ha costruito da solo i propri strumenti. Ne ha realizzato decine, tali da organizzare una intera orchestra. Le sue creazioni, originali e/o ricostruite, comprendono strumenti a percussione, a corde e vari tipi di organi a canne o ad ancia. Oggi formano la Harry Partch Instrument Collection e vengono utilizzate per le incisioni e per i concerti.
Così, nei suoi pezzi non è raro vedere un ensemble come questo:

Instrumental ensemble: tenor-baritone, soprano, bass, adapted guitar, 2 chromelodeons, 2 kithars, surrogate kithara, 5 harmonic canons, bloboy, koto, crychord, diamond marimba, quadrangularis reversum, bass marimba, marimba eroica, boo, eucal blossom, gourd tree, cone gongs, cloud chamber bowls, spoils of war, zymo-xyl, mazda marimba, ugumbo, waving drums, Bolivian double flute, mbira, ektara, rotating drum, belly drums, gourd drum, 6 bamboo claves, 4 eucalyptus claves & rhythm boat

E proprio questo ensemble strumentale è relativo alla sua opera in due atti “Delusion of the Fury – A Ritual of Dream and Delusion” (1965-66), che potete ascoltare cliccando sui “Related Posts” qui sotto.

Anche la sua vita non è stata molto convenzionale. Musicista precoce (suonava clarinetto, harmonium, viola, piano, chitarra già da bambino e componeva prima dei 20 anni vincendo borse di studio), attraversò un periodo molto duro durante la grande depressione, riducendosi a vivere come un hobo (musicista vagabondo, senza fissa dimora), viaggiando a sbafo sui treni e sopravvivendo con lavori casuali in luoghi diversi.
In tutto questo periodo, durato 10 anni, continuò a scrivere le sue esperienze su un giornale chiamato Bitter Music (musica amara), spesso sotto forma di frammenti di conversazioni udite per caso, notate su pentagramma in base all’altezza delle varie voci.

Esempi dell’ Harry Partch Istrumentarium

Il momento del cambiamento

Greg Sandow (storico dell’arte) pubblica questi dati che individuano con una certa precisione il momento in cui si è sviluppato il concetto di musica classica:

Fra il 1815 e il 1825, nei concerti promossi da una delle principali organizzazioni musicali di Vienna, il 77% della musica era di compositori viventi e solo il 18% di compositori morti (il restante 5% era di compositori a noi sconosciuti, di cui ignoriamo la biografia).
Nel 1849 la percentuale era quasi esattamente invertita.

Oltre il loro tempo: Farben

Ogni tanto, nella storia della musica, saltano fuori delle composizioni che vanno oltre il loro tempo. E questo non nel senso che sono delle grandi opere, punti di partenza per le generazioni future, ma proprio perché, per qualche strana e indefinibile ragione, il loro linguaggio travalica la contemporaneità dando vita a qualcosa di difficilmente databile. Qualcosa che, agli occhi di qualcuno che pure conosca bene la storia della musica occidentale, appare come un oggetto difficilmente inseribile in un periodo storico, un pezzo al quale viene assegnata una data di molto posteriore alla sua nascita, un brano quasi sfuggito di mano allo stesso compositore perché nemmeno lui, probabilmente, è in grado di comprendere completamente ciò che ha fatto.
Proprio per questo, di solito si tratta di composizioni che non sono così apprezzate al momento della loro presentazione, perché hanno qualcosa di inusuale o comunque suonano “strane”. Spesso sono difficili da capire perché il loro linguaggio non è ancora completamente codificato, ma il perché e il come, in quel momento sono inspiegabili. Soltanto la storia può dirlo.

È il caso di Farben di Arnold Schoenberg. Il terzo dei 5 pezzi per orchestra op. 16, composti nel 1909.
In questi pezzi l’ambientazione espressionista e il linguaggio atonale che la sostiene raggiungono i livelli più alti.
Melodia, armonia e perfino il ritmo (l’elemento più criticato e meno innovativo in Schoenberg) sono sentiti in un unico spazio polifonico nel quale il totale cromatico viene utilizzato pienamente in modo libero, innovativo e indipendente.
È il periodo atonale di questa seconda scuola di Vienna, che va dal 1909 al 1923 (anno di definizione della teoria dodecafonica). A mio avviso si tratta di uno dei periodi più fecondi per Schoenberg. La libertà di sperimentare e la ricchezza inventiva che si respirano nelle composizioni di quest’epoca saranno difficilmente eguagliate, anche negli anni seguenti.
“Farben”, posto dall’autore come sottotitolo a questo brano, significa “colori”, ma in tedesco, questa parola, unita a Klang (suono), assume il significato di timbro musicale (Klangfarben) ed è proprio il timbro l’elemento portante di questo pezzo in cui Schoenberg fa un passo decisivo verso quella Klangfarbenmelodie (melodia di timbri) che è sempre stato uno dei suoi sogni.
La leggenda, infatti, narra di Farben come nato da una discussione fra Schoenberg e Malher (suo estimatore e protettore), sull’idea di creare un brano basato non su una successione di altezze (note), ma su una successione di timbri.
Qui Schoenberg ci prova e in parte ci riesce.
Farben inizia con un accordo di cinque note (do, sol#, si, mi, la) lungamente tenuto che si alterna fra 2 gruppi strumentali: 2 flauti, clarinetto, fagotto, viola, l’uno e corno inglese, tromba (sordina) fagotto corno (sordina), viola, l’altro, con il contrabbasso a fungere da legame.

Però è quasi impossibile rinunciare all’articolazione delle altezze nella nostra musica. Farlo, significa approdare a qualcosa di radicalmente diverso ed era decisamente impossibile farlo nel 1909.
Così dentro a Farben c’è anche un canone a 5 voci quasi impercettibile perché le melodie passano da uno strumento all’altro e la sua identificazione è resa anche più complessa da gruppetti di suono puntuali (quasi polvere) di densità crescente.
Sembra che Schoenberg abbia voluto utilizzare il canone per dare un’unità formale all’insieme, nascondendolo, però, alla percezione conscia, un po’ come certe strutture bachiane che sostengono alcuni brani dell’Arte della Fuga o delle Variazioni Goldberg, risultando visibili solo a un esame della partitura. Qui la percezione è di una apparente staticità iniziale che si frammenta, via via, in una molteplicità di voci fino al ricongiungimentol finale in un cangiante tessuto sonoro.
Grazie a questa impostazione sperimentale, Farben assume all’ascolto una forma assolutamente inusuale per quei tempi, ma proiettata verso un futuro possibile. È un brano breve: soltanto 44 battute che, inserite nel bel mezzo del furore espressionista dell’op. 16, suonano come un intermezzo meditativo. Una delle immagini citate a proposito di questo pezzo da Schoenberg pittore, parla dei riflessi di luce sulle acque di un lago. Però, isolato, potrebbe benissimo apparire come un pezzo pre-ligeti degli anni ’60 o come qualcosa dello Xenakis di fine ’50, ma anche se qualcuno lo scrivesse oggi, non lo riterrei un pezzo datato.

Ascolto: Farben

Qui invece avete un tentativo di analisi in video (meglio andare su youtube per poter ingrandire a tutto schermo)

Unire l’utile al dilettevole

pc-farm
Boing Boing pubblica una segnalazione di un utente polacco secondo il quale la polizia di quel paese avrebbe arrestato un ragazzo di 17 anni che ha trovato il modo di integrare una coltivazione di cannabis nel case del proprio computer (foto a fianco).
Il pc, peraltro regolarmente funzionante, era stato modificato in modo da contenere una fonte di luce e mantenere un tasso di umidità costante.
Ecco il link al sito della polizia polacca.

Musikethos

Fortunatamente, continua da parte dei musicisti, il processo di abolizione dell’intermediazione e delle entità inutili e/o dannose.

Musikethos.org nasce con l’intento di promuovere le creazioni ed interpretazioni musicali di un gruppo di artisti che intende proporsi a un pubblico internazionale, vasto ed eterogeneo mediante la distribuzione gratuita di registrazioni non reperibili sul mercato discografico. L’obiettivo è quello di incoraggiare l’esecuzione di musica dal vivo scavalcando l’intermediazione di soggetti (agenzie, case discografiche, etc) che rendono sovente il panorama concertistico vetusto e ripetitivo.
I brani e le esecuzioni che troverete nella sezione Download sono scaricabili gratuitamente grazie alle licenze di utilizzazione Creative Commons, che permettono all’utente la copia ad uso personale e la distribuzione a fini non commerciali nel rispetto dell’integrità e della paternità dell’opera e della registrazione.

Fra i molti brani disponibili vi propongo il Prelude à l’après-midi d’un faune di Debussy nella trascrizione di Ravel per pianoforte a 4 mani. Esecutori: Duo Pianistico Paldi Fruttini (Registrazione dal vivo: Roma, 22/07/2006)

Abominio!

Se riuscite a non svenire, ecco una versione dub dell’intero Dark Side of the Moon ovviamente reintitolata dub side of the moon.
Eccovi The Great Dub (Gig) in the Sky (resistete fino alla parte della cantante, ne vale la pena) e un Time con tanto di voce dai sussulti reggae.

Pubblicato in Pop

Compositori e francobolli

Ives stamp

Bello il francobollo di Ives!
Dal 1847 a oggi soltanto poco più di 800 persone hanno visto il proprio viso o il proprio nome su un francobollo delle poste usa (su un totale di 4000 francobolli).
Dire “hanno visto”, però è improprio. La prima condizione per apparire su un francobollo, infatti, è essere morti.
Non è strettamente necessario, invece, essere americani, ma bisogna essere del calibro di Dante, Gandhi o Gropius per entrarci.
I compositori rappresentati sono per la maggior parte sconosciuti da noi, per cui ho messo un link a wikipedia sul nome, così potrete farvi una cultura. L’unico straniero è Stravinsky.
Ecco la lista (l’anno è quello del francobollo). Oltre a quelli qui riportati ci sono vari jazzisti e qualche songwriter.

Non impareranno mai…

Un po’ di tempo fa (prima delle elezioni) mi arriva una mail dalla locale sezione dei DS con dentro un manifestino che mi invita a un dibattito.
Il manifestino è un .doc redatto in Word. Io giro su Linux. Ho anche un computer windoze, ma non ho Office. Non un solo byte del mio sito è stato contaminato da programmi micro$oft.
È vero che ho Open Office, ma, dato che ho anche questa tara che mi spinge a spiegare le cose (sono uno che è arrivato a scrivere al sindaco per protestare perhé sul sito del comune c’era un .doc), mi prendo la briga di rispondere ai DS consigliandoli di non usare un formato proprietario o almeno di scegliere formati magari proprietari, ma visibili con programmi gratuiti tipo rtf o pdf.
Mi rispondono dicendomi che è vero, che è giusto e mi rimandano il manifestino in pdf. Fantastico.
Ci credete voi? Quello è stato un caso unico. Tutti i messaggi successivi, fino all’ultimo di ieri, sono tornati in .doc.
Ma è mai possibile che, in un partito grosso come i DS non ci sia qualcuno che capisca queste banalità?

Go on, kiddo!

Questa è grande! ROTFL (rolling on the floor laughing).
È una lettera a una rubrica di consigli (Ask Amy) di un giornale locale USA, segnalata da The Well Tempered Blog.
Ve la traduco.

Cara Amy:
Mio cugino undicenne è un musicista dilettante, ma la sua “musica” consiste nel martellare il piano il più forte possibile per ore.
(non è disabile o autistico, solo un ragazzino medio)

Il suo modo di suonare il piano diventa un problema quando lui e i suoi vengono alle riunioni di famiglia a casa dei miei genitori. Per tutto il tempo in cui la sua famiglia è da noi, lui martella sul nostro piano, persino durante il pranzo di Natale o del Giorno del Ringraziamento.
È veramente antipatico e rovina quella che dovrebbe essere una piacevole giornata in famiglia.

I suoi genitori sembrano pensare che le sue pagliacciate musicali indichino che ha “talento”, di conseguenza non fanno niente per limitarlo, nemmeno quando vanno a casa degli altri. In effetti, spesso siedono accanto al piano e lo ascoltano in adorazione. Prenderebbero come un insulto qualsiasi richiesta di farlo smettere, anche solo per un po’.

Con delicatezza abbiamo suggerito di mandarlo a lezione di musica per migliorare il suo stile, ma i suoi genitori pensano che le lezioni “soffochino la sua creatività” e lo spingano a “perdere interesse per la sua arte.”
Adesso che si avvicina il Giorno del Ringraziamento, mia madre ed io stiamo cercando un modo appropriato di trattare il problema, ma ormai siamo alla frutta.

E si firma:

The Piano Police.

Dowland by Sting

Sting - Dowland
Finalmente esce il nuovo disco DGG in cui Sting canta Dowland accompagnato da Edin Karamazov, di cui tutti dicono un gran bene.

Considerato lo spirito con cui Sting ha registrato questi pezzi (“Per me queste sono canzoni pop del 1600, e così le eseguo; bellissime melodie, testi fantastici e geniale accompagnamento”), questi due brani, gli unici che ho ascoltato, non mi sembrano niente male, anche se, in questa stessa ottica, preferivo Maddy Prior (Steeleye Span).
A volte Sting suona un po’ finto, nel senso che sembra si sforzi di cantare in un modo più controllato del solito. Un’altra cosa che a tratti noto, soprattutto nel primo dei due pezzi, è un certo contrasto fra la non abitudine di Sting a queste musiche e la naturalezza del suono di Edin Karamazov, per cui Dowland è la cosa più normale del mondo.
Comunque l’idea che per ora mi sono fatto non è negativa. Anzi, pensandolo come un disco da top ten, avercene di dischi così.

Una cosa che, invece, mi disturba, è il fatto che, in copertina, il nome di Dowland è alto 1/10 di quello di Sting (e peraltro, anche quello di Karamazov che non è proprio un comprimario banale, quasi non si vede). Non dite che esagero. Nemmeno Abbado se lo può permettere e comunque non lo penserebbe neppure.
Mi spaventano, inoltre, le cazzate totali sparate dai soliti giornalisti le cui dita hanno da tempo dichiarato la secessione dal cervello. Oggi l’Indipendent scrive: “Sting plucks lute composer from obscurity”.
Obscurity? Dowland è uno che viene eseguito da 500 anni e tuttora viene saccheggiato a man bassa dai cantautori. Sting non so.

Ecco una playlist

Fotocamere user friendly

Immagine
Questo grazioso cagnolino che azzanna per gioco il padrone, che per la sua stupidità meriterebbe di essere divorato in un solo boccone, ci aiuterà a vedere un altro “incidente”, meno comune ma quasi più grave di quello del post precedente, a cui vanno incontro gli sprovveduti che si aggirano nelle terre di internet senza sapere dove mettere i piedi.
Io qui ho messo solo questa foto in cui il padrone non è riconoscibile, ma ne ho viste anche molte altre in cui varie persone sono perfettamente visibili. Ne ho viste anche di altro tipo: scherzi in ufficio, cene aziendali, giochi con amici, ma anche di meno innocue e sono sicuro che in molti casi i protagonisti si incazzerebbero moltissimo sapendo che le loro foto sono andate in mano a cani e porci.
Perché, come nel caso precedente, loro non sanno che le ho viste e che chiunque le può vedere.

Ormai quasi tutte le foto sono digitali e anche la bestia in figura è stata immortalata con una fotocamera digitale. Le foto, poi, sono state scaricate su un computer e le fotocamere digitali sono user friendly. Basta collegarle via USB e infilare il solito CD-ROM che installa un programma per scaricare e gestire le foto.
Ora, la maggior parte delle fotocamere digitali aderisce a uno standard inventato per facilitare la vita ai software di gestione e anche all’utente. Lo standard consiste nel creare una cartella il cui nome è DCIM in cui vengono create altre cartelle per le varie fotocamere. Così all’interno della cartella DCIM avremo, per esempio, una cartella CASIO, oppure CANON, etc con davanti un numero progressivo per dividere i vari scaricamenti (102CANON, 103CANON, 104CANON, etc). Qui finiscono le foto, tipicamente in formato jpeg e anche i filmati, di solito in formato avi.

Fin qui tutto bene. Se la cartella DCIM è sul vostro computer personale o anche su un server internet ma fuori dallo spazio web. Ma se, per qualche ragione, finisce all’interno dello spazio web e il solito amministratore idiota dimentica di fermare gli spider dei motori di ricerca, Google in primis, ecco che le cartelle e tutte le foto vengono indicizzate e sono disponibili a chiunque sia in grado di cercarle.
Ma perché questa cartella dovrebbe finire nello spazio web di un server? Le ragioni sono molte: perché gli amici possano vedere da casa le foto della partita di ieri e scaricarsele, per esempio.

Cercarle, peraltro, è facilissimo. Potete provare anche voi. Basta inserire in Google la stringa di ricerca index.of.dcim (index punto of punto dcim senza spazi). Salteranno fuori una cinquantina di links, pochi perché questo incidente non è molto comune e alcuni di questi non sono cartelle di foto, ma solo articoli come questo.
Se però, dopo aver cliccato sul link vi appare una paginetta bianca che ha come titolo “Index of /DCIM” e sotto due link che dicono “Parent directory” e “DCIM”, siete nel posto giusto. Cliccate DCIM e troverete una pagina simile con link tipo 100CASIO o 102CANON o ancora 101FUJI, etc.
Cliccate su uno di questi e vedrete i nomi delle immagini. Basta cliccare ognuno di questi ultimi per vedere la foto nel browser.
Complimenti. Siete sulla buona strada per diventare un provetto voyeur.

L’Universo non è user-friendly

L’universo non è user friendly, ovvero su internet una cosa che sembra banalissima può avere effetti collaterali spiacevoli o, come minimo, non previsti.
Generalmente non ci si pensa, ma entrare in internet è come andare in un paese straniero, con le sue usanze, le sue leggi, le sue consuetudini e i suoi abitanti. C’è gente che su internet ci vive. C’è qualcun altro, come il sottoscritto, che magari non ci vive, ma lo conosce molto bene (in realtà, in questo periodo, praticamente ci vivo anch’io). C’è qualcuno che lo abita a tempo parziale, per esempio per affari, e poi ci sono i turisti, la maggior parte di voi.
Ora, quando fate i turisti, anche quando viaggiate in un gruppo organizzato, qualche precauzione la prendete. Se, poi, viaggiate da soli, dovete anche stare un po’ attenti a come vi comportate e a dove ficcate il naso. Se entrate in un quartiere malfamato ben vestiti, con il Rolex al polso e la videocamera al collo, non solo sarete rapinati e magari anche pestati o peggio, ma oltretutto, quando la polizia vi verrà a ripescare, ve ne dirà quattro.
Però a volte potete anche stare attenti, ma inciampate in una qualche usanza locale di cui non siete a conoscenza e fate una pessima figura perdendo stima e amicizie. Per esempio, ci sono paesi in cui soffiarsi il naso in pubblico, soprattutto al chiuso, è considerato segno di maleducazione, più o meno come sputare per terra. Si va in bagno a farlo.
Ci sono, invece, altri paesi in cui sputare per terra, in strada, è normale e lo fanno anche le ragazzine di 15 anni, oppure ruttare sonoramente dopo il pranzo è un apprezzamento per la cucina del padrone di casa.
Ecco, internet ha le sue usanze e regole e spesso, se qualcuno non sa o non pensa a quello che fa, incappa in qualche disavventura. Qualche esempio.
Nota: questi esempi non sono nuovi. Non sto suggerendo nessun nuovo “hack” e proprio il fatto che siano ampiamente noti alla comunità degli “smanettoni” ma ignorati dalla massa comprova quanto dico.

WebcamAdesso guardate l’immagine qui a sinistra. È una stanza in un ufficio in america. L’immagine viene da una webcam e nella pagina originale, si aggiorna ogni 5 secondi. È grande 4 volte questa, quindi si vede tutto molto bene. Il signore in fondo sta armeggiando con la stampante. È entrato 30 secondi fa, magari per aggiungere carta. Forse tra un po’ se ne andrà, o forse si siederà al computer. Il problema è che lui non sa che io lo sto guardando.

Forse sa della webcam o forse no. Se lo sa, sa anche che il suo capo o qualcuno della sorveglianza tiene d’occhio quella stanza, ma non immagina che io lo sto guardando. Perché questa non è una di quelle webcam messe lì per pubblicità che tutti possono vedere. Questa è, o dovrebbe essere, una telecamera di sorveglianza ad uso interno. Ci si accede via internet, così si può tenere d’occhio la situazione anche da lontano, ma, quasi certamente, non è previsto che sia vista da terzi.
Invece io la vedo. Nello stesso modo potrei mostrarvi migliaia di altre situazioni: un porticciolo alle Bahamas (invidia!), una lavanderia in Giappone, l’interno di un grande magazzino, un autosalone negli USA, un laboratorio in Svizzera, il cane di un/una giapponese, magari, se cerco a lungo, anche il bambino di qualcun altro. Tutte webcam di sorveglianza.

E allora come mai io, da casa mia, le vedo? Perché sono un hacker? Assolutamente no. Le potete vedere anche voi (e fra un attimo lo farete). Questo solo grazie al fatto che le webcam sono user friendly e la gente le usa senza sapere quello che sta facendo.
Già. Ormai tutto nel computer deve essere user friendly. Così, sulla scatola della webcam (neanche sul manuale; quello nessuno lo guarda), c’è scritto: “facile da installare; collegala alla presa USB e inserisci il CD”. E probabilmente è partito un programma che a un certo punto ha detto “se sei su un server web puoi accedere alla webcam via internet: vuoi farlo? sì/no”. L’utente preme sì e nello spazio web del server, viene installata una “utility” che prende le immagini della webcam e fabbrica una pagina web con l’immagine dentro. Poi il programma di installazione amichevolmente informa: “Puoi vedere la webcam collegandoti all’URL http://www.tuosito.com/ViewCamera”.
Il punto è che tutte le webcam di quel modello si installano così e naturalmente la cosa è nota.

E adesso viene il bello. E il bello si chiama Google. Perché se l’idiota che amministra quel server web non si prende la briga di dire a Google di non indicizzare la pagina della webcam (cosa molto semplice, se uno sa cosa sta facendo), Google la memorizza e così basta chiedergli: “dammi tutti le pagine che nell’URL hanno ViewCamera” (in googlese inurl:ViewCamera) per trovare tutte le webcam non protette e spiare in casa altrui.
Naturalmente, questo è solo un esempio che non funzionerebbe. Serve a far capire come funziona il gioco. In realtà ogni webcam ha una sua specifica modalità di accesso, quindi bisogna sapere esattamente cosa cercare.

Ora, se volete, provate. Qui vi ho costruito dei link che lanciano Google (si aprirà in un’altra finestra) con la stringa di ricerca già inserita. Per esempio, per cercare le Panasonic Cam, cliccate
Panasonic Cam oppure
altre Panasonic Cam.
Ora cliccate su uno dei risultati per vedere la webcam. Attenzione: non tutte funzionano. Alcune, nel frattempo, saranno state protette, altre sono spente, altre sono accese ma è notte e si vedrà solo nero, ma molte funzioneranno.
Qui trovate i link per cercare altri modelli di webcam. Con alcune dovrete attendere perché si carica un applet java. Notate, però, che avete a disposizione anche i controlli della camera. Potete muoverla, zoomare, etc.

Webcam XP (logitech e simili)
Sony NC RZ30
Canon Cam
Axis Cam
altra Axis Cam
Toshiba (nella pagina di login cliccate il bottone “Login”; se invece vi chiede una pw, è stata protetta: non tentate neppure, tentare sarebbe un reato)

Ecco il senso del titolo. Tutto sembra facile, vi viene pubblicizzato come banale e sembra esserlo perché la cosa funziona, però, ignorando tutto quello che ci sta dietro, funziona troppo, nel senso che è aperto a tutti. Questa è la filosofia Windows: non ti preoccupare, non è necessario che tu sappia, facciamo tutto noi. Adesso cominciate a capire perché Windows è una così facile preda dei virus?

Per finire, so che qualcuno si chiederà: “è legale guardare le webcam degli altri?”. Permettetemi di rispondere con un esempio. Se una bella ragazza (o un bel ragazzo, altrimenti qualcuno mi dà del maschilista) si spoglia nella casa di fronte in una stanza senza tende, è legale guardare? Beh, se il soggetto è capace di intendere e volere, i casi sono due: o vuole essere guardato o non gliene frega niente.
Analogamente, se uno mette sul web una webcam e non si cura di proteggersi, è lo stesso. Sono anni che questo trucco gira e ormai dovrebbe essere noto.
Vero è che spesso gli amministratori dei server non sanno fare il loro mestiere o se ne fregano, ma questo è un problema loro. L’anno scorso, giocherellando in questo modo, mi sono trovato di fronte 4 webcam con dentro i passeggeri che stavano ritirando i bagagli in un grande aeroporto tedesco. Sono rimasto basito a guardarli per un po’, poi ho pensato di mandare una mail agli amministratori dello scalo.
I bastardi le hanno chiuse e non mi hanno nemmeno ringraziato. La prossima volta, invece di avvertirli, scrivo dicendo “Allora, sto per denunciarvi per la privacy e mandare la notizia ai giornali. Cosa facciamo?”

Un mondo peggiore

Di solito non parlo di politica qui, ma dopo le ultime leggi firmate da Bush che annullano i capisaldi della civiltà giuridica occidentale in USA, la prima, e decretano de facto la militarizzazione dello spazio, la seconda, sono troppo incazzato.
Il mondo è un luogo decisamente peggiore da quando l’amministrazione americana è in mano a quest’uomo e alla sua gang (o meglio, a questa gang e al suo burattino).

Att.ne: i filmati sono due. Il secondo è il famoso Sunday Bloody Sunday. È troppo bello, non ho resistito. Il primo è un rap carino. Nota: DRAFT è la coscrizione obbligatoria.

La Zona del Disastro

La prossima settimana, nello stato del Meghalaya (NE India), 8000 batteristi suoneranno insieme per tentare di battere il record di performance simultanea (dovranno suonare in sincrono per almeno 5 min.) ed entrare nel Guinness come “largest drum ensemble” (fonte: Telugu Portal).
Suppongo che il paese sarà dichiarato zona disastrata.
Esistono comunque anche cose più tremende. Come la riunione di 230 banjo che martellano “Foggy Mountain Breakdown”, o il tentativo di battere il record di 1800 armoniche che fortunatamente non è riuscito.

A questo proposito mi torna in mente la buonanima di Douglas Adams che, nella sua Guida Galattica per Autostoppisti (The Hitch-Hiker’s Guide to the Galaxy) e precisamente del Ristorante al Termine dell’Universo, parla di Hotblack Desiato, la rockstar morta, e della sua band “La Zona del Disastro”, la band più assordante della galassia.
Dunque, da quel che ricordo, La Zona del Disastro è una band di rock elettronico che suona a un volume tale da non potersi esibire su alcuni pianeti perché i loro concerti violerebbero i locali trattati di limitazione delle armi strategiche.
La performance avviene per via olografica, cioè sul luogo del concerto vengono proiettati solo gli ologrammi della band che in realtà sta suonando su una astronave in orbita intorno al pianeta, o, più spesso, in orbita attorno a un pianeta diverso.
Ovviamente, con un simile volume, il pubblico non può semplicemente radunarsi intorno al palco. Il muro degli amplificatori raggiunge una altezza tale da essere scambiato per la skyline di Manhattan e per un raggio di vari chilometri, ogni cosa viene rasa al suolo dalla potenza delle onde sonore. Il luogo migliore per assistere al concerto è prenotare un posto negli appositi bunker di cemento armato piazzati a circa 60 km dal palco.
Anche il successo della band ha proporzioni megagalattiche. I loro incassi sono praticamente incalcolabili e infatti il loro contabile ha ricevuto la laurea ad honorem in meta-matematica dall’università di Princeton.
Di conseguenza, si pone il problema di sfuggire alle tasse (tutto il mondo è paese). Proprio per questo il leader, Hotblack Desiato, rimane in animazione sospesa per più di 6 (o 8, non ricordo bene) mesi all’anno e si fa dichiarare legalmente morto, diventando, appunto, la rockstar morta.
Addio e grazie per tutto il pesce.

Unabomber può essere arte?

Bible bomb

Fin dalla metà degli anni ’80, Gregory Green ha prodotto performance e lavori che esplorano l’evoluzione del concetto di abilitazione, nel senso di acquisizione del potere, del controllo. In questa ottica Green considera sia la violenza che le alternative alla violenza e l’accessibilità alla tecnologia e all’informazione come veicoli per il cambiamento sociale e politica.
Nuclear device
In breve, Gregory Green fabbrica oggetti e strategie terroristiche. Bombe sia convenzionali che nucleari, missili, armi chimiche, tutti perfettamente funzionanti a meno del materiale ultimo: l’esplosivo, che è assente, ma è possibile inserirlo con facilità.
Ma non si ferma qui. I suoi lavori più recenti sono virus informatici e unità di trasmissione pirata. Possono sembrare meno cruenti, ma sono anche più eversivi.

Il lavoro di Green, quindi, suggerisce dei metodi per compromettere lo status quo e favorire un cambiamento sociale. Chi dice che l’arte deve essere innocua?

La dimensione del suono

LSP

Edwin van der Heide è un artista olandese che lavora sulla dimensione spaziale del suono. Nelle sue installazioni, il suono si materializza in forma visibile, oppure si sposta un ambiente in un altro o ancora reagisce alle presenze in un ambiente specifico.
LSP (Laser / Sound Performance) appartiene al primo tipo. In questa installazione, i suoni generati in tempo reale da un computer vengono visualizzati grazie a una serie di laser proiettati su un sottile strato di fumo nello spazio. È probabilmente uno dei suoi lavori più spettacolari.

Wavescape, invece, si basa su una serie di idrofoni (microfoni subacquei) disposti in linea retta, ognuno dei quali è collegato a uno speaker sulla terraferma.
Gli speaker sono disposti in modo da riprodurre la disposizione spaziale dei microfoni. In tal modo, un fronte d’onda viene letteralmente riportato da un ambiente a un altro.

Un’altra famosa installazione è Spatial Sounds (100dB at 100km/h). Qui, una grossa cassa acustica (100 dB) e un sensore sonar sono montati su un braccio meccanico in grado di ruotare e muoversi ad alta velocità (100 km/h, in figura).
Il sistema esplora l’ambiente circostante, un po’ come un radar. Ruota su sè stesso e lancia brevi impulsi le cui riflessioni vengono captate dal sensore permettendogli di reagire alle presenze nell’ambiente.
Molte altre installazioni di van der Heide sono descritte sul suo sito.

Kritiko Kreativo

Generalmente trovo i critici abbastanza insulsi, ma quando sono come David Perkins del Boston Globe, mi piacciono:

Brünnhilde made a guest appearance Friday night in the middle of J.S. Bach’s joyous Cantata No. 51 (“Jauchzet Gott!”), a piece usually sung by lyric sopranos of the Kathleen Battle mold. On the word “Alleluja,” a remarkable high C came out of the mouth of Barbara Quintiliani and, parting audience members’ hair on the way, blazed out of Faneuil Hall into the night sky.

(Google trans.)
Brünnhilde ha fatto un’apparizione come ospite venerdì sera nel mezzo della gioiosa Cantata n. 51 di J.S. Bach (“Jauchzet Gott!”), un pezzo solitamente cantato da soprani lirici del calibro di Kathleen Battle. Sulla parola “Alleluja,” un notevole Do acuto è uscito dalla bocca di Barbara Quintiliani e, scostando i capelli dei membri del pubblico, è esploso dalla Faneuil Hall verso il cielo notturno.

Articolo originale segnalato da Soho the Dog.

Disordini a Teatro

Disordini a teatro ce ne sono stati tanti, ma probabilmente nessuno ha avuto la valenza culturale di quelli scatenatisi durante la prima della Sagra della Primavera di Stravinsky, con le coreografie di Nijinsky e i Balletti Russi di Diaghilev, il 29 maggio 1913 al Théatre des Champs-Elysées a Parigi.
Tutto era nuovo. I costumi. così lontani da quelli del balletto classico, furono giudicati oltraggiosi. Le coreografie, per quei tempi sembravano innaturali e disordinate perché erano asimmetriche ed era una delle prime volte che accadeva. E infine la musica, spesso aspra, dissonante e in ogni caso difficile da seguire. Il tutto provocò un pandemonio tale che, in certi momenti, i musicisti quasi non si sentivano l’un l’altro.
Ho spesso desiderato di assistere a quella prima, a un momento in cui la musica e la danza, insieme, hanno voltato pagina e adesso, cercando i nomi di compositori su YouTube, trovo questi 4 filmati che, visti in serie, raccontano proprio quell’evento.
Ovviamente non è un film originale. Si tratta di una drammatizzazione ricostruita e trasmessa dalla BBC con il titolo di “Riot at the Rite”. Conoscendo la BBC, la ricostruzione dovrebbe essere piuttosto accurata. Il corpo di ballo è il Finnish National Ballet (prima ballerina Zinaida Yanowsky). Le coreografie originali sono state ricreate da Millicent Hodson. I costumi sono riprodotti accuratamente basandosi su disegni dell’epoca che ho visto anch’io e da quanto ricordo, confermo.
Perfino la gente che all’inizio si fa aria furiosamente è coerente con il fatto che a Parigi, in quei giorni, c’erano più di 30° (capite perché in un vecchio post ho detto che, con una TV così, il canone lo pagherei volentieri).
Ovviamente gli schiamazzi del pubblico e i dialoghi sono in inglese e non sappiamo quanto siano precisi, comunque sono verosimili (spazzatura! tornatene in Russia!). A un certo punto uno dice “Ecco, così danzavano i primitivi!”. E un altro gli risponde “E tu come fai a saperlo!?”
Ma alla fine molta gente applaude. Come artista, ci vuole una grande forza per sopravvivere a una simile esperienza.
Il programma è stato trasmesso in Marzo. Spero che la BBC ne faccia un DVD. I video di YouTube, infatti, sono di bassa qualità.

Frederic Rzewski

Quante persone conoscete con un cognome così impronunciabile?
È perfino peggiore di quello di Jan Łukasiewicz, l’inventore della notazione polacca (in matematica, non in musica), poi applicata ai computer e tuttora in uso nei processori con il nome di “notazione polacca inversa”, proprio perché nessuno si ricordava quello dell’inventore.
Il nome di Rzewski, invece, si ricorda bene, anche perché non è un tipo che passa inosservato.

Nato nel 1938 nel Massachussets e morto a Montiano, in Toscana nel 2021, ha studiato musica ad Harvard e Princeton, fra gli altri con Roger Sessions, e Milton Babbitt. Nel 1960 è venuto a Roma per studiare con Dallapiccola. Qui, a metà degli anni ’60, con Alvin Curran e Richard Teitelbaum, ha fondato MEV (Musica Elettronica Viva), un gruppo di americani a Roma (ed essere americani a Roma, in quegli anni, era perfino meglio che essere americani a Parigi) orientato verso la sperimentazione e l’improvvisazione e soprattutto verso la de-composizione di qualsiasi forma precostituita.
Mettendo insieme le avanguardie della musica contemporanea, dell’elettronica e del jazz, MEV sviluppa una estetica musicale basata su un processo collettivo spontaneo incredibilmente fecondo e condiviso con le altre formazioni di punta di quegli anni (penso al Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina e alla Scratch Orchestra di Cornelius Cardew).

Amico anche di molti esponenti delle avanguardie americane (Cage, Wolff, Tudor, Behrman), le sue prime composizioni (Les Moutons de Panurge, Coming Together) sono fortemente influenzate da queste esperienze e mescolano stilemi sia della musica scritta che di quella improvvisata.
Attraversa poi il periodo delle partiture grafiche (Le Silence des Espaces Infinis, The Price of Oil) e negli anni ’80 esplora nuovi modi di utilizzare la tecnica seriale (Antigone-Legend, The Persians).
Le sue composizioni più recenti sono meno strutturate e più spontanee (Whangdoodles, Sonata e la sua partitura più impegnativa, The Triumph of Death, un oratorio di 2 ore basato su “L’istruttoria” di Peter Weiss).

Ma una particolarità di Rzewski, rara nel club della musica contemporanea, è il suo impegno politico, che, in questo senso, lo avvicina a personaggi come Nono, Pollini e Cardew. Ma Rzewski va più in la. È uno che durante un concerto è capace di smettere di suonare per gridare “Stop the War!” e questo non una, ma 12 volte nel corso di un pezzo, peraltro suo, come ha fatto sabato scorso a Kansas City.

Queste considerazioni, come nel caso di Cardew, lo portano anche a porsi il problema della incomprensibilità della musica contemporanea. Dice Rzewski:

Mi sembrava che non ci fosse ragione per cui le più intricate e complesse strutture formali non si potessero esprimere in una forma che riuscisse ad essere compresa da un largo numero di ascoltatori. Ero anche interessato a quella che mi sembrava un punto critico, non solo in musica, ma anche nelle scienze e nella politica: l’assenza di una teoria generale e di un comportamento critico. Ho incominciato a esplorare una forma in cui i linguaggi musicali esistenti potessero essere accostati.

Ed ecco le “36 Variazioni su El Pueblo Unido Jamas Sera Vencido” degli anni ’70, “Coming Together” (con dentro “Attica Blues”), basata sulle lettere dei prigionieri del carcere di Attica all’epoca della rivolta del 1971, con quella famosa frase ripetuta fino alla nausea “Attica is in front of me!”, fino all’Antigone che teorizza una opposizione di principio alle politiche di ogni stato, perché il problema è lo stato in sè.

Come altri intellettuali radicali (in senso americano), Rzewski ha lasciato gli USA. Dal 1977 insegna al Conservatorio di Liegi.

Resta sempre irrisolto l’interrogativo finale: qual’è la pronuncia corretta di Rzewski?
Ebbene, la risposta è JEV-ski, con G dolce francese e poi “evski”.

0:03 – Thema 1:32 – Variation I 2:33 – Variation II 3:36 – Variation III 4:46 – Variation IV 5:55 – Variation V 7:05 – Variation VI 8:15 – Variation VII 9:17 – Variation VIII 10:39 – Variation IX 11:48 – Variation X 12:50 – Variation XI 13:53 – Variation XII 15:09 – Variation XIII (“Bandiera Rossa”) 17:08 – Variation XIV 18:32 – Variation XV 19:54 – Variation XVI 21:55 – Variation XVII 23:11 – Variation XVIII 25:14 – Variation XIX 26:07 – Variation XX 26:57 – Variation XXI 28:04 – Variation XXII 28:57 – Variation XXIII 29:39 – Variation XXIV 32:21 – Variation XXV 34:21 – Variation XXVI („Die Solidarität”) 35:44 – Variation XXVII (36:51 – cadenza) 41:12 – Variation XXVIII 42:39 – Variation XXIX 43:15 – Variation XXX 46:57 – Variation XXXI 48:06 – Variation XXXII 49:14 – Variation XXXIII 50:28 – Variation XXXIV 51:50 – Variation XXXV 53:00 – Variation XXXVI (54:50 – cadenza) 1:00:47 – Thema

Ed eccolo dal vivo in uno dei suoi ultimi concerti

L’Arpa Eolica

Aeolian Harp

L’arpa eolica è uno strumento le cui corde vengono messe in vibrazione dal vento.
Era molto popolare nel periodo romantico, ma attualmente è estinta e viene costruita solo su ordinazione. È facile capire il perché: in condizioni normali il suono dell’arpa eolica è flebile e non può competere con l’elevato livello di rumore di fondo dell’industrializzazione e soprattutto dell’automobile.
Ciò nonostante il suo suono resta affascinante, tanto che vari compositori ne hanno tratto ispirazione. A parte lo studio num. 1 op. 25 di Chopin (qui eseguito da Olaf Schmidt), a cui Schumann ha attribuito il nick di “arpa eolica”, Henry Cowell, uno dei grandi innovatori della letteratura pianistica, ha inventato tecniche come il pizzicato diretto sulle corde e il loro sfioramento a pedale abbassato per il suo The Sword of Oblivion (1920-1922) e soprattutto per Aeolian Harp del 1923, ampliando poi queste tecniche in brani successivi, come The Banshee (1925), Duett to St. Cecilia (1925), The Sleep Music of Dagna (1926), The Fairy Bells (1928), The Leprechaun (1928), The Fairy Answer (1929), and Irish Epic Set (1946).

La sua costruzione è abbastanza semplice e può assumere varie forme. Normalmente si tratta di una tavola armonica forata sulla quale sono tese le corde. Sotto alla tavola sta una cassa armonica anch’essa forata in modo da permettere il fluire dell’aria in movimento. Le corde sono di numero e accordatura variabili, ma devono essere in materiale leggero, che possa entrare facilmente in vibrazione.
Qui abbiamo un esempio di un’arpa eolica verticale costruita da Ralf Kleemann che è anche un arpista professionale, e uno di Roger Winfield che costruisce strumenti e produce anche dei CD.

Una lezione di theremin

Nel Febbraio 1991, durante un giro di musicisti americani in Russia, John Chowning (l’inventore della FM), George Lewis (trombonista) e il compositore Paul Lansky si trovarono a salire le scale di una vecchia casa.
In quell’appartamento di due stanze abitava il 95enne Leon Theremin (Lev Sergeyevich Termen, August 15, 1896–November 3, 1993) che, naturalmente, possedeva un theremin originale a valvole.
In questo video qucktime girato da George Lewis con una videocamera dell’epoca, si vede Theremin impartire una veloce lezione a Paul Lansky, il cui assolo finale ci viene graziosamente risparmiato ;-).
Si vede anche lo strumento: uno scatolotto con antenna (le versioni odierne stanno nel palmo di una mano), grosso, per colpa delle valvole.
Ne potrebbe nascere l’ennesima diatriba fra i sostenitori della superiorità del valvolare nei confronti del transistor.
Ecco il video.

Dansen op de straten

MG: Abbiamo una nuova corrispondente dal 51° parallelo. Valeria è a Rotterdam per studiare danza contemporanea. Oltre alla passione (artistica), ci unisce il fatto che entrambi siamo nati nel giorno dell’icona lontana.
Valeria ci aggiornerà, in modo informale, sugli spettacoli e gli eventi delle terre basse, lassù, dove il vento spazza le dune fra spruzzi di pioggia, gli animali di plastica camminano sulla sabbia e la gente comunica con versi tipo hoop aan van der eek.
Dato che anche a me piace parlare di danza, infilerò qui e la delle note in corsivo.

Uno dei primi spettacoli che ho visto è stata Krisztina de Châtel. Ha fatto lavorare dei danzatori, in modo molto meccanico e ripetitivo, come dei netturbini e le macchine che usano loro. Il tutto, infatti, era ambientato in una specie di vecchia stazione abbandonata..
Penso che la provocazione fosse se al giorno d’oggi anche il più semplice dei lavori si possa considerare arte, o se l’arte al giorno d’oggi venga considerata come uno dei lavori più semplici se non addirittura come spazzatura….

MegPoi ho visto la scandalosa Meg Stuart!!!
È molto, molto sperimentale, decisamente ai confini con il teatro. Ha trattato la malattia mentale, ma è stato da brivido..è stato troppo astratto è violento da guardare e raccontare, fai conto che alla fine non avevo neanche l’energia per applaudire, ma per renderti l’idea, l’atmosfera era da nido sul cuculo…forse anche più forte…se non per il fatto che hai delle persone in carne ed ossa davanti al naso!!

MG: Grande Meg Stuart. Americana emigrata a Bruxelles (credo che attualmente stia temporaneamente a Berlino). Non è ottimista e lo dimostrano i nomi che sceglie: il suo gruppo si chiama Damaged Goods, lo spettacolo di cui ho visto delle foto in prova si intitolava It’s not funny, un altro spettacolo era Crash Landing e così via.
Lei cerca di unire danza, teatro, arte visuale, architettura, coreografie sociali.

Poi lo Scapino Ballet… Che roba, quanti soldi sprecati, e sono la compagnia più famosa di Rotterdam!!
Bravi i ballerini, per carità, ma sembrava più che altro il saggio di una scuola..tutti pezzi staccati, scollegati, che puntavano solamente a far vedere quanto bravi erano i ballerini che bei salti e che belle gambe….va beh, buon per loro!! 😮

MG: In effetti il loro sito sembra quello di qualche maledetto modaiolo. Quando la danza sconfina nella pura ginnastica, yuri chechi è meglio…
Comunque, può essere un caso, nel senso che una compagnia a volte lo fa perché è in un momento di transizione fra uno spettacolo e l’altro. Quando il vecchio è stato abbandonato e il nuovo non è ancora pronto, si fa un po’ di roba di repertorio. Non si dovrebbe, però a volte capita…

Infine Van Daele. Molto forte anche questo perché era ballato da quattro donne molto animalesche, a tratti accompagnate da una cantante-musicista. Era tutto basato sulla rabbia (in effetti erano incazzate come iene), sulla costante tensione di una volontà che vuole più di ogni altra cosa ribellarsi dal giogo di una forza superiore che la sfrutta di continuo e la costante sottomissione per debolezza…

Per ora è tutto,
Saluti da Rotterdam

Atonal

Atonal
Certo che un distintivo come questo non è male. Guardate la scritta.
La bandiera è quella di El Salvador, ma non si tratta di un gruppo salvadoreño di musica contemporanea…
(grazie a Soho the Dog)

Una risposta da Boosey & Hawkes

Come forse avrete già visto, c’è stata una risposta da parte di Boosey & Hawkes, il che prova la serietà dell’azienda e di Mr Boon. Credetemi, sono molto pochi quelli che si prendono la briga di rispondere a un cliente qualsiasi.
Questa è la mia ulteriore risposta. La tradurrò in italiano appena avrò tempo. Nel frattempo beccatevi il mio rozzo inglese.

Hi Nigel,
thank you vm for your kind reply. I think it’s a great attestation of B&H (and yours) reliability. As far as I know it’s not usual for a corporation to reply to a mail from a not important customer.
You also make me win a fish dinner. People here was betting on (or against) your reply, and I won. If you’ll come here in Verona (Italy), please let me know.

Ok. I understand your point of view, but let me better explain mine. If you think I’m obsessive, please, throw away this mail and cut the line. I will not insist and the invitation to Verona will be always valid.
But if you are so kind to read my mail (and if you can tolerate my rough english), here is a customer’s feedback.

I am an electronic music teacher in Conservatorium, here in Italy. Sometimes I also act as advisor for the Chamber Music course. My deal is to find contemporary chamber music works to be played by the students. The pieces must fit the students level (a little hard for their level but not so much to be impossible).
I always try to suggest new works by not-so-famous living composers in addition to the historical ones (Berio, Boulez, Stockhausen, etc). I also prefer music with instrumental and electronic parts. Last year we played Crumb’s Vox Balenae (amplified trio); the previous year, Winter Fragments, a Murail’s work for quintet and electronics (unfortunately both not B&H).

Now let’s see how it’s difficult to find something to buy on B&H site with the current non-disclosure system (take it easy, the other publisher’s sites are not better).

I go to the BH site and select Contemporary music.
OK, try the first: Michael van der Aa. He is young and has a funny name (Aa could be the lament by the students looking at a difficult part to play).
Currently I know nothing about him, so I click his name and read the snapshot.
Good. I found the “Here trilogy”. Chamber music. I click the Here trilogy and read. The whole trilogy is too long, but we maybe could play a single part.
I read the program notes, then the press quotes (very good) and then… Rental.
RENT WHAT!? I heard nothing and never seen a single score page!
I click Details to find I have to go in Trento or Venice to find a dealer.
I click Rental trying to discover the price. What? I have to register to continue? So I will be oppressed by your advertisements for the rest of my life? No thanks.
OK. Go back to the main page. Look around searching for the magic words “score or sound samples”. Wow! I found it! Sound samples! Now all my doubt will be cleared! Click!
One sample. Duration: 01 mins 05 secs. For orchestra. Ok, listen. Seems good. Now I really know Michael var der Aa’s music. Now I can go to my Chamber music colleague announcing “this year’s contemporary composer is this man. Don’t you know him? Oh unlucky man! Go to the B&H site….”.
Sorry. Sometimes I go too far.
Then I found the link to the composer home site. Here I found some 2 minutes excerpts. I feel better.

But now I am surfing the Jeffrey Cotton’s site (see following post), listening to his compositions while looking at a PDF score.
OK, I know you can’t do it because the music is not yours and you want to sell scores but it so difficult to show PART of the score? What could I do with the 50% of a score? (or 25%, or selected parts, or the odd pages only). I only can understand if I like that music, how difficult it is, how much work we need to play it and so on. Maybe this year composer will be Jeffrey Cotton…

But tell me: if no one can see any pages of your score over the internet, do you think you will sell more?

(My apologies to Mr. van der Aa for using his name in this mail. It is only a example. Could be everyone. He is only the first in your list.)

Regards and auguri from Verona

Post-modernismo

Tanto per parlare dei cosiddetti “barbari” (quelli di Baricco su Repubblica), beccatevi questa tabella di opposizioni stilistiche allo scopo di identificare i modi attraverso i quali il postmodernismo si sarebbe posto come reazione al modernismo delle avanguardie artistico-letterarie del Novecento. Redatta da Ihab Hassan in Pluralism in Postmodern Perspective, in Critical Inquiry, 12, n. 3, 1986.
Decidendo da che parte vi riconoscete, per ogni riga, potreste calcolare il vostro tasso di post-modernismo.
Anzi, facciamo un calcolo un po’ brutale. Le righe sono 30, quindi basta contare le righe in cui vi piazzate nella colonna del post-moderno, dividere per 30 e moltiplicare per 100, per sapere il vostro tasso di post-modernismo espresso in percentuale.
C’è anche un sistema più raffinato, ma sarebbe un po’ complicato. Potrei scrivere un programmino…

Modernismo Postmodernismo
Romanticismo / Simbolismo Patafisica / Dadaismo
Forma (chiusa, congiuntiva) Antiforma (aperta, disgiuntiva)
Scopo Gioco
Disegno Caso
Gerarchia Anarchia
Mestria / Logos Esaurimento / Silenzio
Oggetto d’arte / Opera finita Processo / Performance / Happening
Distanza Partecipazione
Creazione / Totalizzazione Decreazione / Decostruzione
Sintesi Antitesi
Presenza Assenza
Accentramento Dispersione
Genere / Confine Testo / Intertesto
Paradigma Sintagma
Ipotassi Paratassi
Metafora Metonimia
Selezione Combinazione
Radice / Profondità Rizoma / Superficie
Interpretazione / Leggere Disinterpretare
Significato Significante
Lisible (Leggibile) Scriptible (Scrivibile)
Narrativo Antinarrativo
Dio Padre Lo Spirito Santo
Sintomo Desiderio
Fallico / Genitale Androgino / Polimorfo
Paranoia Schizofrenia
Origine / Causa Differenza — Differanza / Traccia
Metafisica Ironia
Determinazione Indeterminazione
Trascendenza Immanenza

Telefonare è pericoloso

Ho il mal di gola e la febbre, quindi sono particolarmente caustico. La storia che vi racconto stasera non ha un lieto fine e ha qualche aspetto strano.

Una notte d’aprile del 1996, un uomo uscì da una casa immersa in una tranquilla foresta nelle vicinanze del villaggio di Gechi-Ču, a una trentina di chilometri da Groznyj, in Cecenia.
Quell’uomo era Džochar Dudaev, capo dell’esercito ceceno. L’uomo più ricercato dell’intera Russia. Il Bin-Laden di Mosca.
Cinquantadue anni, Dudaev era una figura eccezionale, per i suoi. Primo ceceno a raggiungere il grado di generale di divisione dell’esercito sovietico, aveva comandato una unità di bombardieri in Estonia fino al 1990. Rientrato in Cecenia, era entrato nelle file del movimento indipendendista e, nel 1993, aveva proclamato l’indipendenza del paese divenendone il primo presidente e un signore della guerra molto temuto. Sfuggito a numerosi attentati, per anni era sempre stato un passo avanti rispetto all’esercito russo, pur avendo una vita pubblica e concedendo interviste a tutti i corrispondenti stranieri.
Dudaev camminò fino al centro della radura, portando con sè il suo telefono satellitare Inmarsat. La telefonata che stava per fare era molto importante. La guerra, per i russi, stava andando male e Boris El’cin aveva lanciato un’iniziativa negoziale. Nonostante le assicurazioni, Dudaev non si fidava a incontrare i russi a Mosca o a Groznyj e intendeva condurre le trattative tramite intermediari, per telefono.
Quella notte, Dudaev si accingeva appunto a chiamare il suo mediatore, Konstantin Borovoij, parlamentare russo di tendenze liberali. Il telefono satellitare Inmarsat era ingombrante, ma gli permetteva di comunicare da qualsiasi luogo. Sviluppato per le comunicazioni marittime (Inmarsat = International Maritime Satellite), disponeva di una lunga antenna e di un proprio trasmettitore con cui agganciava direttamente il satellite che ritrasmetteva il segnale a terra, raggiungendo qualsiasi apparecchio.
Dudaev piazzò l’antenna e aspettò che il sistema agganciasse il satellite. Poi formò il numero. Mentre parlava, sentì il rumore di un aereo. Immediatamente dopo, due missili aria-terra colpirono la radura, diretti verso di lui, o meglio, verso il suo telefono. Uno cadde un po’ più avanti, l’altro esplose a pochi metri da lui.
Si dice che Dudaev morì con una scheggia piantata in testa. Non si sono mai viste foto del suo cadavere.

Se questo omicidio avvenisse oggi, non ci sarebbe niente di strano, ma nel 1996 gli attentatori di Dudaev dovettero dapprima usare un satellite di sorveglianza per identificare il segnale del suo telefono, poi collegarsi con un GPS per determinare la posizione del segnale. Poi allertare un aereo perché programmasse i missili in modo da usare come guida la frequenza del segnale e li lanciasse nella direzione corretta.
Il fatto strano è che nel 1996 i russi non disponevano di una tale tecnologia.

Arriva in Italia lulu.com

Bob Young
Questo signore, che siede su una sedia fatta di libri davanti a una scrivania fatta di libri, è Bob Young, già fondatore di Red Hat, uno dei più importanti rivenditori/distributori di Linux.
Da qualche anno Bob Young ha fondato lulu.com che è il sito su cui chiunque può vendere le proprie opere letterarie, musicali o cinematografiche sia come file, che in versione stampata su carta o incisa su CD/DVD, fissandone anche il prezzo. Da ottobre, lulu.com arriva anche in Italia e in altri 4 paesi europei (Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi).
A fronte di questo servizio, lulu.com trattiene solo il 20% del prezzo più le spese di stampa/incisione se necessario.

Facciamo qualche esempio: se io volessi vendere un libro in formato digitale, dovrei solo registrarmi, inviare il file già impaginato (per es. in pdf) e stabilire il mio prezzo che supponiamo sia € 8. Il file sarà messo in vendita a € 10, di cui 8 a me e 2 (il 20%) a lulu.com.
Se invece volessi venderlo in versione stampata, il prezzo sarebbe sempre € 10 più le spese di stampa che sono facilmente cacolabili sul sito in base al tipo di copertina scelta (morbida o rigida) e il numero e il tipo di pagine (con figure a colori o in b/n). Esempio: le spese di stampa di un tipico testo di 100 pagg. con copertina morbida a colori e pagine b/n ammontano a € 5.65. Mantenendo gli € 8 all’autore e i conseguenti 2 di percentuale lulu, il prezzo finale sarà di € 15.65.
Può sembrare tanto, ma considerate che € 8 all’autore su 15 di prezzo finale sono tantissimi: nell’editoria normale l’autore ne vede max 1. Abbassando le pretese dell’autore, per es. a € 4, il prezzo finale diventa € 10.65.
In modo analogo si calcolano i prezzi per la musica, sia come file, che come CD (l’imballaggio del CD, scatola, fronte, retro, stampa, costa € 4.43, per copia singola, ma cala fino a € 3.62 oltre le 10 copie).
Le spese di spedizione sono a carico dell’acquirente.
Naturalmente è possibile vendere anche partiture.

La seconda domanda che tutti si faranno riguarda le modalità di pagamento dell’autore. Ci sono due casi. Se l’autore ha un account PayPal, il pagamento avviene ogni mese a patto che la cifra spettante sia almeno $5, altrimenti si attende fino all’accumulo di $5. Considerate che PayPal si tiene circa il 3/4% su piccoli importi. Altrimenti, tramite assegno che viene emesso trimestralmente per un valore di almeno $20.

Tirando le somme, vedo lati positivi, negativi e ignoti.
I lati positivi sono che, in un colpo solo, tutti gli intermediari vengono saltati e questa è una gran cosa. Forse gli editori dovrebbero cominciare a porsi qualche domanda. Negli USA lulu vende più di 30.000 libri al mese e cresce al ritmo del 19%. Il suo modello di stampa on-demand (il libro/disco viene stampato solo quando qualcuno lo ordina) è una rivoluzione per l’editoria.
Dal punto di vista dell’autore, un problema è quello della visibilità. Con 1500 nuovi titoli alla settimana, farsi vedere è difficile. D’altra parte, prima, a meno di non essere spinto in modo megagalattico da un editore per chissà quale ragione, essere visto sarebbe stato altrettanto difficile.
Ovviamente, non bisogna pensare che basti mettere un libro/disco su lulu per vendere. Non è il punto di arrivo, è solo l’inizio.
Un altro problema a cui pochi, credo. hanno pensato, potrebbe essere un calo del materiale di dominio pubblico. Essendo così facile, potrebbe scattare la sindrome del “perché non guadagnarci qualcosa?” e molte cose attualmente libere potrebbero passare in lulu a un prezzo magari irrisorio, ma non più free. Vedremo.
Infine l’ignoto. La burocrazia italiana. Come la mettiamo con il fisco e il bollino SIAE?

Pianoteq

Sempre la Piano Society (vedi post seguente) distribuisce anche Pianoteq, un software di simulazione del pianoforte basato su modelli fisici, particolarmente potente, versatile. Costa € 249, in linea con “Steinberg The Grand”, ma può essere scaricato e provato per 45 giorni. Questa è una pagina piena di demo.
Vi consiglio di provarlo. I modelli fisici danno ottimi risultati, senza quei salti di sonorità tipici del campionamento. Ecco le caratteristiche tecniche tratte da questa pagina.

  • The piano sound is constructed in real time, responding to how the pianist strikes the keys and interacts with the pedals.
  • It includes the entire complexity of a real piano (hammers, strings, duplex scale, pedals, cabinet).
  • No quantization noise (32-bit internal sampling at 192 KHz).
  • Real progressive variation of the timbre (127 velocities per note).
  • Adjustable hammer hardness (voicing) and other similar parameters.
  • Adjustable unison width (tuning) and other similar parameters.
  • Adjustable piano size (soundboard) and other similar parameters.
  • Adjustable spectrum profile, based on the first 8 overtones.
  • Progressive sustain pedal, allowing partial-pedal effects.
  • Sostenuto pedal, harmonic pedal and Una Corda (soft) pedal.
  • Very fast to install and initialize.
  • Total size is just 8 MB (MegaBytes).
  • It can be used successfully with a laptop (low hardware requirements).
  • Adjustable optional samples of acoustic noises (pedal and key release).
  • Built-in graphic equalizer with freely adjustable key points.
  • Built-in graphic velocity curve with keyboard presets.
  • Built-in reverb unit with presets.

Fra i demo, vi faccio ascoltare questi (ma, valutandoli, pensate anche a che casse avete):

MP3 gratuiti (e legali) dalla Piano Society

La Piano Society è nata nel 2004 con il fine di promuovere lo studio del pianoforte e offrire ai giovani pianisti la possibilità di promuoversi via internet. Ogni pianista, infatti, può inviare le proprie registrazioni (audio o anche video) che vengono valutate e se è il caso, messe su internet da dove possono essere scaricate gratuitamente.
Unica condizione è che le musiche eseguite siano libere da copyright, che negli USA è stato recentemente esteso a 75 anni con l’infame Sonny Bono Copyright Act. Purtroppo questo taglia fuori i brani di musica contemporanea, ma d’altronde è condizione necessaria per poter distribuire liberamente i brani.
In questa pagina della Piano Society, quindi, si trovano quasi 1000 brani di 54 compositori, eseguiti da 75 pianisti.
Al di là di questo, la Piano Society non va. Non stampa dischi, ma è evidente che con questo sistema si potrebbe instaurare anche un rapporto migliore fra acquirenti e discografici: se mi regalate qualche esecuzione, io posso valutare l’interprete (o la band) e se mi piace, sicuramente prima o poi comprerò qualcosa di suo.
Intanto ascoltatevi

  • il Preludio in Re bemolle maggiore dall’op. 28 di Chopin (quello delle gocce d’acqua, o di pioggia, gli anglosassoni lo chiamano “raindrops”), eseguito da Robert Ståhlbrand
  • e i Reflets dans l’eau dal I° libro delle Images di Debussy, eseguito da Alicia Evans

Cronologia della Musica Elettroacustica

Theremin
Un po’ di autopromozione non guasta.
Vi segnalo la mia Cronologia della Musica Elettroacustica, una pagina piena di stravaganti curiosità come la voce di Edison registrata da uno dei suoi fonografi alla fine dell’800, oppure un incredibile carillon orchestrale con ance, flauti, campane, piatti, tamburi costruito in Svizzera da Gueissaz nel 1904 e inviato a San Pietroburgo per essere donato dallo Zar allo Scià di Persia, e naturalmente il suono dei primi strumenti elettrici e altro ancora.

Grande idea, DGG

La Deutsche Grammophon ha pubblicato un disco in cui il mezzo-soprano Anne Sofie von Otter canta canzoni degli ABBA, compreso il famoso hit “The Winner Takes All”.
Il disco si intitola “I Let the Music Speak”. Nelle note promozionali sta scritto, fra l’altro:

Very few composers that I know touch me in the way that Benny Andersson’s music touches me
[Benny Andersson è il compositore dei degli ABBA; nota mia]

Quello che mi è passato per la testa appena ho letto la notizia è che se questa è la strategia con cui l’etichetta per cui hanno inciso Furtwängler, Karajan, Abbado, Barenboim e Pollini pensa di diffondere la musica classica, stiamo freschi.
Ragionandoci, l’incazzatura è un po’ sbollita. Ognuno è padrone di suicidarsi come meglio crede. È un esperimento? Ma perché gli ABBA? Solo perché forse vende? Ma vende?
In ogni caso la cosa mi lascia perplesso…

A Boosey&Hawkes, agli Editori e alle Major del disco

Signori, siete dei derelitti.
Perfino la fruttivendola (con tutto il rispetto) giù all’angolo sa gestire le relazioni con i clienti meglio di voi.
Questo è quanto mi passa per la testa dopo aver visto come si è comportato Boosey & Hawkes in occasione dei 70 anni di Steve Reich (post seguente), ma indubbiamente vale per tutti voi.

Per celebrare l’evento, avete aggiunto al vostro sito una pagina con una animazione, che porta alla vostra pagina su Reich, che esisteva già, in cui tutto il materiale liberamente scaricabile è costituito da una decina di estratti da 1 minuto ciascuno e tre foto (le altre sono a pagamento).
I vari link, poi, guidano all’acquisto di partiture, foto, suonerie per cellulari.
In verità, uno sforzo lo avete fatto e non proprio banale: avete organizzato manifestazioni e concerti in varie città, fra cui Londra, New York, Los Angeles.

Non avete capito niente.

Non avete capito che sarebbe bastato mettere insieme un po’ di pezzi rappresentativi del lavoro di Reich, un video, allegare qualche pagina di commento critico con discografia, un po’ di belle foto, 5 suonerie, una partitura magari facile, impacchettare il tutto in un file liberamente scaricabile e regalarlo (sì, regalarlo, conoscete il significato di questa parola? se non lo sapete, sicuramente conoscete il termine “investimento promozionale” che non è nemmeno un costo perché detraibile) lasciando che la gente lo scarichi, mettendolo sulle reti P2P, regalando i singoli brani via iTunes, per far ascoltare la musica di Reich a un numero di persone impressionante, immensamente superiore a quelle raggiungibili con 10 concerti a Londra, Parigi, New York, senza contare che il 90% di quelli che vengono a tali concerti (che non credo siano gratuiti), i dischi di Steve Reich li hanno già.
Così, via internet, P2P, iTunes avreste raggiunto decine di milioni di persone, una sia pur piccola percentuale delle quali, una volta aperto il pacchetto, avrebbe detto “bello, che altri dischi ha fatto?”.
Avreste potuto raggiungere tutti, le grandi città lontane (ma come, non avete organizzato concerti a Tokyo, Singapore, Hong Kong, Delhi? e a Pechino?) e le piccole città vicine e lontane (non c’è un concerto a Verona? e a Gand? e nel Vermont?). Bastava un po’ di battage su internet per far passare la notizia su tutti i blog e questo pacchetto avrebbe continuato a girare per mesi, facendo sapere a tutti che questa musica esiste.

Signori, siete dei derelitti.

Steve Reich 70

Steve Reich
Negli USA ci sono grandi festeggiamenti per i 70 anni di Steve Reich (3 ottobre), tanto che il suo editore (Boosey & Hawkes) ha appositamente creato una pagina sul proprio sito.
Festeggiamenti ben giustificati se consideriamo che, a differenza di altri minimalisti che non hanno saputo sviluppare la propria musica diventando via via più banali, Reich, pur rimanendo sempre coerente al proprio stile compositivo, è stato in grado di evolversi e produrre sempre brani di livello dignitoso e a tratti anche molto belli. Effettivamente, fra i minimalisti è uno dei più raffinati.
Dai pezzi di Reich, Boosey & Hawkes ha tratto anche delle suonerie da cellulare. Data la loro ripetitività, funzionano quasi meglio di quelle ricavate dai brani di classica della serie booseytunes. Le trovate qui. Sono in vendita a 1.5 sterline [i soliti € 2 (figli di cani!)].
Saltando a piè pari gli esempi audio miseria (max 1 minuto) disponibili sul sito del suo editore, ecco un intero movimento di Music for 18 Musicians (1974-76) e un video, tratti dal sito personale di Reich.

Un Blog di Psicoacustica

Sound and Mind, che è un blog di psicoacustica che consiglio a coloro che se ne occupano, ha posto la classica domanda impossibile: “Che cos’è la musica?”
L’idea è stata probabilmente stimolata dal fatto che un recente numero della rivista Cognition è interamente dedicato alla musica, nelle sue varie accezioni.
Il primo che ha osato rispondere ha riportato la definizione ricorsiva di Jean Claude Risset: “musica è ciò che ascoltiamo quando abbiamo voglia di ascoltare musica”.
Il secondo ha dato un’altra bella botta di comportamentismo: “musica è qualsiasi complesso di suoni tale per cui un ascoltatore umano a cui viene chiesto se quella è musica, tende a rispondere sì”.
Il terzo ha cercato di riportare le cose su un piano più oggettivo: “musica è suono ordinato nel tempo”.
Adesso, ormai, siamo arrivati al 15mo e a 4’33” con: “musica è qualsiasi suono che accade entro un contesto artisticamente definito”, il che è bello, perché significa che un camion che passa durante 4’33” è musica, mentre fuori no (e nemmeno durante Beethoven).
Il discorso può sembrare inconcludente, ma non è insensato, anzi, è interessante constatare a quale profondità di indagine sulla natura umana si possa arrivare affrontando un tema impossibile.

Piano Giocattolo

Conoscete Margaret Leng Tan e Isabel Ettenauer?
Sono due fra le principali interpreti del piano giocattolo, che non è una stupidaggine, ma uno strumento con un repertorio specifico (fra gli altri, Cage, che comunque non è l’unico).
Eccovi Isabel Ettenauer in Sequitur V, un brano di Karlheinz Essl per Toy Piano and Electronics.

e Hyekyung Lee in un brano di Rob Smith, con il fantastico titolo di “Schroeder’s Revenge”

Fiddle Farmers

Octobasse
È molto bella questa pagina di Lois Siegel, fotografa, piena di immagini di strumenti ad arco e di quelli che li suonano in epoche e situazioni fra le più diverse.
L’oggetto di ammirazione della bambina è l’octobasso, costruito nel 1849 da Jean Baptiste Vuillaume.
Alto circa 4 metri, aveva 3 corde accordate all’ottava sotto al contrabbasso. La corda più bassa è un Do, non un Mi, e vibra alla temibile frequenza di 16.35 Hz. Si tratta del Do sotto al La basso dei pianoforte (che qualche piano ha).

Mi sembra doveroso aggiungere che la foto è di Marc Chaumeil

Evidentemente abbiamo un problema di deciBel

Gli esempi contenuti in questa pagina mostrano chiaramente l’aumento della compressione e del volume portato fin oltre il limite del clipping, di cui abbiamo parlato qui.
Il titolo è chiaro: “The Death Of Dynamic Range”.
A quanto sembra, ormai la musica pop viene mixata e compressa nello stesso modo della pubblicità: range dinamico quasi nullo e alto volume fisso stabile nel tentativo di bucare la radio.
Lo stesso articolo rileva anche un’altra cosa interessante: a volte lo stesso pezzo viene compresso in modo diverso per il mercato occidentale rispetto a quello asiatico, il che suggerisce che si prenda in considerazione qualche parametro a me sconosciuto (il livello medio delle radio? le abitudini del pubblico?) nella realizzazione del master. Ma, pensandoci, potrebbe anche essere un caso: un tecnico di masterizzazione diverso che interpreta secondo il suo giudizio le istruzioni della dirigenza.

A proposito di volume…

… ecco a voi il subwoofer da 60 pollici (cioè metri 1.524), capace di produrre un livello superiore a 180 dB.
Ancora non ci credo. È un subwoofer: 30 Hz a 180 dB fanno cadere i soprammobili, aprono le porte e forse rompono i vetri.
Ecco la foto e qui c’è l’articolo completo.

Here it is!. The 60-inch subwoofer absolutely has the capability to produce SPL levels well above 180 dB.
I can’t believe it. Here is the image and the complete article.

Animali del deserto mossi dal vento

Il clima sta cambiando e il riscaldamento globale è ormai un dato di fatto con il quale faranno i conti le prossime generazioni.
Theo Jansen ci prepara alla desertificazione costruendo questi bellissimi animali mossi dal vento, in grado di camminare sulla sabbia e scalare le dune. Scheletri di sottile plastica gialla, presagi di una nuova natura.
A volte, li lascia liberi in branco sulle spiagge così che possano vivere la propria vita.

Since about ten years Theo Jansen is occupied with the making of a new nature. Not pollen or seeds but plastic yellow tubes are used as the basic matierial of this new nature. He makes skeletons which are able to walk on the wind. Eventualy he wants to put these animals out in herds on the beaches, so they will live their own lives.

Un problema di deciBel?

Recentemente è apparsa una lettera aperta di un executive dell’industria musicale che ha sollevato un caso. Questo signore, tale Angelo Montrone, è il vice presidente del dipartimento A&R (Artists & Repertoire) della One Haven Music, che fa parte della Sony.
In breve, lui lamenta l’eccesso di compressione e di riempimento, con conseguente incremento di volume, nelle incisioni attuali, rispetto, per es., a quelle degli anni ’80. Il tutto condurrebbe a un eccessivo affaticamento dell’orecchio, che comporterebbe una prematura sensazione di stanchezza degli ascoltatori.
Cito un estratto:

There’s something . . . sinister in audio that is causing our listeners fatigue and even pain while trying to enjoy their favorite music. It has been propagated by A&R departments for the last eight years: The complete abuse of compression in mastering (forced on the mastering engineers against their will and better judgment).

Fra le altre prove, porta due incisioni dello stesso gruppo, Los Lonely Boys, a vari anni di distanza. Ascoltate i Lonely Boys vari anni fa e oggi. Notate che effettivamente le canzoni sono simili, ma l’arrangiamento attuale è molto più pieno e il livello medio è più alto.

La cosa mi ha incuriosito perché anch’io a volte ho questa sensazione.
Ci sono due modi di misurare l’ampiezza di un suono (quello che viene generalmente chiamato volume): l’ampiezza di picco e l’ampiezza RMS.
Il primo misura l’ampiezza istantanea dei picchi, cioè i punti con il volume più alto che però hanno durata minima. Fisiologicamente il dato è importante perché sono proprio i picchi improvvisi molto alti che possono provocare danni al timpano (il meccanismo difensivo del timpano, infatti, impiega circa 1/10 di secondo per entrare in azione).
Il secondo, invece, è una media che ha senso su lunghe durate (anche 1 minuto o più). Dal punto di vista fisiologico, un alto livello di ampiezza RMS affatica il sistema uditivo. Chiaramente è quest’ultimo che viene tirato in ballo da Mr. Montrone.
Trattandosi di CD, cioè di cose che non hanno un volume assoluto perché dipendono dall’amplificazione, tutte le misurazioni si fanno rispetto rispetto al massimo teorico del CD, che è uguale per tutti i dischi ed è la massima ampiezza possibile usando 16 bit, lo standard del CD audio.
Di conseguenza, si misura la distanza dal massimo possibile, definito come 0 dB. Si guarda, cioè, quanto l’incisione ha saturato l’ampiezza disponibile e per quanto tempo.

A questo punto, sono partite le misurazioni. Si è scoperto che, nella seconda metà degli ’80, l’ampiezza media (RMS) dei dischi di pop music era intorno ai -15 dB, cioè 15 deciBel sotto il massimo possibile. Attualmente, invece, la media si è alzata a valori he vanno da -12 a -9 dB, cioè l’incisione è molto più saturata (pensate che una differenza di 6 dB equivale al doppio).
Le mie misurazioni confermano questa tendenza. Bisogna considerare che io non ho molti dischi recenti e che in ogni caso i miei gusti sono un po’ particolari. Le cose più normali che ho sono i King Crimson o Peter Gabriel, mentre servirebbero dischi da top 10.
Comunque, posso aggiungere che, se effettivamente i dischi dei tardi anni ’80 sono incisi a circa -15 dB di media, nei primi ’80 eravamo a circa -19 e negli anni ’70 (rimasterizzati) a -22 dB.
La corsa al rialzo, quindi, non è solo recente, ma esiste da sempre.

Cos’è, è semplice dirlo. Si tratta del modo di comprimere. In pratica l’incisione viene prima compressa, riducendo le differenze fra i piano e i forte, poi la media viene alzata per occupare la parte superiore del range di ampiezza. Adesso, con la registrazione a 24/32 bit, si può fare ancora meglio.
In tal modo, il brano suona più forte, più grintoso, ma anche più piatto, con meno differenze dinamiche.
È più difficile, invece, capire perché sia nata questa mania. Non dipende solo da un mutamento di genere. Stiamo parlando delle top 10, non del punk.
Sembra dipendere, più che altro, dal modo di fruire la musica. Oggi si ascolta in un modo diverso da 20/30 anni fa. In macchina, in treno, mentre si corre, dal computer, etc. E così la musica deve competere con altri suoni. Forse.

Il 26 Settembre

Il 26 settembre non si celebra niente. Eppure qualcosa da celebrare ci sarebbe. E non qualcosa di banale. Solo che non se ne parla mai, tanto che anch’io me ne ero dimenticato.
Eppure il 26 settembre dovremmo celebrare il fatto di essere ancora vivi, perché il 26 settembre 1983 una persona ha preso una decisione che, molto probabilmente, ha evitato la guerra atomica. Ora vi racconto la storia. È un po’ lunga, ma ne vale la pena.

Nel 1983 la guerra fredda, che si trascinava dagli anni ’50, stava attraversando uno dei suoi periodici picchi di tensione. Il 1 settembre i russi avevano abbattuto il volo KAL 007, un Boeing 747 coreano che aveva a bordo 269 passeggeri (fra cui un deputato americano) più l’equipaggio, tutti morti. Il KAL 007 era un volo civile da New York a Seul che, dopo aver fatto rifornimento ad Anchorage, in Alaska, era finito fuori rotta sorvolando il territorio sovietico, con conseguente reazione russa che aveva portato all’abbattimento dell’aereo.
In realtà non si è mai saputo con sicurezza se la deviazione del volo KAL 007 fosse stata accidentale o in qualche modo preordinata allo scopo di saggiare la determinazione sovietica. Comunque sia, in seguito a questo fatto, gli attacchi americani all’URSS, che il presidente Reagan definiva apertamente “l’Impero del Male”, avevano raggiunto un notevole livello di virulenza e la tensione fra i due imperi era elevata.
L’unica cosa che impediva lo scontro diretto era la dottrina della deterrenza, in codice MAD (Mutual Assured Destruction), in base alla quale i sistemi radar dei due imperi erano in grado di rivelare i lanci dei missili della controparte con sufficiente anticipo da consentire il lancio dei propri, provocando la distruzione totale (è una semplificazione: in realtà la deterrenza si basava su uno spiegamento militare che includeva vari sistemi d’arma, come bombardieri e sommergibili, comunque il significato della dottrina MAD era questo).
Yevgrafovich-PetrovIn questa situazione, quel 26 settembre 1983, il tenente colonnello Stanislav Yevgrafovich Petrov, 44 anni, era l’ufficiale in servizio al bunker Serpukhov-15, presso Mosca, con il compito di tenere d’occhio i dati forniti dai satelliti di primo avviso (early warning) che per primi potevano avvistare un lancio diretto verso l’Unione Sovietica.
Poco dopo la mezzanotte, alle 00:40, i computer del bunker segnalarono un missile americano che puntava verso il territorio dell’URSS. Petrov mantenne la calma, pensando che doveva trattarsi di un errore di sistema perché lanciare un solo missile non era un attacco, ma un suicidio che lasciava all’avversario molte possibilità di risposta.
Ma poco dopo, i computer indicavano che un secondo missile era partito e poi un terzo, un quarto, un quinto.
Ora, per capire il dilemma di Petrov, bisogna sapere che il sistema di rilevamento satellitare sovietico poteva individuare un missile partito dagli USA, con un anticipo di quasi 30′ sul suo arrivo, quindi in tempo per lanciare una salva di reazione, ma il secondo avvistamento, che poteva servire da conferma, era quello dei radar di terra che, all’epoca, non erano molto efficienti, dando un preavviso di pochi minuti. Praticamene inutile.
Così, Petrov si trovava nelle difficilissima posizione di decidere se dichiarare l’informazione errata e non lanciare l’allarme oppure lanciarlo, basandosi unicamente sul proprio intuito. Se non avesse passato l’informazione, la sua patria avrebbe potuto essere distrutta senza nessuna reazione, ma se l’avesse passata, i suoi superiori avrebbero potuto decidere di lanciare una risposta e scatenare una guerra nucleare per niente.
Nessuno sa esattamente che cosa gli passò per la testa. Non ne ha mai voluto parlare, ma Petrov decise di dichiarare un falso allarme e restò nel bunker, lasciando passare i minuti, aspettando l’eventuale e tardivo segnale dei radar di terra. Segnale che, per fortuna sua e di noi tutti, non arrivò mai.
Naturalmente di questa faccenda non si seppe niente per un po’. Nessuno ne parlò perché avrebbe rivelato una inefficienza del sistema di risposta sovietico. Lo stesso Petrov passò qualche guaio. In fondo aveva disobbedito a un ordine, perché lui avrebbe dovuto lanciare un allarme e lasciare ai suoi superiori il compito di decidere. Ma non fu condannato. Soltanto trasferito a un ufficio meno critico e infine pensionato anzitempo. Una promettente carriera militare stroncata.
L’episodio venne raccontato nel 1990, un anno dopo la caduta dell’URSS, nelle memorie del generale Yury Votintsev, ex comandante della difesa missilistica dell’Unione Sovietica. Negli anni seguenti i media ne parlarono. L’Associazione Internazionale Citizen of the World assegnò a Petrov un riconoscimento pubblico nel 2004.
La Russia ha cercato di ridimensionare la cosa facendo notare che, anche se fosse stato dato l’allarme, la risposta non sarebbe stata automatica, ma soggetta alla valutazione di organi superiori e alla fine, di Yuri Andropov, il premier sovietico. È corretto, ma gli analisti della guerra fredda sono concordi nel sostenere che, visto lo stato di tensione di quel momento e la conseguente sfiducia delle alte sfere sovietiche nei confronti della presidenza USA, una guerra atomica sarebbe stata altamente probabile.
Quest’anno Petrov è stato onorato alle Nazioni Unite ed è in preparazione un documentario sulla vicenda.
Attualmente (NB: nel 2006), Stanislav Yevgrafovich Petrov ha 67 anni e vive con una modesta pensione nella cittadina di Fryazino, una piccola città scientifica, 25 km a NE di Mosca.

Update

Nel 2013 gli fu assegnato il Premio Dresda. Il film che racconta la sua storia, diretto dal regista danese Peter Anthony, è uscito nel 2014 con il titolo The Man Who Saved the World.

Stockhausen on YouTube

Sempre da YouTube, un’intervista con Stockhausen che mostra anche qualche estratto dei suoi lavori, fra cui l’infame Helicopter String Quartet.

Again from YouTube, a Stockhausen interview with excerpts of his works.

Soft Machine 1970

Per dimostrare, se ce ne fosse ancora bisogno, la potenza della condivisione…
I Soft Machine con Robert Wyatt alla batteria non si erano praticamente mai visti qui da noi. Proprio 3 giorni fa spunta su YouTube questo video di 6 minuti registrato dal vivo al festival di Kralingen in Olanda nel 1970.
Il brano è “Out bloody rageous”, tratto dal doppio album Third. La formazione è Elton Dean, Mike Ratledge, Robert Wyatt, and Hugh Hopper.
Update: ho aggiunto “Moon in June” registrato dal vivo al Bilzen Jazz And Pop Festival, 1969

Buona visione.

The power of sharing at work…
Videos of the Soft Machine with Robert Wyatt on drum are vary rare and difficult to find. I found on YouTube this 6 minutes video recorded at the Kralingen (NL) festival in 1970.
The piece is “Out bloody rageous”, from double album Third. Players are Elton Dean, Mike Ratledge, Robert Wyatt, and Hugh Hopper.
Update: added “Moon in June” live at Bilzen Jazz And Pop Festival, 1969.

Ben fatto, Dmitrij.

Dal primo minuto, l’ascoltatore è scosso da dissonanze intenzionali, da un flusso confuso del suono.
Frammenti di melodia, germi di frasi musicali vi annegano, emergono di nuovo e scompaiono in un lancinante e stridente ruggito.
Seguire questa ‘musica’ è sommamente difficile; ricordarla, impossibile

Da “Caos, non Musica”; editoriale della Pravda, 29/01/1936, qualche giorno dopo la presenza di Stalin alla rappresentazione di “Lady Macbeth of Mtsensk” di Dmitrij Dmitrijevič Šostakovič (Shostakovich)

Ben fatto, Dmitrij. Happy 100th.

Ovviamente questa musica oggi ci appare melodica. Tutto, col tempo, diventa melodico.
La potete ascoltare e vedere in questo filmato (formato quicktime) grazie all’Internet Archive.

Musica stampata

Ormai siamo così abituati ai software di notazione tipo Finale che non ci rendiamo conto come veniva prodotta una pagina stampata prima di questi programmi.
Andate a vedere questo video. Il commento è in tedesco, ma potete attivare la traduzione con sottotitoli (cliccate [CC] e scegliete la lingua con la ruotina). Comunque, anche se non si capisce, quello che si vede si capisce benissimo (ma non togliete l’audio).
Notate anche che il tipografo incide la pagina come se fosse allo specchio, per ovvii motivi.
Questo spiega perché un tempo le partiture costassero molto e non spiega perché adesso che il tutto è molto più semplice continuino a costare tanto.

Un videogame con Chopin!?

Non sono scandalizzato. Almeno, non molto. Solo un po’ incazzato nel vedere come l’industria si appropria di qualsiasi cosa senza porsi nessun problema.
Trusty Bell è un videogame giapponese in cui Chopin, un attimo prima di morire, entra in un mondo di sogno dove incontra una magica ragazzina con un terribile destino, yadda yadda yadda.
Non sto delirando, anche se dovrei. Le ultime tre parole sono il commento del recensore americano, tale Eliza Gauger, che conclude: “Sembra carino e la musica dovrebbe essere meravigliosa”.

UPDATE DEL 29/09
La magica ragazzina si chiama Polka e il suo simpatico amico Allegretto. Aaaaaarrrrrgggghhh!!!!

Il sottotitolo, infatti, è “The Chopin’s Dream”. Nella versione americana, però, è stato cancellato e sostituito da “Eternal Sonata”. Magari, se avrà successo, vedremo altre puntate: Eternal Ballad; Eternal Improvviso; Eternal Andante Spianato.
Mi chiedo se, dopo che sarò morto, oltre a intitolarmi l’aula di composizione (a meno che, come ha detto la Linda, non muoia prima Mannucci), faranno un videogame “The Graziani’s Dream”, in cui in cui incontro una magica ragazzina con un terribile destino, yadda yadda yadda. Magari l’ho già incontrata.
Comunque, se volete, ecco il trailer (del sogno di Chopin, non del mio). Occhio (orecchio) alla musica.

Brandon Bird

Brandon Bird è un artista californiano che, se fossimo negli anni ’60, sarebbe senz’altro considerato ‘pop’, mentre oggi viene definito ‘cult following’ per la sua tendenza a dipingere icone della cultura popolare come Christopher Walken, Chuck Norris o Abramo Lincoln in situazioni assurde, oppure a ispirarsi a show televisivi come Law&Order.
Ecco la sua versione dell’Ultima Cena di Leonardo con tutti James Wood tranne un Robocop che occupa il posto di Giovanni (cliccate sull’immagine per ingrandire).
Last Supper

WTC Outline Project

WCT Outline

Questo è un lavoro di Fynnegan Sloyan, artista residente a Brooklyn. Il vuoto ha una sua poetica. Qui si rende evidente un’assenza.
Un turista alieno che ignora quello che è successo non noterebbe niente di strano guardando la skyline di Manhattan. Qui una skyline cancellata si può scaricare in pdf per essere riportata su un acetato e comunicare l’assenza e (parte de) i sentimenti che ne derivano.
Non so come lo leggiate voi. Per me questa è una di quelle idee che solo un artista poteva avere. È per quello che esistiamo (almeno, una delle ragioni).

This is a work by Fynnegan Sloyan, artist based in Brooklyn. The void has its poetica. The perception of an absence.
An alien tourist ignoring what has happened would notice nothing strange looking at the Manhattan’s skyline. Here an erased skyline can be downloaded in pdf to be brought back on an acetate and communicate the absence and (part of) the connected feelings.
I do not know what do you think about. IMHO this is an idea that only an artist can have. It’s why we exist (at least, one of the reasons).

Zappa: sito ufficiale

Zappa Site

C’è un sito ufficiale di Zappa con in copertina una mucca con l’Italia sopra.
Cliccando vari punti della mucca succedono cose. Però, per vederla dovete scegliere “High Browse” dopo l’animazione iniziale. Altrimenti potreste finire nella pagina che pubblicizza il tour europeo di Dweezil, figlio di Frank, con la sigla “Zappa plays Zappa”.
In verità, fra i figli illustri, Dweezil Zappa è uno dei più simpatici (meglio del rampollo Moggi, per esempio e anche di Ciccio De André), ma quando faranno una legge che vieta ai figli di gente famosa di fare il mestiere dei genitori sarà sempre troppo tardi.
Comunque sarebbe giusta. Vi ricordate la legge che è alla base del film “Salvate il soldato Ryan”? Se qualche tuo fratello è già morto per la patria, tu vieni rimandato a casa. È come dire: la tua famiglia ha già dato.
Ecco, è lo stesso: in questo campo la tua famiglia ha già dato.

La chitarra più strana

Credo che questo modello vinca definitivamente il titolo.
Si tratta di una chitarra in silicio, fabbricata alla Cornell University per mostrare la possibilità di manipolazione offerte dalle nano-tecnologie.
L’oggetto in questione è lungo circa 10 micrometri (milionesimi di metro), più o meno come una singola cellula. Ha 6 corde, ognuna spessa circa 50 nanometri (miliardesimi di metro), cioè circa 100 atomi.
Le corde, pizzicate con un nano-oggetto (in realtà un microscopio a forza atomica), vibrano producendo frequenze purtroppo non udibili.

Sciovinismo culturale americano?

Oltre a quelle già riportate in questo post, un’altra cosa mi ha colpito nel Rapporto 2005 Economia della musica italiana.
In tutti i paesi l’acquisto di musica commerciale (= non classica) è più o meno equamente diviso fra nazionale e internazionale (tipicamente americana o inglese). Anche in Francia, paese conosciuto come culturalmente nazionalista, il rapporto è 60/35, cioè il 60% del venduto è musica francese, il 35% estera e il rimanente 5% è musica classica.
La Francia ha la percentuale di musica nazionale più alta d’Europa, la Svizzera la più bassa: 10% contro 90% (in effetti le band e le canzoni svizzere non sono molto note). L’Italia è divisa esattamente in due (48/48; il resto è classica) e anche in Inghilterra, che pure è uno dei produttori più importanti del mondo, la divisione è 47/47.
Negli Stati Uniti, il rapporto fra musica nazionale e internazionale è 93/05. Gli americani ascoltano per il 93% musica americana e solo per il 5% musica non americana. Se ci pensate una cosa del genere è pazzesca. Io capisco che gli USA siano forse il più grande produttore di musica (fra le altre cose), ma, anche conoscendo l’avversione degli americani per i testi in altre lingue, mi sarei aspettato una maggior penetrazione della musica inglese.
Mi vengono in mente due cose:

  1. l’America è molto cambiata rispetto a quella che io ho conosciuto (primi anni ’80).
  2. Che livello di sciovinismo culturale stanno vivendo gli Stati Uniti? Che considerazione e che conoscenza del resto del mondo possono mai avere?

Colonne Sonore

Grazie ai commenti di Lemi al post precedente, ho cercato un po’ di materiale in italiano sulla musica da film e ho trovato questa e-rivista (quasi tutta in italiano; fa eccezione qualche intervista).
Colonne Sonore (sottotit. Immagini tra le note) era una rivista cartacea passata sul web. Vi si trovano articoli, interviste, recensioni di musiche da film e libri e materiale vario. Il tutto mi sembra molto interessante e di facile e piacevole lettura.

Film Sound Designer

C’è un sito molto interessante dedicato al sound designing per le sonorizzazioni dei film qui.
Interviste, esempi, un glossario e più di 150 articoli on-line.

Winchester Mystery House

Aerial view

Ho deciso che, ogni tanto, vi racconterò anche qualcosa dei miei viaggi. Fa cool 8) .
Questa è la storia di una casa. Una grande casa che ho visto tanti anni fa e che avevo completamente dimenticato fino a qualche giorno fa quando l’ho ritrovata citata in un libro su Bob Dylan.
La casa ormai è nota come “Winchester Mystery House” ed è il frutto del delirio della sua proprietaria, una simpatica vecchia signora dal cognome famoso.
Sarah L. Winchester (1839–1922), infatti, era la vedova di William Wirt Winchester (1837–1881), figlio di quell’Oliver Winchester (1810–1880) che aveva inventato l’omonima arma (“il fucile che vinse il west”) e fondato la Winchester Repeating Arms Company della quale William era diventato presidente alla morte del padre, nel 1880. Ma presidente lo era stato per un anno solo, perché era morto nel 1881 e Sarah, pur restando fuori dall’azienda (le donne manager non esistevano a fine ‘800), ne aveva ereditato il 50% della proprietà, il che le assicurava una rendita di circa $ 1000 al giorno esentasse (fino al 1913 le rendite azionarie non erano tassate in USA; equivalgono a circa $ 19.000 al giorno attuali). In più, l’eredità era costituita anche da circa $ 20 milioni fra titoli, immobili e liquidi.
Non era povera la vedova Winchester, ma era inguaribilmente depressa per la prematura morte del marito e come spesso accade anche ai nostri giorni, la depressione la condusse da un mago.
Il mago le disse che c’era una maledizione sulla sua famiglia, a causa delle tante vittime dei suoi fucili, i cui spiriti cercavano vendetta e presto avrebbero preso anche lei, prematuramente come il marito. L’unico modo di calmare queste anime perdute era quello di costruire una casa tanto grande da ospitare lei stessa e tutte loro. Ma erano migliaia e non poteva esistere una casa abbastanza grande. Così Sarah Winchester avrebbe dovuto costruirne una e continuare ad allargarla giorno dopo giorno, per sempre. “Non dovrete mai fermare la costruzione. Continuate a costruire e vivrete. Smettete e morirete”.
E così fece. In fondo il denaro non le mancava. Sarah Winchester si trasferì all’ovest, a San Jose, California nel 1884 e qui comprò una fattoria di 8 stanze in cui andò a vivere, iniziando ad ampliarla.
I lavori di ampliamento continuarono sempre, 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana, 365 giorni l’anno per 38 anni, fino alla sua morte nel 1922 a 83 anni (in effetti visse molto, per quei tempi).
Ogni notte Sarah si recava in una stanza dove era convinta di ricevere messaggi spiritici che le suggerivano cosa costruire. Così ci sono scale che non portano in nessun posto, corridoi e porte più piccoli del normale (Sarah era alta circa m 1.50), un armadietto con solo 2 cm di profondità…
Oggi la casa è una curiosità per turisti. Ha 160 stanze. Prima del grande terremoto del 1906 aveva 7 piani, 3 dei quali crollarono. Venne rimessa a posto, ma gli ultimi 3 piani non furono mai ricostruiti, optando saggiamente per un ampliamento più orizzontale che verticale.
Ci sono 1257 finestre, 47 fuochi (fra camini, stufe, punti di cottura, alcuni dei quali a gas, gli altri a legna o carbone), 17 camini (sui tetti) + 2 in costruzione, 6 cucine, 40 camere da letto, 40 scale interne, 2 saloni da ballo e 52 punti luce (a candele, ovviamente). Si stima che la costruzione sia costata $ 5.5 milioni.
La vedova Winchester, inoltre, considerava protettivi il numero 13 e le ragnatele. I tipici candelieri a 12 braccia sono modificati e ne hanno 13, gli appendiabiti sono in multipli di 13 e varie finestre sono decorate con un motivo a ragnatela in cui sono inserite 13 pietre colorate. Nel 13° bagno, l’unico con doccia, ci sono 13 finestre. Lo scalone centrale ha 13 gradini.
Oggi si organizzano visite speciali la notte di Halloween e tutti i venerdì 13.
La foto aerea dà un’idea della struttura, ma non della complessità della casa. Per apprezzare quest’ultima cliccate qui.

Sito di riferimento

Kaija Saariaho

Here you can listen to
Six Japanese Gardens (1992), percussions and electronics

Six Japanese Gardens is a collection of impressions of the gardens I saw in Kyoto. Each of the six parts gives a specific look at a rhythmic material, including complex polyrhythmic or ostinato figures and purely coloristic materials. The percussion is extended with the electronic part, in which we hear nature’s sounds, ritual singing, and other instruments.
from a note by Kaija Saariaho

Shane Jones percussions

Près (1992) for cello and electronics

Près for cello and electronics is in three movements. The electronic element (synthetic sounds, modified pre-recorded cello, and live sound processing) expands the musical gestures of the cello in many different directions. The title of the work links it to Gauguin’s painting By the Sea; and hence to the experience of the sea itself and waves, their rhythms and sounds, stormy weather and calms.
from a note by Kaija Saariaho

Anssi Karttunen, cello, Carlo Barbagallo, electronics

Site: Kaija Saariaho

Grande chitarra!

Questa stupenda chitarra, che oltretutto suona davvero, è stata costruita dal liutaio Linda Manzer per Pat Metheny nel 1984 e rifatta più tardi anche per Scott Chinery.
La richiesta originale di Metheny era di una chitarra con “il maggior numero di corde possibile”. Ne ha 42. Accordarla è una vera rogna.

This beautiful guitar, that really plays, has been build by Linda Manzer for Pat Metheny in 1984.
The Metheny request was a guitar with “as many strings as possible”. There are 42. Tuning is a big deal.

eMusic sbarca in Europa

Secondo un comunicato stampa ufficiale di oggi, eMusic sarà disponibile in tutti in 25 stati della UE.
Il servizio di vendita di MP3 di eMusic è interessante perché i suoi file sono privi di DRM (no protezioni) e quindi possono essere fruiti senza limiti con computers, lettori mp3, cd, eccetera (sono anche iPod compatibili). Ricordiamo, inoltre, che, proprio a causa dell’assenza di DRM, le major non sono molto attratte da questo servizio e quindi l’offerta di eMusic, più che sulle rock star, è centrata su etichette indipendenti (indie), jazz, elettronica e musica classica. Inoltre i prezzi sono più bassi di iPod e simili.
eMusic non vende i singoli brani, ma abbonamenti. I bundles annunciati. sono:

  • Basic: € 12.99 al mese per max 40 downloads = € 0.32 al brano
  • Plus: € 16.99 al mese per max 65 downloads = € 0.26 al brano
  • Premium: € 20.99 al mese per max 90 downloads = € 0.23 al brano

Un tipico album da 10 brani, quindi, costa da € 3.20 a € 2.30, direi molto buono. C’è da considerare, comunque, che la musica classica non è standard nella suddivisione dei brani. Il Mikrokosmos di Bartok potrebbe costare l’ira-ddi-ddio perché si compone di molti brani brevi, mentre un disco con 3 sonate romantiche costa come 9 brani. Infine, il disco di Cage e Tudor “Indeterminacy” ha solo 2 brani, quindi costa quasi niente.
Inoltre, eMusic fa spesso offerte e promozioni convenienti (per es. all’atto dell’iscrizione vi regalano 25 download).
Di contro c’è la rottura dell’abbonamento. In Basic, € 12.99 al mese sono € 155.88 l’anno per 480 brani. Direi che il Plus è il più equilibrato: € 203.88 l’anno per 780 brani. Con il Premium su va a € 251.88 l’anno per 1080 brani.

Vorrei però far notare come questi prezzi siano notevolmente più alti di quelli americani, dove il Basic costa $ 9.99 cioè € 7.87 al cambio attuale (loro dicono per colpa delle maggiori tasse europee).

La miglior risposta possibile

Il violoncellista Eric Edberg, nel suo blog, racconta di aver chiesto a sua madre, insegnante di pianoforte in pensione, quale fosse, secondo lei, la qualità più importante per un musicista di successo.
La risposta di questa signora è stata semplicemente “La voglia di suonare bene”.
Penso che sia una risposta fantastica, la migliore possibile.

The classical and improvising cellist Eric Edberg on his blog tells this short story:

I once asked my mother, who recently retired as the piano professor at the University of Tampa, what the most important quality is for a successful musician. At the time, I was surprised by her answer: “the desire to play well.”

[Read original post]

Well, it’a beautiful answer, really the best I ever heard.

Le perversioni del copyright (3)

Non contenta di essersi attirata l’odio dei consumatori di cd, l’industria discografica sta ora cercando di alienarsi definitivamente anche i chitarristi dilettanti. Con la solita minaccia di una causa interminabile e costosa, ha fatto chiudere Olga.net (Online Guitar Archive), un sito che ospitava 34.000 intavolature per chitarra ed era visitato da circa 1.900.000 utenti al mese.
La ragione addotta è la solita: secondo gli editori, l’intavolatura equivale alla partitura e quindi il sito produceva loro un danno in termini di mancata vendita.
Ma, maledizione, stiamo parlando di canzoni e qui facciamo due considerazioni.
La prima è operativa. Nella pop music, le intavolature servono principalmente a chi non sa leggere la musica e non è nemmeno in grado di “tirare giù” a orecchio la parte di chitarra dal disco. Ne consegue che la maggior parte degli utenti che andavano su Olga, non avrebbe mai comperato la partitura, che per loro è una accozzaglia di cacche di mosca completamente inutili.
La seconda considerazione è molto più importante perché riguarda il nostro diritto di condividere la cultura. Se una canzone è cultura, un certo diritto di condivisione deve essere assicurato. Una società sta in piedi solo perché i suoi membri condividono e confrontano le loro esperienze culturali e in tal modo si costruisce una base di convivenza e comprensione.
Se, per ipotesi, i miei vicini fossero un cileno, un arabo, un cinese e uno del Mali, potremmo anche rispettarci e scambiare ogni tanto due parole sul tempo, ma non saremmo mai un gruppo socialmente integrato né tantomeno amici. Amici lo si diventa con la frequentazione e la frequentazione è favorita da cose come l’ascoltare o il fare musica/teatro/danza insieme, giocare a qualcosa, prestarsi film o libri. In pratica, è lo sviluppo di attività culturali comuni in cui ciascuno dà e prende qualcosa dagli altri che crea un tessuto sociale.
Quindi, in ultima analisi, qualsiasi limitazione di tale condivisione crea un danno sociale non banale. Se per fare una festa, invitare i miei vicini e suonare qualcosa insieme a loro devo fare delle carte bollate e pagare la SIAE, non la farò mai. E così sarà andata persa una occasione.
Ora, so già che questi mi diranno: ok, i tuoi vicini sono al massimo 20 persone, ma qui si parla di 1.900.000 utenti al mese.
Allora, primo (vedi sopra), sono utenti che non facevano parte del tuo mercato.
Secondo, questo è internet. Vogliamo internet o non lo vogliamo? Nota che internet ti dà modo di allargare a dismisura il tuo mercato, azzerare i costi di supporto, stampa e distribuzione, cioè almeno il 30% del costo del prodotto, perciò potrai vendere a prezzo più basso, quindi di più e con un margine di guadagno superiore.
Terzo, mettetevi in mente che il vostro modello di business è radicalmente cambiato e voi non controllate più il mercato, come potevate fare prima. Oggi chiunque può registrare un disco e promuoverlo sulla rete. Se finora solo raramente è stato fatto, è solo questione di tempo. In realtà, voi potete cambiare o morire, questo è il vostro destino e anche costruire un internet blindata con il trusted computer (TCG e TCPA) e il DRM non servirà perché i produttori di musica impareranno a fare senza di voi. Potete riciclarvi in molti modi: agenzie di pubblicità, consulenza artistica, consulenza organizzativa…
Avete mai sentito quella storiella sui due produttori di finimenti per cavalli che guardano la strana invenzione di un tale Ford?. Uno, in un momento di preveggenza, dice all’altro “Questa automobile ci farà fuori” e l’altro fa “Ma no, sei pazzo. Non va sui prati, non scala le colline, ha bisogno di questa roba puzzolente, benzina, e poi funziona solo sui sentieri piatti…”
Adesso gli eredi di quello preveggente fabbricano sedili per auto, l’altro è sparito.

Cosa è successo?

Ascoltate un po’ questo pezzo.
È “Birth Of Liquid Plejades”, un brano per 3 sintetizzatori e 4 violoncelli, dall’album “Zeit” dei Tangerine Dream del 1972. Era un album doppio con 4 brani (uno per facciata) di circa 18′ ciascuno.

Questa musica non veniva dai conservatori o dai circoli di musica contemporanea (in effetti verso la metà diventa melodica). Era pop-music.
Le riviste la etichettavano come “musica cosmica”, facevano recensioni deliranti, e di questo album scrivevano “forse di difficile ascolto e non per tutti, ma sicuramente un capolavoro assoluto”.
I concerti di gruppi come questo, con musica di questo tipo, facevano il pieno. Certo, non negli stadi, ma un teatro da 1000 posti andava esaurito facilmente. Ricordo che i Tangerine Dream riuscirono anche a fare una tournée nelle principali cattedrali gotiche tedesche e inglesi.
Ovviamente i termini come capolavoro vanno ridimensionati. In realtà i Tangerine Dream scopiazzavano a piene mani il Ligeti degli anni ’60, ma, ripeto, la loro era considerata pop-music, seppure sperimentale. Se ne parlava non nei circoli di Darmstadt, ma sulle riviste di pop-music, accanto a un articolo su Bowie e a uno sui Rolling Stones. Qualche volta anche su riviste musicali idiote, tipo Ciao 2001. Questi dischi erano regolarmente distribuiti, magari non in tutti i negozi, ma comunque erano reperibili, senza grande difficoltà, anche a Verona.
Adesso, qualcuno potrebbe spiegarmi perché qualsiasi forma di sperimentazione è totalmente scomparsa dalla popular music? (non ditemi che Aphex Twin o simili fanno sperimentazione). Cosa è successo nel frattempo?

Cultura Libera

Cultura Libera

I contenuti di questo blog, come la musica e gli scritti che si trovano sul mio sito, sono distribuiti secondo la licenza Creative Commons che trovate in fondo alla barra laterale.
L’inventore di questo tipo di licenze è Lawrence Lessig, professore alla Stanford Law School e fondatore dello Stanford Center for Internet and Society.
Dal sito Copyleft-Italia è possibile scaricare liberamente uno dei testi fondamentali di Lessig, “Free Culture”, ovviamente distribuito con licenza Creative Commens, opportunamente tradotto in italiano come “Cultura Libera” (per chi non si accontentasse del file pdf e volesse il volume, Apogeo lo vende a € 15).
In un momento in cui gli spazi di condivisione della cultura si assottigliano sempre di più a favore di lobbies che gestiscono un diritto in modo sempre più arrogante, distruggendo qualsiasi tipo di “fair use”, la diffusione di queste idee e la consapevolezza del problema sono sempre più importanti.
Per fare un esempio recente, l’edizione di Bari di Repubblica riporta la seguente eroica azione di un funzionario SIAE:

La Siae ha fatto una multa di 205 euro a 14 bambini di Chernobyl per violazione del diritto d´autore. I piccoli, di età compresa tra i 7 e 12 anni, avevano preparato un piccolo spettacolo per dire grazie alle famiglie da cui erano stati ospitati. Con una canzone in bielorusso. Le piccole casse di un computer portatile diffondevano una canzone popolare. E loro, sulla base musicale, avevano iniziato a cantare le prime strofe per salutare le persone che si erano prese cura di loro per quasi un mese.
[tutti particolari qui]

Il problema è che la SIAE non è cattiva, è solo stupida. Sono le leggi che devono cambiare.
Quindi, intanto scaricate Cultura Libera da qui. È legale e non costa niente. Non è pesante. Lessig racconta un bel po’ di storielle istruttive ma anche divertenti: di come l’invenzione dell’aereo cambiò l’estensione della proprietà dei terreni, a come la RCA, per puro amore del profitto, soffocò l’invenzione della radio FM (brevettata, pensate un po’, nel 1933; a quando risalgono i vostri primi ricordi di radio FM?).

Strategie Oblique

Le Strategie Oblique sono state sviluppate nel ’74 da Brian Eno e Peter Schmidt.
Si tratta di un mazzo di carte su ognuna della quali è stampata una sentenza oracolare. Il loro scopo è quello di aiutare l’artista a prendere una decisione nel corso del delicato tragitto che conduce all’opera compiuta con una modalità di pensiero vicina a quella orientale (indubbiamente devono molto all’I Ching almeno come ispirazione). Così a volte ci si trova di fronte a istruzioni quasi operative (“Usa meno note”; “Lavora con un ritmo differente”), altre volte a consigli applicabili in molti modi (“Torna sui tuoi passi”; “Solo una parte, non il tutto”), qualche volta si sconfina nell’oracolo (“Non si tratta di costruire un muro, ma di fare un mattone”).
Sono state anche stampate in quattro edizioni, tutte leggermente differenti (le sentenze vanno e vengono): le prime tre (1975, 1978, 1979) regolarmente distribuite sul mercato (anche in ed. italiana da GammaLibri, 1983), la quarta, completamente diversa, per uso privato (1996).
Eno e Schmidt affermano:

Queste carte si sono sviluppate a partire dall’osservazione dei principi che regolano le nostre creazioni.
Talvolta [i suddetti principi] sono stati riconosciuti retrospettivamente (facendo così coincidere intelletto e intuizione), a volte sono stati identificati osservando ciò che è successo, altre volte si è trattato di formule.
Possono essere utilizzate come un tutto (una serie di possibilità costantemente riportate alla memoria) opure isolatamente, estraendo una carta dal mazzo mescolato quando si presenta un dilemma a un certo punto del lavoro. In questo caso, ci si rimette alla carta anche se l’applicazione non è chiara.
Le carte non danno responsi definitivi, nel senso che nuove idee si presenteranno spontaneamente mentre altre diventeranno via via evidenti.
[Eno, Schmidt, 1975, trad. mia]

La cosa interessante di questi oggetti è che, come l’I Ching e in fondo tutti i testi oracolari, possono portare a vedere le cose in un modo diverso dall’usuale. Invece di incaponirsi cercando una soluzione con i soliti mezzi, suggeriscono una via trasversale per uscire dall’impasse.
Esiste un sito dedicato alle strategie oblique che sono anche consultabili in linea.

from elsewhere to nowhere


Una buona release ritmica/elettronica/contemplativa di Jean-Sébastien Roux, sotto il nome di “tion”, per la netlabel Autoplate.
C’è un interessante processo additivo in questi pezzi, per cui piccoli frammenti appaiono, evolvono e scompaiono, in accordo con il titolo del disco “from elsewhere to nowhere”, creando un tessuto fermo, ma con un costante movimento interno.
Trovate il tutto qui.
Intanto ascoltate qualche pista.

What the Thunder Said

Un nuovo (2006) lavoro di Steve Layton (compositore residente a Seattle nato nel 1956) che a un primo ascolto notturno, mi è piaciuto.
Interessante anche il metodo. La base del brano è costituita da un frammento tratto da una composizione di un amica (At the Abyss di Alex Shapiro), dilatato dalla sua durata originale di 5 secondi fino a più di 18 minuti. Questo è stato il template della composizione, il sentiero da seguire e a cui adattarsi, trovando una propria strada fra evocazioni e connessioni.
Il titolo è tratto dalla sezione finale del poema di Eliot “The Wasteland” (Terra Desolata).

A new work by Steve Layton (composer based in Seattle, born 1956) that I like.
The composer says:

A “journey” or “meditation” similar to this year’s earlier O, Hebdomeros. A tiny snippet of a recording (5 seconds from the second movement of my composer-friend Alex Shapiro’s At the Abyss) was stretched to something over 18 minutes. This became the template for the composition, a kind of path that I had to accept, finding my way through, making whatever evocations and connections appear somehow form a thread of their own sense and meaning. The title is taken from the final section of T.S. Eliot’s iconic poem “The Wasteland”.

 

Steve Layton – What the Thunder Said (2006) flute, piano, vibraphone, strings/electronics

SIAE e Copyleft

Da Frontiere Digitali e Giap, la newsletter di Wu Ming:

Roma, 7 agosto 2006.
Per la prima volta in Italia la Siae, con liberatoria a tempo indeterminato a partire dal 25 luglio 2006, (documento protocollato presso l’Ufficio Multimedialità al nr. 1/290/06/FDP) riconosce la possibilità della diffusione pubblica di musica d’ambiente all’interno di un locale commerciale, senza compenso, in virtù dell’utilizzo delle licenze copyleft (Creative Commons, Art Libre, Copyzero x, Clausola Copyleft) o di pubblico dominio.
All’interno della gelateria Fiordiluna, nel cuore di Trastevere a Roma, è presente uno spazio multimediale (monitor lcd 32” e impianto stereofonico con diffusori Bose) gestito da un pc con sistema operativo Linux e software libero attraverso il quale vengono diffuse opere audio, visive e letterarie rilasciate con licenze copyleft (Creative Commons, Art Libre, Copyzero x, Clausola Copyleft) o di pubblico dominio.
Questo importantissimo risultato è stato reso possibile dall’operato del dottor Ermanno Pandoli che ha rappresentato la gelateria Fiordiluna presso la Siae.

Attenzione. Il fatto che la SIAE riconosca queste licenze, probabilmente apre la porta alla possibilità di distribuire CD e fare concerti di musiche pubblicate secondo le licenze copyleft senza pagare diritti. Da verificare.

Musica classica informale?

Sul blog di Eric Edberg, violoncellista classico e improvvisatore, trovo questa riflessione:

Avete mai pensato che i concerti classici siano troppo formali e abbiano regole troppo intimidatorie?
Una delle ragioni del fatto che il pubblico della musica classica diventa sempre più vecchio e limitato non può essere un ambiente noioso e presuntuoso che guarda male i nuovi arrivati se solo osano fare qualcosa di naturale come applaudire fre i movimenti o anche durante un movimento?
Sapete che, prima del 20° secolo era normale applaudire fra i movimenti e perfino durante l’esecuzione e che compositori come Mozart incoraggiavano questa pratica?
[trad. mia]

Per verificare questa teoria, Edberg e colleghi stanno organizzando, a quanto pare con successo, eventi di questo tipo:

Wednesday Aug. 30
7:30 PM Thompson Recital Hall in the PAC
The Romantic Cello: An Informal and Interactive Musical Event
Eric Edberg, cello and Stephanie Gurga, piano
brani brevi e piacevoli
durata massima 1 ora
esecutori in jeans
applaudite quando volete
e danzate nelle navate se ne avete voglia

Che ne pensate? (la mia opinione ve la dico dopo)

The Internet Archive

Internet è volatile. Oggi trovate un bel sito che domani può essere sparito.
L’Internet Archive archivia siti e altri contenuti culturali di tutti i tipi in forma digitale. La WayBack Machine, che recupera i contenuti di siti ormai andati, ospita attualmente circa 55 miliardi di pagine. Ma ci trovate anche musica, testi, interviste, immagini in movimento.
C’è un vasto archivio di musica dal vivo di band per lo più sconosciute, più di 30.000 libri e anche materiale interessante per questo blog. Le chiavi da usare per accedervi sono “Avantgarde” e “20th Century Classical”, oltre alla ricerca diretta con i nomi dei compositori. Ne abbiamo un piccolo esempio nel post precedente.
L’accesso è libero, ma qualche volta il motore di ricerca che gestisce tutto questo materiale è sovraccarico e non risponde. Abbiate pazienza.
Nel frattempo, alla faccia della musica contemporanea, beccatevi i Grateful Dead.

Interviste e concerti

Su Archive.org sono disponibili alcune interessanti interviste, ovviamente in inglese, con: Brian Eno (1980), Astor Piazzolla (1989), Cathy Berberian (1972)
Si trovano anche le registrazioni di alcuni concerti, come questo di Cage e Tudor del 1965.

On the site Archive.org we can find some interesting interviews with Brian Eno (1980), Astor Piazzolla (1989), Cathy Berberian (1972).
There is music also. Listen to this Cage and Tudor concert (1965).

25 dischi

Tim Page, il critico del Washington Post, ha pubblicato la sua scelta dei 25 dischi più rappresentativi del 20mo secolo nell’area della musica contemporanea.
La lista è interessante per i commenti e per qualche suggerimento su autori finora trascurati. La trovate qui.

Le perversioni dei brevetti (1)

Tanto per allargare un po’ il discorso del post precedente, pubblico qui parte di un mio testo di qualche anno fa riguardante i brevetti, finora non pubblicato.
Potrebbe anche chiamarsi “Le perversioni del libero mercato 1 (aka L’Etica Aziendale)”, ma mettendola su questo piano, la serie non finirebbe mai…
È lungo, ma spero interessante. Comunque, per non annoiare, ho messo un link di continuazione a metà.

In tutte le legislazioni esiste il brevetto ed è visto come un incentivo alla ricerca. Il ragionamento è: assicurando una ventina di anni di sfruttamento esclusivo dell’invenzione o di introiti derivanti dai diritti, l’investimento degli ingenti capitali necessari alla ricerca diventa conveniente.
In teoria è giusto, ma il problema è che la realtà non è quasi mai così. Spesso la presenza del brevetto è un ostacolo alla diffusione di una invenzione. A volte ne provoca anche la scomparsa.
Andate a vedere, per esempio, a quando risale il brevetto dell’air-bag, che pure è un oggetto salvavita (secondo le stime del governo statunitense, 15.000 vite salvate contro le 242 perdute perché il passeggero non aveva la cintura al momento dell’impatto) e scoprirete che è del 1952 e appartiene a tale John Hetrick.
Il brevetto arrivò a scadenza nel 1972, guarda caso proprio un anno prima che General Motors decidesse di piazzare i primi air-bag della storia dell’automobile su alcune versioni della Chevrolet Impala. Inoltre, le industrie automobilistiche erano molto reticenti all’installazione di questo sistema, anche quando tutti i test ne provavano l’efficacia, perché aumentava costi e prezzi, tanto che il governo statunitense dovette renderlo obbligatorio con una legge nel 1984.
Tutto ciò dimostra che:

  • le aziende hanno consapevolmente ritardato per almeno 20 anni l’adozione di un sistema salvavita;
  • anche a brevetto scaduto, le aziende non lo avrebbero introdotto senza una disposizione governativa, a riprova che il cosiddetto libero mercato necessita di un controllo continuo e feroce;
  • pur avendola brevettata, Hetrick non guadagnò un solo penny dalla sua invenzione;
  • si tratta di una ulteriore prova che l’esistenza dei brevetti non porta benefici ai consumatori e non incrementa la ricerca, anzi, spesso la blocca;
  • dov’è l’etica aziendale?

Volete altri esempi?. Non c’è problema. Sparlare di industria automobilistica e ricerca, ma in genere di industria e ricerca, è facile come sparare sulla Croce Rossa.
Motore WankelChiedetevi, per esempio, che fine ha fatto il motore Wankel.
Non sapete cos’è? Non mi stupisce. Il motore rotativo progettato da Felix Wankel (prototipo nel 1936, definitivo nel 1954) andava anche lui a benzina o gasolio e rimase nell’ombra per circa 20 anni (fino alla scadenza del brevetto, cvd).
Poi, verso la fine degli anni ’60, la NSU, la Mercedes e la General Motors ne realizzarono dei prototipi. Solo negli anni 70 l’azienda tedesca Auto Union lo realizzò montandolo sulla Nsu Ro 80, una berlinona di rappresentanza regolarmente distribuita che avrebbe poi ispirato, 10 anni dopo, le linee guida delle Audi 100. Le dimensioni erano quelle delle grandi Mercedes di allora, ma il motore Wankel era di soli 993 centimetri cubi e permetteva prestazioni di primo piano (NB: le Mercedes con uguali prestazioni e dimensioni avevano cilindrata 2000). La Nsu Ro 80 (eletta auto dell’anno) era un’auto veloce e in più aveva un motore piccolo e rivoluzionario. I consumi erano quelli di un’automobile di media cilindrata e qui, ecco nascere i vantaggi ma anche i problemi.
Certamente c’erano parecchi problemi di natura tecnica, ma probabilmente risolvibili con la ricerca. Forse la maggior parte non era di natura tecnica. Il dato di fatto è che il motore Wankel è praticamente scomparso dal mondo dell’automobile. Non se ne è più parlato e anche la sua memoria, in Europa, è quasi scomparsa.
La ragione ufficiale erano i costi della ricerca che sarebbe stata necessaria per renderlo affidabile come il collaudatissimo motore a scoppio. Ah si? Ma le aziende non fanno anche ricerca? Come staremmo adesso, a oltre 30 anni di distanza, se le auto avessero sempre avuto cilindrate inferiori?
I giapponesi della Mazda, invece, hanno continuato la ricerca, lo hanno reso affidabile già alla fine degli anni ’60 e oggi lo troviamo sulla Mazda RX-8. Nel loro sito il nome di Felix Wankel appare una o due volte. Il motore rotativo naturalmente nel frattempo è diventato il motore rotativo Mazda e ha assunto il nome di Renesis (acronimo di Rotative e Genesis).
A questo punto, mi chiedo se sia davvero così difficile sviluppare motori a energie alternative (alcool, olio, elettricità, idrogeno) visto che i prototipi già funzionano. Ora, dato che una delle priorità dell’umanità dovrebbe essere quella di abbattere l’inquinamento, forse basterebbe che tutte le aziende automobilistiche fossero costrette a creare un consorzio di ricerca che si occupa di sviluppare anche solo i fondamenti del motore a idrogeno (come nel caso del motore a scoppio in cui i fondamenti sono noti a tutti e poi ognuno applica le proprie migliorie) e investirci quello che normalmente investono nella cosiddetta ricerca e lo potremmo avere in 5 anni, forse meno.
Ah, ma questo sarebbe contrario al libero mercato. Forse sì, però sarebbe altamente ragionevole ed etico: di fronte a un problema reale, l’umanità si coalizza.
Durante la guerra fredda, quando tutti vedevano UFO dappertutto, io speravo tanto in un attacco alieno. non alieni iper-avanzati e amichevoli che ci avrebbero solo distrutto culturalmente, ma alieni cattivi che vogliono eliminarci e terraformare il nostro pianeta perché respirano anidride carbonica. Così, tanto per vedere se USA e URSS finalmente non si sarebbero coalizzate lanciando i missili contro lo stesso bersaglio.
Questo sfogo serve solo a mostrare il grado di demenza del nostro sistema che favorisce l’isolamento aziendale contro la cooperazione.

Le perversioni del copyright (2)

Londra, 23 settembre 2002.
Gli avvocati delle parti si fronteggiano per dirimere l’ennesimo caso di plagio. Ma questa volta l’oggetto della causa è un po’ speciale. Il musicista pop Mike Batt ha inserito in un album della sua rock band “The Planets” un brano intitolato “One minute of silence”, il cui contenuto corrisponde al titolo ed è stato accusato di plagio dal John Cage Trust (NB: gli eredi di Jonh Cage che è morto nel 1992) e dalle Edizioni Peters, editore del brano 4’33” (ovviamente 4’33” ha una partitura: è in 3 movimenti all’inizio dei quali è scritto “tacet”).
L’incontro si conclude con un accordo extra-guidiziale. Batt consegna un assegno a 6 cifre (in sterline) a Nicholas Riddle, managing director delle Edizioni Peters e aggiunge il nome di Cage come co-autore di “One minute of silence”, dichiarando “Faccio questo gesto come segno di rispetto verso John Cage” 8) . Riddle intasca l’assegno e afferma “Noi intendiamo difendere la proprietà di Mr. Cage e il concetto di brano silenzioso è una idea importante sulla quale c’è un copyright” :lol:.

Molto interessante. In effetti, Riddle ha dalla sua almeno un precedente: il quadro bianco, non dipinto, il “White Painting” di Rauschenberg è protetto e chiunque lo rifaccia può essere accusato di plagio.
D’altra parte il silent piece è, appunto, un concetto. Il contenuto del silent piece è l’insieme dei suoni che si sentono mentre il musicista non suona.
Ma se, in musica, si possono brevettare i concetti, allora è la fine. Per esempio, i cluster (accordo formato da note vicine, tipicamente 2e minori come do, do#, re, re#, mi) cominciano ad apparire timidamente in musica nel primo ‘900 (Debussy, Bartok, Ornstein, Ives), ma il primo che ne fa un uso esteso e consapevole è Henry Cowell in “The Tides of Manaunaun” (1917; non 1912 come è spesso riportato).
Di conseguenza, Cowell avrebbe potuto porre un copyright sul cluster. 3/4 della musica del ‘900 cancellata.
Schoenberg avrebbe messo un copyright sulla dodecafonia. Messiaen avrebbe potuto chiedere i diritti sui modi a trasposizione limitata, Boulez sul serialismo integrale, Debussy sulla scala esatonale e Stockhausen sull’universo in musica. Per non parlare della musica pop: causa interminabile fra Deep Purple e Led Zeppelin su chi abbia inventato l’hard rock.
Per inciso, questo è esattamente quello che sta succedendo negli USA con i brevetti sul software, che finora l’Europa è riuscita a negare.

Ma la gente… (2)

Prendete un software per il P2P (questa prova è stata fatta con eMule). Cercate John Cage, selezionando il tipo di file = audio. Poi ordinate i risultati in base alla disponibilità di sorgenti (cioè alla quantità di utenti che l’hanno messo in condivisione).
Scoprirete che il file audio di Cage più scambiato in rete è 4’33”.
Sì! Fra i pezzi di Cage, quello più ascoltato in rete è proprio la composizione silenziosa, nella versione per piano.
Ma la gente…

Rapporto 2005 Economia della musica italiana

I dati seguenti sono tratti dal Rapporto 2005 Economia della musica italiana del Centro Ask (Art & science for knowledge) dell’Università Bocconi, realizzato con la collaborazione di Dismamusica (Associazione distribuzione industria strumenti musicali e artigianato), Fem (Federazione editori musicali) e Scf (Società consortile fonografici). Sito di riferimento. Rapporto in pdf.
Il sistema musicale italiano ha fatturato, lo scorso anno, 2,284 miliardi di euro, con una crescita del 4,35% rispetto al 2003. Il sistema nel suo complesso non è perciò in crisi, anche se il saldo finale è il risultato di movimenti disomogenei dei diversi settori, con il più esposto, la discografia, in controtendenza. I dati di sell-in evidenziano vendite di musica su supporto fisico per 527,1 milioni di euro, con un calo del 5,57%.
La distribuzione digitale, con la progressiva sostituzione dei siti peer-to-peer con servizi gestiti o approvati dalle case discografiche, passando dagli 89,6 milioni del 2003 ai 141 del 2005 (+57,3%), controbilancia in parte il calo di vendita dei supporti fisici e, sommato alla buona salute degli eventi dal vivo, contribuisce alla crescita del consumo finale di musica a 1,046 miliardi di euro (+13,7%).
Una comparazione internazionale, focalizzata sul settore discografico, conferma la relativa marginalità del mercato italiano, ottavo al mondo ma con valori quasi sei volte inferiori a quello britannico (primo in Europa), otto volte più piccolo di quello giapponese e 1/20 di quello americano. L’Italia registra un consumo medio di soli 0,7 album per abitante, contro i 4,3 del Regno Unito, i 2,7 degli Stati Uniti o l’1.7 della Spagna.

A questo mercato la musica classica contribuisce solo per il 4% nel nostro paese. D’altra parte la classica è ovunque un genere residuale che va da un minimo inferiore all’1% (Svizzera, Svezia, Giappone), fino a un massimo dell’11% (Austria, unico paese che supera il 10%). Notare che la Spagna è al 7%, più di UK, Canada, Germania, Belgio (6%), Olanda e Francia (5%). I dati non comprendono Russia, Cina e Asia (a parte il Giappone).

Da notare che, mentre il fatturato delle scuole di musica private aumenta del 7.4%, quello dei conservatori (scuola pubblica) cresce solo del 4.8%.

Varèse on YouTube

Credo che Edgar Varèse sia uno dei compositori del ‘900 storico più sottovalutati (almeno rispetto alla sua grandezza) e meno studiati (anche perché è di non facile analisi).
Eccovi Offrandes (1921), per soprano e orchestra da camera.
Sarah Leonard, soprano ASKO Ensemble, Riccardo Chailly (1996)
Offrandes è un insieme di due poesie di Vicente Huidobro e José Juan Tablada. Questo è il testo di Huidobro (in francese):

From YouTube, a piece by Edgar Varèse: Offrandes (1921), for soprano and chamber orchestra. Sarah Leonard, soprano ASKO Ensemble, Riccardo Chailly (1996)
Texts by Vicente Huidobro and José Juan Tablada. Here is the original text by Huidobro (in french):

La Seine dort sous l’ombre de ses ponts.
Je vois tourner la terre
Et je sonne mon clairon
Vers toutes les mers.

Sur le chemin de ton parfum
Toutes les abeilles et les paroles s’en vont.
Reine de l’Aube des Pôles,
Rose des Vents que fane l’Automne!
Dans ma tête un oiseau chante toute l’année.

Questa è la mia traduzione. Perdonate l’inadeguatezza.

La Senna dorme all’ombra dei suoi ponti.
Vedo girare la terra
e suono la mia tromba
verso tutti i mari.
Sulla scia del tuo profumo
vanno tutte le api e le parole.
Regina dell’Alba dei Poli,
Rosa dei Venti che appassisce l’Autunno!
Nella mia testa un uccello canta tutto l’anno.

Beatles analizzati

The Beatles

Nel 1989 il musicologo americano Alan W. Pollack ha iniziato la sua analisi delle canzoni dei Beatles, pubblicando i risultati in internet.
Nel 1991, dopo aver terminato le prime 28 canzoni, ha deciso, coraggiosamente, di continuare. 10 anni dopo, nel 2000, ha completato l’analisi dell’intero corpus ufficiale delle canzoni dei Beatles che consiste di 187 pezzi e 25 cover. Ora la rivista soundscapes.info ha riorganizzato il grande lavoro di Pollack e creato degli indici (alfabetico, cronologico e canonico). Il tutto è liberamente consultabile in rete qui.
Il lavoro è notevole. Per ogni canzone Pollack esamina la struttura generale del pezzo soffermandosi poi su stile, forma, melodia, armonia e arrangiamento. Segue poi una analisi dettagliata sezione per sezione. Una risorsa imperdibile per un cultore di popular music.

Click for Golden Slumbers

100 anni di Šostakovič

ŠostakovičSpero che qualcuno si ricordi che il 2006, oltre all’ennesimo anno mozartiano, è anche il centenario della nascita di Dmitrij Šostakovič (anche noto come Shostakovich o Schostakowitsch, in cirillico Дмитрий Дмитриевич Шостакович, San Pietroburgo, 25 settembre 1906 – Mosca, 1975).
Qui all’International Music Score Library Project, potete scaricare parecchie sue partiture.
Ne riparleremo in settembre. Per ora ascoltate, dai 24 Preludi e Fughe, op. 87 (da non confondersi con l’omonima op. 34), il Num. 1 in Do maggiore, con la fuga sui soli tasti bianchi.

La RIAA vi lascia vivere se siete morti

Come riferisce The Wired Campus, la RIAA (l’associazione americana dei discografici, la cui mission, ormai, è perseguire legalmente chiunque scarichi MP3 illegali dentro e fuori gli USA) ha lasciato cadere la causa contro Larry Scantlebury, recentemente deceduto, invece di continuarla, rivalendosi su moglie e figli, come avrebbe avuto il diritto di fare.
La stessa RIAA ha sottolineato la propria “grande sensibilità” in questo particolare caso, ma il blog Boing Boing ha fatto notare come, subito dopo la morte del sig. Scantlebury, la RIAA aveva concesso alla famiglia solo una sospensione della causa per 60 giorni e la sua abbondanza di sensibilità si sia materializzata solo dopo che il caso era finito su molti giornali e blog (più di 20.000 reference per Scantlebury RIAA su Google).

According to The Wired Campus, the RIAA, (Recording Industry Association of America) has dropped plans to pursue an antipiracy lawsuit against Larry Scantlebury, a defendant who recently passed away, by deposing his children.
A RIAA spokesperson, Jonathan Lamy, emphasized the RIAA “abundance of sensitivity” in dropping this particular case, but Boing Boing, one of its fiercest critics, remarks that the RIAA had only given 60 days to grieve before the RIAA went on to depose the dead man’s children in a renewed suit against his estate and this “abundance of sensitivity” only materialized within 24 hours of this story hitting several large news outlets and blogs (more than 20.000 references for Scantlebury RIAA found on Google).

Seattle Improv Meeting

Il Seattle Improv Meeting è un gruppo che si dedica all’esplorazione dell’improvvisazione strutturata. Utilizzando vari tipi di partiture non convenzionali (grafiche, verbali, testuali, disegni che scorrono in Flash, etc) il gruppo sperimenta il confine fra composizione e improvvisazione. Uno dei loro principali interessi è l’interpretazione del Treatise di Cornelius Cardew (ne abbiamo già parlato su questo blog) che è attualmente in corso al ritmo di 4-6 pagine per session (dato che in questa partura manca una esplicita scala del tempo, il Treatise può anche essere eseguito in parti, al limite una sola pagina per volta).
Sul sito si trova anche una guida al Treatise con vari materiali e link.

Dead Elvis

Elvis
Ieri, 16 agosto, erano 29 anni dalla morte di Elvis Presley (1977, l’anno prossimo sarà il trentennale, preparatevi).
La fama di Elvis non accenna a diminuire. “The Pelvis”, che da morto è molto più comodo che da vivo, fattura attualmente più di 30 milioni di dollari l’anno fra diritti d’autore e di sfruttamento dell’immagine, tanto che le major del disco hanno già in mente di proporre, anche per l’Unione Europea, una estensione del periodo di tutela dei produttori discografici, sulla scorta del “Sonny Bono Copyright Term Extension Act”, con il quale gli Stati Uniti hanno portato tale termine a 95 anni dalla data di registrazione (con grande soddisfazione della Walt Disney, che ha così scongiurato il pericolo di veder liberamente utilizzata l’immagine di Topolino).
La fama di Elvis, però, supera anche quella di Topolino. C’è, per esempio, un libro intitolato “Dead Elvis: A Chronicle of a Cultural Obsession” che raccoglie tutti gli avvistamenti di Elvis dopo la sua morte (nessuno, invece, sostiene di aver visto Topolino 😛 ).
Nel 1993, il compositore americano Michael Daugherty ha scritto un brano, il cui titolo è ancora “Dead Elvis”, in cui il fagotto solista impersona Elvis Presley e dove si racconta la storia di una rock&roll star che vende la propria anima a Hollywood in cambio della fama, in uno scenario faustiano che cita, anche nella formazione, l’Histoire du Soldat in cui un soldato vende il suo violino e la sua anima al diavolo per un libro magico (note di programma qui).
Questo pezzo è forse uno di quei collage post-modern contro cui si scaglia Boulez (vedi post precedente).

Boulez sulla tradizione

Renewable Music riporta una bella citazione in cui Boulez paragona la tradizione al telefono senza fili

C’è un gioco che facevamo da bambini. Ci si siede intorno a un tavolo, il primo sussurra una frase all’orecchio del proprio vicino “Ho il fazzoletto in tasca”.
La frase passa da orecchio a orecchio, sempre più veloce, e come diventa alla fine? “Il gatto mangia la cioccolata”.
Ecco. Questa è la tradizione – spesso solo l’eredità di manierismi. Qualcuno imita gesti senza capire il loro spirito.
[trad. mia]

Trovo questo paragone molto bello e centrato. Rende conto anche della distanza.
D’altronde Boulez non è mai stato tenero con i recuperi di qualsiasi tipo. Leggete questa intervista a Repubblica datata 2000:

Maestro Boulez, come vede la musica del nostro tempo?
“In uno stato di regressione, pigrizia e mancanza di coraggio. Per paura del presente ci si rifugia in brutte copie del passato, ovvero il cosiddetto post-modernismo, esecrabile. Negli anni ’50, dopo la guerra, quando non c’era più niente da perdere, la guerra aveva già azzerato tutto, si era più intrepidi, non si temevano sperimentazioni radicali. Ora si è ossessionati dalla conservazione. Nelle arti, e nella società in generale, si teme la perdita d’identità: in quella gran miscela che è diventato il mondo si ha come il terrore di annullarsi dentro una massa ibrida e confusa, senza più profili e caratteri. Perciò ci si difende tuffandosi nella propria cultura e nel passato. Col risultato di due tendenze: la mania dell’ autenticità e della filologia, vedi il revival di Bach e del barocco mitizzato come epoca d’oro; e il mito della caricatura, ovvero rifare, naturalmente meno bene, cose immaginate cento anni fa o di più. Accade ovunque, nella musica come in architettura, coi vari orripilanti neoellenismi… Spaventosi come il post- moderno in musica”.

 

Crede nelle contaminazioni con la musica pop?
“No! Trovo il pop alienante e opprimente. Apprezzo la vitalità dei suoi interpreti, ma è un’energia che potrebbe essere indirizzata verso obiettivi più interessanti. E’ una musica fatta di cliché che cambiano, come la moda. Mi fa pensare a un certo modo di mettere il berretto: un anno con la visiera davanti, l’ anno dopo di lato, e ora tutti la portano indietro… Il pop è dominato da superficialità e imitazione. L’unico che mi ha interessato è stato Frank Zappa, curioso, avventuroso, radicale. Apparizione eccezionale in quel contesto”.

 

Lei fu un pioniere nel campo dell’informatica musicale. I risultati attuali sono pari alle sue aspettative?
“Lo sviluppo è interessante ma ancora molto deve accadere. Se un tempo si temeva che la tecnica soffocasse l’interprete, oggi ci si rende conto che è salvaguardato. L’elettronica non domina: è funzionale. E’ una possibilità fantastica di estensione del mondo strumentale. Non indispensabile: si può benissimo scrivere ancora solo per strumenti. Ma per un universo musicale può fungere da arricchimento formidabile”.

Il pensiero di Boulez sulla tradizione è ulteriormente chiarito in questo frammento tratto da una intervista al Telegraph:

No, non credo nella tradizione. Io credo nella storia. Le lezioni che ricavi dalla storia sono le tue proprie lezioni, tu stai insegnando a te stesso. La tradizione è semplicemente il manierismo di gente che è venuta prima di te. La tradizione è passiva, la storia è attiva.

Sospeso in una bolla immobile

Sospeso nella bolla immobile del ferragosto in una città che sembra totalmente ferma. Dondolante su un’amaca in un quartiere deserto, questa mi sembra la musica adatta. È una mia composizione del 1980 pensata come arredamento per un appartamento vuoto.
Io suono al piano brevissime frasi diatoniche (da 1 a 6 note) generate da un processo casuale, ogni frase per una sola volta. Un eco di 6 secondi le ripete e le fonde costruendo forma, ritmo, tensioni, risoluzioni, eventualmente emozioni.

Mauro Graziani – Morning Grill (1980) – for piano and delay

Un disastro per i musicisti

Non so quanti se ne siano resi conto, ma gli sventati attentati di Londra e la conseguente probizione di portare bagagli a mano stanno producendo una situazione disastrosa per i musicisti.
Gli strumentisti, infatti, sono abituati a portare come bagaglio a mano i propri strumenti, che spesso hanno un valore notevole e non sono coperti dall’assicurazione se viaggiano nella stiva.
Il problema non è tanto quello degli addetti al caricamento del bagaglio, che notoriamente non sono delicati. A questo si potrebbe ovviare con una custodia blindata.
Il vero problema è la temperatura. La stiva degli aerei, infatti, non è riscaldata e uno strumento spesso antico si trova esposto a temperature che vanno dai -10 per i voli brevi a quota media fino ai -30 e oltre per i voli trascontinentali ad alta quota.
Gli effetti di una simile temperatura su strumenti antichi del valore di decine di migliaia di euro o più, sono sconosciuti, tanto che le compagnie di assicurazione, in genere, richiedono che lo strumento venga portato come bagaglio a mano.
I musicisti dell’Orchestra del Teatro Bolshoi, attualmente in tournée a Londra, per esempio, potrebbero essere costretti a raggiungere Parigi in treno e imbarcarsi da lì per Mosca se l’embargo sul bagaglio a mano non verrà tolto prima della data del loro ritorno, il 19/08. Gli strumenti, infatti, non sono di loro proprietà, ma appartengono al Museo di Stato Russo e essendo strumenti di valore, il contratto di affidamento prevede il trasporto in cabina, tanto che, per i violoncelli, il Bolshoi è solito acquistare biglietti supplementari. Ma ora anche questo non è più possibile.

Eruption Music

Volcan sonification

Apprendo ora da BBC News che alcuni scienziati italiani stanno cercando di trasformare in musica i sismogrammi dell’Etna al fine di poter meglio predire una eventuale eruzione.
La tecnica, nota come “data sonification” non è una novità. È stata usata più volte in passato per rendere più evidenti dei patterns sepolti in grandi masse di dati. Se, per esempio, si trasforma in suono l’andamento di un fenomeno ondulatorio, è molto più facile sentirne il ritmo, scoprire moduli che si ripetono, etc.
Ora, sempre secondo BBC News, gli studiosi dell’Università di Catania (in particolare il prof. Roberto Barbera e il suo team) stanno lavorando sugli infrasuoni emessi dal vulcano, altrimenti inaubili, trasformandoli in musica con un metodo messo a punto dal prof. Domenico Vicinanza dell’Istituto Italiano di Fisica Nucleare.
Il sistema, schematizzato in figura, campiona un’onda sismica e genera una serie di note interpretando il valore dell’asse y come altezza. Ignoro se il campionamento sia sincrono o meno (non ho molti dati), ma, a giudicare dall’immagine, ni. Quando l’onda procede quasi come una retta, le note sembrano piazzate a intervalli regolari, ma c’è una certa attenzione a particolari punti corrispondenti a picchi, flessi, cambiamenti di pendenza, eccetera. Sembra cioè tenere d’occhio i cambiamenti nel valore della derivata, che esprime la pendenza della curva.
Musicalmente il sistema è piuttosto banale, però bisogna ricordare che il suo scopo non è produrre una sinfonia né tantomeno scrivere musica, bensì evidenziare moduli melodici e/o ritmici e in questo senso l’applicazione è corretta.
Ricordo, invece, che, negli anni ’60, il compositore americano Gordon Mumma utilizzò proprio dei sismogrammi per comporre i suoi brani della serie Mograph. In questo caso, la conversione era finalizzata alla musica. Direttamente dal suo sito, ecco un estratto di Medium Size Mograph (1963) per pianoforte a 4 mani e elaborazione elettronica (esecutori Gordon Mumma e Robert Ashley).

UBU Web

UBU Web è un archivio indipendente dedicato alle varie avanguardie e alle tendenze artistiche meno convenzionali. Vi si trovano moltissimi materiali che vanno dai readings di poesia e letteratura, alla musica, all’arte contemporanea, al cinema sperimentale e molte altre testimonianze artistiche,
Tutti i materiali sono liberi per uso scolastico e non-commerciale.
La sezione audio, originariamente dedicata alla poesia sonora, si è allargata fino a comprendere anche molte composizioni musicali soprattutto del periodo Fluxus (anni 60-70).
Da qui, vi invito all’ascolto di due partiture grafiche degli anni ’60:

  • Morton Feldman – The King of Denmark (1964) nella realizzazione di Max Neuhaus, un brano molto delicato, tutto in ppp come tipico del Feldman di quegli anni (alzate un po’ il volume).
  • Cornelius Cardew – Treatise (1963-67) che può essere considerata come l’Everest delle partiture grafiche (193 pagine di numeri, forme e simboli la cui interpretazione è lasciata agli interpreti) eseguito dalla Scratch Orchestra al Cardew Memorial Concert nel 1982.

Le perversioni del copyright (1)

Le perversioni indotte dal copyright, nel modo forsennato in cui viene utilizzato attualmente, sono molte. Quella che segue è, a mio avviso, una delle più assurde.
Dunque, come qualcuno di voi sa, io insegno Informatica Musicale al Conservatorio di Trento.
Esiste un libro, “Henri Pousseur (a cura di), La Musica Elettronica, Feltrinelli 1976” considerato fondamentale per capire la storia e l’evoluzione della suddetta materia, tanto da essere incluso nel programma dei corsi di musica elettronica in quasi tutti i conservatori italiani.
Il problema è che il suddetto testo è da molti anni fuori catalogo. Per di più, trattandosi di una ponderosa raccolta di scritti molto tecnici di autori vari e quindi con bassi volumi di vendita, l’editore non sembra avere la minima intenzione di ristamparlo. Questo testo non è sostituibile perché contiene una serie di articoli degli anni ’50 e ’60 difficilmente trovabili anche nelle biblioteche, oppure consultabili solo in lingua originale, tuttavia fotocopiarlo è un reato.
Ore vedete l’assurdità della situazione?

  • Non è possibile acquistarlo per volontà dell’editore che non lo stampa più.
  • Il che significa che, per l’editore, questo testo non ha alcun interesse economico e che per gli autori non genera nessuna royalty.
  • Ne consegue che fotocopiandolo non si danneggia nessuno.
  • E in effetti, dato che non è possibile comprarlo, l’unico modo di procurarselo è fotocopiarlo
  • Ciò nonostante fotocopiarlo è un reato.

They shoot, he scores…

Non ho mai smesso di considerare i compositori di musica da film fra i principali responsabili del fatto che la musica contemporanea e elettronica, per il grande pubblico è associata a emozioni come suspence, orrore, ansia e simili.
Adesso perfino Ennio Morricone, intervistato dal Guardian, conferma questa tesi affermando, a proposito di Dario Argento,

“His films are full of blood, so contemporary electronic music works perfectly and the audience accepted the music as linked to those strong scenes.”

[trad mia: I suoi film sono pieni di sangue, per cui la musica elettronica contemporanea funziona benissimo e il pubblico ha accettato questa musica come collegata a quelle scene forti].

A parte queste considerazioni, Morricone mostra una corretta attitudine nei confronti delle major cinematografiche (leggi: Hollywood). Non si è mai trasferito a Hollywood e non ha mai imparato l’inglese.
“They said they would give me a villa, I told them I liked it in Italy, and there was no need to leave Rome because I only speak with the director about the score, not the studio.” [trad mia: Mi hanno detto che mi avrebbero dato una villa. Ho risposto che mi piace l’Italia e che non c’era nessun bisogno che io lasciassi Roma, tanto io parlo della partitura solo con il direttore, non con lo studio.]
È la grande lezione di Hemingway che suggeriva che il modo migliore per uno scrittore di fare affari con Hollywood era di incontrarsi con i produttori al confine della California e poi “tu gli butti il libro, loro ti buttano i soldi. Poi tu schizzi in macchina e guidi nella direzione opposta alla maggior velocità possibile” [cit. da CNN].

I 50 album che hanno cambiato la musica?

Per celebrare il cinquantenario della propria chart degli album più venduti, l’Observer Review pubblica una classifica dei “50 album che hanno cambiato la musica” con tanto di note esplicative. La segnalo solo come curiosità, perché, come tutte le iniziative di questo tipo, anche questa lascia il tempo che trova, ma può essere vista come qualcosa di cui discutere in spiaggia, o in qualsiasi altro posto, nell’ozio più totale.
Ovviamente, l’area musicale di cui si parla è il pop (inteso nel senso più generale possibile, nell’accezione di popular music). Non si arriva nemmeno al jazz, al massimo c’è Miles Davis.
In ogni caso, può essere uno stimolo per i più giovani per ascoltare qualcosa di “nuovo”.
Ai primi posti troviamo:

  1. The Velvet Underground and Nico (1967), l’album con la banana di Warhol in copertina.
  2. The Beatles – Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967)
  3. Kraftwerk – Trans-Europe Express (1977)

Steve Hubback

Steve Hubback si autodefinisce “Percussionist and Metal Sculptor”. Nato come batterista, dal 1990 Hubback costruisce strumenti per se stesso e per altri percussionisti.
Le sue creazioni, oltre ad avere un bel suono, sono anche esteticamente apprezzabili, tanto da essere utilizzate anche per installazioni in cui si fondono con la natura, come in questo live al No Noise Festival 2023.
Il suono è affascinante, come testimonia un esempio tratto da questa pagina in cui ne potete trovare molti altri.

Steve Hubback’s Site

8 idee per un iPod nano

In realtà l’idea è una sola: uccidere qualcuno.
Non c’è niente di strano. Alzi la mano chi, mentre cercava di parlare con qualcuno con addosso iPod e cuffiette, non ha pensato di strapparglielo e farglielo mangiare.
Ora la rivista letteraria McSweeney, divenuta ormai quasi leggendaria per aver ospitato scrittori come David Foster Wallace, Rick Moody, Jonathan Lethem, Zadie Smith, William Vollmann così come corrispondenze epistolari con Unabomber e reportage sul secessionismo hawaiano, ci delizia con un pezzo di Keving Fleming il cui titolo è tanto diretto quanto interessante: EIGHT WAYS TO KILL SOMEONE BY USING AN IPOD NANO, ACCORDING TO EX-MARINE BRAD COLLUM.
Wow! Finalmente un utilizzo costruttivo di quell’oggetto. In sintesi, i suggerimenti sono (NB: questa non è una traduzione, solo un riassunto commentato; i miei commenti sono tra parentesi e in italico):

  1. Spezzarlo a metà con le mani e usare una scheggia tagliente del vetro per tranciare la giugulare della vittima (semplice e diretto ma bisogna avere coraggio e poi tutto quel sangue…)
  2. Togliersi un calzino, metterci dentro l’iPod, roteare il calzino come una fionda e colpire il bersaglio sulla tempia (mmmm… c’è il forte rischio che non muoia, poi bisogna finire il lavoro)
  3. Usare la parte riflettente per sparare un raggio di sole negli occhi del pilota di un veicolo (se la macchina poi va giù dal viadotto o fa un frontale potrebbe essere il delitto perfetto, ma è maledettamente difficile da fare)
  4. Il cavo delle cuffiette può essere utilizzato per strangolare la vittima. Un ginocchio sulla schiena, aiuta (molto buono, ma bisogna essere dei duri)
  5. Scavate una fossa profonda circa 1.5 metri. Prendete un quindicina di pali di circa 5 cm di diametro e 1 m di lunghezza. Appuntiteli ben bene a una estremità e piantateli nella fossa, punta in su. Mascherate adeguatamente la fossa e posate nel mezzo l’iPod (buono; si vede che il consulente è un ex marine, chissà quanti commilitoni ha visto caderci in Vietnam)
  6. Aprite una bustina di the e mettete il contenuto in un piatto. Rompete la batteria al litio e cospargete il the con il veleno contenuto nella batteria. Asciugate il the al sole e rimettetelo nella bustina. Fate in modo che la vittima la usi (capolavoro! ma funziona?)
  7. Scaricate nell’iPod “We’ve Only Just Begun” dei Carpenters. Poi dite alla vittima che, se riesce ad ascoltarla in loop 100 volte, avrà l’iPod in regalo (conosco i Carpenters, ma non ricordo questa canzone; qualcuno mi illumini)
  8. Nascondete l’iPod in una ciotola di lutefisk (piatto tradizionale nordico fatto di stoccafisso e lisciva; sì, proprio lisciva; guardate qui). Poi portatelo all’annuale gara di divoratori di lutefisk in Madison, Minnesota (immaginifico, ma non può funzionare: se quelli digeriscono il lutefisk, digeriscono anche l’iPod)

Ve ne viene in mente qualcun altro?

Trovate l’originale qui.

Cominciate a preoccuparvi

Mi spiace dirvelo, ma è possibile, anzi probabile, che l’avvento del digitale nelle telecomunicazioni e nel multimedia equivalga a una ennesima fregata (leggi: limitazione dei diritti) per l’utente/consumatore.
Quello che segue è un esempio molto ma molto limitato rispetto a quello che si può fare e si sta già facendo.

Dunque, state guardando un film sulla vostra nuova TV ad alta definizione con schermo al plasma, quando parte l’inserto pubblicitario. Lanciando qualche maledizione ai pubblicitari e alle aziende che li pagano, annaspate alla ricerca del telecomando con l’idea di approfittarne per dare un’occhiate alle prove del gran premio di formula 1 sull’altro canale.
Impugnando l’oggetto del potere, premete un tasto… e il canale non cambia.
Inoltre, nella parte bassa dello schermo appare in sovraimpressione un messaggio il cui contenuto è, in sintesi, il seguente:
“Tranquilli, il vostro telecomando non è rotto. In base alla nuova politica di questa emittente, la funzione di zapping viene disabilitata durante gli spazi pubblicitari. Dovete capire che questa emittente vive solo grazie alla pubblicità e solo così sarà in grado di offrirvi nuovi e più entusiasmanti programmi. Il vostro telecomando riprenderà pienamente la propria funzionalità al termine dello spazio pubblicitario. Vi ringraziamo per la collaborazione”
Il bello è che la cosa non coinvolge solo chi sta guardando in diretta il programma. Il vostro amico che ha pensato bene di vedersi le prove del gran premio e registrare il film sul nuovo DVD recorder, non si salverà. Negli spazi pubblicitari, infatti, sarà disabilitata la funzione di avanti-veloce.

Non è fantasia e nemmeno pessimismo. È un nuovo brevetto Philips che sta facendo proseliti (vedi Punto Informatico).
Ora considerate che questo è un esempio molto limitato di quello che si sta facendo nel campo del controllo. Quello a cui si vuole arrivare è:

  • musica, film e altri contenuti multimediali blindati, non copiabili e possibilmente nemmeno prestabili (e questo è il DRM: digital rights management)
  • computer blindati mediante tecnologia TC (trusted computer) che possono consentire soltanto l’accesso o l’esecuzione di software specificamente autorizzato.

Cominciate a preoccuparvi un po’. Date un’occhiata a NO1984.

I’m sorry, but the digital revolution in telecommunication and multimedia is very likely to have a dangerous effect (i.e. right limitations) on users/consumers.
This is a simple and limited example:

Well, suppose you are looking to a movie on your new digital HD TV. The commercial starts and you search for the remote controller to switch to another channel.
You push the button… and the channel don’t change. Moreover, a message appears on the screen:
“Be cool, your controller is good, but following the new policy of this TV station, your remote controller is disabled during the commercials broadcasting. Please, consider that this TV station needs the commercials incomes to offer new and beautiful channels. Your controller will become fully functional after the commercials space. TYVM for your cooperation”
This thing is not limited to the people looking at the movie in real time. Even if you record the movie with your new DVD recorder you will be affected. The Fast Forward function will be disabled during the advertisement’s broadcasting.

It’s not science fiction and it’s not pessimist attitude. It’s a new Philips patent which prevents a user from changing the channel during commercials. According to Ars Technica, ABC is very interested in.
Now, consider that this is a little example of exploiting the digital technologies to control the users. It seem that the aim of the major is:

  • music, movies and multimedia contents completely blocked. No copy (even for personal use) and no loan between friends (this is the DRM)
  • computers totally under control by the so called Trusted Computing technologies. Only allowed software can run and only allowed (so called “safe“) platforms can go on line.

 

Mozart, il buon cristiano

Ultimamente nella chiesa cattolica Mozart va per la maggiore. È il compositore che Papa Ratzinger preferisce suonare al pianoforte (insieme a Bach), ma anche il cardinal Martini e perfino Hans Küng hanno confessato la loro passione per il genio di Salisburgo.
Di conseguenza, ecco che l’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, teologo e allievo di Ratzinger, si preoccupa di far sapere al mondo che Mozart era un vero cristiano e che la sua affiliazione massonica era un atto di pura convenienza. In pratica, come scrive Socci, per Mozart affiliarsi alla Loggia significava entrare in un club pieno di potenti che potevano sostenere la sua attività e le sue languenti finanze familiari (cioè più o meno come ha fatto Berlusconi :mrgreen: ).
Dunque, capisco che il fatto che la massoneria fosse stata scomunicata ben due volte (da Clemente XII e Benedetto XIV) possa essere un problema, ma, dannazione, è mai possibile che costoro debbano giustificarsi di fronte al mondo e lanciarsi nell’ennesimo atto di revisionismo storico, solo perché al Papa piace suonare Mozart? Forse che il Papa deve informarsi sulla posizione religiosa di un compositore, prima di suonarlo? Ma il Papa non può ascoltare Wagner, se ne ha voglia?
E poi, come si permettono? Il cardinale Schönborn sarà anche un brillante teologo e un raffinato intellettuale, ma non mi risulta abbia pubblicato alcunché nel campo della musicologia e della storia della musica. Dell’affiliazione massonica di Mozart e delle sue musiche massoniche, invece, sono pieni i libri.
Da dove trae il cardinale Schönborn questa certezza? Lui dice che “Basta leggere l’ epistolario dell’artista per non avere dubbi sulla sua fede convinta”. Ma nell’epistolario di Mozart c’è tutto e di più. Fra l’altro anche degli ottimi esempi, sconsigliati ai bambini, di turpiloquio a sfondo sessuale 😳 , come questa lettera alla cuginetta che non sembra proprio una testimonianza di fede ( 😆 va bene, aveva 22 anni…).
Socci, che secondo me non avrebbe alcuna difficoltà nel sostenere anche che i maiali volano se lo dicessero le gerarchie ecclesiastiche, fa notare che le musiche massoniche sono state scritte per committenza. Ma, accidenti, anche la musica sacra di Mozart è stata scritta su commissione, con l’unica eccezione della grande messa in do minore che, infatti, è rimasta incompiuta.
Non ultimo, sostenendo che Mozart si iscrisse alla massoneria solo per convenienza, costoro gli danno anche, implicitamente, dell’ipocrita.
Io capisco che la chiesa cattolica tenti di appropriarsi di ciò che è bello, ma respingo questo tentativo. Socci afferma che “Mozart esprime il genio del cristianesimo”. Se è così, lo esprime anche in Don Giovanni e Così fan tutte. Ma in realtà, Mozart esprime il genio. E basta.
Insomma, guardando la biografia di Mozart, mi pare si possa dire che, oltre che genio musicale, sia stato libertino per quanto ha potuto, massone quando gli era utile e cristiano quando ne ha sentito il bisogno. Non proprio un esempio di buon cristiano. Un uomo.

Un cellulare a Bayreuth

Beautiful Bayreuth image

Ecco una immagine meravigliosamente wagneriana presa direttamente dal festival di Bayreuth.
Data la temperatura, mi sembra adatta.
Tranquilli, non ci sono andato. Viene da un lungo articolo del critico del New York Times, Anthony Tommasini, in cui finalmente si affronta la questione cruciale: come vestirsi al festival di Bayreuth?
Scherzi a parte 🙂 la parte più gustosa dell’articolo è il gossip. Per esempio:

  • nonostante il caldo umido, nel teatro non c’è l’aria condizionata, per timore che il rumore delle ventole possa contagiare l’acustica;
  • per segnalare la fine dei vari intervalli (ogni 60 min.) appare su una balconata un ottetto di ottoni che accenna il tema principale del prossimo atto; l’estratto è eseguito una volta a 15 min. dall’inizio, due volte a 10 min. e tre volte a 5 min.
  • tutto è regolato e super-puntuale: perfino i critici sono obbligati a ritirare i biglietti 60 min. prima dell’inizio.

Ma nemmeno Bayreuth si salva dai barbari. Alla fine del II° atto delle Valkirie, proprio quando Wotan sta per uccidere il perfido marito Hunding, un cellulare suona!!

Beni Musicali

Vi segnalo un nuovo sito, che si presenta interessante.

Si tratta di Beni Musicali, che intende « promuovere e valorizzare il grande patrimonio storico-musicale italiano attraverso la ricerca e l’analisi critica delle opere musicali, la trascrizione e la riproduzione audio e video» .

Al momento sono disponibili, e liberamente scaricabili, quattro partiture di Johann Adolf Hasse e un’esecuzione dal vivo dell’oratorio “La Creazione” di F.J. Haydn, oltre a interventi in podcasting rispettivamente del trascrittore di Hasse e del direttore dell’esecuzione di Haydn.

Canone obbligato

Non è una forma musicale del ‘600. Sto parlando del canone che tutti noi dobbiamo pagare per sostenere la TV pubblica. E quando dico tutti, intendo dire proprio tutti: che guardiamo o non guardiamo la RAI, che abbiamo o non abbiamo un televisore.
Perché il regio decreto 246 del 21 febbraio 1938 (con successive integrazioni e modifiche) dice che il canone deve essere versato da chiunque possegga “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio televisive”.
Leggete bene: atti o adattabili significa quasi qualsiasi cosa. Secondo l’interpretazione corrente, infatti, un computer è facilmente adattabile: basta comprare una scheda da pochi euro con selezionatore TV e presa per antenna. La stessa cosa si può fare con un qualsiasi monitor. Esagerando un po’ (ma forse non troppo), si può sostenere che anche la mia lavatrice, che è già dotata di un display LCD, con poche e banali modifiche potrebbe essere messa in grado di ricevere il segnale TV.
Dunque riassumiamo:

  • chi ha un televisore, ma non guarda la RAI, deve pagare il canone;
  • ma anche chi non ha un televisore, ma possiede un computer o un lettore DVD + monitor lo deve pagare, solo perché potrebbe, in via del tutto ipotetica, dotare il suddetto ordigno di un componente che lo mette in grado di vedere la TV.

Ma è fantastico. È geniale!
Per lo stesso principio forse dovremmo pagare in anticipo qualche multa per eccesso di velocità perché tutti possediamo un auto/moto/ciclomotore atto a violare qualche limite. In teoria, anche una bici è adattabile.
Per estensione, forse dovremmo andare in galera in quanto tutti abbiamo in casa qualche ordigno atto o adattabile a commettere un omicidio…
Il bello è che io sono favorevole a una TV pubblica mantenuta da un canone (diciamo che se la RAI fosse come la BBC lo pagherei molto più volentieri), ma questa faccenda dell’obbligare al pagamento anche chi in via ipotetica potrebbe, mi sembra del tutto demenziale.

Mutopia

Project Gutenberg, noto anche con l’acronimo PG e in Italia come Progetto Gutenberg, è un’iniziativa avviata da Michael Hart nel 1971 con l’obiettivo di costituire una biblioteca di versioni elettroniche liberamente riproducibili di libri stampati oggi chiamati eBook. I testi disponibili in questa biblioteca libera sono per la maggior parte di pubblico dominio, o in quanto mai coperti da diritto d’autore o da copyright, o in quanto questi vincoli sono caduti. Sono disponibili anche alcuni testi coperti dal copyright ma che hanno ottenuto dagli autori il permesso alla nuova forma di pubblicazione.
Normalmente non ci pensiamo, ma il testo di molti libri, come i classici, è liberamente fotocopiabile perché ormai libero da diritti. Il PG ospita ormai 18000 libri.
Il Progetto Mutopia lavora con lo stesso spirito del PG, ma si occupa di partiture. Ovviamente i testi originali (il cosiddetto ur-text) di compositori come Bach, Mozart, Beethoven e molti altri sono ormai di pubblico dominio e infatti si trovano spesso a basso prezzo senza revisione.
Il Progetto Mutopia raccoglie molte partiture trascritte da volontari mediante il software libero GNU Lilypond, disponibile su Linux e le distribuisce in formati leggibili su qualsiasi sistema come Postscript (.ps) e PDF.

Project Gutenberg Site
Mutopia Project Site

Il futuro del mercato musicale (2)

È il 2015, ti svegli al al suono di una melodia familiare diffusa dolcemente, che ti tira fuori dal letto e ti fa sentire bene. Quando entri in bagno, il tuo Personal Media Minder attiva lo schermo incorporato nello specchio e puoi guardarti una selezione di notizie mentre ti prepari per la giornata. Appena ti infili nella doccia, il tuo programma musicale personalizzato ti accoglie con una nuova versione dal vivo della canzone che hai scaricato ieri, ed è ancora meglio dell’originale, così, mentre ti vesti, dici al programma TasteMate di aggiungerla in rotazione nella tua scaletta musicale. Infili i nuovi occhiali con cuffia incorporata e collegamento in rete continuo, li accendi sistemando gli auricolari e inizi subito ad ascoltare il mix che un amico ha preparato per te. La musica fluisce nella tua coscienza, diventa parte di te. Dopo la colazione con il resto della famiglia, ti dirigi al lavoro, e il Personal Media Minder ti chiede se vuoi finire di ascoltare l’audiolibro iniziato ieri mattina. Data la conferma, parte la registrazione, che ti accompagna nella camminata verso il treno che ti porta in ufficio. Durante il giorno, gli occhiali e altri dispositivi wireless ti aiutano a comunicare attraverso la rete con amici, soci, compagni di rete e “pari digitali”. La cuffia ti tiene in contatto anche con quella raccolta hard rock che ti piace tanto e, nel frattempo, continuano ad arrivare una serie di nuove canzoni, nuove versioni e remix di brani che ti interessano, insieme ai tuoi vecchi pezzi preferiti. Con TasteMate accedi alle tue scalette musicali e le condividi, consigli a un amico a Seattle un paio di canzoni, che vengono automaticamente inserite nella sua collezione. La musica ti dà la carica per tutto il giorno. Tornando verso casa, scegli la solita miscela di notizie di cronaca, sport, meteo e pettegolezzi sui tuoi musicisti e attori preferiti.
La cuffia si sincronizza con i monitor tridimensionali attivi, che proiettano le immagini proprio davanti a tuoi occhi, oppure con gli schermi comuni disponibili sul treno e a casa: puoi decidere cosa ascoltare e cosa guardare e chi può condividere l’esperienza. Il Media Minder armonizza e trasmette la programmazione selezionata e qualsiasi nuovo tipo di musica tu abbia deciso di esplorare, definendo anche come sceglierla, con l’aiuto del programma TasteMate.
Rientrato a casa, trascorri la serata accompagnato dal morbido jazz diffuso dall’impianto domestico attraverso casse disposte in ogni stanza, mentre porti in tavola una delle tue specialità culinarie, poi paghi le bollette. Una di queste è l’abbonamento per informazione e intrattenimento, che comprende i costi mensili per musica, video, connessione e comunicazione, ma è sempre più economica della bolletta del riscaldamento o dell’acqua. Le chiamate in arrivo dagli amici si inseriscono armoniosamente nella programmazione con cui ti circondi, in accordo alle tue indicazioni. Dopo cena metti in ordine e magari giochi un paio di partite con alcuni amici attraverso la tua rete virtuale, mentre ti rilassi con alcuni brani New Age ispirati alle composizioni originali di Mozart, che hai scoperto a tarda notte mentre navigavi tra i canali di musica condivisa…

David Kusek, Gerd Leonhard
Il futuro della musica

Questo è l’incipit del libro di cui sopra, di recente pubblicazione in Italia (il libro è del 2005; trovate la versione originale qui e quella italiana qui; potete scaricare la prefazione e il primo capitolo in pdf, il resto lo dovete comprare).

Secondo voi quanto descritto sopra è un paradiso o un incubo?

Devo dire che mentre lo leggevo pensavo “…bello…”, ma quando ho cominciato a fare qualche elucubrazione chiedendomi quante probabilità di avverarsi ha una situazione del genere, il tutto ha cominciato a girare inesorabilmente verso l’incubo.
Intendiamoci, io sono sicuro che il mercato musicale sta evolvendo verso una situazione del genere: come scrivo nel post precedente, la musica sarà distribuita in rete, i costi caleranno, esisteranno servizi di abbonamento, ci saranno software in grado di selezionare i generi, etc.
Però nel testo di cui sopra manca qualcosa: tanto per cominciare, la pubblicità.
Mi sembra impossibile che l’advertisement non infili i suoi tentacoli (io odio la pubblicità) in un servizio di musica in abbonamento. È vero che chi offre il servizio può contare sul canone di abbonamento, ma voi pensate che saprà resistere alla possibilità di abbassare un po’ il prezzo e infilarci qualche advertisement? Oltretutto personalizzato. Magari, peggio ancora, in forma secondo loro non disturbante. Così, mentre ascolti la tua selezione di hard rock preferita, “continuano ad arrivare una serie di nuove canzoni, nuove versioni e remix di brani che ti interessano” e ogni tanto ti arriva un pezzo che assomiglia agli altri, ma decisamente non fa parte della tua scelta. E tu stai lì a chiederti se è il software di selezione che ha toppato o se qualcuno ha pagato i fornitori del servizio per mandare almeno una volta al giorno quelle canzoni… In fondo, nei tempi andati, le major hanno sempre pagato le radio perché trasmettessero certi pezzi.
Poi, “gli occhiali e altri dispositivi wireless ti aiutano a comunicare attraverso la rete con amici, soci…” sono una disgrazia perché se tu puoi vedere qualsiasi rete, tutte le reti vedono te e ti trovano. Così, in mezzo all’audiolibro, arrivano le comunicazioni concitate di quelli del tuo ufficio che ti fanno sapere che il boss ha indetto una riunione per le 10 e vuole la tua opinione su un nuovo progetto. Di conseguenza, sempre insieme all’audiolibro, cominciano ad arrivare grafici, reports e voci… (il che, nota bene, succede già adesso grazie a quella potente invenzione che è il cellulare).
Nel frattempo il tuo programma di messenger è partito da solo (fa parte del servizio) e arrivano squillini da 50 deficienti che, non avendo niente da fare, vorrebbero messaggiare con te. Come se non bastasse c’è una chiamata voip da quel/quella cretino/a che ti sta tarmando da un mese solo perché ci sei andato/a a letto una sera che eri depresso/a.
Ok, potrei continuare. Potrei riscrivere la situazione citata in modo secondo me un po’ più realistico (magari lo farò). Ma quello che mi sembra allucinante di questa situazione immaginaria, ma in fondo non troppo, è l’idea di delegare le scelte.
È vero che con l’attuale quantità di informazione, oltretutto sempre crescente, selezionare è difficile, ma quando io scelgo di leggere le news dal sito di Repubblica piuttosto che da qualcun altro, io opero una scelta in prima persona. Se io, invece, mi affido a un servizio tipo GoogleNews, per quanto possa personalizzarlo, è sempre nelle mani qualcuno/qualcosa altro.
Gli autori del saggio dicono che la musica fluirà come l’acqua e nello stesso modo è facile immaginare che le notizie fluiranno come l’acqua, le immagini fluiranno, le storie fluiranno etc. Ma chi controlla il flusso?

Il futuro del mercato musicale (1)

Dal punto di vista degli autori – Con spirito relativamente ottimistico

La musica non viene più distribuita su un supporto ma solo come flusso di dati. La vendita avviene via rete, non necessariamente solo tramite un computer, ma attraverso un qualsiasi terminale multimediale.
Le major discografiche non esistono più. Esattamente come una qualsiasi azienda che fabbrica e vende un qualsiasi prodotto, o come uno studio professionale, sono gli autori (la band costituita come società) a vendere i risultati del proprio lavoro, coadiuvati da una serie di agenzie di servizi e di consulenza.
In altre parole, l’autore e l’esecutore sono tornati ad essere il centro del proprio lavoro, a controllare il prodotto, a investire e rischiare in proprio, esattamente come qualsiasi altra entità economica. E naturalmente controllano anche tutti gli incassi, con i quali devono pagare le spese, le consulenze e anche viverci. Esattamente come qualsiasi altra entità economica.
I prodotti sono privi di protezione. Ormai si è visto che, a meno di militarizzare la rete, le protezioni non tengono. Il calo del prezzo della musica dovuto all’assenza di supporto, stampa, distribuzione e ruberie varie e una piccola tassa sul P2P, pagata come parte dell’accesso a internet, assorbono la perdita dovuta alle copie. Un disco potrebbe costare € 4, ma ne costa 8/10 proprio per questa ragione.
In pratica, una band segue la solita trafila. La differenza rispetto alla situazione attuale sta nel fatto che si gestisce in proprio. Comincia a suonare un po’ in giro, registra dei brani in proprio o in uno studio con modica spesa, li vende sul proprio sito o su quello di una agenzia di distribuzione a cui dà una certa percentuale. In pratica, fin qui ha solo bisogno di un commercialista.
Naturalmente, sul sito, qualche pezzo si può scaricare gratis come forma promozionale. Alcune band distribuiscono gratis tutto il disco oppure il video di un loro concerto perché contano sui concerti per vivere.
E così, se sono una buona band, la voce comincia a spargersi e il loro nome arriva all’orecchio di qualche critico. E allora un critico musicale con un blog da 10.000 accessi al giorno ascolta la loro musica. Non una major che presenta loro una lettera di impegno con cui la band si impegna su tutto e la major su niente mentre pensa se investire su di loro o su uno degli altri 1000 deficienti che ha sottomano. Non c’è bisogno di investire su di loro perché loro stanno già investendo su se stessi e non c’è niente da guadagnare perché la band è padrona del proprio business, per quanto piccolo sia.
Ok, li ascolta un critico. E il critico non è uno stronzo borioso che scrive su una nota rivista musicale. È solo uno che ha un blog e si è fatto una fama in rete con anni di post intelligenti. È un free-lance e non ha un capo. Anche lui si è costruito un po’ per volta, facendo della sua passione il proprio lavoro. Sa che il suo pubblico si fida di lui e lo stima e che questa fiducia è la base del suo successo per cui adesso le radio gli chiedono di preparare programmi e le riviste gli chiedono articoli. Ma non ha un capo.
Sa che il segnalare nuove band interessanti è parte del suo lavoro e aumenta la sua fama. Sa che in TV lo presentano come “quello che ha scoperto Heterophobia e poi Gregg Turner and the Blood Drained Cows”.
Così non chiede loro € 10.000 per una buona recensione, ma li contatta, parla con loro via internet, li intervista e se può va a sentirli dal vivo. E poi ne scrive e li linka sul suo blog e gli accessi al sito della band aumentano di un bel po’.
E allora, se le cose vanno bene, la band valuta se lavorare un po’ con un consulente musicale e di immagine che viene pagato a prestazione o con una percentuale sulle vendite o con un qualsiasi altro accordo di lavoro.
Se poi le cose vanno molto bene e il commercialista non basta più, si affida a una agenzia di management per gestire concerti, tours, merchandising e contabilità. E fornisce loro anche un set di avvocati, perche in un’intervista uno di loro ha detto che ormai sono più popolari di Gesù Cristo e così sono stati messi al bando dall’amministrazione Bush.
E a questo punto, la band si rende conto che è davvero famosa e si fa la propria agenzia di management e manda a quel paese i consulenti musicali e di immagine, gli avvocati e gli altri mangiapane a tradimento.
Uff! Che fatica gestirsi da soli…

Un sogno?
From the band point of view – With a little optimistic attitude

Music is no more sold on CD but only on the internet as data stream.
The majors don’t exist no more. Like any business company that build and sells its own products, or like a professional office, the band sells its own productions with the help of some artistic advisors and/or a management agency.
In other words, the band works alone and control its own work, the music, putting money (and risk) in its own activity, exactly as any other economic entity.
And of course the band controls all the revenues, with which it must pay expenses, the advisors and also living. Just as any other economic entity.
The music has no protection system. By now everybody knows that it’s impossible to control the copy without controlling and blocking all the net and the copy itself is not a loss so big. Now the people pay a little P2P tax as part of the internet access cost and the decreasing of music price, without support, printing, distribution and several robberies, can cover the copies loss. The price of ten songs could be € 4 but it’s € 8 to 10 just to cover the copies loss.
The beginning of a band career is as usual. The difference is that the band runs its business alone.
They begin play around, record some music at home or in a little studio with a little expense and sell it on his site or on the site of a music distribution service that charges a little. Until now the band only needs a chartered accountant.
Of course the people can download some song from the band’s site to hear and give it to friends. So, if the music is good, their name spreads and some music critics begin to hear it. And then a music critic who leads a blog with 10.000 visit per day comes to their site. Not a major with a letter of intent, a so called “deal memo” to which the band remains bound while the major choose between this band or another. Not a major because there is nothing to gain when it’s the artist that control itself and his/her music.
So a music critic hear the band. And this critic is not a pretentious bastard who works for a big music magazine. He is a person who holds a blog and has build his reputation online with years of smart posting. He is a free-lance and has no boss. He knows that many people trust him and this trust is the foundation of his success, is the reason why the radios ask him for programs and the magazines ask him for articles. But he has no boss.
He knows that discovering new interesting bands is the reason of his success and the TVs introduce him as the one who discovered Heterophobia and Gregg Turner and the Blood Drained Cows.
So he don’t ask the band for $ 10.000 to write a good review. He simply listen to their music and write some line to the band and go to their concert and then put a post on his blog and their site many more people come.
And then, if the things runs well, the band maybe turn to a music advisor or to an image advisor to improve the music or the live act, but it’s always the band who controls its music.
And then, if the things runs very well, the band search for a business management service to help handle tours, merchandise and maybe lawyer because the singer told they are more popular than Jesus they get banned by Bush administration.
And at least the band realizes that they became really popular and they can make their own business management service and kick out the advisors and the lawyers and all this parasites.
Agh! What a hard work lead his business alone…

A dream?

Syd Barrett

Syd Barrett è deceduto venerdì 7 luglio all’età di 60 anni nella sua casa del Cambridgeshire, a quanto sembra per problemi legati al diabete di cui soffriva da tempo.
Sparito dalla vita pubblica negli anni ’70 era praticamente una leggenda.

Syd Barrett died of (it seems) a diabetes-related illness on July 7, 2006 at his home in Cambridgeshire at the age of 60.
Retired from public eye from the seventies, he was a living legend.

Lucy Leave – 0:00 I’m A King Bee – 2:59 – recorded summer 1965 Interstellar Overdrive (Demo) – 6:11 – recorded 10/31/1966 Candy and a Currant Bun (Alt. Mix) – 21:17 – recorded 1/27/1967 See Emily Play (Alt. Mix) – 23:19 – recorded 5/21/1967 Astronomy Domine (BBC TV) – 26:13 – recorded 5/14/1967 Scream Thy Last Scream (Outtake) – 30:12 – recorded 8/7/1967 Vegetable Man (Outtake) – 34:45 – recorded 10/9/1967 No Title (Outtake) – 37:16 – recorded 9/4/1967 [BBC RADIO] The Gnome – 38:51 Matilda Mother – 41:19 The Scarecrow – 44:51 Flaming – 46:59 Set the Controls for the Heart of the Sun – 49:43 Reaction In G – 53:13 – recorded 9/25/1967 [BBC RADIO 4] Vegetable Man – 53:55 Scream Thy Last Scream – 57:32 Jugband Blues – 1:04:18 Pow R Toc H – 1:09:25 – recorded 12/20/1967 Interstellar Overdrive + interview – 1:11:04 – recorded 12/1966

L’erba del vicino

L’erba del vicino è sempre più verde, ma questa volta lo è davvero.
Come è noto, qui da noi il FUS (fondo unico per lo spettacolo, cioè il complesso dei finanziamenti statali) sta vivendo tempi che definire difficili è poco. Il governo (fortunatamente) uscente ne ha terminato la dissoluzione riducendolo a € 375 milioni per il 2006. Ricordiamo che nel 2001, anno di arrivo del governo berlusconi, l’ammontare del FUS era di € 516 milioni.
Il nuovo governo ha scritto, nel suo programma, che nel 2007 sarà riportato ai livelli del 2001. Speriamo.
Intanto, però, leggo che in Francia la somma stanziata è € 901 milioni (quasi il triplo rispetto a noi) e che in Inghilterra è di € 745 milioni (circa il doppio). Per trovare uno stanziamento pari a quello italiano bisogna arrivare alla piccola Danimarca che spende € 344 milioni ma ha solo 5.400.000 abitanti circa.
Sul Finnish Music Quarterly leggo inoltre che nella altrettanto piccola Finlandia (5.000.000 di abitanti) lo stanziamento per l’arte è di € 359.5 milioni, di cui € 60.5 milioni vanno alla musica. Questo finanziamento è già considerato inadeguato, tanto che il primo ministro ha promulgato una legge per elevare del 37% annuo i contributi alle orchestre nei prossimi 3 anni.

Litigio: Cage su Glass e ritorno

Tiding up old books I found this one: Desert Plants – conversations with 23 american musicians by Walter Zimmermann, Vancouver, 1976. An old style book, clearly printed and written with IBM electric typewriter. Questions in italic and answers in monospace fonts.
Browsing I found this gag:
Walter Zimmermann to Philip Glass:

John Cage describes your work as follows: “Though the doors will always remain open for the musical expression of personal feelings, what will more and more come through is the expression of the pleasures of conviviality. And beyond that a non-intentional expressivity: a being together of sounds and people.”
How do you relate this quote to your music?

A bothered Philip Glass:

Well, I think it has more to do with his music than mine.

Riordinando i vecchi libri mi è caduto in mano questo: Desert Plants – conversations with 23 american musicians by Walter Zimmermann, Vancouver, 1976. Un libro vecchio stile scritto con una macchina elettrica IBM. Le domande stampate in corsivo e le risposte nei classici caratteri da macchina da scrivere.
Sfogliando qui e là ho trovato questa gag:

Walter Zimmermann a Philip Glass:

John Cage describes your work as follows: “Though the doors will always remain open for the musical expression of personal feelings, what will more and more come through is the expression of the pleasures of conviviality. And beyond that a non-intentional expressivity: a being together of sounds and people.”
How do you relate this quote to your music?

Philip Glass, seccato:

Well, I think it has more to do with his music than mine.

 

4’33”

Ecco il video di una mitica esecuzione di 4'33" per orchestra. Il momento in cui il direttore si deterge il sudore fra il primo e il secondo movimento è puro humour inglese.
Problema: come valutare una esecuzione di 4'33" :-P?

Here is the video of a good execution of Cage’s 4'33", orchestral version. The director wiping off his sweat between 1st and 2nd movement is a moment of great humour.
Problem: how to evaluate a 4'33" execution :-P?

I have nothing to say
and I am saying it
and that is poetry
as I needed it
— John Cage

 

http://youtu.be/zY7UK-6aaNA

In memoriam György Ligeti

Come è giusto i tributi sono molti. YouTube rilancia il video originariamente trasmesso da arté (la TV culturale che si vede ovunque in Europa tranne che in Italia) con l’esecuzione del Poema Sinfonico per 100 Metronomi.

There are many “in memoriam” tributes on the web. On YouTube you can see the arté video of the Poème Symphonique pour 100 Metronomes.

Compositori e geografia

Alexander Island

Sembra esistere un posto in cui i geografi si sono finalmente ricordati dei compositori. Nell’Isola di Alexander (71°00′S 70°00′W), che fa parte dell’Antartide, possiamo trovare luoghi come le penisole di Shostakovich, Beethoven e Monteverdi, la piana ghiacciata di Bach, i golfi di Verdi, Brahms e Mendelssohn, i promontorii Rossini e Berlioz.
Molti luoghi qui sono intitolati a compositori.
Click qui per ingrandire la mappa.

Morto György Ligeti

Odio scrivere coccodrilli così come dare brutte notizie. Comunque 2 giorni fa è morto a Vienna György Ligeti (83 anni).
Saltando le inutili formule di circostanza, per me e per la mia formazione l’importanza di Ligeti sta tutta nelle composizioni degli anni ’60, da Apparitions del ’59 al Doppio Concerto per Oboe e Flauto del ’72, passando attraverso lavori come il Requiem, il Cello Concerto, Lux Aeterna, Lontano, Ramifications, il Chamber Concerto, Melodien. Opere in cui Ligeti abbandona completamente armonia, melodia e ritmo tradizionalmente intesi per creare un personalissimo flusso sonoro formato da cluster, accordi, masse apparentemente statiche ma dotate di una complessa micropolifonia interna che danno vita a un tessuto sonoro più o meno cangiante in cui il ritmo e l’armonia si rovesciano nel timbro, traendo dagli strumenti delle sonorità quasi elettroniche.
Molte altre sue cose sono importanti, ma le emozioni che mi hanno dato questi pezzi quando li ascoltavo nei primi anni ’70 sono le cose che preferisco ricordare.

György Ligeti on Wikipedia

Nuovi Strumenti: Audiopad

Audiopad è stato sviluppato da due neolaureati del MIT (James Patten and Ben Recht) ed è una delle più interessanti interfacce musicali esistenti. Può essere utilizzato come strumento autonomo perché include una propria libreria di campioni audio ed è in grado sia di suonare che di eseguire operazioni di elaborazione audio nello stesso tempo, ma può anche essere usato come controller di un software di sintesi in realtime che gira su un computer esterno (come Max/Msp) oppure anche di una serie di sintetizzatori MIDI.
La cosa più interessante, però, è sicuramente l’interfaccia. Si basa su una grande superficie orizzontale su cui appaiono dei simboli, in modo simile a uno schermo piatto. Fin qui non ci sarebbe niente di diverso da un grande touch-screen, ma sulla superficie di Audiopad, gli esecutori muovono anche degli oggetti la cui posizione e movimento sono rilevati dal sistema.
Audiopad genera musica interpretando il movimento di tali oggetti e la loro posizione rispetto ai simboli che si trovano sullo “schermo”.
Ovviamente il tipo di simboli e il loro significato, così come l’interpretazione del movimento e della posizione degli oggetti, può cambiare in base al software. Per esempio, i simboli possono rappresentare diversi strumenti e gli oggetti delle parti strumentali. In tal caso, il fatto che l’esecutore muova un oggetto su un simbolo significa assegnare quella parte a quello strumento. Oppure un oggetto può essere un microfono e allora muovere uno strumento vicino/lontano dal microfono significa alzare/abbassare il suo volume.
Inoltre il display non è statico, ma può cambiare quando l’esecutore porta un oggetto in determinate posizioni aprendo così nuove vie di elaborazione audio o interpretazione. Il tutto è fluido perché guidato dal software.
Audiopad, quindi, è molto diverso dalla tradizionale interazione con il computer basata sul modello desktop, tastiera, mouse e per questa ragione è anche difficile da descrivere. In questo caso l’immagine vale decisamente più di 1000 parole, così vi invito a vedere questo buon filmato.
Sfortunatamente Audiopad non è ancora in vendita. L’unica cosa sul mercato che va in questa direzione è Lemur (ne parleremo), ma è solo un passo perché, per quanto carino, si tratta solo di un touch-screen programmabile, molto lontano dalla complessità di Audiopad.

Cagnini Robot

Restando in tema di cani robot, dopo l’annuncio dell’estinzione di Aibo, che comunque continua ad essere venduto fino ad esaurimento, vi segnalo alcuni graziosi giocattoli.
Il primo si chiama iDog (il nome vi fa venire in mente qualcosa?). È della giapponese Sega Toys (giocattoli, videogames…) ed è più un MP3 gadget che un cane. Infatti non ha grandi movimenti. Da quel che si vede si limita a muovere testa, orecchie e coda, ma lo fa a tempo di musica e con tanto di led che si accendono sulla testa.
Questo simpatico animaletto, in effetti, reagisce alla musica, è dotato di un altoparlante interno e ha una entrata jack 3.5mm (per collegare lettori MP3 e CD portatili e naturalmente, visto anche il nome, l’iPod) per cui può riprodurre musica muovendosi come sopra. Se si spegne la musica, si lamenta, guaisce a abbaia (che para!). Sembra costare € 49.90 (sito in italiano alla fine del post).
Saltando a piè pari le cose per bambini (tipo Argo, il cane intelliggente (sic)), la vera sorpresa sembra essere i-Cybie che, a quanto si capisce dal sito, si candida come un successore di Aibo sia pure in misura ridotta (meno potente ma sensibilmente meno costoso: $199).
Ideato e prodotto (guarda un po’) dalla Silverlit di Honk-Kong, i-Cybie esibisce comportamenti complessi e ha vari sensori (vede gli ostacoli, si accorge del movimento intorno a lui, reagisce al tocco e a parecchi comandi vocali e sonori) ed è influenzato dall’ambiente circostante. Può anche essere messo in “guard mode” per cui abbaia quando si accorge di qualche movimento intorno a lui.
Ma la cosa più interessante è che i-Cybie dispone di un sensore a infrarossi con cui può comunicare con i suoi simili nelle immediate vicinanze (3 piedi = 90 cm). Sto indagando per capire che informazioni si scambiano (da buon complottista ho la mente rutilante di ipotesi inquietanti).
Sto preparando una breve ricerca sugli entertainment pets. Stay tuned. Intanto ecco i link ai cagnini robot.

iDog è commercializzato in occidente come eDog.
i-Cybie.

学习汉语

Secondo il traduttore di Google, questi ideogrammi significano “studiare il cinese”.
Mi permetto di consigliarvi di cominciare. Si trovano libretti a pochi euro.
In questi ultimi giorni mi hanno colpito due dati:

  1. Al primo posto della classifica di Technorati, che indicizza i blog di tutto il mondo in base al numero dei links, oggi c’è un blog cinese (la classifica è aggiornata ogni 5 giorni; la trovate qui). La cosa che fa pensare è che non si tratta di un blog bilingue cinese/inglese, ma è scritto solo in cinese.
  2. Classifica delle vendite dei cellulari. Al primo posto la Cina, con più di 400 milioni di apparecchi; al secondo gli USA con 200 milioni. In Italia sono stati venduti 70 milioni di cellulari: 1.4 per abitante compresi gli anziani e i neonati. Se i cinesi fossero ricchi come noi e sviluppassero la stessa mania, in Cina si venderebbero circa 1 miliardo e 680 milioni di pezzi.

06/06/06

Ieri, martedì, era il giorno del numero della bestia: 06/06/06. Me ne sono accorto scrivendo la data di una lezione e ho pensato che, per trovare un surrogato, bisogna arrivare almeno al 2106.
Comunque non è successo niente.
Apparentemente…

Yesterday, tuesday, was the date of the Beast: 06/06/06. I found it while writing the date of a lesson in school.
However nothing happened.
Apparently…

Long live Aibo (1999 – 2006)

Following the Sony Corporation FY05 3Q announcement, the production of AIBO Entertainment Robots will be discontinued as of end March 2006.

Stupido quanto volete e assurdamente costoso ($1599 di listino), ma è stato il primo serio tentativo di costruire e vendere un animale da compagnia.
Aibo, il cagnino robot della Sony, si estingue nel 2006 lasciando le migliaia di esemplari ancora in circolazione alla disperata ricerca di pezzi di ricambio e migliorie software di terze parti, senza nemmeno la speranza di vedere una nuova generazione.
Dite quello che volete, ma a me dispiace. In fondo Aibo incarna il sogno del Golem, un sogno che è sempre esistito e che è parte dell’uomo. E non è vero che non serve a niente semplicemente perché un cane vero fa il suo lavoro molto meglio di lui. Secondo questa ottica anche mettere un piede sulla Luna o mandare un robottino su Marte non serve a niente, ma secondo me, quando questi sogni non esistono più, tutti noi perdiamo qualcosa.
Aibo, poi, non è un cane e non vuole imitare un cane. È un essere ibrido che si muove un po’ come un cane, ma dice qualche parola e canta una canzoncina. Fa tenerezza. E poi vuoi mettere poter dire cose tipo “Basta, spegni il cane e vai a dormire” oppure “Su, andiamo a fare un giro, accendi il cane”.

Long live, Aibo…

PS: non te l’ho mai detto, ma a un certo punto avevo voglia di comprartelo. Poi ho pensato che, se avessi saputo il prezzo, me ne avresti detto di tutti i colori. Con il senno di poi, sarebbe stato meglio comprarlo: oggi si vende a molto di più. Arriva fino a $ 6000.

I dadi di Mozart

A quanto pare quest’anno è difficile non parlare di Mozart. Qui però ci occupiamo di un aspetto dell’attività di Wolfang forse un po’ più ludico, ma sempre molto interessante.
Nel 1793, due anni dopo la sua morte, venne pubblicato, con grande successo, un Musikalisches Würfelspiel (gioco musicale con i dadi) che permetteva di comporre un minuetto senza alcuna conoscenza musicale, utilizzando due dadi e una serie di battute predefinite. Si tratta di un esempio di composizione algoritmica ante litteram anche se val la pena di ricordare che la seconda metà del XVIII° secolo vide una certa fioritura di giochi musicali di questo tipo.

La paternità Mozartiana di quest’opera è stata a lungo discussa, ma ormai sembra assodata.
Le regole da osservare sono molto semplici. Un minuetto, all’epoca, aveva una forma pressoché standardizzata, in 3/4, composta da una prima parte (il minuetto), seguita da una parte centrale, di andamento più melodico e disteso, detta “trio” perché in origine era affidata a tre strumenti e si chiudeva con la ripresa del minuetto di partenza.
Sia il minuetto che il trio erano di 16 battute e nel creare la loro struttura interna era possibile utilizzare uno schema preciso. Il minuetto della Kleine Nachtmusik, per esempio, è composto da una frase di 4 battute (A) a cui segue una variazione di eguale durata (A’); abbiamo poi una seconda frase (B), sempre di 4 battute, che si conclude con una ripresa di A’. A sua volta, il trio si apre con una melodia (C) di 8 battute seguita da un motivo diverso (D), lungo 4 battute, che sfocia, in chiusura, in una ripresa abbreviata di C.
Erano strutture di questo tipo a permettere l’automazione compositiva realizzata da Mozart. Il gioco si basa su due tabelle, una per il minuetto, per il quale si utilizzano 2 dadi, e l’altra per il trio, per il quale è sufficiente un solo dado e da un libretto in cui si trova un elenco di 176 battute composte da Mozart. Ogni tabella ha in ascissa il numero di battuta e in ordinata il risultato del lancio dei dadi. All’intersezione di ascissa e ordinata si trova il numero della battuta da utilizzare.
L’utente deve semplicemente lanciare i dadi una volta per ogni battuta e trascrivere la battuta corrispondente copiandola dall’elenco e ponendola dopo la precedente.
Lanciando 16 volte i dadi, quindi, si ottengono le 16 battute che formano il minuetto. La tabella per il minuetto, infatti, ha 11 righe (i dadi vanno da 2 a 12) per 16 colonne e in questo caso, Mozart ha scritto 11 battute possibili per ognuna delle 16 battute del minuetto (11 * 16 = 176).
Per “comporre” il trio, invece, si utilizza un solo dado e la tabella ha solo 6 righe. Per ogni battuta, quindi, Mozart ha scritto 6 possibili battute.
L’abilità di Mozart, in questo caso, è stata quella di scrivere delle battute che potessero in ogni caso concatenarsi logicamente senza creare grandi scompensi con ognuna delle precedenti. Trattandosi di musica tonale, la cosa è meno complessa di quanto può sembrare a prima vista (la tonalità è sempre la stessa, Re per il minuetto, Sol per il trio), ma resta sempre piuttosto difficile se si considera anche il fatto che una composizione di questo tipo non ammette grandi irregolarità sequenziali.
Infine, sarebbe interessante sapere se Mozart, nel disporre le battute nelle tabelle, ha tenuto conto delle diverse probabilità di uscita determinate dal lancio dei dadi. Il problema non si pone nel caso del trio in cui si usa un solo dado e ogni numero ha probabilità 1/6, quanto per il minuetto per il quale si utilizzano 2 dadi con probabilità differenti per gli 11 possibili risultati. Con 2 dadi, infatti, il 7 ha le probabilità maggiori perché si ottiene con 6 combinazioni diverse. Seguono il 6 e l’8 con 5, il 5 e il 9 con 4, il 4 e il 10 con 3, il 3 e l’11 con 2, mentre il 2 e il 12 si ottengono con una soltanto.
In definitiva, comunque, con questo sistema possono essere generati 1116 cioè 45.949.729.863.572.161 minuetti e 616 cioè 2.821.109.907.456 trii. Dato che il minuetto come forma musicale è composto da un minuetto e un trio, abbiamo un totale di 129.629.238.163.050.258.624.287.932.416 diverse composizioni possibili. Ovviamente molte di loro saranno quasi uguali in quanto la differenza sarà costituita soltanto da una o due battute; ciò nonostante, su un totale così elevato, restano da ascoltare ancora molte interessanti combinazioni.
Il problema è che, anche tralasciando la ripresa finale del minuetto, ogni brano dura circa un minuto, e quindi servirebbero 246.630.970.629.852.090.228.858 anni per ascoltarli tutti.

Cliccando qui potete ascoltare uno di questi minuetti, mentre qui trovate un sito che implementa il gioco.

AllOfMP3 è legale?

Disclaimer
Non sono un avvocato. Sono solo un informatico, musicista con una laurea incidentale in Scienze Politiche. Di conseguenza, ogni mia affermazione di carattere legale è una pura e semplice opinione. Non basatevi su di esse per giustificare le vostre azioni.

Di AllOfMP3 e simili abbiamo parlato recentemente sottolineando il problema della loro legalità.
Sebbene ne parlino in tanti, sono pochi quelli che ne fanno una analisi approfondita in termini legali.
A mio avviso, il problema si può sintetizzare in due punti.

  • Si tratta, prima, di appurare se l’attività di AllOfMP3 e simili sia legale nel loro paese. Se la risposta è sì, ne consegue che chiunque può andare in Russia, comprare degli MP3 e ascoltarseli senza commettere alcun reato finché resta in Russia.
  • In secondo luogo, si tratta di capire se sia legale e eventualmente a che condizioni, importare i suddetti MP3 in Italia.

Generalmente, ci sono leggi che regolano sia l’acquisto che l’importazione dei beni e sono diverse nei vari paesi. Inoltre, in genere, si distingue fra l’uso personale e commerciale.
Per esempio, chiunque può andare in India, acquistare 1 Kg di derivati della cannabis e consumarli allegramente in loco senza incorrere in sanzioni. Se però tenta di importarli in Italia, commette un reato.
Se invece, sempre in India, acquista un po’ di vestiti per uso personale e li mette in valigia, può portarseli a casa senza problemi. Ma attenzione: se ne compra una tonnellata, non più per uso personale, ma per farne commercio, può lo stesso importarli, ma dovrà, presumibilmente, pagare una tassa.
Vedete la differenza? Un bene, il cui acquisto e consumo è legale in un certo paese può essere del tutto illegale in un altro, oppure del tutto legale o ancora legale a patto di pagare delle tasse di importazione.

Ho fatto un po’ di ricerche in internet e ho trovato una sola pagina in cui il problema della legalità di AllOfMP3 sia stato affrontato in questi termini e con rigore. È quella di FADMINE che ho già citato in un precedente post (la trovate qui in inglese). Naturalmente, essendo americani, hanno preso in considerazione l’importazione negli USA, ma il tutto è indicativo. In sintesi, loro il ragionamento è il seguente.

Legalità in Russia
Risolvere questo problema è molto semplice: basta scrivere alla ROMS (la SIAE russa), citata nel proclama di legalità che appare sul sito di AllOfMP3 per appurare se sia vero che il sito è in regola.
La ROMS risponde come segue:

I can confirm the legality of allofmp3.com You can legally buy/download mp3-songs from this site if it does not breaks the law the national legislation of the country in which you will be during that moment Sorry for my english.
Yours faithfully, the assistant to the lawyer of the Russian society on multimedia and to digital networks (ROMS) www.roms.ru,
Bahanets Roman Igorevich

Questo sembra confermare la regolarità del suddetto sito in Russia. FADMINE affronta poi il problema dell’importazione negli USA.

Importazione in USA
Quelli di FADMINE sono andati a consultare la legislazione americana sull’importazione senza trovare niente sugli MP3 (per quanto aggiornati siano gli americani, anche loro non stanno dietro all’innovazione tecnologica), ma hanno trovato una legge che riguarda l’importazione di registrazioni fonografiche (phonorecords).
In giurisprudenza, quando un caso non è regolato da una legge specifica, si procede per analogia, quindi è molto probabile che gli MP3 possano ricadere in questa categoria. In questo caso, la legge USA, citata da FADMINE come “TITLE 17 > CHAPTER 6 > Sec. 602”, afferma (trad. mia):

L’importazione, senza il consenso del detentore del copyright, di copie di registrazioni fonografiche di un lavoro acquistate fuori dagli USA costituisce una violazione del diritto esclusivo di distribuire copie di tale registrazione sancito nella sezione 106 perseguibile in base alla sezione 501.

Ma poi continua:

Tale articolo non si applica nei seguenti casi:

segue una serie di casi fra cui il num. 2 che consente la

importazione per uso privato di colui che importa e non per la distribuzione con un massimo di una copia per ogni lavoro in qualsiasi momento.

A questo punto, mi sembra che la situazione, perlomeno per gli USA, sia chiara. In base a quello che ne capisco, questo significa che l’acquisto di MP3 dai suddetti siti e la loro importazione negli USA è legale a patto che sia eseguita per il solo uso privato di chi acquista e l’acquisto deve essere limitato a un massimo di una copia per ciascun brano. In nessun caso, inoltre, si possono vendere, distribuire o trasmettere gli MP3 così acquistati.
Gli USA hanno una legislazione considerata restrittiva per quanto riguarda l’importazione, quindi penso che gli stessi criteri possano essere applicabili al nostro paese. Inoltre bisogna tener presente che, in un sistema democratico, è implicitamente consentito tutto ciò che non è vietato per legge, quindi, secondo me, anche le affermazioni della major secondo cui AllOf MP3 sarebbe illegale perché non esiste alcun accordo fra la ROMS e le analoghe organizzazioni occidentali, in assenza di una legge non dovrebbero avere alcun valore per l’acquirente privato (non commerciale). In altre parole, il fatto che il CISAC (SIAE internazionale) sia in rotta con la ROMS perché, a sentir loro, non paga i diritti, non mi sembra un problema che possa riguardare un privato cittadino a meno che non esista una legge che vieta il commercio in assenza di accordi.
Ancora una volta vale la pena di notare che il problema è diventato tale solo a causa di internet. Qualsiasi musicista classico sia stato in Russia ha acquistato e importato dischi e partiture senza problemi perché si trattava di casi limitati.
Naturalmente le mie poche competenze non mi permettono di fare affermazioni definitive in merito. Mi auguro che qualcuno con le necessarie competenze affronti la questione per l’Italia, ma non posso fare a meno di pensare che, per il momento, non si vuole una parola conclusiva su questa ingarbugliata faccenda.

Weekday Morning Time

Oggi è uscito questo dai Fortune di Unix. Concordo pienamente.

What we need in this country, instead of Daylight Savings Time, which nobody really understands anyway, is a new concept called Weekday Morning Time, whereby at 7 a.m. every weekday we go into a space-launch-style “hold” for two to three hours, during which it just remains 7 a.m. This way we could all wake up via a civilized gradual process of stretching and belching and scratching, and it would still be only 7 a.m. when we were ready to actually emerge from bed.
— Dave Barry, “$#$%#^%!^%&@%@!”

Ma quelli della Micro$oft…

…sono sempre uguali?
È normale che il sito sia visitato dai robot dei vari motori di ricerca per aggiornare le pagine da loro archiviate e indicizzare quelle nuove. Questa attività è anche ben accolta perché consente di essere trovati sui vari indici e aumenta i possibili accessi.
Ma, nell’ultima settimana, il bot di Google è passato 9 volte (1.286 al giorno), quello di Yahoo 12 volte (1.714 al giorno) e quello di MSN Search 29 volte (4.143 volte al giorno). Ma questi hanno la para di non essere aggiornati?
Ok. Io sono contento che i bot passino. Meglio tanto che niente. Ma il blog non viene aggiornato 4 volte al giorno. Magari avessi tutto questo tempo.
Il dato di fatto è che Google riesce ad essere tuttora il miglior motore di ricerca passando mediamente una volta al giorno e poi evidentemente facendo un lavoro di qualità nell’indicizzazione, mentre M$, come sempre, cerca di stargli dietro con la forza della quantità.

Sei un zombie?

Guardando l’ennesimo tentativo di attacco virale via mail (si spera fermato dall’antivirus) o diretto a una porta del computer (e bloccato dal firewall), oppure trovandosi con la macchina bloccata e impestata fino ai capelli, molti di voi si saranno chiesti “ma perché? chi ci guadagna in tutto questo giro di virus?”

Questa, fra l’altro, è una delle domande che mi sento rivolgere con maggiore frequenza quando parlo di sistemi operativi e sicurezza nelle aule di formazione. In effetti, mentre tutti (o quasi) capiscono chiaramente dove stia il lucro nel vendere i numeri del lotto, è difficile per l’utente medio avere la percezione dei vantaggi che derivano dallo spargimento di virus.
Il fatto è che i virus attuali non sono più distruttivi come quelli di un tempo. L’epoca delle ca…te goliardiche è passata e la nuova logica è quella del profitto e della produttività. Come nella biosfera, il virus che uccide l’ospite può anche provocare una pandemia, ma è un fallimento perché nel contempo si suicida. Quello che, invece, non provoca particolari problemi all’ospite o magari riesce anche a cambiarlo un po’ in modo da costruire un ecosistema più favorevole alla propria specie è un successo.
Ma allora, cosa fanno i virus attuali? Molto semplice: il principale fine di un virus ben fatto è quello di trasformare il vostro computer in un zombie.
Dicesi zombie una macchina che, all’insaputa del proprietario

  • esegue un compito ben determinato (per esempio, invia una mail di spam a tutti gli indirizzi della rubrica), ma, ancora meglio
  • quando l’utente è collegato a internet, invia il suo indirizzo ip a un determinato sito o mailbox e apre una backdoor (porta di servizio) consentendone il controllo da remoto.

Soprattutto questo secondo caso è premiante perché consente al produttore del virus di usare tranquillamente il vostro computer da chissà dove per piccole attività tali da non rallentarlo in modo sensibile e ovviamente da non bloccarlo, altrimenti, prima o poi, voi ve ne accorgete e magari anche senza sapere il perché dei rallentamenti, reinstallate windows.
Il problema è che queste attività possono essere piccole, ma generalmente sono illegali e nei log del destinatario della spam o del sistema a cui è diretto l’attacco resta il vostro numero di ip.
Il secondo punto è che lo scopo dell’untore è di controllare un gran numero di macchine per farle lavorare tutte insieme. Una tale concentrazione di zombie è detta ‘botnet’ (rete di robot) e può essere usata, per esempio

  • per diffondere lo stesso messaggio di pubblicità non richiesta a 10.000.000 di utenti nel giro di qualche minuto;
  • per scatenare un attacco DDoS (Distributed Denial of Services) mandando milioni di richieste di pagina per secondo a un certo server e intasarlo al punto da impedirgli di rispondere agli utenti legittimi;
  • per diffondere materiale illegale di vario tipo;
  • per decodificare un file di password (rubato a qualche sistema) mediante tentativi casuali: un solo computer impiegherebbe un anno, ma 100.000 computers possono farcela in meno di 10 minuti;
  • infine, per una attività non necessariamente legata al controllo di una botnet, ma remunerativa soprattutto quando riesce molte volte: salvare in un file tutto ciò che digitate sulla tastiera mentre siete collegati (comprese le password del vostro account bancario) e inviarlo a un certo indirizzo.

Ovviamente, tutto questo a pagamento. L’ultimo arrestato per aver organizzato una siffatta rete (il botmaster) gestiva più di 500.000 zombie sparsi per tutto il mondo, per cui almeno 100.000 erano accesi contemporaneamente e aveva guadagnato più di $100.000 in un anno di ‘noleggio’ della propria botnet. Magari li fatturava anche. Consulenza di marketing.
Il bello è che il sistema per difendersi è piuttosto semplice: installare un buon sistema antivirus + firewall (ce ne sono anche di gratuiti) e tenerlo aggiornato, oppure usare Linux.

74 minuti

Mi sento da schifo. Mal di gola, forse febbre. L’arrivo del caldo mi ha fregato. Immaginando che non ve ne freghi più di tanto, vi passo una curiosità sul CD e vado a dormire.
Dunque, la durata del CD Audio è fissata dagli standard in 74 minuti. Questo non significa che tutti i CD debbano durare tanto, ma che un supporto, per aderire allo standard CD Audio, deve avere determinate caratteristiche che, fra l’altro, fanno sì che possa ospitare almeno 74 minuti di audio stereo, 16 bit, SR 44100 (i CD da 80 sono arrivati dopo e 74 min. è sempre rimasta la durata minima; notare che il prototipo Philips era un disco da cm 11.5 invece di 12 e di durata 66 min.).
Ma perché proprio 74 minuti? Forse perché era il massimo possibile o ragionevole all’epoca? No. Sarebbe stato facile arrivare anche a 75 o 76. D’altra parte, se il problema era di non stringere troppo le tracce, 72 o 70 minuti sarebbero stati più ragionevoli. Perché proprio 74?

La leggenda, riportata da molte fonti come vera, racconta che Philips/Sony scelsero 74 semplicemente per farci stare l’intera 9a Sinfonia di Beethoven che, nelle esecuzioni dell’epoca, aveva una durata che si avvicinava a questo limite.
In realtà alcune esecuzioni duravano anche di più. Per esempio, la versione di Kubelik del ’74 arriva a 77’16”. Quindi il problema si sposta a quale versione si voleva mettere in un solo CD.
Qui le leggende divergono. Una prima versione afferma che si trattava di una versione di Karajan di circa 73′ incisa per Polygram che allora era parte di Philips. Questo spiegherebbe la volontà di Philips di pubblicare l’esecuzione di uno dei propri artisti più famosi in un solo CD. La cosa è stata confermata dallo stesso Karajan in una intervista. Ma la stranezza è che l’esecuzione in mio possesso, su CD DG del ’77 dura solo 67′. Esiste una versione di Karajan che supera i 70′?
La seconda versione ne dà una spiegazione più banale/romantica, in base ai punti di vista. Secondo quest’ultima, la versione della 9a era quella preferita dalla moglie di Norio Ohga, altissimo dirigente Sony e presidente dal 1982. Anche in questo caso, la leggenda è avallata da un’intervista del 1992 allo stesso Ohga.
Comunque sia, è certo che la 9a di Beethoven è stata presa in considerazione nella definizione dello standard CD Audio perché vari documenti Philips dell’epoca la consigliano come opera di test della qualità di un supporto, sia per l’escursione dinamica che per la durata “vicina al massimo teorico”.

Frank Zappa


Per commemorare i 40 anni dall’uscita di Freak Out (1966, uno dei dischi più sperimentali nella scena rock dell’epoca), ricordiamo qualche curiosità relativa a Frank Zappa.

Finora gli sono stati dedicati:

    • Due asteroidi: “3834 Zappafrank” e “16745 Zappa”.

3834 Zappafrank è un piccolo asteroide (fra 5 e 11 km di diametro) che appartiene alla fascia principale orbitante fra Marte e Giove (periodo orbitale 4.08 anni) scoperto da Ladislav Brožek nel 1980 all’Osservatorio di Kleť (CZ).
La campagna per dedicarlo a Frank Zappa è stata guidata da John V. Scialli, uno psichiatra forense di Phoenix e si è tenuta via internet nel 1994, un anno dopo la morte di FZ, coinvolgendo fans di 22 paesi.
La motivazione dice:

Named in memory of Frank Zappa (1940-1993), rock musician and composer of innovative contemporary symphonic, chamber and electronic music. Zappa was an eclectic, self-trained artist and composer with incredible energy and a biting wit, and his music transcends the usual music barriers. Before 1989 he was regarded as a symbol of democracy and freedom by many people in Czechoslovakia.

Di 16745 Zappa so solo che è stato scoperto nel 1996 in Italia, all’Osservatorio San Vittore (BO).
Comunque non è stata la prima volta: tutti i Beatles hanno dato il nome a un asteroide (‘Lennon’, ‘McCartney’, ‘Harrison’ and ‘Starr’, Nos. 4147 – 4150), così come Eric Clapton (‘Clapton’, No. 4305), Mike Oldfield (‘Oldfield’, No. 5656), and Jean-Michel Jarre (‘Jarre’, No. 4422). Mi sembra che anche Jerry Garcia ne abbia uno.

  • Un gene: “ZapA”, gene del microbo Proteus mirabilis che, a dispetto del suo bellissimo nome, è causa di infezioni del tratto urinario. In realtà si tratta di una famiglia di geni, da ZapA a ZapE.
  • Una medusa: Phialella zappai, così chiamata dal suo scopritore, il ricercatore italiano Ferdinando Boero, di Genova.
  • Un pesce: Zappa confluentus, scoperto nel 1978 da Tyson Roberts nelle paludi fangose del Fly River (Papua Nuova Guinea) e identificato come appartenente a un nuovo genere solo 10 anni dopo da Ed Murphy che gli ha attribuito il nome.
  • Un mollusco estinto: Amauratoma zappa, un bivalve che si nascondeva nel fango.
  • Un ragno: Pachygnatha zappa, così chiamato a causa di un segno addominale che ricorda i baffi di Zappa. Nome attribuito nel 1994 dai biologi belgi Robert Bosmans and Jan Bosselaers che stavano catalogando le nuove specie scoperte fra l’81 e l’83 dai loro colleghi dell’Università di Gent (Gand) nel corso di alcune spedizioni nel Congo.
  • Una scheda madre prodotta dalla Intel nel 1995. Nome interno Advanced/ZP; proc/chipset Pentium P54C, Socket 5, 82430 FX Triton Chipset; bus PCI/ISA.

I dettagli di alcune di queste storie si trovano qui.
Statua di Zappa
Una statua dedicata a Zappa a Vilnius, Lituania.
La discografia di Zappa è sterminata:
qui alcuni estratti di Zappa serio diretto da Boulez (att.ne: sono estratti da vari pezzi e cambiano improvvisamente);
qui estratti da Hot Rats del 1969 (idem);
qui trovate molti altri estratti (att.ne: cliccate sull’altoparlante, non sul titolo).

.microsound

.microsound è una mailing list non mediata orientata alla discussione degli stili della musica digitale e post-digitale spinta dalla diffusione dei sistemi software per l’elaborazione del suono. Il focus di .microsound è la discussione e l’esplorazione di una “estetica digitale” che si manifesta in una grande varietà di stili e discipline, dalla computer music accademica al post-industrial noise fino all’ambient sperimentale e alla post-techno.
Ok, queste sono le dichiarazioni ufficiali. Promesse difficili che comunque .microsound mantiene lanciando progetti innovativi e a volte quasi provocatorii, invitando a parteciparvi chiunque si senta coinvolto.
Ne esce un’estetica che a tratti sfiora noise e lo-fi, in ogni caso stimolante. Non è tutto oro, ma è spesso affascinante.
Fra i miei preferiti, city of the future, ispirato a Solaris, in cui potete ascoltare, fra i molti contributi, questo poetico frammento di Andrey Kiritchenko. Ma anche alcune idee solo apparentemente folli come 7econds il cui tema è creare un brano di durata massima 7 secondi, ma con una forte valenza strutturale (tipo A-B-A, A-B-B-A, A-B-C-A…). O come π (pi greco) che chiede pezzi basati sul suddetto numero trascendente e durata di 3.14. O ancora butterFuct: non cliccate niente; aprite la pagina e lasciate che i vari brani arrivino (ma non con gli altoparlantini del computer per favore: ne sentite metà; paradossalmente il noise vuole una buona amplificazione).
Andateci.

Ma siamo pazzi!?

Att.ne: il post è del 2006

Probabilmente la risposta ovvia e immediata è sì. Ma quello che mi sconvolge è come certe cose, che a me appaiono pazzesche, passino come assoluta normalità.
Questa notizia è apparsa recentemente su Punto Informatico:

i danni provocati dai pirati delle suonerie ammonterebbero a 2,6 miliardi di euro. Sistemi DRM interoperabili, questa la risposta delle major. Il dato si riferisce soltanto ai paesi dell’Unione Europea, dove il commercio di canzoni e videoclip per cellulare è particolarmente diffuso ed apprezzato tra i più giovani.

Allora, vediamo di capire. Questi tizi si inventano un affare: vendere suonerie ai ragazzini. L’affare non è banale. In Italia, per esempio, le suonerie rappresentano il 69% del mercato digitale. In Giappone ancora di più.
Nota bene: le suonerie vengono vendute su internet a “soli” (sic) € 2 cadauna.
Ora, al sottoscritto, 2 euro per una musichetta non originale che dura da 5 a 20 secondi prima di entrare in un loop infinito, fanno venire in mente solo 3 parole: furto, ladrocinio, grassazione.
Calcolate che 10 suonerie, cioè circa 200 secondi di musica, costano come un CD (il cui prezzo mi sembra pure esorbitante). Magari prima o poi salterà fuori anche un Mozart delle suonerie, anche se, finché continuano a riproporre gli hit del momento, mi sembra difficile.
Ovviamente i ragazzini sono squattrinati. Probailmente i genitori si incazzano (almeno spero) se cominciano a spendere € 20 in suonerie. Gli stessi ragazzini sono anche abbastanza abili con il computer o almeno parecchi fra loro lo sono. Quanto pensate che impieghino per trovare il modo di scambiarsele?
Per quanto ne capisco, il casus belli mi sembra proprio questo, perché non ho mai visto organizzazioni pirata che vendono suonerie agli angoli della strada.
Bene. A questo punto, le major gridano allo scandalo: 2.6 miliardi di euro sfumati in pirateria! Servono sistemi di protezione!
Calma. Qualche considerazione.
Chi scrive, quando era più giovane, ha scritto del software musicale regolarmente distribuito sul mercato. Ricordo bene che, al momento di fissare il prezzo con il distributore, si teneva conto anche del tempo medio di sblocco della protezione. In pratica i calcoli erano: più copie vendiamo, più allettante diventa il cracking del software. Quindi stimiamo che dopo x copie, le vendite caleranno del k%. A questo punto dovremo far uscire una nuova versione con nuove features e nuova protezione. Nel determinare il prezzo di vendita, si teneva conto anche di queste cose e ovviamente il prezzo saliva un po’.
Una considerazione di questo tipo mi sembra l’unica che possa giustificare un prezzo di 2 o 3 euro per una suoneria. I venditori sanno che ogni pezzo venduto passa a tutta la classe e fissano un prezzo di conseguenza.
Ma ancora peggio, questa storia mi ricorda tanto quella dei coloni americani che arrivavano in un territorio in cui fino a quel momento scorrazzavano solo bisonti e indiani, tiravano su quattro staccionate e si mettevano a vendere coperte e alcool agli indiani in cambio di pelliccie. Naturalmente, prima o poi, gli indiani li derubavano per cui i coloni chiamavano l’esercito. Ma, maledizione, se tu vai nel Bronx ben vestito e con i soldi che ti cadono dalla tasche, è matematico che prima o poi qualcuno ti rapini. Magari la polizia verrà anche a raccattarti, ma probabilmente te ne dirà quattro.
Per analogia, mi sembra che tutti questi non si siano accorti che qualcosa è cambiato (ma ovviamente fanno solo finta di non vedere). Le informazioni codificate con tecnologie digitali sono facilmente duplicabili e questo è un fatto.
Notate che sono stati proprio loro a spingere per la rivoluzione del CD, contando anche sul fatto che, come è effettivamente accaduto, avrebbero rivenduto, nella nuova versione CD, milioni di copie di dischi vecchi ormai privi di un mercato significativo. Vi rendete conto di quante persone si sono ricomprate in CD vecchi dischi che già possedevano in vinile a cifre che vanno da 15 a 20 euro? E vi rendete conto che questi CD, essendo remastering di materiale vecchio, non hanno spese di incisione, produzione, pubblicità?
Con questo non voglio dire che ognuno possa copiare quello che vuole, ma a mio avviso dobbiamo guardare dentro ben bene a questa faccenda perché si tratta anche di capire chi siano i veri pirati.
Ok. Questo era uno sfogo e io, in questo periodo, sono particolarmente incazzoso, ma il discorso continuerà.

Media Art Net

Oggi vi propongo qualche sito da visitare. Media Art Net contiene una buona serie di articoli sull’arte e i nuovi media (installazioni, interazioni etc…) con possibilità di leggere e vedere video. Nota: andate con il mouse sul rettangolo a puntini a destra per visualizzare i menu.

SoundTransit

SoundTransit è un interessante sito che propone viaggi (ad occhi chiusi) attraverso concatenazione di file audio. Il sito si inserisce nel filone soundscape e raccoglie registrazioni di suoni ambientali sia esterni che interni inviate dagli utenti di tutto il mondo.
A questo punto si può sia frugare fra i file audio, tutti corredati di note, luogo e dati di registrazione (più di 700 alla data di questo post), che definire un percorso che collega due luoghi mediante il montaggio in dissolvenza di file sonori.
Un’idea carina che mostra come trarre qualcosa di originale da un semplice archivio.

Campionamenti strumentali

L’Università dell’Iowa mette a disposizione campionamenti strumentali di buona qualità liberamente scaricabili. Per ogni strumento trovate vari file in formato aiff, ognuno contenente una scala di una 8va oppure singole note, tali da coprire l’intera estensione. Tutti i file, inoltre, sono disponibili 3 dinamiche (pp, mf, ff).
Trovate il tutto in questa pagina.

Chernobyl-4

Chernobyl-4Si parla molto di Chernobyl in questi giorni perché oggi è il 25 Aprile. Sono passati 20 anni dal disastro e le TV si sforzano a raccattare filmati di repertorio o di visite più o meno recenti.
Se avete voglia di farvi un’idea un po’ più reale di quanto è successo, andatevi a vedere il viaggio di questa ragazza,
Elena Vladimirovna Filatova, che da sola si è fatta un giro in moto attraverso campagne e villaggi abbandonati, in gran parte radioattivi, fin quasi al sarcofago. Alla fine di ogni pagina trovate il link al capitolo seguente, oppure partite da qui e saltate dove volete.
Nelle note che accompagnano le foto, dice che le piace andare in moto sulle strade vuote e che in queste terre abbandonate dall’uomo ormai da 20 anni, si trovano boschi e laghi di grande bellezza. Il territorio intorno a Chernobyl è diventato terra dei lupi. La natura se l’è ripreso nonostante le radiazioni perché è più dura di noi. Bastano 500 roentgens per 5 ore per uccidere un uomo. È interessante notare che, per uccidere un pollo, serve una dose 2.5 volte superiore e una dose 100 volte superiore non basta per ammazzare uno scarafaggio.
Chernobyl e i villaggi vicini sono città fantasma da cui siamo scappati in tutta fretta senza portare via niente, lasciando tutto come stava. Foto su un pianoforte, giocattoli, quaderni, manifesti, auto, chiatte abbandonate su un fiume. Una immensa Maria Celeste.

BE PARANOID!

Qualche giorno dopo l’arresto di Provenzano, durante una intervista TV con uno degli inquirenti (di cui purtroppo non ricordo il nome), ho sentito una dichiarazione che mi ha colpito.
In sintesi, quel funzionario, per dare l’idea della complessità dell’indagine, a un certo punto ha detto: «Vi rendete conto di quanto sia difficile individuare qualcuno che come massima tecnologia usa una macchina da scrivere?».
Traduzione (mia): è difficilissimo beccare qualcuno che non usa telefono, cellulare, internet, email, carta di credito, bancomat, tessera sanitaria, raccolte punti, certimat, schede TV, TV via cavo, telegrammi, etc, tutte tecnologie che seminano tracce.

Adesso pensate un po’ a che cosa significa tutto questo per la nostra privacy. So che per alcuni di voi sono cose assodate, ma immaginatele nei particolari. Per esempio, oggi all’uscita del supermarket, controllando il conto mi sono reso conto che sopra c’era scritto il mio nome: «arrivederci e grazie, Sig. Graziani».
Così i bastardi non hanno archiviato solo il mio codice cliente, che è quanto basta per attribuirmi i punti e magari è AB123ZX e non dice niente sul mio nome, ma l’hanno anche associato alla mia identità.
Così hanno un bel database con dentro tutto quello che mangio. Sanno che non mi piacciono i dolci, ma amo la cioccolata e compro solo la Lindt più sottile e magari, con adeguate offerte e pubblicità, forse potrei cambiare marca. Sanno che mi piace il pesce e che a casa mia c’è sempre il salmone, ma non posso permettermi il caviale. Sanno che non ho bambini perché non ho mai comprato mai ovetti kinder, merendine etc. Sanno anche che sono single, che non vado matto per la verdura e che ultimamente ho inspiegabilmente smesso di acquistare coca-cola.
In definitiva, hanno una buona visione del mio stile e del mio tenore di vita. E tutto questo solo con una carta di raccolta punti. Pensate se si potessero unire tutte le informazioni provenienti da varie fonti. Adesso è chiaro perché, anche sotto questo aspetto, le grandi concentrazioni in cui molte aziende di diverso tipo sono in mano alla stessa società/persona dovrebbero essere bloccate?
La cosa buffa è che, come informatico, questi database a volte li progetto o comunque li vedo da vicino e so cosa si può dedurne, di conseguenza tutte queste cose mi sono ben chiare. E allora perché quell’affermazione mi ha colpito? Non so. Una cosa è saperlo e non pensarci, un’altra sentirselo dire dalla polizia. È come se ti dicessero «guarda che questi dati non sono lì a dormire, qualcuno li usa… siate paranoici!»

Sound Seeker

Avete presente le webcam? Quelle simpatiche videocamere che ci permettono di vedere in tempo reale qualche luogo lontano combinando il fascino tecnologico del delirio da onnipresenza con il piacere del voyerismo?
Bene. Adesso, per iniziativa del World Forum for Acoustic Ecology (WFAE) e della sua sezione di New York (NYSAE), abbiamo anche un equivalente acustico. Il progetto Sound Seeker, per ora limitato alla città di New York, consiste in una serie di microfoni piazzati in vari punti della città che l’utente può selezionare ricevendo uno stream audio in presa diretta.

Il sistema è stato sviluppato in collaborazione con Google Maps le cui immagini vengono utilizzate come sfondo su cui sono posizionate le icone dei microfoni da selezionare.
Il WFAE esiste in forma di associazione non-profit dal 1993 e si occupa del monitoraggio dei paesaggi sonori del pianeta e dello studio dell’influenza umana su di essi. L’associazione nasce dallo sviluppo dell’ormai famoso WorldSoundscape Project che per primo si è sforzato di studiare a fondo gli ambienti acustici ed elevare il livello di attenzione sul loro stato.

La velocità della luce

Per tutta la cronaca di queste convulse elezioni, i risultati ufficiali dello spoglio delle schede pubblicati in internet sul sito del Ministero dell’Interno sono stati circa 1000 sezioni avanti rispetto, non solo alle comunicazioni delle agenzie di stampa (il che era prevedibile), ma anche alle trasmissioni televisive in tempo reale.
C’è da chiedersi come mai le trasmissioni tv andassero a collegarsi con gli inviati che si affannavano a leggere i comunicati ufficiali, quando gli stessi dati, altrettanto ufficiali, finivano prima su internet e poi su carta. Bastava avere un computer in studio invece di mandare inviati in tutti gli uffici.
Ma la cosa incredibile è che, nella trasmissione di Vespa, a un certo momento qualcuno ha chiesto la distanza in termini di voti assoluti fra i due schieramenti. Vespa ha girato la domanda all’inviato al Viminale che ha cercato tra i fogli e dichiarato di non saperlo, mentre il dato era lì, su internet, scritto in rosso. A questo punto un cameraman, che evidentemente aveva un accesso internet, ha sollevato un cartello con le cifre esatte.
In questo paese qualcuno deve ancora capire molte cose…

Ma la gente… (1)

Qualche giorno fa all’esselunga (sì, faccio la spesa al supermarket del nano pelato perché è vicino a casa e la qualità è buona, il che dimostra che non sono accecato dall’ideologia, però sono un coglione perché pur essendo un professionista non lo voto), lascio il carrello vuoto in un angolo e riempio di verdura qualche sacchetto.
Torno al carrello e ne trovo un altro, parimenti vuoto, parcheggiato accanto e un tipo che sta riempiendo di sacchetti il mio. Al che gli faccio notare che quello è il mio carrello e il tipo, scandendo le parole con fare teutonico, ribatte «No, questo è il mio carrello».

Provo ad insistere, ma il tipo non molla. Poi, con l’aria di chi ha appena fatto una scoperta geniale, mi fa «Ma è lo stesso, tanto erano entrambi vuoti». Sopraffatto da tanta intelligenza prendo l’altro carrello e me ne vado borbottando un «contento lei…».
Peccato che lui nel carrello ha messo € 2, mentre io ci metto sempre un dischetto metallico privo di alcun valore: grazie di avermi pagato la cioccolata…

PS: adesso, se leggi il blog, sai anche chi sono, ma è inutile che mi scrivi tanto i 2 € non te li ridò: la prossima volta contatta il cervello, prima.

Musica senza input

La citazione con cui iniziava il post precedente è di David Lee Myers, un compositore che si trova nella scomoda situazione di essere sconosciuto al grande pubblico perché non fa “pop” e sconosciuto agli accademici perché i suoi lavori non si inseriscono nella tradizione “colta”. Però è conosciuto dagli sperimentatori a oltranza, da quelli che non si accontentano di ri-elaborare delle idee maturate nell’ambito di una corrente, quelli un po’ scontenti e un po’ solitari che regolarmente disfano quello che hanno appena fatto per il gusto di ricominciare da capo.
Proprio le considerazioni di cui al precedente post hanno condotto D. L. Myers alla pratica di una musica estrema, totalmente priva di input: niente partitura, nessuna tastiera, nessun suono da elaborare, nessun sistema di sintesi propriamente detto. Una musica in cui sia i suoni che le strutture non nascono dalla pressione di un tasto o dal fatto che qualcuno mette giù un accordo, ma dall’interazione spontanea di una serie di circuiti collegati fra loro in retroazione che l’essere umano si limita a controllare.
Quello che Myers faceva, già nel 1987 con apparecchiature analogiche, era feedback music.

Il feedback positivo in una catena elettroacustica è stato sperimentato, con fastidio, da chiunque abbia usato un microfono e lo abbia inavvertitamente puntato verso gli altoparlanti. In breve si produce un fischio lancinante, mentre i tecnici si lanciano verso il mixer per abbassare il volume.
Questo problema, meglio conosciuto come Effetto Larsen, si verifica perché il microfono, a volume un po’ troppo alto, capta dei suoni che vengono amplificati e inviati all’altoparlante. Se gli stessi suoni, in uscita dall’altoparlante, vengono nuovamente captati dal microfono, amplificati e ri-inviati all’altoparlante, si crea una retroazione positiva tale per cui entrano in un circolo chiuso in cui vengono continuamente amplificati fino ad innescare un segnale continuo a forte volume.
Come si può immaginare, il feedback è un po’ il terrore di tutti i tecnici del suono, ma in determinate circostanze può essere controllato e se può essere controllato, può anche diventare uno stimolo per uno sperimentatore.
Bisogna puntualizzare che non si tratta di una idea di Myers. Ai tempi della musica elettronica analogica questo effetto è stato utilizzato in parecchi contesti. Io stesso ne ho fatto uso in una installazione audio-video del 1981 (si chiamava “Feedback Driver”, appunto), ma credo che negli anni ’80 l’abbiano provato un po’ tutti, con alterni risultati. I miei primi ricordi relativi a questa tecnica risalgono al lavoro di Tod Dockstader, un ricercatore e musicista americano relativamente poco noto, anche se alcune sue musiche sono finite nel Satyricon di Fellini.
Quello che distingue Myers dagli altri, però, è l’averne fatto una vera e propria poetica. Lui non sfrutta il feedback per elaborare qualcosa, non parte da elementi esterni o da algoritmi di sintesi, ma collega in retroazione una serie di dispositivi (principalmente mixer e multi-effetti) e variando i volumi sul mixer (che a questo punto diventa la sua “tastiera”) e cambiando tipo e profondità degli effetti ne trae una serie di sonorità suggestive, sempre in bilico fra il fascino di una musica che si muove in modo quasi biologico e il totale disastro delle macchine fuori controllo.
Senza dubbio, Myers è un virtuoso, ma, a differenza del virtuoso tradizionalmente inteso, lui non domina il proprio strumento. Piuttosto lo asseconda, cercando di spingerlo in una direzione, come nei due brani qui sotto. Qui la composizione consiste nel definire una rete di collegamenti fra i dispositivi e la tecnica si fa estetica.
Sul suo sito, nella sezione “releases“, troverete molti altri estratti.

Ma la musica elettronica esiste?

True electronic music does not imitate the classical orchestra or lend well worn melodies the cloak of unexpected timbres – it exists to evoke the hitherto unknown. And it comes from circuits and wires, though I do not believe that electronic sound is “unnatural”, as some people might.
La vera musica elettronica non imita l’orchestra classica e non presta un mantello di timbri inattesi a melodie ben formate – essa esiste per evocare ciò che fino ad ora è sconosciuto. E nasce da circuiti e cavi, ciò nonostante io non credo che il suono elettronico sia così “innaturale” come qualcuno pensa.
[David Lee Myers, 1988]

Credo di poter tranquillamente dire che queste parole sono condivise, almeno in linea teorica, dalla maggior parte dei compositori che lavorano nell’area della musica elettronica (o della musica digitale, visto che l’elettronica analogica praticamente non esiste più).
Personalmente le condivido. Tuttavia, dopo un primo periodo decisamente improntato alla sperimentazone, mi sembra che la situazione attuale veda un momento di riassorbimento della musica elettronica nell’area della musica strumentale sia sotto il profilo dell’esecuzione che sotto quello dell’estetica.
Mi rendo conto che può trattarsi semplicemente di un periodo di assestamento benefico che può portare all’entrata della musica elettronica nella più generale concezione di “musica”, ma, in ogni caso, la mia impressione è che, in questo processo, qualcosa di importante vada perso.

Il problema dell’esecuzione

Per quanto riguarda l’esecuzione, è sempre piuttosto difficile, almeno in Italia, proporre concerti di sola musica elettronica, senza strumentisti live. Qualcuno sostiene trattarsi di una necessità connaturata alla fruizione musicale. Può darsi. Ma si tratta di una necessità reale, cioè legata alla qualità della musica prodotta oppure soltanto psicologica, determinata dal fatto che il pubblico non accetta di rivolgersi a un palco vuoto?
Per quanto mi riguarda, propendo per la seconda ipotesi. Racconto una mia esperienza. Una volta ho eseguito in concerto un brano elettronico suonando in playback. Per dirla in termini terra-terra, mi sono presentato su un palco con un computer, un mixer e qualche altro ordigno che ho manipolato dal vivo con mosse collegate alla musica che in realtà il computer stava riproducendo senza nessuna partecipazione da parte mia, leggendo un file.wav (inutile chiederlo; non dirò mai quando è stato). La cosa è perfettamente possibile e molto facile, se pensate che in entrambi i casi (CD o esecuzione live) il suono esce solamente dalle casse.
In quell’occasione il mio brano ha avuto un buon successo, che non so se avrebbe avuto in egual misura se fosse stato proposto come una riproduzione da CD. Ma quello che mi ha veramente colpito è stato il fatto che alcune persone, musicalmente non ingenue (anche qualche compositore), che conoscevano il pezzo per averlo ascoltato a casa propria su CD, sono venute a complimentarsi dicendomi che quel brano, eseguito dal vivo, acquistava una grande intensità rispetto alla versione registrata, mentre ovviamente era perfettamente identico.
Ora, cercate di capire: in quell’occasione non ho voluto prendere in giro nessuno. Si trattava di un esperimento che, ammetto, è andato al di là delle mie aspettative, ma mostra ancora una volta quanto la nostra percezione della realtà sia confusa.
In realtà quelle persone non sono stupide. Semplicemente era la prima volta che sentivano il brano a un volume da concerto, in una sala con buona acustica e con 4 ottime casse, trovandosi, quindi, totalmente avvolte nel suono, invece che in una situazione casalinga con solo 2 casse frontali, di solito piccole, non eccelse e soprattutto a volume medio-basso.
Tutto ciò mi porta a concludere che la difficoltà di accettazione dell’esperienza acusmatica (ascolto del suono isolato da un contesto visivo: acusmatiche erano le lezioni di Pitagora che parlava ai discepoli nascosto da una tenda perché potessero concentrarsi esclusivamente sulle sue parole) sia principalmente di carattere psicologico. Ovviamente mi piacerebbe sentire molte altre opinioni.

Il problema estetico

Il problema estetico si può riassumere in queste parole: nel comporre un brano elettronico deve essere cercata una estetica specifica alla musica elettronica, strettamente legata allo strumento elettronico e da quest’ultimo determinata? Magari anche a costo di rinunciare a una maggior facilità di ascolto?
Se, per esempio, penso a un pezzo storico come Kontakte, vedo una grande coerenza compositiva in cui la scelta del materiale di base e della tecnica di sintesi determinano in gran parte il risultato finale.
Al contrario, ultimamente mi capita molto spesso di ascoltare brani per strumenti ed elettronica in cui quest’ultima è piegata alle esigenze strumentali, a cominciare dall’uso del sistema temperato fino alla costruzione dei suoni. In questa situazione l’elettronica è vista come un allargamento delle sonorità strumentali, ma non sviluppa un discorso autonomo.
Nello stesso tempo, sento delle composizioni strumentali che, dal punto di vista teorico, verrebbero molto meglio se fossero fatte con l’elettronica. Consideriamo, per esempio, la musica spettrale francese. Ora, io apprezzo questo tipo di musica, la ascolto volentieri e spesso mi piace. Quando, poi, guardo le partiture, le vedo piene di quarti di tono che l’esecutore, per quanto preparato, esegue sempre vagamente e non tutti.
Allora ne deduco che, rispetto ai suoi presupposti teorici, la musica spettrale è una farsa oppure la nozione di “spettralità” è soltanto una fonte di ispirazione perché è inutile pretendere che uno strumentista piazzi una nota sull’11mo armonico di un DO, cioè esegua un FA# calante di una quantità che è oltretutto diversa dal quarto di tono. Evidentemente questa musica sarebbe molto più coerente con la propria teoria di base se fosse elettronica. Questa cosa mi sembra così evidente che mi chiedo se la rinuncia all’elettronica da parte di questi compositori sia dettata da incapacità, necessità (non si vive senza dare una partitura agli editori) o scelta personale.
E di conseguenza mi chiedo anche se la musica elettronica come io la concepisco, cioè come mezzo espressivo autonomo, portatore di una propria estetica, eventualmente utilizzabile insieme agli strumenti tradizionali, ma senza perdere le proprie caratteristiche, esista ancora.

Le domande

In pratica, alla luce di queste considerazioni, gli argomenti di riflessione, su cui sollecito un intervento sia da parte dei compositori che degli studenti (ma anche da chiunque si interessi alla musica) sono i seguenti:

  1. Attualmente è concepibile una musica priva di esecutore visibile o no?
  2. Una estetica propria della musica elettronica e ad essa specifica è ancora possibile?

Mi piacerebbe qualche risposta (potete anche dire che sono sbagliate le domande…)

639 anni di Cage

In realtà succede per caso, però sono molto contento di aprire questo blog parlando di John Cage.
Nella piccola chiesa di St. Burchardi, in Halberstadt (Germania), è in corso l’esecuzione di Organ2/ASLSP di Cage, iniziata nel 2001, la cui durata prevista è di 639 anni (finirà nel 2639).
In breve 🙂 la storia è questa.

La Composizione

L’ASLSP originario è un brano del 1985 per pianoforte solo: 4 pagine manoscritte, nello stile sparso e delicato dell’ultimo Cage. Il titolo è insieme una indicazione esecutiva e un riferimento al sempre presente Finnegan’s Wake:

The title is an abbreviation of ‘as slow as possible.’ It also refers to ‘Soft morning, city! Lsp!’ the first exclamations in the last paragraph of Finnegans Wake (James Joyce).
(Cage, note collegate alla partitura)

Si tratta di un lavoro in 8 sezioni, una delle quali, all’atto dell’esecuzione, deve essere omessa e sostituita con una qualsiasi altra, che, quindi, viene ad essere eseguita due volte.
La notazione è quella tipica di molti lavori di Cage, con parti non correlate fra le due mani, ma da eseguirsi simultaneamente. Le altezze sono scritte in modo preciso, mentre le durate devono essere calcolate, con una certa approssimazione, in base alla distanza fra le note. Il tempo e la dinamica sono liberi (ma quest’ultima dovrebbe essere soft). Nelle diverse esecuzioni, la durata varia fra 6 e 25 minuti.
Nel 1987, su suggerimento dell’organista Gerd Zacher, l’indicazione strumentale venne estesa all’organo e il titolo divenne Organ2/ASLSP. Chiaramente, la versione per organo è radicalmente diversa da quella per piano. Da un lato, infatti, scompare quel delicato gioco di risonanze generato da alcuni tipici manierismi cagiani, come quello degli accordi eseguiti in staccato, tranne una nota che può essere tenuta anche oltre l’estinzione e vibra per simpatia come un pedale tonale. Dall’altro, però, il cambiamento investe in modo sostanziale l’interpretazione dell’indicazione “as slow as possibile” che può essere estesa praticamente all’infinito, grazie alle note tenute. Se, con il pianoforte, tenere un accordo per 10 minuti non ha senso o, al massimo, ha un senso cagiano (l’irrompere dei suoni esterni nello spazio che si crea nella composizione), con l’organo siamo al bordone potenzialmente infinito alla La Monte Young.
In effetti, nel 1997, a Trossingen, organisti e musicologi riuniti a congresso si trovarono a dibattere, fra l’altro, dell’interpretazione di quel “as slow as possibile”, contemplando anche la tesi estrema di una composizione che trascende i limiti non solo del tempo di un concerto tradizionalmente inteso, ma del tempo stesso (il desiderio di eternità è connaturato alla specie umana). Di qui, il progetto.

Il Progetto

Il progetto è quello di una esecuzione, localizzata in Halberstadt, della durata di 639 anni. Perché Halberstadt e perché 639 anni?
Semplicemente perché la cattedrale di Halberstadt ospita il primo organo liturgico di cui si abbia notizia, il Blockwerk organ di Nikolaus Faber. Questo strumento è anche il più antico organo esistente con tastiera a 12 note organizzata secondo lo schema di quelle attuali, il che comunque non comporta una accordatura temperata. La suddetta tastiera risale, infatti, al 1361, cioè 639 anni prima del 2000, anno del secondo millennio e della presentazione del progetto.
C’è, dunque, un collegamento simbolico, un passaggio di testimone fra uno degli organi più antichi e il più popolare compositore contemporaneo (oggi, su Google, John Cage ha 26.800.000 reference, Stockhausen 3.170.000, Boulez 2.520.000, Schoenberg 5.130.000, Webern 1.520.000 e il sottoscritto meno di un migliaio. Per confronto, l’intera famiglia Bach ne ha 78.300.000).
Il luogo dell’esecuzione è la cappella sconsacrata di St. Burchardi, una delle più antiche d’Europa (ca. 1050), più volte semidistrutta e ricostruita e attualmente lasciata in stato di degrado. Si è reso, quindi, necessario un restauro. Nella stessa, inoltre, è stato anche piazzato un nuovo organo che è tuttora in via di ampliamento (nuove canne vengono installate via via che si rendono necessarie altre note).
L’esecuzione è iniziata nel 2001, il 5 Settembre, data di nascita di Cage, il cui spirito ironico si è manifestato alla cerimonia di apertura quando l’organista si è limitato ad avviare lo strumento e andarsene, in quanto la partitura inizia con una pausa la cui durata, fatti i debiti calcoli, risulta essere di un anno e mezzo.
Solo nel febbraio 2003 si sono sentite le prime note: una triade SOL#,SI, SOL# alla quale, nel 2004, si sono aggiunti due MIb in 8va, destinati a terminare il 5 Maggio di quest’anno. Il 2006 è comunque un anno ricco di eventi perché il 5 Gennaio quel che rimaneva del primo accordo era stato sostituito dal secondo: LA, DO, FA# (ovviamente i tasti vengono bloccati con dei pesi).
Per convenzione, tutti i cambiamenti vengono eseguiti il 5 di ogni mese alle 5 pm, sia per ricordare il giorno di nascita del nostro, che per facilitare la vita ai turisti.
Infine, per la modica cifra di € 1000, potete dare il vostro nome a un anno e sponsorizzare parte del progetto (anche in condivisione): una targa metallica viene piazzata sul posto con il vostro nome e una frase di vostra scelta. Gli anni fino al 2010 e anche altri nell’arco di una vita umana, sono già stati venduti. Più avanti nel tempo c’è ancora molto posto, sebbene alcuni ottimisti abbiano già acquistato il 2639.

Qualche riflessione

IMNHO (in my never humble opinion), credo che i sospetti di strumentalizzazione che nascono inevitabilmente di fronte a operazioni di questo tipo, possano essere messi da parte. Se, da un lato, è vero che la connessione con Cage può apparire forzata e gratuita (ci sono vari autori contemporanei più significativi per l’organo rispetto a lui, per es. Messiaen, e la stessa idea di composizioni che durano anni è di La Monte Young), è anche vero che nessuno ha proposto sfide visionarie come il nostro e che con questo progetto si raggiungono alcuni risultati apprezzabili:

  • si restaura una chiesa del 1050
  • si crea un ambiente tranquillo con un bordone di sottofondo
  • si ricorda John Cage
  • si stimola qualche discussione

Soprattutto quest’ultimo punto mi interessa. Perché, se a qualche mente limitata una composizione di 639 anni può sembrare solo un’idea balzana, per una che fa lavorare la propria immaginazione è una bella fonte di riflessione.
Innanzitutto, il senso musicale. Anche con durate di gran lunga inferiori a 639 anni, il senso della composizione svanisce. Come insegna la psico-acustica, quando un evento dura abbastanza da “bucare” la capacità della memoria a breve termine (inferiore al minuto), la sua connessione con il tutto si perde. In pratica, se si suona una banale progressione armonica tenendo ogni accordo per un tempo superiore al minuto, non si ha più la sensazione di una progressione, ma ogni accordo tende a diventare un mondo a sè.
Così, entrando nella chiesa di St. Burchardi non si ascolta una parte di una composizione, almeno non nel senso che diamo comunemente a queste parole. Piuttosto si entra in un ambiente che in quel momento è in quello stato. Magari il bordone è una 8va tranquilla, mentre tornando 6 mesi dopo c’è una dissonanza raccapricciante ed è bella l’idea di un ambiente sonoro che si evolve come un ambiente biologico.
Quindi, dal punto di vista sonoro, si tratta di una esperienza che, per la maggior parte della gente, è nuova, e questa è una delle funzioni dell’arte.
Veniamo adesso alla durata. 639 anni sono un sacco di tempo. In passato, simili distese temporali erano prese in considerazione solo dalle religioni (…nei secoli dei secoli…) o dagli imperi (l’imperatore dei 10.000 anni), come metafora di eternità e quindi di potenza, ma il loro unico vero scopo era quello di arginare il grande buio, di spingere l’uomo a progettare nonostante la morte, a pensare al di là non solo del contingente, ma della propria vita, cosa che, a quanto ne sappiamo, è la vera caratteristica unica dell’homo sapiens sapiens.
Adesso, nella nostra civiltà che evolve rapidamente, non siamo più abituati a pensare e a progettare in questi termini di tempo. Quale fra le cose costruite nel dopoguerra è stata progettata per durare 639 anni? Certamente non il condominio in cui vivo, ma nemmeno grandi cose come il nuovo aeroporto di Tokyo o Postdamer Platz a Berlino.
In realtà, mi chiedo se lo abbiamo mai fatto. Molto probabilmente i romani, quando costruivano arene e acquedotti, non immaginavano che sarebbero state ancora qui dopo più di 2000 anni e gli stessi costruttori della più grande opera in muratura della storia, la Grande Muraglia, non costruivano certo per i millenni, ma solo per tener lontani i barbari, peraltro con scarsi risultati. Mi chiedo anche se i progettisti delle piramidi guardassero ai millenni chiudendo gli occhi e immaginando la piana di Giza o pensassero solo a una tomba imponente per il faraone/dio.
Paradossalmente, le uniche opere moderne progettate per durare non secoli, ma decine di millenni non sono destinate alla gloria della specie umana, ma alla testimonianza della sua idiozia: sono i depositi delle scorie radioattive che decadono in 10 o 20.000 anni o il sarcofago di Chernobyl che racchiude 190 tonn. di uranio e una di plutonio, mortali per chiunque si avvicini.
Il Cage-OrgelProjekt, invece, è una costruzione culturale che non ha bisogno di grandi mezzi, ma è specificamente progettata sulla durata.
Una delle cose più intriganti di questo progetto, sempre ammesso che riesca, è proprio questa. Ripeto, 639 anni sono un sacco di tempo. Come cambieranno il mondo e la stessa razza umana in tutto questo tempo? Chi ci sarà, se mai ci sarà qualcuno, a vedere il rilascio dell’ultimo tasto? Sarà ancora umano?
E poi, che significato assumerà questo luogo in cui risuona un eterno bordone, fra 3 o 400 anni? E cosa ci sarà intorno? Sembrano domande banali, ma pensando alle sfide che ci aspettano, riscaldamento globale, conflitti economici, risorse naturali, ma anche tecnologia, spazio, ingegneria genetica, etc, mi fa un po’ rabbia il non saperlo.
Penso anche che la cappella di St. Burchardi e il suo eterno bordone siano un buon tema per un racconto di fantascienza (ho suggerito agli organizzatori di creare un concorso).
Qualcuno dice che una vita troppo lunga non ha senso, ma essere fra il pubblico alla fine mi piacerebbe, credetemi. Firmerei subito. Ho le mie ragioni.

Qui il sito del Cage-OrgelProjekt